ADOZIONE IN CASI PARTICOLARI

Di Gianfranco Dosi
I. Quali sono le ipotesi di adozione di minori cosiddetta in casi particolari?
II. La prima ipotesi: il rapporto stabile e duraturo con il minore orfano di genitori
III. La seconda ipotesi: l’adozione da parte del coniuge del figlio minore dell’altro co¬niuge
IV. La terza ipotesi: l’adozione del minore con handicap
V. La quarta ipotesi: l’impossibilità di affidamento preadottivo
a) L’interpretazione restrittiva (l’impossibilità di fatto dell’affidamento preadottivo)
b) L’interpretazione estensiva (è sufficiente l’impossibilità giuridica di affidamento pre¬adottivo)
VI. L’adozione del figlio minore del proprio partner omosessuale
VII. Lo status del figlio adottato con l’adozione in casi particolari
VIII. L’adozione mite
IX. Il procedimento
a) La procedura
b) Il necessario consenso del minore quattordicenne e l’audizione del minore di età inferiore
c) L’obbligo dell’assenso del genitore. Quando il dissenso è superabile?
d) La natura costitutiva della sentenza e suoi riflessi
X. Le conseguenze in tema di responsabilità genitoriale
XI. Il cognome del figlio adottato
XII. La revoca dell’adozione in casi particolari
XIII. Il senso e l’ampiezza del rinvio alle norme sull’adozione dei maggiorenni
I Quali sono le ipotesi di adozione di minori cosiddetta in casi particolari?
La legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori», nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile) e dalla legge 19 ottobre 2015, n. 173 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare) si occupa dell’affidamento e dell’adozione dei minori (per la quale ha competenza esclusiva il tribunale per i minorenni), disciplinando nella sua parte più corposa e significativa sia l’adozione piena – che consegue alla dichiarazione di adot¬tabilità di un minore in condizione di abbandono – sia l’adozione internazionale, cioè l’adozione di minori stranieri effettuata all’estero da coppie italiane.
Alcune disposizioni della legge (dall’art. 44 all’art. 57) attribuiscono, poi, sempre al tribunale per i minorenni, la competenza a dichiarare l’adozione di minori in situazioni particolari il cui denomi¬natore comune è costituito dal consolidamento di un legame affettivo già esistente tra il minore e una persona (o tra il minore e una coppia di persone) che, con l’adozione, acquisisce vere e proprie garanzie giuridiche.

Genitore – nella prospettiva di questo tipo di adozione – è soprattutto chi si prende cura del minore e lo accudisce in quanto legato a lui da una relazione affettiva stabile e duratura. Si parla a tale proposito di genitore sociale.
A differenza dell’adozione piena (che consegue alla dichiarazione di adottabilità) la particolare adozione prevista nell’art art. 44 della legge 184/83 non recide i legami del minore con la sua famiglia di origine (di cui il minore rimane figlio), ma offre allo stesso la possibilità di formalizzare anche, nell’ambito della famiglia in cui è inserito, i positivi rapporti affettivi instaurati con determi¬nati soggetti che si stanno effettivamente occupando di lui e che diventano i suoi genitori adottivi.
La riforma sulla filiazione operata dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, come meglio si dirà più oltre, ha reso omogenea nell’ambito della nuova definizione di parentela (art. 74 c.c.) l’adozione piena all’adozione in casi particolari, unificando di fatto lo status di tutti i figli minori ivi compresi quelli adottivi.
Le ipotesi di adozione in casi particolari sono quattro e sono tutte indicate nell’art. 44 della leg¬ge dove si prevede che i minori possono essere adottati anche se non vi è stata dichiarazione di adottabilità:
a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, anche maturato nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento, quando il minore sia orfano di padre e di madre;
b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge;
c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre;
d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.
Come precisano gli ultimi due commi dell’art. 44, nei casi di cui alle lettere a), c), e d) sopra indi¬cati, l’adozione – considerata la natura eccezionale di queste situazioni – è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato; inoltre se l’adottante è persona coniugata e non separata, l’adozione (del tutto ragionevolmente) può essere disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi. Esclusivamente nei casi di cui alle lettere a) e d) l’età dell’adottante deve su¬perare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare.
Si tratta quindi di forme di adozione consentite, sostanzialmente, anche alle persone singole.
Viceversa allo stato attuale della normativa vigente è da escludere che una persona singola possa procedere all’adozione piena di un minore (cosiddetta legittimante, con riguardo all’effetto parifi¬cato alla nascita nel corso del matrimonio) (Cass. civ. Sez. I, 14 febbraio 2011, n. 3572 che, comunque, non vede ostacoli all’introduzione di tale possibilità da parte del legislatore; Cass. civ. Sez. I, 21 luglio 1995, n. 7950; Trib. Minorenni Firenze, 4 febbraio 1995; App. Roma, 28 novembre 1994; Trib. Minorenni Roma, 24 marzo 1993).
È invece consentito il rilascio dell’idoneità all’adozione internazionale a persona singola nei casi particolari indicati dall’art. 44 della legge, compresa l’ipotesi di cui alla lett. d di “constatata im¬possibilità di affidamento preadottivo (Corte cost. 29 luglio 2005, n. 347; Cass. civ. Sez. I, 18 marzo 2006, n. 6078; Cass. civ. Sez. I, 8 novembre 1994, n. 9278; App. Roma, 12 gennaio 2006; Trib. Minorenni Bologna, 7 febbraio 2003; Trib. Minorenni Salerno, 19 luglio 2002; Trib. Minorenni Milano, 11 settembre 2001; Trib. Minorenni Genova, 14 ottobre 1995).
In tutti i procedimenti di adozione cosiddetta in casi particolari il tribunale per i minorenni deve verificare che l’adozione realizzi il preminente interesse del minore. L’art 57 della legge lo prevede espressamente affermando che “a tal fine il tribunale per i minorenni, sentiti i genitori dell’adot¬tando, dispone l’esecuzione di adeguate indagini da effettuarsi, tramite i servizi locali e gli organi di pubblica sicurezza, sull’adottante, sul minore e sulla di lui famiglia. L’indagine dovrà riguardare in particolare: a) l’idoneità affettiva e la capacità di educare e istruire il minore, la situazione perso¬nale ed economica, la salute, l’ambiente familiare degli adottanti; b) i motivi per i quali l’adottante desidera adottare il minore; c) la personalità del minore; d) la possibilità di idonea convivenza, tenendo conto della personalità dell’adottante e del minore.
Questo principio generale è confermato dalla giurisprudenza che in tema di adozione in casi parti¬colari, ritiene assolutamente necessario che il giudice accerti, caso per caso, quale sia in concreto e non astrattamente l’interesse del minore (Cass. civ. Sez. I, 10 maggio 2011, n. 10265; Cass. civ. Sez. I, 9 maggio 2002, n. 6633).
II La prima ipotesi: il rapporto stabile e duraturo con il minore orfano di genitori
Questa prima ipotesi (art. 44 lett. a) nel testo originario della legge 184/83 prevedeva la possibilità di adozione “da persone unite al minore, orfano di padre e di madre, da vincolo di parentela fino al sesto grado o da rapporto stabile e duraturo preesistente alla perdita dei genitori” ma il testo è stato riformato dapprima dalla legge 149/2001 e recentemente dalla legge 19 ottobre 2015, n. 173 sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare.

Il testo vigente prevede quindi la possibilità di adozione “da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, anche maturato nell’am¬bito di un prolungato periodo di affidamento, quando il minore sia orfano di padre e di madre”.
La legge vuole garantire al minore rimasto orfano dei genitori la possibilità di mantenere un rap¬porto parentale (vincolo di parentela fino al sesto grado) oppure di un rapporto affettivo (rapporto stabile e duraturo, anche maturato nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento “preesi¬stente alla perdita dei genitori”).
Come si è già detto questo tipo di adozione può essere disposta anche in favore di una persona singola.
Se non vi fosse questo tipo di adozione il minore – essendo orfano di genitori – dovrebbe essere dichiarato adottabile e affidato ad altra famiglia. Il che costituirebbe certamente un trauma o co¬munque un pregiudizio per il minore che si troverebbe a dover lasciare il nucleo parentale nel quale è inserito o il nucleo affettivo nel quale era da tempo, ugualmente, inserito.
“Rapporto stabile e duraturo” vuol dire che deve esservi uno stretto legame fra il minore e il nucleo parentale o affettivo in cui si trova inserito.
La precisazione che il rapporto stabile può essere stato “anche maturato nell’ambito di un pro¬lungato periodo di affidamento” è in linea con lo spirito della legge 19 ottobre 2015, n. 173 sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare, il cui articolo 4 ha introdotto nel testo della disposizione questa indicazione proprio per non frustrare le aspettative alla trasformazione del legame da affettivo a giuridico.
Cass. civ. Sez. I, 1 agosto 1996, n. 6956 ha ritenuto che la legge 184/83, ai fini dell’adozione ex art. 44 lett. a, non operi alcuna distinzione tra parentela in linea retta e in linea collaterale.
III La seconda ipotesi: l’adozione da parte del coniuge del figlio minore dell’altro coniuge
Questa seconda ipotesi di adozione in casi particolari (art. 44 lett. b) è la più diffusa e anche la più conosciuta e consente al coniuge di adottare il figlio dell’altro coniuge.
La norma non si applica ai conviventi di fatto (e quindi il convivente di fatto non può adottare il figlio del proprio partner in base all’art. 44 lett. b) e nemmeno alle unioni civili tra persone dello stesso sesso in quanto l’art. 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) lo esclude espressamente1.
Nell’adozione del figlio del proprio coniuge non c’è un minore in stato di abbandono. Il vincolo giuri¬dico di natura adottiva è teso a salvaguardare il rapporto affettivo creatosi tra il figlio minore di uno dei coniugi e la persona che si sia unita a quest’ultimo in matrimonio. Può avvenire che il genitore biologico del minore sia una ragazza madre o anche che si tratti di un genitore vedovo o divorziato che contrae nuove nozze o semplicemente genitore affidatario del figlio nato fuori dal matrimonio.
L’adozione in casi particolari ex art. 44 lett. b) costituisce un tipo di adozione pur sempre rivolto alla tutela del preminente interesse del minore, ma avente la singolarità d’essere diretto alla dupli¬ce esigenza di rafforzare, da un lato, l’unità familiare agevolando l’inserimento familiare del minore che sia figlio di uno solo dei coniugi, e di evitare, dall’altro, che l’instaurazione del nuovo rapporto determini la rottura del vincolo esistente con l’altro genitore biologico e/o con i di lui parenti, quando con costoro il minore stesso mantenga legami significativi; è in applicazione di tali principi che il minore non acquista lo “status” di figlio legittimo (per utilizzare il linguaggio precedente alla riforma della filiazione del 2012), ma lo “status” di figlio adottivo, cui spetta nei confronti dei geni¬tori adottivi – ai quali compete la responsabilità genitoriale, di cui è invece privato l’altro genitore biologico – il diritto al mantenimento, all’educazione ed all’istruzione, conservando nei confronti della famiglia di origine (con la quale manchino o siano venuti meno legami affettivi e rapporti sta¬bili e consolidati e duraturi) solo i doveri ed i diritti d’ordine patrimoniale, ed in particolare i diritti successori, che saranno i coniugi costituenti la famiglia adottiva ad esercitare per conto del minore (App. Perugia, 25 maggio 1992).
La giurisprudenza ammette anche che questo tipo di adozione possa interessare il rapporto tra il minore e il coniuge del genitore in fase di separazione. Si è precisato, infatti, in giurisprudenza (Cass. civ. Sez. I, 19 ottobre 2011, n. 21651) che l’adozione del figlio del coniuge, che di norma implica armonia e convivenza comune tra genitore e adottante, non è di per sé preclusa dalla sopravvenuta crisi del loro matrimonio qualora il minore conservi interesse all’adozione per avere instaurato una positiva relazione con il richiedente; tale interesse va invece escluso, e con esso l’adozione, quando si registri la sofferenza dell’adottando per il clima familiare altamente conflittuale e quando l’incapacità del coniuge di confrontarsi con il genitore per la gestione del minore lasci presagire che l’adozione sarebbe deleteria per i suoi delicati equilibri esistenziali. Con una valutazione in concreto Trib. Minorenni L’Aquila, 10 febbraio 1995 ha, invece, ritenuta ostativa all’adozione la condizione di separazione di fatto di due coniugi.
Si deve anche ricordare che Corte cost. 2 febbraio 1990, n. 44 aveva dichiarato illegittimo il testo originario dell’art. 44 della legge 184/83 limitatamente al disposto della lettera b, nella parte in cui non consentiva al giudice competente di ridurre, quando sussistano validi motivi per la realizzazione dell’unità familiare, l’intervallo di età dei diciotto anni che era previsto anche per l’adozione del figlio del proprio coniuge. Proprio in virtù di tale sentenza, il testo vigente della nor¬ma e specificamente della lettera b (rimodellato come si è visto, dapprima dalla legge 149/2001 e poi dalla legge 173/2015) non comprende più l’indicazione di tale obbligatorio intervallo di età tra adottante e adottando che è rimasto invece necessario per l’adozione nei casi particolari di cui alle lettere a e d (Cass. civ. Sez. I, 14 gennaio 1999, n. 354; Trib. Minorenni Perugia, 10 novembre 1998).
IV La terza ipotesi: l’adozione del minore con handicap
Il terzo caso di adozione “particolare” di minori – inserito alla lett. c dell’art. 44 della legge 184/83 con la legge 149/2001 – è quello che si verifica quando il minore si trova nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre.
La legge 104/92 detta i principi dell’ordinamento in materia di diritti, integrazione sociale e assi¬stenza della persona con handicap cioè di chi “presenta una minorazione fisica, psichica o senso¬riale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di inte¬grazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”.
Un minore che si trovi in queste condizioni e che sia orfano di genitori, può essere adottato con questa modalità “particolare” di adozione indipendentemente dal fatto che sia dichiarato in stato di adottabilità o che non vi siano coniugi disponibili all’affidamento preadottivo.
In questo caso – come nelle ipotesi di cui alle lettere a e d – l’adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato e, come nel caso dell’adozione del figlio del proprio coniuge, non è necessario che sussista l’intervallo di età minimo di diciotto anni tra l’età dell’adottante e quello del minore adottando.
V La quarta ipotesi: l’impossibilità di affidamento preadottivo
La quarta ed ultima ipotesi dell’adozione di minori in casi particolari (art. 44 lett. d) è quella che può essere pronunciata “quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”.
L’interpretazione di questa disposizione è sempre stata piuttosto controversa. Che significa “im¬possibilità di affidamento preadottivo”?
Sono stati proposti due orientamenti interpretativi che fanno leva l’uno, restrittivo, sull’impossibi¬lità di fatto e l’altro, estensivo, basato sull’impossibilità giuridica, cioè di diritto.
a) L’interpretazione restrittiva (l’impossibilità di fatto dell’affidamento preadottivo)
La prima linea interpretativa, di carattere restrittivo, ritiene che l’affidamento preadottivo debba essere considerato “impossibile” tutte le volte in cui, dichiarato lo stato di adottabilità, risulte¬rebbe impossibile l’affidamento preadottivo per i motivi più svariati. In sostanza perché il minore non trova una famiglia disponibile ad adottarlo per motivi legati alla sua età, al suo carattere, alla sua infermità.
Quindi l’art. 44 presuppone che il minore si trovi in condizione di abbandono e che nessuno faccia richiesta di adottarlo con l’adozione legittimante. In questa situazione il minore potrebbe essere adottato anche ai sensi dell’art. 44.
In questi casi la legge offrirebbe al minore la possibilità alternativa dell’art. 44 e cioè di un inseri¬mento in una famiglia o presso una persona singola che non avrebbe i requisiti legali per adottarlo ma con cui il minore magari ha già una consuetudine di vita in comune o una significativa relazione affettiva o può prevedersi in concreto che li possa avere. Al rischio di non poter utilizzare l’adozione piena la legge preferisce, cioè, l’adozione di cui all’art. 44 della legge che non offre le stesse garan¬zie di pienezza giuridica dei risultati ma costituisce pur sempre un legame giuridico significativo.
Il legislatore del 1983 avrebbe voluto, perciò, riferirsi con quella espressione – stando a questa linea interpretativa tradizionale – alla situazione del minore che per qualsiasi ragione non avrebbe trovato, ove dichiarato adottabile, una coppia disponibile all’affidamento preadottivo.
A questa linea interpretativa recentemente hanno fatto riferimento Trib. Minorenni Milano, 17 ottobre 2016 e Trib. Minorenni Milano, 20 ottobre 2016.
b) L’interpretazione estensiva (è sufficiente l’impossibilità giuridica di affidamento pre¬adottivo)
Dell’interpretazione dell’espressione “constatata impossibilità di affidamento preadottivo” si occu¬pò la Corte costituzionale nel 1999 a seguito di questioni sollevate da un’ordinanza del Tribunale per i minorenni di Ancona e da due ordinanze del tribunale per i minorenni di Roma (complessiva¬mente in tre diverse vicende nelle quali l’adozione era stata richiesta dagli zii affidatari in seguito alla decadenza della “potestà” della madre). I giudici remittenti osservavano che per accogliere le domande loro formulate, avrebbero dovuto preliminarmente constatare l’impossibilità dell’af¬fidamento preadottivo “che (stando all’interpretazione restrittiva tradizionale di cui si è parlato) presuppone necessariamente l’esistenza di uno stato di abbandono e di adottabilità già definitiva¬mente dichiarato, in quanto solo nei confronti dei minori adottabili sarebbe possibile disporre detto affidamento e constatarne l’eventuale impossibilità”. Tuttavia i minori non erano stati dichiarati adottabili, né avrebbero potuto esserlo in quanto di loro si stavano validamente occupando gli zii, il che escludeva giuridicamente l’esistenza dello stato di abbandono che potesse legittimare la dichiarazione dello stato di adottabilità (art. 8 della legge 184/83).
Le questioni vennero ritenute non fondate. Affermò infatti, allora, la Corte (Corte cost. 7 ottobre 1999, n. 383) che l’art. 44 della legge n. 184 del 1983 si sostanzia in una sorta di clausola resi¬duale per i casi speciali non inquadrabili nella disciplina dell’adozione “legittimante”, consentendo l’adozione dei minori “anche quando non ricorrono le condizioni di cui al primo comma dell’art. 7”. Le ordinanze di rimessione – sostenne la Corte costituzionale – ritengono di dover trarre dal riferimento letterale alla “constatata impossibilità di affidamento preadottivo” il presupposto inter¬pretativo secondo cui, per far ricorso all’ipotesi prevista dalla lettera c della norma (oggi lett. d), occorre necessariamente la previa dichiarazione dello stato di abbandono del minore e quindi la declaratoria formale di adottabilità, nonché il vano tentativo del predetto affidamento. In realtà, l’art. 44 è tutto retto dalla “assenza delle condizioni” previste dal primo comma del precedente art. 7 della medesima legge n. 184.
Effettivamente l’art. 44 al primo comma afferma testualmente che i minori possono essere adot¬tati ai sensi dell’art. 44 “anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’art. 7” dove si afferma il principio che l’adozione cosiddetta legittimante è consentita “a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità”.
Quindi la condizione di abbandono e la dichiarazione di adottabilità – afferma la Corte costitu¬zionale – non sono presupposto necessario dell’adozione ai sensi dell’art. 44 lett. d. Deve quindi concludersi che l’art. 44, lett. d non esige che sia concretamente tentato l’affidamento preadottivo e ne sia constatata l’impossibilità, quando il minore venga richiesto in adozione da soggetti che al minore sono legati da un rapporto stabile affettivo.
Veniva così a proporsi una seconda linea interpretativa dell’art. 44 secondo cui la disposizione soddisferebbe l’esigenza di garantire l’adozione anche nei casi in cui non è giuridicamente possibile l’affidamento preadottivo, essendo inesistente una condizione di abbandono.
La giurisprudenza di merito – soprattutto quella più recente – riconosce che per aversi l’impos¬sibilità di affidamento preadottivo (che consente l’adozione ex art. 44 lett. d) è sufficiente che l’impossibilità sia giuridica, cioè che non sussista la condizione di abbandono (App. Torino Sez. minori, 27 maggio 2016; Trib. Minorenni Roma, 20 marzo 2016; Trib. Minorenni Roma, 30 dicembre 2015; Trib. Minorenni Roma, 22 ottobre 2015; Corte d’appello di Roma, Sez. minori, 23 dicembre 2015; Trib. Minorenni Roma, 30 luglio 2014; Trib. Minorenni Perugia, 16 settembre 2010; Trib. Minorenni Bari, 7 maggio 2008; Trib. Minorenni Roma, 8 gennaio 2003; App. Bologna Sez. minori, 15 aprile 1989).
La giurisprudenza di legittimità non era in passato apparsa del tutto orientata a confermare questa interpretazione, sia pure in una vicenda diversa da quelle cui la giurisprudenza di merito sopra segnalata fa applicazione. Si fa riferimento ad una decisione (Cass. civ. Sez. I, 27 settembre 2013, n. 22292) in una vicenda in cui due coniugi avevano richiesto l’adozione ex art. 44 lett. d di una minore loro affidata nella casa famiglia da essi gestita all’età di due mesi di vita. Il Tribu¬nale per i minorenni di Roma aveva dichiarato in seguito l’adottabilità della minore, autorizzando i contatti fra la minore e una coppia selezionata fra quelle disponibili all’affidamento preadottivo e, con successivo decreto disponeva il collocamento provvisorio della piccola presso il nuovo nucleo familiare. Successivamente respingeva la richiesta di adozione ai sensi dell’art. 44 lett. d fatta dalla coppia che l’aveva in affidamento dall’età di due mesi, in quanto nel frattempo era stata di¬chiarata l’adottabilità della minore. La Corte di appello di Roma confermava la decisione. La coppia ricorreva per cassazione dove i giudici respingevano il ricorso affermando in punto di diritto che il presupposto per l’adozione in casi particolari ai sensi dell’art. 44 lett. d va individuato letteralmen¬te nella vera e propria “impossibilità di affidamento preadottivo” del minore che nella fattispecie si era già verificato in quanto la minore era stata nel frattempo dichiarata adottabile e affidata in preadozione ad una coppia idonea.
Ha recentemente affermato, invece, l’interpretazione estensiva Cass. civ. Sez. I, 22 giugno 2016, n. 12962 secondo cui l’espressione “constatata impossibilità di affidamento preadottivo”, quale condizione alla quale è subordinata la pronuncia dell’adozione in casi particolari ai sensi dell’art. 44, lett. d, della legge 184/83, deve essere interpretata, non in senso restrittivo, quale “impossibilità di fatto” – che presuppone la preesistenza di una situazione di abbandono del mi¬nore adottando – ma, coerentemente con il sistema di tutela dei minori e dei rapporti di filiazione biologica e adottiva attualmente vigente, in senso più ampio, quale impossibilità di “diritto” di procedere all’affidamento preadottivo.
Nella sentenza – in una vicenda in cui donna aveva chiesto e ottenuto dal tribunale per i minorenni di Roma l’adozione ex art. 44 lett. d della figlia minore della propria compagna – la Cassazione, rigettando il ricorso del procuratore generale avverso la decisione della corte d’appello che aveva confermato la sentenza del tribunale, afferma peraltro che, poiché all’adozione in casi particolari prevista dall’art. 44, comma 1, lett. d), possono accedere sia le persone singole che le coppie di fatto, l’esame dei requisiti e delle condizioni imposte dalla legge, sia in astratto (“la constatata impossibilità dell’affidamento preadottivo”), sia in concreto (l’indagine sull’interesse del minore imposta dall’art. 57, comma 1, n. 2), non può essere svolto – neanche indirettamente – dando ri¬lievo all’orientamento sessuale del richiedente e alla conseguente natura della relazione da questo stabilita con il proprio partner.
VI L’adozione del figlio minore del proprio partner omosessuale
Proprio in tema di orientamento sessuale dei richiedenti l’adozione, l’art. 44 lett. d potrebbe costi¬tuire, secondo una giurisprudenza di merito che si va diffondendo, il contenitore plausibile anche per l’adozione del figlio minore del proprio partner omosessuale (Trib. Minorenni Roma, 20 marzo 2016; Trib. Minorenni Roma, 30 dicembre 2015; Trib. Minorenni Roma, 22 ottobre 2015; Corte d’appello di Roma, Sez. minori, 23 dicembre 2015; Trib. Minorenni Roma, 30 luglio 2014).
L’esclusione della stepchild adoption dalla riforma che ha disciplinato le unioni civili e le convivenze di fatto (legge 20 maggio 2016, n. 76)2 è controbilanciata da una giurisprudenza che si presenta come una vera e propria sfida rispetto a questa esclusione.
Nella sentenza che ha fatto da apripista a questo orientamento (Tribunale per i minorenni di Roma, 30 luglio 2014) la chiave di lettura utilizzata dai giudici è molto chiara e consiste nel ritenere ammissibile l’adozione ex art. 44 lett. d non solo nei casi di impossibilità di fatto di affidamento preadottivo ma anche nelle situazioni di impossibilità giuridica di detto affido prea¬dottivo, cioè tutte le volte in cui non vi sia una condizione di abbandono. La vicenda concerneva una minore di cui era stata chiesta l’adozione ai sensi dell’art. 44 lett. d della legge 184/83 dalla convivente della madre. Nel ricorso si riferiva che le due donne avevano sentito il desiderio di avere un figlio e che la più giovane aveva portato avanti la gravidanza in seguito a procreazione medicalmente assistita realizzata in Spagna. Dopo la nascita la minore aveva sempre convissuto con entrambe. Successivamente le due donne avevano contratto matrimonio in Spagna. Sia la psicologa che l’assistente sociale dichiaravano ai giudici che dall’incontro con le “due mamme” non erano emersi elementi che potessero indurre a ritenere l’esistenza di un qualsivoglia disagio o disturbo della bambina.
Il Pubblico ministero esprimeva parere negativo all’accoglimento del ricorso perché nel caso di specie “manca il presupposto ineludibile della norma indicata, costituito da una situazione di abbandono”. Quindi il P.M. aderiva all’orientamento che ritiene che alla base dell’art. 44 lett. d vi debba essere comunque una situazione di abbandono a cui per motivi di fatto o per inoppor¬tunità non potrà consentire l’affidamento preadottivo a terzi. Il tribunale ha ritenuto invece di dover accogliere il ricorso, adeguandosi all’orientamento che, come sopra detto, è oggi assolu¬tamente prevalente.
La sentenza è stata confermata dalla Corte d’appello (Corte d’appello di Roma, Sez. minori, 23 dicembre 2015) e come già sopra anticipato, dalla Corte di cassazione (Cass. civ. Sez. I, 22 giugno 2016, n. 12962).
VII Lo status del figlio adottato con l’adozione in casi particolari
L’adozione pronunciata ai sensi dell’art. 44 delle legge 184/83 non ha gli stessi effetti dell’ado¬zione che potremmo chiamare “piena” e che nel linguaggio giuridico precedente alla riforma della filiazione operata dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219 è sempre stata chiamata “legittimante”.
L’adozione “piena” è prevista per far fronte all’abbandono dei minori, è preceduta dalla dichiara¬zione di adottabilità e, per effetto dell’art. 27 della legge 184/83, conduce alla conseguenza che l’adottato “acquista lo stato di figlio [legittimo] degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome” producendo la cessazione “dei rapporti dell’adottato verso la famiglia d’origine”.
L’adozione di cui all’art. 44 della legge 184/83 è “semi-piena”, ed i suoi effetti sono quelli previsti nel codice civile per l’adozione delle persone maggiorenni. L’art. 55 della legge 184/83 rinvia, infatti, per l’individuazione degli effetti, alle “disposizioni degli articoli 293, 294, 295, 299, 300 e 304 del codice civile”.
Tra queste norme quella che esprime specificamente gli effetti è l’art. 300 c.c. secondo cui “l’adot¬tato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia d’origine, salve le eccezioni stabilite dalla legge” [sostanzialmente in materia di impedimenti matrimoniali]; il che significa che l’adottato ai sensi dell’art. 44 ha di fatto due famiglie: quella originaria (biologica) e quella adottiva (affettiva). Naturalmente l’esercizio della responsbailità genitoriale è attribuito alla famiglia adottiva (ai co¬niugi, se adottato da coniugi, o al singolo adottante) come prescrive espressamente l’art. 55 legge 184/83. L’adottante – dispone questa norma – ha “l’obbligo di mantenere l’adottato, di istruirlo ed educarlo conformemente a quanto prescritto dall’art. 147 del codice civile”.
Anche in giurisprudenza si ammette la pacifica cessazione dell’obbligazione di mantenimento in capo al genitore biologico a seguito di adozione in casi particolari (Cass. civ. Sez. I, 30 gennaio 1998, n. 978).
Lo status del minore adottato con l’adozione in casi particolari non sarebbe, quindi, identico – se¬condo questa impostazione normativa – allo status del minore adottato con l’adozione piena. E questo ancorché per esempio gli effetti successori siano identici (articoli 536, 567, 468 c.c.), sia pure con la precisazione che “l’adozione non attribuisce all’adottante alcun diritto di successione” (art. 304 c.c., richiamato, come si è sopra visto, dall’art. 55 della legge 184/83).
Sennonché la riforma della filiazione operata dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219 ha modificato l’art. 74 del codice civile (parentela) che ora risulta così riformulato: “La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’in¬terno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti”.
L’effetto di questa nuova formulazione della definizione della “parentela” è che, anche per i minori adottati con l’adozione in casi particolari, trova applicazione il principio fondamentale introdotto dalla riforma della filiazione del 2012 secondo cui “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico” (nuovo art. 315 c.c. intitolato “stato giuridico della filiazione”). Pertanto, nonostante la differenza degli effetti, lo status giuridico del minore adottato con l’adozione in casi particolari è il medesimo del minore adottato con l’adozione “legittimante”. Il che non significa che tutti i minori adottati sono diventati figli “legittimi” (qualificazione distintiva rispetto ai figli “naturali”) ma che tutti i figli (nati dal matrimonio o fuori dal matrimonio ovvero adottati) hanno lo stesso status giuridico, non essendo più concepibili distinzioni relative, appunto, allo status.
La conseguenza immediata di questa nuova impostazione è che anche per i minori adottati in casi particolari, ai sensi dell’art. 44 della legge 184/83, si realizzano gli effetti di parentela nei riguardi dei familiari degli adottanti o dell’adottante. Il vincolo di parentela non sorge nei soli casi di ado¬zione di persone maggiori di età.
La disposizione, quindi, contenuta nel secondo comma dell’art. 304 c.c. (“L’adozione non induce alcun rapporto civile tra l’adottante e la famiglia dell’adottato, né tra l’adottato e i parenti dell’a¬dottante…”) è da considerare tacitamente abrogata relativamente all’adozione dei minori di età in casi particolari. Si potrebbe anche dire – ma è la stessa cosa – che per l’adozione in casi particolari dei minori di età è tacitamente abrogato l’art. 55 della legge n. 184/1983 nella parte in cui richia¬ma l’art. 300, secondo comma, del codice civile. Il vincolo di parentela caratterizza perciò ogni tipo di filiazione, con la sola eccezione della filiazione adottiva del maggiorenne.
Al di là dello status unico, rimane naturalmente la differenza degli effetti nel senso che l’adozio¬ne piena fa cessare ogni rapporto con la famiglia d’origine (art. 27 legge 184/83) a differenza di quanto avviene per l’adozione di minori in casi particolari in cui la responsabilità genitoriale con i connessi obblighi di mantenimento viene ad essere attribuita completamente all’adottante o agli adottanti con la conseguente esclusione (sospensione) quindi di doveri di istruzione, educazione e mantenimento a carico dei genitori biologici del minore.
La sopravvivenza dei rapporti giuridici anche di parentela con la famiglia biologica d’origine (quindi la possibile coesistenza, quando vi siano, di più genitori o di più nonni) costituisce certamente una asimmetria se valutata con riferimento alle regole delle normali relazioni fa¬miliari, (Trib. Roma, 8 agosto 2014 ha affrontato il tema della sovrapposizione tra più figure genitoriali nella nota vicenda originata dallo scambio delle provette in un caso di fecondazione in vitro, considerando implausibile la coesistenza di una doppia genitorialità) ma non dovrebbe essere eccessivamente enfatizzata finché si presenta coerente con lo spirito dell’adozione dei minori che è quello di garantire in via prioritaria il benessere di un minore e le sue esigenze di crescita equilibrata e serena.
VIII L’adozione mite
Nel lessico della giustizia civile minorile da molto tempo si parla di “adozione mite” per riferirsi a casi in cui pur in presenza di una situazione che potrebbe evolvere verso l’adozione piena e cioè verso la fuoriuscita definitiva di un minore dalla sua famiglia d’origine, il tribunale preferisce una soluzione meno radicale in presenza di legami tra il minore e la sua famiglia d‘origine che appaio¬no in qualche modo ancora per il minore di un certo significato e di una certa rilevanza, lasciando perciò coesistere l’intervento mirato all’adozione con la salvaguardia di tali legami.
In questi casi all’adozione piena si preferisce un’adozione in casi particolari, nelle forme dell’art. 44 lett. d e si parla di adozione mite.
La prassi è nata nel 2003 al tribunale per i minorenni di Bari che ne comunicò anche l’intenzione progettuale al CSM in quell’anno. La procedura si articola in due fasi. Nella prima il tribunale ac¬certa la impraticabilità di un rientro del minore in famiglia. Nella seconda, accertata la non prati¬cabilità del rientro, valuta se vi sono le condizioni per la dichiarazione di adottabilità oppure se il minore, non in stato di abbandono, si trovi “permanentemente privo di ambiente familiare idoneo”. Si tratta della nozione cosiddetta di semi-abbandono.
Così viene riassunta questa situazione in Trib. Minorenni Bari, 7 maggio 2008: rientra nel concetto di “semiabbandono permanente” la condizione di grave disagio del minore, in affida¬mento familiare oltre il tempo limite, di cui la famiglia d’origine è parzialmente e permanente¬mente insufficiente per il pieno ed adeguato sviluppo della sua personalità, ancorché svolga un ruolo attivo e positivo tale da escludere declaratoria di adottabilità di cui all’art. 7 della legge 4 maggio 1983, n. 184. In tale ipotesi può farsi luogo alla cosiddetta adozione mite, applicando in via interpretativa l’art. 44, comma 1, lett. d), della legge 4 maggio 1983, n. 184 in materia di adozione non legittimante, norma da coordinare con le disposizioni di cui agli artt. 45 e 46 della stessa legge, in base alle quali non si esige il presupposto della situazione di abbandono morale e materiale del minore, ma solo il consenso dei genitori o del tutore all’adozione oppure, in caso di mancato consenso e assenso, la circostanza che i genitori non esercitino la “potestà” sul figlio e quindi che sia stato pronunciato nei loro confronti un provvedimento di decadenza dalla “potestà” genitoriale. Per effetto del provvedimento di adozione così pronunciato il minore può assumere il cognome dell’adottante, sostituendolo al proprio, quando esso costituisca ormai segno distintivo della sua identità personale.
Cass. civ. Sez. I, 12 gennaio 2010, n. 260 ha ritenuto che in materia di adozione del minore, non può ritenersi lesiva del diritto di difesa una dichiarazione di assenso del genitore biologico ad una forma di adozione meno severa nei suoi confronti, quale l’adozione mite ex art. 44, legge n. 184 del 1983, – nella specie giustificata dalla constatata impossibilità di affidamento preadottivo – qualora espressa nell’ambito della procedura per l’accertamento dello stato di abbandono. In tal senso, invero, l’accertamento dello stato di abbandono, quale presupposto della dichiarazione di adottabilità, determina la fine del vincolo con il genitore naturale, laddove, al contrario, l’adozione mite consente la conservazione del rapporto.
In altre decisioni della Corte di cassazione compare l’espressione “adozione mite” ma soltanto con riferimento a procedure di cui all’art. 44 lett. d della legge 184/83 considerate alternative a quelle dell’adozione piena.
IX Il procedimento
a) La procedura
La competenza a pronunciarsi sull’adozione dei minori (anche nei casi particolari di cui si sta par¬lando) è il tribunale per i minorenni, specificamente quello del distretto dove si trova il minore (art. 56 legge 4 maggio 1983, n. 184). Non ha rilevanza il concetto di residenza ma quello di dimora reale e attuale.
Il consenso dell’adottante e dell’adottando che ha compiuto i quattordici anni e del legale rappre¬sentante dell’adottando – di cui si parlerà tra breve – deve essere manifestato personalmente al presidente del tribunale o ad un giudice da lui delegato.
Trovano applicazione – per espresso rinvio che ne fa l’art. 56 in questione – gli articoli 313 e 314 del codice civile, ferma restando la competenza del tribunale per i minorenni e della sezione per i minorenni della corte di appello.
Il procedimento di adozione in casi particolari davanti al tribunale per i minorenni si svolge, quindi, in camera di consiglio come prevede l’art. 313 c.c. a cui, appunto, fa rinvio l’art. 56 della legge sull’adozione. Occorre riconoscere che il procedimento è piuttosto lacunoso, non prevedendo, pe¬raltro, per il minore garanzie processuali chiare. Non è neanche prevista espressamente la nomina del curatore speciale che, tuttavia, andrebbe considerata obbligatoria come riconosce Cass. civ. Sez. I, 21 settembre 2015, n. 18575 dove si afferma che il minore è sostanzialmente parte del procedimento e gli deve essere nominato un curatore speciale a pena di nullità, anche se la nullità sarebbe relativa, come tale non rilevabile d’ufficio, ma denunciabile soltanto dalla parte interessata.
Già in passato Cass. civ. Sez. I, 16 ottobre 2003, n. 15485 aveva affermato che con riferimen¬to all’adozione in casi particolari, non potendo i minori stare in giudizio se non rappresentati dai genitori titolari della “potestà” ovvero dal tutore, al quale utlimo non può essere riconosciuta una funzione meramente consultiva ma la qualità di parte del procedimento, con conseguente legitti¬mazione all’impugnazione.
Il tribunale deve verificare – come prescrive l’art. 57 – se ricorrono le circostanze di cui all’articolo 44 e se l’adozione realizza il preminente interesse del minore. A tal fine dispone l’esecuzione di adeguate indagini sulla idoneità affettiva e la capacità dei richiedenti di occuparsi dell’educazione del minore nonché sulla loro situazione personale ed economica, sulla salute, sull’ambiente fa¬miliare. Le indagini devono estendersi anche ai motivi per i quali l’adottante desidera adottare il minore; la personalità del minore; alla possibilità di una idonea convivenza, tenendo conto della personalità dell’adottante e del minore.
Al termine di tali indagini il tribunale, sentito il pubblico ministero e omessa ogni altra formalità di procedura, provvede con sentenza decidendo di far luogo o non far luogo alla adozione.
L’adottante, il pubblico ministero e l’adottando, entro trenta giorni dalla comunicazione, possono proporre impugnazione davanti alla corte d’appello che decide in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero.
Secondo Cass. civ. Sez. I, 18 aprile 2012, n. 6051 il genitore del minore è legittimato ad impu¬gnare il provvedimento di adozione in casi particolari, ancorché decaduto dall’esercizio della “potestà” genitoriale, permanendo la sua qualità di parte nel relativo procedimento; infatti, non sono desumi¬bili dalla normativa vigente elementi idonei ad escluderla, sia perché l’art. 313 cod. civ., richiamato dall’art. 56 della legge 4 maggio 1983, n.184, riferendosi all’adozione di maggiorenni, ovviamente non prevede la legittimazione ad impugnare dei “genitori”, sia perché essi, in quanto titolari di un’autono¬mia valutativa in ordine all’individuazione delle soluzioni di maggior utilità per il minore, hanno una posizione processuale propria, che mal si concilia con limitazioni imposte al potere d’impugnazione.
Di contrario avviso era stata irragionevolmente in passato Cass. civ. Sez. I, 4 luglio 2002, n. 9689 secondo cui i genitori del minore adottando ex art. 4 legge 184/83 sono legittimati ad impugnare il decreto di adozione solo in quanto legali rappresentanti di quest’ultimo, non quindi “iure proprio” ma unicamente per far valere l’interesse del minore, qualora, quindi, il minore si trovi nella constatata impossibilità di affidamento preadottivo, è esclusa la legittimazione a detta impugnazione in capo al genitore decaduto dalla “potestà” genitoriale.
Essendo previsto il procedimento in camera di consiglio trova processualmente applicazione il rito camerale (sia in primo grado che in appello) e quindi la domanda di adozione in casi particolari va proposta con ricorso (in primo grado e in appello) mentre la decisione del tribunale per i minorenni e della Corte è adottata con le forme della sentenza. Si tratta di uno di quei procedimenti che nella prassi giudiziaria sono chiamati semi-contenziosi.
Il provvedimento finale assume la forma della sentenza, e non più del decreto (a seguito delle mo¬difiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184 apportate dalla legge 28 marzo 2001, n. 149 modificativa dell’art. 313 c.c., dettato per l’adozione di maggiore di età, ma richiamato dall’art. 56 della legge, n. 184 del 1983).
La sentenza è quindi ricorribile per cassazione per tutti i motivi indicati nell’art. 360 c.p.c. (Cass. civ. Sez. I, 16 ottobre 2003, n. 15485 a differenza di quanto si era ritenuto in passato (Cass. civ. Sez. I, 21 marzo 2001, n. 4026, Cass. civ. Sez. I, 3 marzo 2001, n. 3130; Cass. civ. Sez. I, 16 giugno 2000, n. 8240 e molte altre) allorché il provvedimento finale era previsto nelle forme del decreto e non della sentenza.
La sentenza definitiva che pronuncia l’adozione – secondo quanto prescrive l’art. 314 anch’esso richiamato dall’art. 56 – è trascritta a cura del cancelliere del tribunale competente, entro il decimo giorno successivo a quello della relativa comunicazione, da effettuarsi non oltre cinque giorni dal deposito, da parte del cancelliere del giudice dell’impugnazione, su apposito registro e comunicata all’ufficiale di stato civile per l’annotazione a margine dell’atto di nascita dell’adottato.
Con la procedura di cui al primo comma deve essere altresì trascritta ed annotata la sentenza di revoca della adozione, passata in giudicato.
b) Il necessario consenso del minore quattordicenne e l’audizione del minore di età in¬feriore
Nel procedimento di adozione nei casi previsti dall’articolo 44 è richiesto il necessario consenso non solo, come è evidente, dell’adottante ma anche “dell’adottando che abbia compiuto il quattor¬dicesimo anno di età”.
Pertanto un minore che ha compiuto quattrodici anni non potrà mai essere adottato se non presta il proprio consenso.
Il principio ha nella legge sull’adozione dei minori una portata generale e trova applicazione anche nell’adozione piena dove l’art. 25 prescrive che il minore che abbia compiuto gli anni quattordici deve manifestare espresso consenso all’adozione nei confronti della coppia prescelta.

Per esprimere un consenso valido occorre una maturità minima che la legge individua al compi¬mento dei quattordici anni che è l’età a cui si ricollegano anche molti altri diritti del minore, quali quello di richiedere la nomina di un curatore per il disconoscimento della paternità (art. 244 c.c.) o per l’impugnazione del riconoscimento (art. 263 c.c), di dare il proprio assenso al riconoscimento e di essere riconosciuto anche senza il consenso dell’altro genitore (art. 250 c.c.), di opporsi alla proposizione da parte dell’azione dichiarativa della paternità o della maternità (art. 273 c.c.).
Al di sotto di tale età non è richiesto il consenso del minore ma è obbligatoria l’acquisizione del suo punto di vista, in connessione con il diritto del minore di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano se ha compiuto dodici anni o anche di età inferiore se capace di discernimento (art. 315 c.c.).
Pertanto – come prescrive espressamente l’art. 45 – “Se l’adottando ha compiuto gli anni dodici deve essere personalmente sentito; se ha una età inferiore, deve essere sentito, in considerazione della sua capacità di discernimento. In ogni caso, se l’adottando non ha compiuto gli anni quat¬tordici, l’adozione deve essere disposta dopo che sia stato sentito il suo legale rappresentante”.
Come si vede la legge prevede che il legale rappresentate del minore di età inferiore ai quattordici anni deve essere “sentito”. Il testo originario dell’art. 45 al secondo comma prescriveva, invece, che egli dovesse dare il consenso. La Corte costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzio¬nale dell’art. 45, secondo comma, nella parte in cui è previsto il consenso anziché l’audizione del legale rappresentante del minore (Corte cost. 18 febbraio 1988, n. 182). Proprio per questo motivo la riforma dell’adozione operata con legge 28 marzo 2001, n. 149 modificò l’art. 45 che prevede ora, appunto, che l’adozione del minore in casi particolari deve essere disposta dopo che sia stato semplicemente sentito il legale rappresentante del minore adottando.
Il consenso deve essere manifestato personalmente al presidente del tribunale o ad un giudice da lui delegato.
c) L’obbligo dell’assenso del genitore. Quando il dissenso è superabile?
Per l’adozione in casi particolari – l’art. 46 della legge 4 maggio 1983, n. 184 – richiede l’assenso dei genitori e del coniuge dell’adottando.
L’uso della parola “consenso” riferito al minore e della diversa parola “assenso” riferito ai i genitori esprime una diversità di contenuto. In entrambi i casi si tratta di una manifestazione di volontà, ma nel primo caso (consenso del minore quattordicenne) esso è presupposto necessario, mentre nel secondo caso (assenso dei genitori) ha il significato di una valutazione del genitore che se ne¬gativa, è superabile da un diverso apprezzamento del giudice: il dissenso del genitore, insomma, potrebbe essere superato dal tribunale. Questo è il senso delle due diverse parole.
D’altra parte, come si è visto, Corte cost. 18 febbraio 1988, n. 182 sia pure sul versante del consenso da parte del legale rappresentante del minore aveva dichiarato l’illegittimità costituzio¬nale dell’art. 45, secondo comma, nella parte in cui prevedeva il consenso anziché l’audizione del legale rappresentante del minore, con ciò chiarendo che il dissenso del legale rappresentante può essere sempre superato da una valutazione del tribunale di contrasto di tale dissenso con l’inte¬resse del minore adottando.
Ciò premesso, tuttavia, si deve osservare che l’art. 46 della legge 184/83 prevede che il dissenso del genitore è insuperabile se è espresso dal genitore “esercente la responsabilità genitoriale”. Il principio è stato affermato molto perentoriamente da Cass. civ. Sez. I, 26 luglio 2000, n. 9795 secondo cui il dissenso da parte del genitore esercente la “potestà” sul minore è assolutamente ostativo all’adozione, anche in presenza del consenso dell’adottando ultraquattordicenne.
Si prevede, infatti, nell’art. 46 che “Quando è negato l’assenso previsto dal primo comma, il tri¬bunale, sentiti gli interessati, su istanza dell’adottante, può, ove ritenga il rifiuto ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando, pronunziare ugualmente l’adozione, salvo che l’assenso sia stato rifiutato dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale o dal coniuge, se convivente, dell’adottando [espressione quest’ultima che fa riferimento al caso in cui l’adottando minore fosse coniugato]. Parimenti il tribunale può pronunciare l’adozione quando è impossibile ottenere l’as¬senso per incapacità o irreperibilità delle persone chiamate ad esprimerlo”.
Il significato della norma è molto chiaro ed è che l’adozione in casi particolari non può essere pro¬nunciata se il dissenso proviene dal genitore esercente la responsabilità genitoriale.
La questione ha soprattutto rilevanza nel caso di adozione di cui all’art. 44 lett. b della legge 184/83. Che succede nel caso di domanda di adozione del figlio del proprio coniuge, se l’altro ge¬nitore del minore (ove esistente) rifiuta di dare il suo assenso?
Bisogna chiedersi allora che significa “genitore esercente la responsabilità genitoriale”.
Il problema riguarda (oltre alla situazione di genitori decaduti dalla responsabilità genitoriale) la filiazione fuori dal matrimonio per la quale l’art. 316 c.c. (riformato dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219) prevede ora che “il genitore che ha riconosciuto il figlio esercita la responsabilità genito¬riale” e poi precisa che “se il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio è fatto dai genitori l’esercizio della responsabilità genitoriale spetta ad entrambi”. La rivoluzione normativa è molto evidente se si raffronta questo testo con il corrispondente previgente art. 317-bis del codice civile dove l’esercizio della “potestà” da parte di entrambi i genitori che avevano riconosciuto il figlio naturale era previsto solo se i due genitori convivevano3. Perciò nel sistema normativo precedente, la convivenza dei genitori era la condizione necessaria perché i due genitori fossero ritenuti en¬trambi esercenti la “potestà”. Questo presupposto non è più previsto nella legge ora vigente. Ora, secondo la nuova legge, per esercitare la responsabilità genitoriale basta aver riconosciuto il figlio. L’esercizio della responsabilità perciò, è sempre esistente in entrambi i genitori naturali anche se non convivono (o non hanno mai convissuto).
Identica naturalmente nei confronti dei figli è anche la situazione dei genitori uniti in matrimonio che vivono separati o divorziati (dopo la separazione “la potestà sui figli è esercitata da entrambi i genitori” sia in caso affidamento condiviso che in caso di affidamento esclusivo, come prevede l’art. 337-ter – c.c.), mentre il secondo comma dell’art 4 della medesima legge prescriveva che “le di¬sposizioni della presente legge si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”.
La sentenza che ha fatto applicazione definitiva di questi principi in materia di filiazione fuori dal matrimonio è stata Cass. civ. Sez. I, 10 maggio 2011, n. 10265 che in un caso di adozione del figlio del proprio coniuge ex art. 44 della legge 184/83 in cui è previsto il necessario consenso all’adozione dell’altro genitore esercente la “potestà”, ha ritenuto di dare rilevanza al dissenso manifestato dal genitore naturale non convivente considerandolo esercente della “potestà”. La sentenza ha affermato che in tema di adozione in casi particolari, ha efficacia preclusiva il dissen¬so manifestato dal genitore naturale non convivente dovendo egli ritenersi comunque “esercente la potestà”, pur quando lo stesso non sia mai stato convivente con il minore; invero, la legge 8 febbraio 2006, n. 54 sull’esercizio della “potestà” in caso di crisi della coppia genitoriale e sull’af¬fidamento condiviso, applicabile anche ai figli di genitori non coniugati, ha corrispondentemente riplasmato l’art. 317 bis cod. civ.. Il principio della bigenitorialità ha, infatti, informato di sé il contenuto precettivo della norma citata, eliminando ogni difformità di disciplina tra figli legittimi e naturali, cosicché la cessazione della convivenza tra genitori naturali non conduce più alla cessa¬zione dell’esercizio della “potestà”.
Pertanto, per concludere, l’art. 46 della legge 4 maggio 1983, n. 184 prevede per l’adozione in casi particolari l’assenso insuperabile dei genitori del minore esercenti la responsabilità genitoriale con la conseguenza che – con riferimento alla lettera b dell’art. 44 – l’altro genitore (sia in caso di figlio nato nel matrimonio sia di figlio nato fuori dal matrimonio) potrà sempre paralizzare la pretesa di adozione del figlio da parte del coniuge del proprio ex partner, senza che sia possibile in alcun modo al tribunale per i minorenni pronunciare l’adozione ritenendo “il rifiuto ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando” in quanto, come si ripete, l’art. 46 non consente di superare in alcun modo il dissenso del genitore esercente la responsbailità genitoriale.
Nella precedente giurisprudenza di legittimità Cass. civ. Sez. I, 5 agosto 1996, n. 7137 aveva dato per scontato che l’esercizio della “potestà” non spetta al genitore non affidatario e quindi il dissenso del genitore non affidatario era sempre superabile. Ad analoghe conclusioni sono giunti App. Napoli, 27 aprile 2011 secondo cui l’adozione in casi particolari ex art. 44, lett. b non è misura sanzionatoria, ma uno strumento di tutela del preminente interesse del minore, sicché il giudice minorile può disporla anche senza il consenso del genitore che non esercita la “potestà” genitoriale, e pur se questi non sia stato destinatario di provvedimenti limitativi e/o ablativi della “potestà” genitoriale, allorché tale opposizione sia ritenuta ingiustificata rispetto all’interesse del minore stesso. Ugualmente in passato hanno ammesso l’adozione ritenendo ingiustificato il dis¬senso del genitore Trib. Minorenni Sassari, 14 novembre 2002; Trib. Minorenni Perugia, 10 ottobre 1995; App. Torino, 3 dicembre 1994.
Ebbene in linea con quest’ultimo orientamento (fortemente critico verso la considerazione dell’eser¬cizio della responsabilità genitoriale sempre ad entrambi i genitori) si è posta recentemente una de¬cisione della Cassazione con la quale – in contrasto con l’orientamento precedente – si è in sostanza interpretato l’art. 46 della legge 184/83 (Quando è negato l’assenso previsto dal primo comma, il tribunale, sentiti gli interessati, su istanza dell’adottante, può, ove ritenga il rifiuto ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando, pronunziare ugualmente l’adozione, salvo che l’assenso sia stato rifiutato dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale…) accogliendo l’interpretazione se¬condo cui “il dissenso è superabile nei casi in cui il genitore non ha il concreto ed effettivo esercizio della responsabilità genitoriale” (Cass. civ. Sez. I, 21 settembre 2015, n. 18575).
In altre parole affinché il dissenso del genitore sia ostativo all’adozione non è sufficiente la mera titolarità della responsabilità genitoriale ma ne serve il concreto ed effettivo esercizio.
Nella vicenda trattata da questa decisione la madre dell’adottanda, non aveva mai instaurato un rapporto con la figlia, che sin da tenera età era stata inserita in un istituto per minori e poi affidata in affidamento preadottivo a due coniugi. Successivamente era stata revocato la dichiarazione di adottabilità e la minore era stata chiesta in adozione ex art. 44 della legge 184/83 dagli stessi coniugi che l’avevano in affidamento, La madre si era opposta ma il tribunale e poi la Corte d’ap¬pello avevano ritenuto il dissenso in contrasto con l’interesse della minore e avevano ugualmente pronunciato l’adozione.
Questo punto di vista è stato riaffermato in Cass. civ. Sez. I, 16 luglio 2018, n. 18827 dove viene data continuità al principio secondo cui non ha efficacia preclusiva, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art.46, comma 2, il dissenso manifestato dal genitore che sia meramente titolare della responsabilità genitoriale, senza averne il concreto esercizio grazie a un rapporto effettivo con il minore, e che, tuttavia.
Il principio viene meglio puntualizzato con le precisazioni e le limitazioni che seguono.
Va in primo luogo rilevato che quel principio fu enunciato con riferimento ad una fattispecie concre¬ta in cui il genitore (la madre) non esercitava in concreto, da molti anni, la responsabilità genito¬riale sulla figlia, con la quale non intratteneva alcun effettivo rapporto, se non quello esplicantesi, in epoca più recente, negli incontri protetti.
Si trattava di una fattispecie concreta del tutto diversa da quella su cui è intervenuta la sentenza 18827/2018 la quale, invece, ha posto in rilievo che la madre naturale non si è mai completamente disinteressata del figlio non sussistendo, pertanto, un effettivo mancato esercizio della genitoriali¬tà, e, soprattutto, che la coppia di adottanti ha tenuto un comportamento non conforme allo spirito dell’affido e dell’adozione speciale, creando progressivamente una situazione di fatto che ha sca¬vato un solco di incomunicabilità ed avversione tra madre e figlio: un atteggiamento, quindi, volto non a favorire il coinvolgimento della madre naturale nel rapporto con il figlio, ma ad estrometterla progressivamente dalla vita affettiva del minore.
Va altresì rilevato che il riferimento operato nella sentenza n. 18575 del 2015 alla convivenza tra genitore biologico e minore quale elemento caratterizzante “di regola” il concreto esercizio del rapporto affettivo con il minore sembra porsi in contrasto con il diverso orientamento espresso dalla Corte di legittimità nella sentenza n. 10265 del 10 maggio 2011, nella quale si è affermato che “in tema di adozione in casi particolari, ha efficacia preclusiva, ai sensi della L. 4 maggio 1983, n. 184,art.46, il dissenso manifestato dal genitore naturale non convivente all’adozione del figlio minore a norma dell’art. 44, lett. b) della legge richiamata, dovendo egli ritenersi comunque “eser¬cente la potestà”, pur quando lo stesso non sia mai stato convivente con il minore”.
Può pertanto affermarsi che non sia la convivenza l’elemento sintomatico necessario, di regola, per verificare la sussistenza del concreto esercizio di un effettivo rapporto con il minore, potendosi e dovendosi desumere tale concreto esercizio dalle reali e qualificanti modalità di svolgimento delle relazioni tra genitore e minore anche se non conviventi tra loro.
Ritiene di conseguenza il collegio che debbano essere delimitati la portata ed il perimetro appli¬cativo del principio enunciato dalla sentenza n. n. 18575 del 2015, anche per evitare che, nella assolutezza della sua formulazione, esso rischi di porsi in dissonanza con le linee guida che gover¬nano i presupposti e ispirano la disciplina dell’adozione- in forza dei quali l’interesse prevalente del minore è quello “di vivere, per quanto possibile, con i propri genitori e di essere allevato nell’am¬bito della propria famiglia” di origine (Cass. n. 13435 del 2016), con la conseguenza che il ricorso alla dichiarazione di adottabilità deve rappresentare la “extrema ratio” (Cass. n. 23979 del 2015; n. 3915 del 2018), richiedendosi al giudice di merito di operare un giudizio prognostico teso, in primo luogo, a verificare l’effettiva ed attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali (Cass. n. 7559 del 2018) – e di rovesciare, invece, i termini di confronto con riferimento all’adozione speciale di cui allaL. n. 184 del 1983,art.44, comma 1, lett. d), in cui il consenso del genitore biologico rileva solo se conforme all’interesse del minore e solo se sorretto da un rapporto effettivo con lui, caratterizzato di regola dalla convivenza.
Il principio enunciato dalla sentenza n. 18575 del 2015 deve essere anche più specificamente raccordato con la funzione propria del particolare tipo di adozione speciale oggetto del presente giudizio, la quale, come esattamente rilevato dal giudice di appello, consente di formalizzare il rapporto affettivo instaurato dal minore con i soggetti impegnati nella sua cura, creando uno status personale tra adottante e adottato, senza però far venir meno il vincolo esistente con i genitori biologici e la famiglia di origine. Diversamente ragionando, si rischia di svilire il preminente inte¬resse del minore alla piena tutela delle relazioni familiari “effettive”, parimenti riducendo a mera declamazione verbale, ma smentita nei fatti, il carattere “funzionale” della potestà, il suo essere oggi “responsabilità” e non diritto.
Sembra, dunque, necessario guardare alla realtà effettiva delle relazioni familiari. E’ su questa via, d’altra parte, che si muove la giurisprudenza della Corte Europea di Strasburgo (cfr. Wagner c. Lussemburgo, 28 giugno 2007; Schneider v. Germany, 15 settembre 2011, c. 17080/7), secondo la quale, per vita familiare ai sensi dell’art. 8 CEDU, si devono intendere non solo i vincoli formali di genitorialità e parentela, ma, ancor prima, le relazioni di fatto esistenti, intese come ambiente familiare che soddisfa i bisogni esistenziali del minore.
Se, dunque, si considerano le relazioni familiari nella loro effettività e l’interesse del minore alla salvaguardia di quelle non meramente formali, ma realmente esistenti nella sua esperienza di vita, si comprende anche che cosa debba intendersi per “esercizio della potestà (oggi “responsabilità”). Non un’investitura formale da parte del legislatore – che non può mai mancare quando ad essere attribuito è un potere che ha senso in quanto si abbia la possibilità di esercitarlo – ma effettivo esercizio delle responsabilità. Questo, sì, può mancare quando il genitore, pur formalmente in¬vestito del potere, in concreto non lo eserciti. In questi casi l’intervento del giudice che valuti la corrispondenza dell’adozione all’interesse del minore si giustifica e si apprezza come momento di bilanciamento degli interessi in gioco: del genitore a conservare un rapporto privilegiato con il figlio, e di quest’ultimo ad essere inserito a tutti gli effetti, con pieno riconoscimento di diritti e doveri, nella famiglia che si prende cura di lui (cfr., ad esempio, Cass. n. 6633 del 2002).
Proprio alla stregua di tali considerazioni, dunque, il Collegio ritiene, da un lato, di dare continuità al principio generale desumibile da Cass. n. 18575 del 2015, ribadendo, così, che, per genitori esercenti la responsabilità genitoriale, il cui dissenso, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art.46, comma 2, impedisce l’adozione particolare, debbano intendersi i genitori che non siano meri tito¬lari della responsabilità stessa, ma ne abbiano, altresì, il concreto esercizio, grazie a un rapporto effettivo con il minore; dall’altro, però, reputa che la L. n. 184 del 1983, art.46, comma 2, laddove sancisce che il dissenso all’adozione ex art. 44 della medesima legge manifestato dal genitore esercente la responsabilità genitoriale osti alla pronuncia di quell’adozione, debba comunque con¬figurarsi come una norma di salvaguardia, trovando un siffatto limite la sua giustificazione in valori costituzionalmente garantiti, quali quello della conservazione della compagine familiare e della società coniugale effettivamente vissute, di cui agli artt. 29 e 30 Cost., che prevalgono anche in presenza di opposti consensi manifestati dall’adottante e dall’adottando.
Il dissenso espresso dal genitore titolare della responsabilità genitoriale, ed esercente la stessa benché, come nella specie, non convivente con il proprio figlio minorenne, mantiene, dunque, il suo valore preclusivo all’adozione L. n. 184 del 1983, ex art. 44 salvo che non si sia già manife¬stata – come era palesemente accaduto nella fattispecie all’attenzione della menzionata sentenza n. 18575 del 2015 – una situazione di disgregazione del contesto familiare d’origine del minore.
Deve conseguentemente affermarsi il seguente principio di diritto: “In tema di adozione particola¬re, il dissenso manifestato dal genitore titolare della responsabilità genitoriale, anche se non con¬vivente con il figlio minore, ha efficacia preclusiva ai sensi della L. n. 184 del 1983, art.46, comma 2, salvo che non sia stata accertata una situazione di disgregazione del contesto familiare d’origine del minore in conseguenza del protratto venir meno del concreto esercizio di un rapporto effettivo con il minore stesso da parte del genitore esercente la responsabilità”.
d) La natura costituiva della sentenza e i suoi riflessi
Secondo l’art.47 della legge 184/83 l’adozione produce i suoi effetti – come in tutti i casi di sen¬tenze costitutive di status – dalla data della sentenza che la pronuncia. Finché la sentenza non è emanata, tanto l’adottante quanto l’adottando possono revocare il loro consenso.
Se uno dei coniugi muore dopo la prestazione del consenso e prima della emanazione della senten¬za, si può ugualmente procedere, su istanza dell’altro coniuge, al compimento degli atti necessari per l’adozione. In tal caso se l’adozione è ammessa, essa produce i suoi effetti dal momento della morte dell’adottante.
In giurisprudenza proprio Trib. Minorenni Perugia, 5 luglio 1999 ha dichiarato ammissibile l’adozione a norma dell’art. 44 lett. b del figlio del coniuge da parte del coniuge deceduto dopo la prestazione del consenso e prima dell’emanazione del decreto di cui all’art. 47 della medesima legge, su istanza del coniuge superstite, genitore di origine dell’adottando.
La morte del genitore del minore avvenuta prima della proposizione della domanda e della pre¬stazione dell’assenso, fa venire meno una delle condizioni dell’azione e comporta il rigetto della relativa domanda (Corte cost. 20 luglio 2007, n. 315).
X Le conseguenze in tema di responsabilità genitoriale
Come si è detto l’adozione ex art. 44 della legge 184/83 conserva i rapporti dell’adottato con la sua famiglia d’origine ma non può certo prevedere che anche la responsbailità genitoriale venga esercitata sia dai genitori adottivi che da quelli biologici.
Perciò nel caso di adozione di minori in casi particolari la responsabilità genitoriale sull’adottato ed il relativo esercizio spettano all’adottante o agli adottanti (art. 48). L’adottante ha l’obbligo di mantenere l’adottato, di istruirlo ed educarlo conformemente a quanto prescritto dall’articolo 147 del codice civile.
Se l’adottato ha beni propri, l’amministrazione di essi, durante la minore età dell’adottato stesso, spetta all’adottante, il quale non ne ha l’usufrutto legale, ma può impiegare le rendite per le spese di mantenimento, istruzione ed educazione del minore con l’obbligo di investirne l’eccedenza in modo fruttifero. Si applicano le disposizioni dell’articolo 382 del codice civile.
Quindi l’adottante non ha l’usufrutto legale dei beni del minore adottato.
L’adottante è sempre tenuto a fare l’inventario dei beni dell’adottato e trasmetterlo al giudice tutelare entro trenta giorni dalla data della comunicazione della sentenza di adozione (art. 49).
Se poi dovesse cessare l’esercizio da parte, dell’adottante o degli adottanti della responsabilità ge¬nitoriale il tribunale per i minorenni su istanza dell’adottato, dei suoi parenti o affini o del pubblico ministero, o anche d’ufficio, può emettere i provvedimenti opportuni circa la cura della persona dell’adottato, la sua rappresentanza e l’amministrazione dei suoi beni, anche se ritiene convenien¬te che l’esercizio della responsabilità genitoriale sia ripreso dai genitori.
XI Il cognome del figlio adottato
Secondo quanto prevede l’art. 299 c.c. – richiamato dall’art. 55 della legge 184/83 – “l’adottato assume il cognome dell’adottante e lo antepone al proprio”.
Il che è coerente con il fatto che l’adottato conserva i rapporti con la famiglia d’origine (art. 300 c.c., anch’esso richiamato dall’art. 55 della legge sull’adozione nei minori).
Il terzo comma dell’art. 299 c.c. però prescrive che “Se l’adozione è compiuta da coniugi, l’adottato assume il cognome del marito” sempre anteponendolo al proprio.
Ha ricordato in passato Cass. civ. Sez. I, 19 agosto 1996, n. 7618 che il figlio naturale rico¬nosciuto da entrambi i genitori e successivamente adottato ex art. 44 lett. b) l. n. 184 del 1983 conserva il proprio cognome originario ed a questo antepone il cognome dell’adottante.
In ipotesi di adozione del figlio del proprio coniuge ai sensi dell’art. 44, lett. b, l. 4 maggio 1983 n. 184 (nella quale, stante il richiamo contenuto nel successivo art. 55 della stessa legge, trova applicazione l’art. 299 c.c. secondo cui il figlio naturale riconosciuto e successivamente adottato assume il cognome dell’adottante) l’adottato che sia figlio naturale riconosciuto dai propri genitori non assume il solo cognome dell’adottante ma antepone tale cognome al proprio cognome di ori¬gine, non essendo prevista per tale ipotesi, alla stregua del tenore letterale della norma, alcuna deroga alla regola del doppio cognome fissata dal comma 1 del menzionato art. 299; regola che, peraltro, costituisce conseguenza del principio, caratterizzante l’adozione del maggiorenne e quella del minorenne nei casi particolari previsti dal cit. art. 44 della legge n. 184 del 1983, secondo cui l’adottato conserva tutti i diritti e doveri verso la sua famiglia di origine.
XII La revoca dell’adozione in casi particolari
A differenza dell’adozione piena (legittimante) che non è soggetta a revoca, l’adozione in casi particolari può essere revocata.
Secondo quanto dispone l’art. 51 della legge 184/83 la revoca dell’adozione può essere pronuncia¬ta dal tribunale per i minorenni sostanzialmente per indegnità su domanda dell’adottante, “quando l’adottato maggiore di quattordici anni abbia attentato alla vita di lui o del suo coniuge, dei suoi discendenti o ascendenti, ovvero si sia reso colpevole verso di loro di delitto punibile con pena re¬strittiva della libertà personale non inferiore nel minimo a tre anni. Se l’adottante muore in conse¬guenza dell’attentato, la revoca dell’adozione può essere chiesta da coloro ai quali si devolverebbe l’eredità in mancanza dell’adottato e dei suoi discendenti”.
Il tribunale per i minorenni pronuncia la sentenza di revoca dopo aver assunto informazioni e dopo aver effettuato ogni opportuno accertamento e indagine, sentiti il pubblico ministero, l’adottante e l’adottato.
Il tribunale, sentito il pubblico ministero ed il minore, può emettere altresì i provvedimenti oppor¬tuni con decreto in camera di consiglio circa la cura della persona del minore, la rappresentanza e l’amministrazione dei beni, facendo applicazione degli articoli 330 e seguenti del codice civile.
Può avvenire che i fatti previsti nell’articolo 51 siano compiuti dall’adottante contro l’adottato, oppure contro il coniuge o i discendenti o gli ascendenti di lui. In tal caso l’art. 52 della legge 184/83 prevede che la revoca può essere pronunciata su domanda dell’adottato o su istanza del pubblico ministero.
Il tribunale decide con sentenza, assunte informazioni ed effettuato ogni opportuno accertamento e indagine, sentiti il pubblico ministero, l’adottante e l’adottato che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento pronuncia sentenza.
Inoltre il tribunale, sentiti il pubblico ministero ed il minore che abbia compiuto gli anni dodici e, se opportuno, anche di età inferiore, può dare provvedimenti opportuni con decreto in camera di con¬siglio circa la cura della persona del minore, la sua rappresentanza e l’amministrazione dei beni, anche se ritiene conveniente che l’esercizio della responsabilità genitoriale sia ripreso dai genitori.
A differenza, poi, di quanto previsto per l’adozione di persone maggiorenni in cui il Pubblico mini¬stero non ha alcun potere di revoca (essendo stata abrogato, peraltro, proprio dalla legge 184/83 l’originario art. 308 del codice civile che prevedeva una generalizzata promovibilità della revoca da parte del Pubblico ministero “per ragioni di buon costume”), l’art. 55 della legge 184/83 pre¬vede che la revoca dell’adozione di minori in casi particolari “può essere promossa dal pubblico ministero in conseguenza della violazione dei doveri incombenti sugli adottanti. Si applicano le disposizioni di cui ai precedenti articoli”. Pertanto il Pubblico ministero, evidentemente a seguito di segnalazione da parte di privati, per esempio un parente del minore, o da parte dei servizi sociali, può promuovere la revoca dell’adozione di minori “in casi particolari” per la quale non ha alcun potere, invece, di promuovere il giudizio.
L’art. 54 prescrive che gli effetti dell’adozione cessano quando passa in giudicato la sentenza di revoca. Se tuttavia la revoca è pronunziata dopo la morte dell’adottante per fatto imputabile all’a¬dottato, l’adottato e i suoi discendenti sono esclusi dalla successione dell’adottante.
L’art. 56 della legge 4 maggio 1983, n. 184, come sopra detto, fa rinvio per la procedura in genera¬le e quindi anche per la procedura da seguire in caso di revoca, all’art. 313 del codice civile. Trova perciò applicazione il rito camerale (in primo grado e in appello) e quindi la domanda di adozione nei casi particolari previsti dall’art. 44 della legge 184/83 va proposta con ricorso mentre la deci¬sione del tribunale per i minorenni è adottata con le forme della sentenza.
XIII Il senso e l’ampiezza del rinvio alle norme sull’adozione dei maggiorenni
L’art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 – che chiude tutta la parte concernente l’adozione di minori in casi particolari – fa rinvio alle “disposizioni degli articoli 293, 294, 295, 299, 300 e 304 del codice civile”.
Si tratta di alcune disposizioni – delle quali in parte si è già detto – che nel codice civile regola¬mentano l’adozione dei maggiorenni.
Naturalmente il rinvio è in senso stretto alle disposizioni e non certo allo spirito della legge dal mo¬mento che l’adozione dei maggiorenni resta profondamente diversa da quella dei minori. Quest’ul¬tima ha di mira solo l’interesse del minore mentre l’adozione dei maggiorenni, pur garantendo senz’altro le persone maggiori di età adottate, si prefigge di offrire tutela in via primaria al deside¬rio di un soggetto adulto di assicurarsi una discendenza.
Valgono comunque per l’adozione in casi particolari il divieto generale – previsto nell’art. 293 c.c. – di adozione del proprio figlio (nato fuori dal matrimonio), nonché il divieto che l’art. 295 c.c. fa al tutore di adottare la persona della quale ha avuto la tutela, se non dopo che sia stato approvato il conto della sua amministrazione, sia stata fatta la consegna dei beni e siano state estinte le obbli¬gazioni risultanti a suo carico o data idonea garanzia per il loro adempimento.
Trova applicazione anche l’art. 294 c.c. (Pluralità di adottati o di adottanti) che ammette l’adozione di più persone mentre prescrive che nessuno può essere adottato da più di una persona, salvo naturalmente che i due adottanti siano marito e moglie.
Si è già detto dell’applicabilità dell’art. 299 c.c. che disciplina il cognome del figlio adottato e, trat¬tando dello status del figlio minore adottato, dell’art. 300 c.c. nella parte in cui al primo comma prevede che l’adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia d’origine. Viceversa – come si è visto – il secondo comma della disposizione (L’adozione non induce alcun rapporto civile tra l’adottante e la famiglia dell’adottato, né tra l’adottato e i parenti dell’adottante, salve le eccezioni stabilite dalla legge) rimane applicabile alla sola adozione dei maggiorenni dal momenti che come si è sopra ricordato trattando dello status del figlio minore adottato in casi particolari, il nuovo art. 74 del codice civile, riformato dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, prevede oggi che “La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti” con l’’effetto che, anche per i minori adottati con l’adozione in casi particolari, trova applicazione il principio fondamentale introdotto dalla riforma della filiazione del 2012 secondo cui “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico” (nuovo art. 315 c.c. intitolato “stato giuridico della filiazione”). Lo status giuridico del minore adottato con l’adozione in casi particolari è, quindi, il medesimo del minore adottato con l’adozione “legittimante”. Il che, come si è detto, non significa che tutti i minori adottati sono diventati figli “legittimi” ma che tutti i figli (nati dal matrimonio o fuori dal matrimonio ovvero adottati) hanno lo stesso status giuridico, non essendo più concepibili distinzioni relative, appunto, allo status. La conseguenza immediata di questa nuova impostazione è che anche per i minori adottati in casi particolari, ai sensi dell’art. 44 della legge 184/83, si realizzano gli effetti di parentela nei riguardi dei familiari degli adottanti o dell’adottante.
Troverà applicazione nell’adozione dei minori in casi particolari anche l’art. 300 del codice civile dove si stabilisce, relativamente ai diritti di successione che l’adozione (per evitare proprio io rischio che possa snaturarsi e trasformarsi in uno strumento di arricchimento) non attribuisce all’adottante alcun diritto di successione e che i diritti dell’adottato nella successione dell’adottante sono regolati dalle norme contenute nel libro II del codice civile.
Non sono indicate nel rinvio contenuto nell’art. 55 della legge 4 maggio 1983, n. 184 le altre norme del codice civile che concernono l’adozione dei maggiorenni.
Non troverà perciò applicazione l’art. 291 c.c. che consente l’adozione alle sole persone che non hanno discendenti (sia pure con le precisazioni in proposito di Corte cost. 19 maggio 1988, n. 557 che ha ritenuto ammissibile l’adozione di maggiorenni per chi ha figli nati dal matrimonio maggio¬renni consenzienti e di Corte cost. 20 luglio 2004, n. 245 che ha esteso la possibilità anche in caso di figli maggiorenni consenzienti nati fuori dal matrimonio).
Non trovano neanche applicazione l’art. 296 (consenso per l’adozione) e l’art. 297 (assenso del coniuge o die genitori) che, come si è visto, hanno per l’adozione dei minori in casi particolari una propria autonoma disciplina.
È importante notare che per lo stesso motivo non trova applicazione l’art. 298 c.c. sulla decorrenza degli effetti dell’adozione e quindi nemmeno l’ultimo comma di tale norma (Gli eredi dell’adottante possono presentare al tribunale memorie e osservazioni per opporsi all’adozione) non essendo quindi ammesso nell’adozione dei minori – per evidenti ragioni di tutela del preminente interesse del minore adottato – che gli eredi dell’adottante possano opporsi all’adozione.
Ugualmente non trova applicazione per l’adozione dei minori in casi particolari tutta la disciplina della revoca dell’adozione dei maggiorenni (articoli 305 – 309) dal momento che come si è visto, gli articoli 51- 54 della legge 4 maggio 1983, n, 184 regolamentano in modo autonomo la revoca dell’adozione di minori in casi particolari.
Altre disposizioni del codice civile (articoli 293, secondo e terzo comma, 296, secondo e terzo comma, 301, 302, 303, 308, 310) sono state direttamente abrogate dalla legge 4 maggio 1983, n. 184.
Ugualmente non sono oggetto di rinvio e non trovano, quindi, applicazione le norme processuali previste per l’adozione dei maggiorenni (articoli 311 e 312) perché, come si è già detto, il procedi¬mento per l’adozione dei minori in casi particolari è autonomamente disciplinato dalle norme della legge 4 maggio 1983, n. 184 (articoli 56 e 57).
Viceversa gli articoli 313 (provvedimento del tribunale) e 314 (pubblicità) del codice civile trovano applicazione in virtù del rinvio ad essi operato nell’art. 56 della legge 184/83. E pertanto, come si è più diffusamente sopra riferito trattando del procedimento, il tribunale provvede con sentenza, in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero e la sentenza definitiva è trascritta a cura del cancelliere del tribunale per i minorenni e comunicata all’ufficiale di stato civile per l’annotazione a margine dell’atto di nascita dell’adottato.
ADOZIONE IN CASI PARTICOLARI
Giurisprudenza
Cass. civ. Sez. I, 16 luglio 2018, n. 18827 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di adozione in casi particolari, il dissenso manifestato dal genitore titolare della responsabilità genitoria¬le, anche se non convivente con il figlio minore, ha efficacia preclusiva ai sensi dellaL. n. 184 del 1983, art.46, comma 2, salvo che non sia stata accertata una situazione di disgregazione del contesto familiare d’origine del minore in conseguenza del protratto venir meno del concreto esercizio di un rapporto effettivo con il minore stesso da parte del genitore esercente la responsabilità
In tema di adozione particolare, il dissenso manifestato dal genitore titolare della responsabilità genitoriale, an¬che se non convivente con il figlio minore, ha efficacia preclusiva ai sensi della L. n. 184 del 1983art.46, comma 2, salvo che non sia stata accertata una situazione di disgregazione del contesto familiare d’origine del minore in conseguenza del protratto venir meno del concreto esercizio di un rapporto effettivo con il minore stesso da parte del genitore
esercente la responsabilità
Cass. civ. Sez. I, 16 aprile 2018, n. 9373 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’adozione in casi particolari, di cui all’art. 44, 1° comma, lett. d), L. n. 184/83, c.d. “mite”, presuppone la constatata impossibilità di diritto, e non solo di fatto, di affidamento preadottivo, posto che, a differenza dell’a¬dozione c.d. legittimante, non presuppone una situazione di abbandono dell’adottando, sicché non rappresenta una extrema ratio, né comporta la recisione dei rapporti del minore con la famiglia d’origine, in quanto risponde, piuttosto, all’esigenza di assicurare il rispetto del preminente interesse del minore, e va disposta al fine di sal¬vaguardare, in concreto, la continuità affettiva ed educativa dei legami in atto dello stesso con i soggetti che se ne prendono cura (nella specie, la Suprema corte ha confermato la decisione di merito che aveva disposto tale forma di adozione nei riguardi di un minore ormai preadolescente, in favore della coppia che ne era affidataria da circa due anni, atteso, da un lato, che i genitori erano stati dichiarati decaduti dalla responsabilità con provvedi¬mento definitivo, e ne era stata comunque accertata la perdurante inidoneità, e, dall’altro, che il minore aveva instaurato un solido e positivo rapporto con gli adottanti).
Trib. Minorenni Napoli, 14 febbraio 2018 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’adozione da parte del single è ammessa nei casi particolari, di cui all’art. 44 della L. n. 184/1983, sia pure con effetti limitati rispetto all’adozione legittimante. Lo stesso principio opera in sede di adozione internazionale, am¬missibile – secondo un’interpretazione costituzionalmente corretta – negli stessi casi in cui è consentita l’adozione nazionale legittimante e quella in casi particolari.
Trib. Minorenni Bologna, 6 luglio 2017 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In virtù della clausola di salvaguardia di cui all’art. 1, comma 20 della L. n. 76 del 2016, l’ipotesi di adozione in casi particolari ex art. 44, lett. D della legge 4 maggio 1983, n. 184, può trovare applicazione anche in caso di impossibilità giuridica di affidamento preadottivo per non essere il minore dichiarato in stato di abbandono sussistendo un genitore biologico che ne ha cura; la norma può pertanto trovare applicazione anche nel caso in cui sussista un interesse concreto del minore al riconoscimento del rapporto genitoriale di fatto instauratosi con l’altra figura genitoriale sociale, seppure dello stesso sesso.
Cass. civ. Sez. I, 16 giugno 2017, n. 14987 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel giudizio di riconoscimento di un provvedimento giudiziale straniero di adozione di minore di età da parte di una coppia omogenitoriale, deve essere integrato il contraddittorio nel confronti dell’altro partner Indicato come genitore nel titolo giudiziale in contestazione, trattandosi di un atto che ha un contenuto inscindibile e che pro¬duce l’effetto dì costituire uno status bigenitoriale e non monogenitoriale.
Trib. Minorenni Milano, 20 ottobre 2016 (Nuova Giur. Civ., 2017, 2, 188 nota di FERRANDO)
Non può essere pronunciata l’adozione in casi particolari a favore del compagno della madre ai sensi dell’art. 44, comma 2°, lett. d), L. n. 184 del 1983, in quanto all’adozione per impossibilità di affidamento preadottivo non si può dar luogo se non con riferimento ad una situazione di abbandono, essendo invece irrilevante una situazione di impossibilità meramente giuridica.
E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2°, lett. d), L. n. 184 del 1983. La scelta del legislatore di valorizzare il rapporto tra genitore e adottando fondato sul matrimonio e non su un rapporto fattuale di convivenza appare del tutto ragionevole essendo intesa a garantire che l’adozione si realizzi in un contesto maggiormente tutelante per il minore.
Trib. Minorenni Milano, 17 ottobre 2016 (Nuova Giur. Civ., 2017, 2, 177 nota di FERRANDO)
Non può essere pronunciata l’adozione incrociata di due bambine a favore della compagna della madre di cia¬scuna di esse, ai sensi dell’art. 44, comma 2°, lett. d), L. n. 184 del 1983, in quanto la norma si riferisce a situazioni in cui il minore è sostanzialmente privo di un contesto genitoriale idoneo alla sua crescita, ragion per cui la «constatata impossibilità di affidamento preadottivo» va intesa come impossibilità di fatto e non come impossibilità di diritto.
Cass. civ. Sez. I, 22 giugno 2016, n. 12962 (Famiglia e Diritto, 2016, 11, 1025 nota di VERONESI)
L’espressione “constatata impossibilità di affidamento preadottivo”, quale condizione alla quale è subordinata la pronuncia dell’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, lett. d), legge ad., deve essere interpretata, non in senso restrittivo, quale “impossibilità di fatto” – che presuppone la preesistenza di una situazione di abban¬dono del minore adottando – ma, coerentemente con il sistema di tutela dei minori e dei rapporti di filiazione biologica e adottiva attualmente vigente, in senso più ampio, quale impossibilità di “diritto” di procedere all’af¬fidamento preadottivo.
App. Torino Sez. minori, 27 maggio 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In presenza di una consolidata vita familiare, risponde all’interesse del minore l’adozione di quest’ultimo, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. d), L. n. 184/1983, da parte della compagna della madre biologica.
Trib. Minorenni Roma, 20 marzo 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Può essere disposta l’adozione del figlio del partner a favore del convivente omosessuale, in base all’art. 44, comma 1, lett. d), L. n. 184/1983, se con ciò si realizza il preminente interesse dei minori.
Trib. Minorenni Roma, 30 dicembre 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Può essere disposta a favore di ciascuno dei componenti della coppia omogenitoriale l’adozione del figlio del rispettivo partner, in base all’art. 44, comma 1, lett. d), L. n. 184/1983, se con ciò si realizza il preminente interesse dei minori.
Corte d’appello di Roma, Sez. minori, 23 dicembre 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Va confermata la sentenza con cui il Tribunale per i minorenni di Roma ha dichiarato adottabile ai sensi dell’art. 44, lett. d), L. 4 maggio 1983, n. 184, come modificato dalla L. 28 marzo 2001, n. 149, da parte della stabile convivente omosessuale della madre la figlia minorenne di quest’ultima.
Trib. Minorenni Roma, 22 ottobre 2015, (Quotidiano Giuridico, 2015 nota di SCALERA)
Se risponde al superiore interesse del minore e garantisce la copertura giuridica di un vincolo di natura genito¬riale già esistente da anni, l’adozione “in casi particolari” ex art. 44, comma 1 lett. d), L. n. 184 del 1983 può essere disposta a favore della convivente omosessuale della madre del minore.
L’adozione “in casi particolari” ex art. 44, comma 1 lett. d), L. n. 184 del 1983 può essere disposta a favore della convivente omosessuale della madre dell’adottando, quando essa risponde al superiore interesse del minore e garantisce la copertura giuridica di una situazione già esistente da anni, che nulla ha di diverso rispetto ad un vero e proprio vincolo genitoriale.
Cass. civ. Sez. I, 21 settembre 2015, n. 18575 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di adozione particolare, ha efficacia preclusiva ai sensi dell’art. 46, comma 2, della l. n. 184 del 1983, il dissenso manifestato dal genitore che non sia mero titolare della responsabilità genitoriale, ma ne abbia altresì il concreto esercizio grazie ad un rapporto effettivo con il minore, caratterizzato di regola dalla convivenza, in ragione della centralità attribuita dagli artt. 29 e 30 Cost. all’effettività del rapporto genitore-figlio. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto superabile, in ragione del preminente interesse della minore, il dissenso all’adozione mani¬festato dalla madre dell’adottanda, che non esercitava in concreto, da molti anni, la responsabilità genitoriale sulla figlia, con la quale non intratteneva alcun effettivo rapporto se non quello esplicantesi, in epoca più recente, negli incontri protetti).
La mancata partecipazione del curatore speciale del minore al giudizio di primo grado costituisce una questione di nullità relativa della sentenza, come tale non rilevabile d’ufficio, ma denunciabile soltanto dalla parte interes¬sata regolarmente costituitasi nel giudizio di appello, così pienamente realizzando il contraddittorio, sia pure in secondo grado.
Trib. Minorenni Roma, 30 luglio 2014 (Famiglia e Diritto, 2015, 6, 574 nota di RUO)
È adottabile ai sensi dell’art. 44, lett. d), L. 4 maggio 1983, n. 184, come modificato dalla L. 28 marzo 2001, n. 149, da parte della stabile convivente (coniuge ai sensi dell’ordinamento spagnolo) omosessuale della madre la figlia minorenne di quest’ultima. La fattispecie prevista dalla norma è infatti applicabile ad ogni caso nel quale sia impossibile l’affidamento preadottivo – come nella fattispecie nella quale non vi è stato di abbandono – e l’a¬dozione corrisponda all’interesse della minorenne. L’orientamento sessuale della ricorrente non può avere rilievo per escludere tale adozione essendo il desiderio di avere figli adottivi protetto e tutelato quale diritto alla vita familiare ai sensi dell’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (4 novembre 1950) e successivi protocolli modificativi e integrativi, senza tollerare discriminazioni di sorta ai sensi dell’art. 14 della medesima Convenzione.
Posto: a) che l’adozione in casi particolari, di cui alla L. n. 184/83, art. 44, 1° comma, lett. d), presuppone non una situazione di abbandono dell’adottando, ma solo l’impossibilità di affidamento preadottivo, di fatto o di dirit¬to, e b) che non costituisce ostacolo, di per sé, la condizione omosessuale dell’adottante, può farsi luogo a siffat¬ta forma di adozione nei riguardi di una minore, nella specie in tenera età, da parte della compagna stabilmente convivente della madre, che vi ha consentito, essendo inoltre stata accertata, in concreto, l’idoneità genitoriale dell’adottante e quindi la corrispondenza all’interesse della minore (nella specie, convivente dalla nascita con le due donne, che ha sempre considerato come propri genitori).
L’adozione in casi particolari di cui all’art. 44, lett. d), L. n. 184/1983 deve essere consentita non solo quando l’affidamento preadottivo è impossibile per ragioni di fatto ma anche per ragioni di diritto (nella specie, mancan¬za dello stato di abbandono) ed a prescindere dall’orientamento sessuale dell’adottante, dovendosi perseguire prioritariamente l’interesse del minore a conferire veste giuridica al legame di fatto preesistente con il c.d. “genitore sociale”.
Cass. civ. Sez. I, 27 settembre 2013, n. 22292 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di adozione in casi particolari, il presupposto per l’adozione di cui all’art. 44, primo comma, lett. d), della legge 4 maggio 1983, n. 184, va individuato nella impossibilità di affidamento preadottivo, nozione che attiene solo all’ipotesi di mancato reperimento (o rifiuto) di aspiranti all’adozione legittimante, e non a quella del contra¬sto con l’interesse del minore, essendo le fattispecie previste dalla norma tassative e di stretta interpretazione.
Cass. civ. Sez. I, 18 aprile 2012, n. 6051 (Famiglia e Diritto, 2013, 2, 160 nota di GORINI)
Il genitore è legittimato ad impugnare il provvedimento di adozione in casi particolari, ancorché decaduto dall’e¬sercizio della potestà genitoriale, permanendo la sua qualità di parte nel relativo procedimento; infatti, non sono desumibili dalla normativa vigente elementi idonei ad escluderla, sia perché l’art. 313 cod. civ., richiamato dall’art. 56 della legge 4 maggio 1983, n.184, riferendosi all’adozione di maggiorenni, ovviamente non prevede la legittimazione ad impugnare dei “genitori”, sia perché essi, in quanto titolari di un’autonomia valutativa in ordine all’individuazione delle soluzioni di maggior utilità per il minore, hanno una posizione processuale propria, che mal si concilia con limitazioni imposte al potere d’impugnazione.
Cass. civ. Sez. I, 19 ottobre 2011, n. 21651 (Nuova Giur. Civ., 2012, 4, 1, 279 nota di OLIVERO)
L’adozione del figlio del coniuge, che di norma implica armonia e convivenza comune tra genitore e adottante, non è di per sé preclusa dalla sopravvenuta crisi del loro matrimonio qualora il minore conservi interesse all’ado¬zione per avere instaurato una positiva relazione con il richiedente; tale interesse va invece escluso, e con esso l’adozione, quando si registri la sofferenza dell’adottando per il clima familiare altamente conflittuale e quando l’incapacità del coniuge di confrontarsi con il genitore per la gestione del minore lasci presagire che l’adozione sarebbe deleteria per i suoi delicati equilibri esistenziali
Cass. civ. Sez. I, 10 maggio 2011, n. 10265 (Corriere Giur. 2012, 1, 91, nota di FERRANDO)
In tema di adozione in casi particolari, ha efficacia preclusiva, ai sensi dell’art. 46 della legge 4 maggio 1983, n. 184, il dissenso manifestato dal genitore naturale non convivente all’adozione del figlio minore a norma dell’art. 44, lettera b) della legge richiamata, dovendo egli ritenersi comunque “esercente la potestà”, pur quando lo stesso non sia mai stato convivente con il minore; invero, la legge 8 febbraio 2006, n. 54 sull’esercizio della potestà in caso di crisi della coppia genitoriale e sull’affidamento condiviso, applicabile anche ai figli di genitori non coniugati, ha corrispondentemente riplasmato l’art. 317 bis cod. civ.. Il principio della bigenitorialità ha, infatti, informato di sé il contenuto precettivo della norma citata, eliminando ogni difformità di disciplina tra figli legittimi e naturali, cosicché la cessazione della convivenza tra genitori naturali non conduce più alla cessazione dell’esercizio della potestà.
Non può escludersi sempre e comunque l’adozione del figlio del coniuge, in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, primo comma, lett. b), della legge 4 maggio 1983, n. 184, motivando sull’intervenuta separazione di fatto dei coniugi nelle more della procedura, qualora si sia instaurata una positiva relazione tra il minore ed il coniuge richiedente e sempre che non risultino aspetti critici della personalità di quest’ultimo; infatti, sebbene la dichia¬razione di adozione presupponga, tendenzialmente, convivenza, armonia e comunione di vita tra i coniugi, è necessario che il giudice accerti, caso per caso, quale sia in concreto l’interesse del minore.
L’adozione in casi particolari tende alla realizzazione dell’interesse del minore, con la conseguenza che legittima¬mente il giudice rigetta la domanda quando insorgano forti contrasti tra il richiedente l’adozione e il genitore del minore, che abbiano creato in quest’ultimo notevole sofferenza.
App. Napoli, 27 aprile 2011 (Corriere del Merito, 2011, 6, 571)
L’adozione in casi particolari ex art. 44, lett. b), legge n. 184/1983, non è misura sanzionatoria, ma uno stru-mento di tutela del preminente interesse del minore, sicché il giudice minorile può disporla anche senza il con¬senso del genitore che non esercita la potestà genitoriale, e pur se questi non sia stato destinatario di provvedi¬menti limitativi e/o ablativi della potestà genitoriale, allorché tale opposizione sia ritenuta ingiustificata rispetto all’interesse del minore stesso.
Cass. civ. Sez. I, 14 febbraio 2011, n. 3572 (Famiglia e Diritto, 2011, 7, 697 nota di ASTONE)
Allo stato attuale della normativa vigente è da escludere che una persona single possa invocare lo strumento giuridico dell’adozione legittimante di minori, mentre ad essa è unicamente riservata l’adozione speciale previ¬sta dalla legge in determinate circostanze o in casi particolari. L’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 24 aprile 1967 non è direttamente applicabile nell’ordinamento italiano, prevedendo per gli Stati parte la facoltà e non l’obbligo di ammettere l’adozione da parte del single. Pertanto, sulla base della normativa internazionale, il legislatore italiano ben potrebbe ampliare le ipotesi adottive riservate al single, includendovi il caso dell’adozione legittimante.
Trib. Minorenni Perugia, 16 settembre 2010 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La previsione normativa di cui all’art. 44 comma 1°, lett. d della legge n. 184 del 1983, enuncia un’ipotesi di ado¬zione semplice, caratterizzata dall’impossibilità dell’affidamento preadottivo e in deroga alla adozione legittiman¬te, che contempla la rottura del rapporto con la famiglia di origine. L’anzidetta previsione normativa si riferisce sia ai casi in cui il minore non abbia trovato sin dall’origine una coppia disponibile e quindi non abbia mai avuto un affidamento preadottivo, sia agli altri casi in cui il disposto affidamento sia stato interrotto successivamente, sia ai casi residuali in cui, non essendo stato dichiarato lo stato di adottabilità, si siano instaurati comunque dei rapporti stabili tra il minore e l’aspirante all’adozione di cui il legislatore ha voluto favorire il consolidamento prevedendo la possibilità di un’adozione idonea ad evitare la rescissione di quel legame che per il minore costi¬tuirebbe un evento traumatico grave, assolutamente da evitare.
Trib. Minorenni Brescia, 12 marzo 2010 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Non può essere pronunciata un’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44 lett. d, della legge 4 maggio 1983, n. 184, nei confronti di un minore affidato con kafalah a due coniugi italiani di fede musulmana, a causa dei differenti effetti derivanti dai due istituti.
Cass. civ. Sez. I, 12 gennaio 2010, n. 260 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In materia di adozione del minore, non può ritenersi lesiva del diritto di difesa una dichiarazione di assenso del genitore biologico ad una forma di adozione meno severa nei suoi confronti, quale l’adozione mite ex art. 44, legge n. 184 del 1983, – nella specie giustificata dalla constatata impossibilità di affidamento preadottivo – qualora espressa nell’ambito della procedura per l’accertamento dello stato di abbandono. In tal senso, invero, l’accertamento dello stato di abbandono, quale presupposto della dichiarazione di adottabilità, determina la fine del vincolo con il genitore naturale, laddove, al contrario, l’adozione mite consente la conservazione del rapporto.
Trib. Minorenni Bari, 7 maggio 2008 (Famiglia e Diritto, 2009, 4, 393 nota di CAFFARENA)
Con il termine “semiabbandono” si fa riferimento a quelle situazioni in cui la famiglia del minore è più o meno insufficiente rispetto ai suoi bisogni ma ha un ruolo attivo e positivo che non è opportuno venga cancellato totalmente. Nello stesso tempo, non vi è alcuna ragionevole possibilità di prevedere un miglioramento delle capacità della famiglia, tale da renderla idonea a svolgere il suo compito educativo in modo sufficiente, magari con un aiuto esterno, curato dai servizi sociali. In tutti questi casi, non potendo essere pronunciata, in difetto di una situazione di abbandono morale e materiale del minore, la dichiarazione di adottabilità, si potrà far luogo all’adozione mite, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. d, legge 4 maggio 1983, n. 184.
Corte cost. 20 luglio 2007, n. 315 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 1, lettera b), della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nella parte in cui non consente al coniuge sopravvissuto, in caso di morte dell’altro coniuge, genitore del minore che s’intende adottare, di chiedere l’adozione del medesimo, per violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.. Il legislatore, in presenza di situazioni che non avrebbero potuto – per la mancanza della condizione di abbandono di cui al comma 1 dell’art. 7 (art. 44, comma 1) o per la difficoltà concreta, in considerazione di condizioni personali del minore – giustificare l’adozione legittimante, ha previsto, in talune tassative ipotesi, una forma di adozione che, caratterizzata dalla peculiarità di non avere effetto legittimante nei confronti dell’adottato, né effetto risolutivo nei confronti della famiglia di origine, è stata coerentemente definita «adozione in casi particolari», o, più propriamente, «adozione non legittimante». Fra tali ipotesi residue vi è quella di cui all’art. 44, comma 1, lettera b), per la quale il minore può essere adottato «dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge». Condizione indispensabile perché essa possa avere luogo è l’esistenza attuale, al momento dell’inizio della procedura e comunque prima della prestazione dell’assenso di cui all’art. 46, del rapporto di coniugio fra chi intende procedere all’adozione ed il genitore del minore adottando, di modo che la morte del genitore del minore avvenuta – come nella specie – prima della proposizione della domanda e della prestazione dell’assenso, fa venire meno una delle condizioni dell’azione e comporta il rigetto della relativa domanda. Né è possibile sostenere che la disciplina dettata dalla norma censurata appare irragionevole se raffrontata alla disposizione di cui al successivo art. 47, nonché a quella di cui all’art. 25 della stessa legge n. 184 del 1983, posto che tali norme costituiscono applicazione, in tema di azioni costitutive di uno status, del principio secondo cui il tempo necessario per l’attribuzione del bene della vita richiesto non deve risolversi in un danno per l’interessato a tale attribuzione: applicazione eccezionalmente ammessa dal legislatore purché le condizioni richieste preesistano ad un determinato momento successivo alla proposizione dell’azione ed individuato in quello dell’affidamento preadottivo, in caso di adozione legittimante, ed in quello della prestazione dell’assenso, in caso di adozione non legittimante. Lo stesso legislatore peraltro non consente che si prescinda da tali condizioni fin dal momento
della proposizione della domanda stessa, perché l’accoglimento di tale tesi introdurrebbe una incertezza sulle condizioni dell’azione, in contrasto con i princípi propri dell’adozione.
Cass. civ. Sez. I, 18 marzo 2006, n. 6078 (Giur. It., 2007, 8-9, 1947 nota di GANDOLFI)
In materia di adozione internazionale di minori, il diritto della persona singola a proporre domanda di adozione è subordinato alla sussistenza delle condizioni previste dalla normativa interna.
Anche le adozioni internazionali possono essere pronunciate solo a favore di coppie di coniugi, salvo che per l’a¬dozione «in casi particolari» o nelle speciali circostanze di cui all’art. 25, 4° e 5° comma, legge n. 184 del 1983.
L’adozione da parte del “single” è ammessa nei casi particolari, di cui all’art. 44 della legge 4 maggio 1983, n. 184, con effetti limitati rispetto all’adozione legittimante, o nelle speciali circostanze di cui all’art. 25, quarto e quinto comma, della medesima legge; al di fuori di tali ipotesi, opera il principio fondamentale, scaturente dall’art. 6 della citata legge, secondo cui l’adozione è permessa solo alla coppia di coniugi (uniti in matrimonio da almeno tre anni), e non ai singoli componenti di questa. Lo stesso principio opera in sede di adozione in¬ternazionale, ammissibile – secondo un’interpretazione costituzionalmente corretta – negli stessi casi in cui è consentita l’adozione nazionale legittimante e quella in casi particolari; pertanto, se il “single” può procedere all’adozione internazionale nei casi particolari di cui al citato art. 44, ciò non può fondare il riconoscimento di una generalizzata ammissibilità di tale adozione da parte di persona singola; fermo restando che – tanto più in presenza della disposizione, non avente peraltro carattere autoapplicativo, di cui all’art. 6 della Convenzione eu¬ropea in materia di adozione di minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967 e ratificata dall’Italia con la legge 22 maggio 1974, n. 357 – il legislatore nazionale ben potrebbe provvedere, nel concorso di particolari circostan¬ze, tipizzate dalla legge o rimesse di volta in volta al prudente apprezzamento del giudice, ad un ampliamento dell’ambito di ammissibilità dell’adozione di minore da parte di una singola persona, anche qualificandola con gli effetti dell’adozione legittimante, ove tale soluzione sia giudicata più conveniente all’interesse del minore, salva la previsione di un criterio di preferenza per l’adozione da parte della coppia di coniugi, determinata dall’esigenza di assicurare al minore stesso la presenza di entrambe le figure genitoriali, e di inserirlo in una famiglia che dia sufficienti garanzie di stabilità.
È preclusa, alla stregua dell’ordinamento nazionale, la possibilità del riconoscimento generalizzato dell’adozione internazionale da parte del single. La facoltà di estendere, in via interpretativa ed analogica, il disposto dell’art. 44della legge n. 184 del 1983 anche all’adozione internazionale non può essere rimessa al giudice. Una siffatta operazione è di esclusiva spettanza del legislatore nazionale – tra l’altro facoltizzato a ciò dall’art. 6 della Convenzione di Strasburgo in materia di minori del 1967 e ratificata dall’Italia con la legge n. 357 del 1974 – che, in presenza di particolari circostanze, tipizzate dalla legge o rimesse di volta in volta al prudente apprezzamento del giudice, sarebbe in grado di provvedere ad un ampliamento dell’ambito di ammissibilità dell’adozione di minore da parte del single, ove tale soluzione sia giudicata più conveniente nell’interesse del minore, salva, peraltro, come già precisato dalla Corte suprema con la sentenza n. 183 del 1974, la previsione di un criterio di preferenza per l’adozione da parte della coppia di coniugi, determinata dalla esigenza di assicurare al minore stesso la presenza di entrambe le figure genitoriali, e di inserirlo in una famiglia che dia sufficienti garanzie di stabilità.
App. Roma, 12 gennaio 2006 (Foro It., 2006, 2, 1, 344)
Va dichiarato efficace nell’ordinamento italiano, in considerazione del superiore interesse del minore, il provve¬dimento straniero di adozione in favore di persona singola avente la cittadinanza italiana, quando ricorrano in concreto le condizioni che avrebbero consentito di pronunciare l’adozione in casi particolari.
App. Roma, 10 novembre 2005 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Qualora un cittadino italiano dopo aver ospitato uno o più minori stranieri e provveduto alla necessaria assisten¬za, intenda procedere alla loro adozione ai sensi dell’art. 44 L. n. 184/83, non sono sufficienti a tal fine le cer¬tificazioni del loro stato di abbandono e della dichiarazione di adottabilità provenienti dalle competenti autorità dello Stato di origine. Infatti a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 218/95 e della L. n. 476/98, è necessario anche il previo ottenimento da parte del richiedente del certificato di idoneità all’adozione internazionale, al fine di poter poi instaurare la procedura prevista dalla L. n. 184/83 come modificata dalla L. n. 476/98.
Corte cost. 29 luglio 2005, n. 347 (Foro It., 2006, 2, 1, 344)
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29-bis, introdotto dalla legge 31 dicembre 1998, n. 476, e degli artt. 31, comma 2, 35, comma 1, 36, comma 1 e 2, e 44 della legge 4 maggio 1983, n. 184, in riferimento agli artt. 2, 3, 30 Cost., giacché deve ritenersi consentito il rilascio dell’idoneità all’adozione internazionale a persona singola nei casi particolari indicati dall’art. 44 della suddetta legge n. 184/1983, compresa l’ipotesi – di cui alla lett. d) – di «constatata impossibilità di affidamento preadottivo».
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 29 bis, 31, 2° comma, 35, 1° comma, 36, 1° e 2° comma, e 44 legge 4 maggio 1983, n. 184, nella parte in cui escludono la possibilità di ottenere la dichiarazione di idoneità all’adozione internazionale, in casi particolari, a favore di singoli e quindi di perfezionare l’adozione internazionale in Italia, in riferimento agli artt. 2, 3 e 30 Cost.
Cass. civ. Sez. I, 16 ottobre 2003, n. 15485 (Famiglia e Diritto, 2004, 7 nota di ANTONELLA LIUZZI)
Con riferimento all’adozione in casi particolari, il relativo provvedimento assume – a seguito delle modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184 apportate dalla legge 28 marzo 2001, n. 149 – la forma della sentenza, e non più del decreto (stante la modifica, ad opera dell’art. 30 della legge, n. 149 del 2001, dell’art. 313 c.c., dettato per l’adozione di maggiore di età, ma richiamato dall’art. 56 della legge, n. 184 del 1983); ne consegue che, avverso tale provvedimento, emesso in sede di gravame dalla Corte d’Appello, sezione per i minorenni, è ora ammissibile il ricorso ordinario per cassazione, per tutti i motivi di cui all’art. 360 c.p.c.
Con riferimento all’adozione in casi particolari, il provvedimento conclusivo del relativo procedimento ha natura di sentenza e, in quanto tale, è impugnabile con ricorso ordinario per cassazione per tutti i motivi di cui all’art. 360 c.p.c.
Con riferimento all’adozione in casi particolari, non potendo i minori stare in giudizio se non rappresentati dai genitori titolari della potestà ovvero dal tutore, a quest’ultimo non può essere riconosciuta una funzione mera¬mente consultiva ma deve essere riconosciuta la qualità di parte del procedimento, con conseguente legittima¬zione all’impugnazione.
Trib. Minorenni Bologna, 7 febbraio 2003 (Famiglia e Diritto, 2003, 6, 605 nota di SACCHETTI)
L’adozione ex art. 44 lett. d) L. n. 184 del 1983 di fratelli minori bielorussi soggiornanti periodicamente in Italia, richiesta dall’ospite non coniugato con cui hanno stabilito un profondo rapporto e dal quale chiedono di essere adottati, può essere pronunciata visto il consenso del Ministero bielorusso dell’Educazione, che riferisce il loro stato di abbandono e l’impossibilità di farli adottare in patria, e considerato il loro superiore interesse.
Trib. Minorenni Roma, 8 gennaio 2003 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Quando nel corso degli anni fra il minore e gli affidatari si sia sviluppato un forte legame, in presenza di un padre vivente che non eserciti la propria funzione genitoriale, è da ritenersi possibile l’adozione «in casi particolari» prevista dall’art. 44, c. 1°, lett. d, l. n. 184 del 1983.
Trib. Minorenni Sassari, 14 novembre 2002 (Famiglia e Diritto, 2003, 5, 452 nota di RAVOT)
Nel procedimento di adozione in casi particolari, il rifiuto dell’assenso da parte del padre, non ingiustificato, avendo lo stesso dichiarato di volersi riappropriare del suo ruolo genitoriale, può determinare il rigetto della richiesta di adozione da parte del coniuge dell’altro genitore ex art. 44 L. n. 184 del 1983 lett. b), anche in con¬siderazione dell’interesse preminente del minore (nella specie, i giudici minorili hanno rigettato il ricorso avente ad oggetto l’adozione non legittimante di una minore, da parte del coniuge della madre per consentire al padre biologico la possibilità di esperire un tentativo per riavvicinarsi alla figlia e permettere alla bambina di raggiun¬gere l’età per fare una scelta consapevole in ordine alle figure affettive di riferimento).
Trib. Minorenni Salerno, 19 luglio 2002 (Famiglia e Diritto, 2003, 6, 606 nota di SACCHETTI)
Può pronunciarsi l’adozione in casi particolari, ex art. 44 lett. d) L. n. 184 del 1983, di una minore bielorussa da parte di donna non coniugata che periodicamente la ospita in Italia, e cui la minore è profondamente legata, poiché la “dismissione” del tutore bielorusso, implicita nella dichiarazione di assenso a tale specifica adozione, fa emergere lo stato di abbandono della minore in Italia, cui consegue l’applicabilità della legge italiana ai sensi dell’art. 37 bis stessa legge, e poiché la detta adozione corrisponde alla radicata volontà e al superiore interesse della minore, nei cui confronti è palesemente impossibile una adoptio plena attraverso l’affidamento preadottivo ad altre persone.
Cass. civ. Sez. I, 4 luglio 2002, n. 9689 (Famiglia e Diritto, 2002, 6, 645)
In materia di adozione in casi particolari, i genitori del minore adottando sono legittimati ad impugnare il decreto di adozione solo in quanto legali rappresentanti di quest’ultimo, non quindi “iure proprio” ma unicamente per far valere l’interesse del minore, qualora, quindi, il minore si trovi nella constatata impossibilità di affidamento pre¬adottivo, è esclusa la legittimazione a detta impugnazione in capo al genitore decaduto dalla potestà genitoriale. È, perciò, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa alla mancata previsione dei genitori dell’adottando decaduti dalla potestà sul minore fra i soggetti legittimati ad impugnare il decreto di adozione in casi particolari.
Cass. civ. Sez. I, 9 maggio 2002, n. 6633 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel caso di richiesta di adozione, da parte del coniuge, del figlio minore dell’altro coniuge, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. b), l. 4 maggio 1983 n. 184, è necessario che il giudice accerti in concreto, caso per caso, se l’interesse del minore, che deve sempre costituire, in base all’art. 57 della legge stessa ed all’art. 3 della conven¬zione sui diritti del fanciullo, conclusa a New York il 20 novembre 1989 (resa esecutiva con l. 27 maggio 1991 n. 176), primario e preminente parametro di valutazione, risulti o meno maggiormente tutelato con l’inserimento, del minore medesimo, mediante l’adozione, in un contesto familiare, e, cioè, in un nucleo il cui sviluppo costitu¬isce, d’altra parte, anch’esso oggetto di favore da parte del legislatore, anche costituzionale. (Nella fattispecie, la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza che aveva ritenuto che l’esistenza di un forte legame affettivo del minore con il proprio padre – il quale aveva fra l’altro negato l’assenso all’adozione, ex art. 46 della citata legge n. 184 del 1983 – fosse ostativo all’adozione, dovendosi evitare, alla luce dell’interesse del minore stesso, il “sovrapporsi di due figure paterne”).
Trib. Minorenni Milano, 11 settembre 2001 (Giur. di Merito, 2002, 705 nota di ORLANDI)
Nelle procedure applicative dell’art. 44 l. n. 184 del 1983 circa le adozioni internazionali “in casi particolari”, non è contemplata la dichiarazione di idoneità dell’aspirante genitore adottivo poiché essa è prevista esclusivamente per le adozioni legittimanti da parte di coppie.
Cass. civ. Sez. I, 21 marzo 2001, n. 4026 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il decreto della corte di appello, che in sede di reclamo abbia conosciuto del provvedimento del tribunale per i minorenni di rifiuto dell’adozione ex art. 44 della legge n. 184 del 1983, ancorchè reso in forma di declaratoria di inammissibilità della reiterazione di precedente domanda di adozione formulata ai sensi del medesimo art. 44, non è soggetto a ricorso per cassazione, non essendo tale impugnazione prevista dall’art. 313 c.c., richiamato dall’art. 56 della legge citata, a differenza di quanto previsto, per l’adozione piena, da detta legge, laddove avverso il menzionato decreto non è neppure ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 cost., sia perchè il provvedimento contro cui dovrebbe dirigersi manca del carattere della definitività, attesa la possibilità della sua revoca a seguito di rinnovo della relativa istanza ex art. 742 c.p.c., sia perchè il medesimo provvedimento manca altresì del carattere della decisorietà, non sussistendo un diritto soggettivo dell’aspirante ad essere pre¬scelto nell’ambito di più concorrenti, dovendo il giudice compiere una valutazione esclusivamente in funzione dell’interesse e della cura del minore.
Cass. civ. Sez. I, 3 marzo 2001, n. 3130 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il decreto con il quale la corte di appello abbia confermato il provvedimento del tribunale per i minorenni di riget¬to di un’istanza di adozione speciale avanzata dagli adottanti di un minore già da essi adottato con la procedura semplificata di cui all’art. 44 lett. c della legge n. 184 del 1983 (istanza motivata in ragione di una prospettata sopravvenienza di una condizione di abbandono da parte del genitore naturale dell’adottato, ma motivatamente rigettata dai due collegi di merito atteso che l’abbandono avrebbe dovuto, in tesi, preesistere alla “constata im¬possibilità di affidamento preadottivo” che giustifica l’adozione cd. “non legittimante” di cui all’art. 44 citato) non è impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 cost., atteso che la posizione dei predetti adottanti non ha alcuna consistenza di diritto soggettivo perfetto (rilevando, per converso, l’esclusivo interesse del minore, in funzione del quale soltanto il giudice deve compiere le proprie valutazioni), ed essendo il prov¬vedimento giurisdizionale conseguentemente adottato del tutto privo del (necessario) carattere di decisorietà.
Cass. civ. Sez. I, 26 luglio 2000, n. 9795 (Giust. Civ. 2001, I, 432)
Il rifiuto dell’assenso da parte del genitore esercente la potestà sul minore è assolutamente ostativo all’adozione, anche in presenza del consenso dell’adottando ultraquattordicenne.
Cass. civ. Sez. I, 16 giugno 2000, n. 8240 (Famiglia e Diritto, 2000, 6, 599 nota di VANZ)
Il decreto della Corte d’appello che, in sede di reclamo, abbia conosciuto del provvedimento del tribunale per i minorenni di rifiuto dell’adozione ex art. 44 della l. n. 184 del 1983, non è soggetto a ricorso per cassazione, non essendo tale impugnazione prevista dall’art. 313 c.c., richiamato dall’art. 56 della citata legge, a differenza di quanto previsto per l’adozione piena dell’art. 26 della stessa legge. Avverso il suddetto decreto non è neppure ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 cost., sia perché il provvedimento contro cui dovrebbe dirigersi manca del carattere della definitività (attesa la sua possibilità di revoca a seguito di rinnovo della relativa istanza ex art. 742 c.p.c.), sia perché il predetto provvedimento manca altresì del carattere della decisorietà, non sussi¬stendo un diritto soggettivo dell’aspirante adottante ad essere prescelto nell’ambito di più concorrenti e dovendo il giudice compiere una valutazione esclusivamente in funzione della cura e dell’interesse del minore.
Il provvedimento emesso in sede di reclamo camerale che abbia disposto, ai sensi dell’art. 44 l. n. 184 del 1983, l’adozione a favore di un soggetto anzichè dell’altro, avendo contenuto decisorio e non essendo altrimenti impu¬gnabile, è ricorribile in cassazione ai sensi dell’art. 111 comma 2 cost.
Corte cost. 7 ottobre 1999, n. 383 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate, rispettivamente, in riferimento all’art. 3 Cost., nei confronti dell’art. 44 della legge 4 maggio 1983 n. 184, primo comma, lettera c), in quanto, subor¬dinando la “adozione in casi particolari” (non legittimante) ivi prevista, alla condizione – che nelle fattispecie in oggetto certamente non si verifica – della impossibilità di un affidamento preadottivo, non consentirebbe ai pa¬renti entro il quarto grado l’adozione di minori i cui genitori siano stati dichiarati decaduti dalla potestà parentale o si dimostrino consenzienti, nonché, in riferimento, oltre che all’art. 3, all’art. 30, secondo comma, Cost., nei confronti dello stesso art. 44, primo comma, lettere a) e c), in quanto, impedendo ai suddetti parenti l’adozione del minore nei casi di incapacità dei genitori, non provvederebbe a che siano assolti i loro compiti. Contraria¬mente all’assunto dei rimettenti tribunali per i minorenni, infatti, qualora vi siano parenti entro il quarto grado che – come gli zii e le zie che hanno promosso i giudizi “a quibus” – già tenuti per legge a prestare al minore l’assistenza materiale e morale che i genitori non sono più in grado di offrire, adempiono in modo adeguato a tale obbligo, la legge, in mancanza del presupposto dello stato di abbandono – come confermano anche gli artt. 8 e 11 della legge n. 184 del 1983 – non esige la dichiarazione dello stato di adottabilità, realizzandosi così una delle ipotesi in cui, esistendo un nucleo con vincoli di parentela tenuto e disposto ad accogliere stabilmente il minore per fornirgli l’ambiente adatto alla sua crescita, non è necessario di trovarne altri, e pertanto, pur se con effetti più limitati rispetto a quelli della “adozione legittimante”, ma con presupposti necessariamente meno rigorosi di quest’ultima, la “adozione in casi particolari” è possibile, conformemente al principio, ispiratore di tutta la disci¬plina in materia, dell’effettiva realizzazione dell’interesse del minore. Intesa in tal senso, la disposizione dell’art. 44 della legge n. 184 del 1983, primo comma, lettera c), sfugge quindi alla censura formulata sotto il profilo della asserita, ma in realtà insussistente, ingiustificata disparità di trattamento rispetto all’ipotesi, contemplata nella lettera a), del minore orfano di padre e di madre – per la quale “l’adozione in casi particolari” da parte dei parenti entro il sesto grado è espressamente ammessa – restando superati, di conseguenza, anche gli ulteriori motivi dedotti, sull’identico presupposto, nell’altra su accennata questione.
Trib. Minorenni Perugia, 5 luglio 1999 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
E’ ammissibile l’adozione a norma dell’art. 44 lett. b l. 4 maggio 1983, n. 184 del figlio del coniuge da parte del ricorrente, deceduto dopo la prestazione del consenso e prima dell’emanazione del decreto di cui all’art. 47 della medesima legge, su istanza del coniuge superstite, genitore di origine dell’adottando.
Cass. civ. Sez. I, 14 gennaio 1999, n. 354 (Dir. Famiglia, 1999 nota di NERI)
Nel caso di adozione di minore figlio del coniuge dell’adottante, l’inderogabilità del divario minimo di età (di¬ciotto anni) richiesto tra adottante e adottato può compromettere la realizzazione del valore costituzionale dell’unità della famiglia, cui è ispirata detta specie particolare di adozione. Tale considerazione, posta a fonda¬mento, con riguardo all’adozione di minori, della sentenza della Corte cost. n. 44 del 1990, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 30 cost., dell’art. 44, comma 5, della l. n. 184 del 1983, nella parte in cui, limitatamente al disposto della lettera b) del comma 1, non consentiva al giudice compe¬tente di ridurre, in presenza di validi motivi per la realizzazione dell’unità familiare, il prescritto divario di età di diciotto anni, ha uguale validità ove si tratti dell’adozione di due fratelli, figli del coniuge dell’adottante, uno dei quali sia divenuto da poco maggiorenne, e sempre che la differenza di età tra adottante e adottato rimanga nell’ambito della imitatio naturae. Anche in tale ipotesi va, pertanto, riconosciuta al giudice, al fine di corrispondere all’indicato preminente valore etico-sociale scolpito nella Costituzione, e previo attento esame delle circostanze del caso, il potere di accordare una ragionevole riduzione del divario minimo di età di diciotto anni tra adottante e adottato.
Trib. Minorenni Perugia, 10 novembre 1998 (Dir. Famiglia, 1999, 696)
Qualora sussistano i presupposti di cui all’art. 44 lett. b) l. n. 184 del 1983, può essere dichiarata l’adozione se il minore sia già profondamente legato ai membri della famiglia d’accoglienza, nella quale è felicemente inserito (famiglia peraltro caratterizzata anche da una notevolissima capacità affettiva ed oblativa dei suoi componenti) e se dal diniego dell’adozione abbia a derivare per il minore un danno grave e sicuro, non altrimenti evitabile, non rilevando in senso contrario il fatto che la differenza minima d’età sia, per uno degli adottanti, di poco (due mesi) inferiore a quella prevista dalla formula di cui all’art. 6 l. cit., tenuto anche conto che dai sedici ai diciotto anni può contrarsi valido matrimonio e può riconoscersi un figlio naturale.
Cass. civ. Sez. I, 30 gennaio 1998, n. 978 (Famiglia e Diritto, 1998, 3, 277)
L’obbligo di mantenimento del figlio minore, sancito, nei confronti del padre non affidatario, dalla sentenza di divorzio, cessa per effetto della successiva adozione del predetto minore da parte di un terzo, poiché la potestà sull’adottato, ed il connesso obbligo di mantenimento, giusto disposto degli art. 147 c.c., 48 e 50 l. n. 183 del 1984, spetta, ormai, in via principale, al genitore adottivo ed al di lui coniuge, pur non rivestendo la cessazione dell’obbligo di mantenimento da parte del padre biologico carattere incondizionato ed assoluto, in quanto tale dovere (perdurandone, comunque, il carattere sussidiario) è potenzialmente idoneo a riacquistare attualità nella ipotesi di cessazione dell’esercizio della potestà da parte dell’adottante, ovvero in correlazione con la eventuale insufficienza di mezzi del predetto e del suo coniuge. Ne consegue la legittimità della declaratoria, da parte del giudice del merito, della cessazione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento per il figlio minore – obbligo stabilito, in sede di pronuncia di divorzio, a carico del padre non affidatario – qualora il nuovo coniuge della ex moglie (passata a seconde nozze) abbia adottato il minore stesso, e qualora manchi la prova di una situazione di carenza economica della nuova famiglia tale da comportare la reviviscenza, in capo al genitore biologico, dell’obbligo di mantenimento, “in parte qua”, del minore adottato.
L’adozione, ai sensi dell’art. 44, lett. b) l. 4 maggio 1983 n. 184, di un minore, figlio di genitori separati e poi divorziati, da parte del secondo marito della madre legittima del minore stesso, comporta per l’adottante l’as¬sunzione in via primaria, unitamente alla patria potestà, dell’obbligo di mantenimento dell’adottato e il venir meno di tale obbligo per il padre naturale e legittimo, pur potendo l’obbligo stesso, avente carattere sussidiario, essere ristabilito, nell’interesse del minore, in correlazione alla eventuale insufficienza di mezzi dell’adottante e del coniuge.
Cass. civ. Sez. I, 19 agosto 1996, n. 7618 (Giust. Civ., 1997, I, 3175 nota di CHIMENTI)
Il figlio naturale riconosciuto da entrambi i genitori e successivamente adottato ex art. 44 lett. b) l. n. 184 del 1983 conserva il proprio cognome originario ed a questo antepone il cognome dell’adottante.
In ipotesi di adozione del figlio del proprio coniuge ai sensi dell’art. 44, lett. b, l. 4 maggio 1983 n. 184 (nella quale, stante il richiamo contenuto nel successivo art. 55 della stessa legge, trova applicazione l’art. 299 c.c.) l’adottato che sia figlio naturale riconosciuto dai propri genitori non assume il solo cognome dell’adottante ma antepone tale cognome al proprio cognome di origine, non essendo prevista per tale ipotesi, alla stregua del tenore letterale della norma, alcuna deroga alla regola del doppio cognome fissata dal comma 1 del menzionato art. 299, regola che, peraltro, costituisce conseguenza del principio, caratterizzante l’adozione del maggiorenne e quella del minorenne nei casi particolari previsti dal cit. art. 44 della legge n. 184 del 1983, secondo cui l’adot¬tato conserva tutti i diritti e doveri verso la sua famiglia di origine.
Cass. civ. Sez. I, 5 agosto 1996, n. 7137 (Famiglia e Diritto, 1996, 6, 585)
Nell’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44 l. 4 maggio 1983 n. 184, di minori il cui genitore o i cui genitori non esercitino la patria potestà, la legge non distingue fra le diverse ipotesi alle quali va ricollegato il mancato esercizio della potestà stessa, sicché, non essendo consentito, di fronte ad una puntuale ed inequivoca volontà del legislatore, introdurre limitazioni in via interpretativa, deve ritenersi escluso che sussistano impe¬dimenti all’adozione del figlio naturale del coniuge, ex lett. b del cit. art. 44, pur quando l’altro genitore, non convivente e non esercitante, in mancanza di diversa disposizione del giudice, la patria potestà (art. 317 bis c.c.) abbia rifiutato il proprio assenso (sempreché tale rifiuto sia da ritenere contrario all’interesse del minore), senza che abbia rilievo la circostanza che non sia stata pronunziata sospensione o decadenza dalla potestà stessa.
Cass. civ. Sez. I, 1 agosto 1996, n. 6956 (Dir. Famiglia, 1997, 555)
In tema di adozione, l’art. 44 l. 4 maggio 1983 n. 184, lett. a, nel prevedere che il minore orfano di entrambi i genitori possa essere adottato, anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’art. 7 della stessa legge, dalle persone a lui unite da vincolo di parentela entro il sesto grado, non opera alcuna distinzione tra parentela in linea retta e in linea collaterale, sicché deve ritenersi indifferente ai fini dell’adozione l’apparte¬nenza all’una o all’altra linea, senza che in contrario possa aver rilievo la disciplina differenziata delle due linee di parentela dettata ad altri fini, atteso l’inequivoco tenore testuale del cit. art. 44 e tenuto conto che le finalità di tale norma, la quale mira ad offrire al minore orfano di entrambe i genitori la famiglia più idonea, consenten¬do al giudice di scegliere fra il numero più ampio possibile di nuclei parentali, risulterebbero frustrate da una eventuale previsione di preferenza a favore dei parenti in linea retta, previsione che, inoltre, comporterebbe un rilievo degli interessi dei parenti preponderante su quello del minore, in contrasto con l’impostazione di tutta la disciplina dell’adozione.
L’art. 44 lett. a) della l. 4 maggio 1983 n. 184, nel prevedere che il minore orfano di entrambi i genitori possa es¬sere adottato, anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’art. 7, da persone unite da vincolo di parentela sino al sesto grado, non opera alcuna distinzione tra parentela in linea retta o in linea collaterale.
Trib. Minorenni Genova, 14 ottobre 1995 (Famiglia e Diritto, 1996, 4, 349 nota di MOROZZO DELLA ROCCA)
Sussistono i presupposti per la dichiarazione di adozione ex art. 44 lett. c) l. 4 maggio 1983 n. 184 di un minore straniero, da svariati anni affidato a una coppia di coniugi, anche in mancanza di dichiarazione dello stato di adottabilità ed accertata l’assenza di mira captativa degli adottandi. La madre naturale del minore adottato ex art. 44 lett. c) può mantenere significativi rapporti affettivi con il figlio dichiarato in adozione.
Trib. Minorenni Perugia, 10 ottobre 1995 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nell’ipotesi in cui il marito intenda procedere all’adozione del figlio minore della moglie, deve ritenersi irrilevante il diniego di assenso manifestato dal genitore naturale che sia dovuto a ragioni di risentimento nei confronti della madre e non sia rispondente all’interesse del minore di inserirsi in un nucleo familiare a lui più confacente.
Cass. civ. Sez. I, 21 luglio 1995, n. 7950 (Foro It., 1996, I, 627 nota di PIETRANGELI)
L’art. 6 della convenzione europea in materia di adozione dei minori ratificata con l. n. 357 del 1974 è norma diretta agli Stati firmatari, cui attribuisce la facoltà di permettere l’adozione di minori anche da parte di per¬sone singole, e non è direttamente applicabile nei rapporti tra privati; non è pertanto configurabile nel nostro ordinamento l’adozione da parte della persona singola di un minore alle stesse condizioni e con gli stessi effetti previsti per i coniugi.
Alla stregua del diritto vigente, l’adozione legittimante di un minore da parte di persona singola è consentita nei (soli) limiti in cui il legislatore del 1983 (utilizzando la facoltà all’uopo attribuitagli dall’art. 6 della convenzione di Strasburgo ratificata in Italia con l. n. 357 del 1974) l’ha in concreto disciplinata, e ciò nella ricorrenza delle situazioni e dei presupposti di cui agli art. 25 commi 4 e 5 e 44 l. n. 184 del 1983, da intendersi, per altro, come previsioni bensì particolari, ma non anche eccezionali, esprimenti cioè non una deroga, ma solo una tecnica alternativa di attuazione della finalità primaria di assicurare al minore, che ne è privo, l’effettività di una vita familiare, in un “luogo degli affetti”, ancorché non rispondente al modello (che resta comunque preferibile) della “imitatio naturae”.
Trib. Minorenni L’Aquila, 10 febbraio 1995 (Dir. Famiglia, 1995, 1501)
È illegittimo, e va perciò riformato, il decreto del tribunale per i minorenni che disponga l’adozione, ex art. 44 lett. b) legge n. 184 del 1983, di una bimba di 5 anni da parte di una donna settantenne coniugata con il padre naturale della minore, dal quale essa sia separata di fatto: anche l’adozione in casi particolari, infatti, mira a garantire l’allevamento e l’educazione del minore in seno ad una famiglia idonea, sotto ogni riguardo, a promuovere il pieno sviluppo della delicata personalità minorile, e ciò non può avvenire allorché l’adottante sia in tarda età, a nulla rilevando, in contrario, né il lungo tempo dell’adottando trascorso presso l’aspirante all’adozione, né la sussistenza di validi, forti e consolidati rapporti affettivi; in considerazione dell’età dell’aspirante all’adozione, è, in partenza e con certezza, acclarata la sua incapacità, specie «de futuro», di garantire all’adottando l’ambiente familiare necessario al suo normale sviluppo psicofisico. L’adozione in casi particolari, è, poi, impossibile qualora come nel caso «de quo», il richiedente risulti separato, ancorché di fatto, dal coniuge: l’adozione in casi particolari, è, infatti, ispirata alla finalità di consolidare l’unità familiare, oltre che a dare una famiglia idonea al minore in stato di abbandono, per cui il rapporto adottivo non può essere circoscritto ad uno solo dei coniugi.
Trib. Minorenni Firenze, 4 febbraio 1995 (Dir. Famiglia, 1995, 673)
Anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 6 convenzione europea di Strasburgo 24 aprile 1967, ratificata con l. 22 maggio 1974 n. 357, non è consentito al “single” eccezion fatta per le ipotesi di cui agli art. 25 e 44 legge n. 184 del 1983, chiedere l’adozione di un minore, così come, del resto, affermato da C. cost. n. 183 del 16 maggio 1994: l’art. 6 della convenzione cit. non si pone in contrasto con l’art. 6 della cit. legge n. 184 del 1983 per il fatto che la convenzione prevede la possibilità che la normativa interna di ciascun Stato aderente abbia a pre¬vedere l’adozione anche da parte di persona singola, mentre la normativa italiana vieta tale adozione fuori dei casi eccezionali di cui agli art. 25 e 44 legge n. 184 cit.; la norma di cui all’art. 6 convenzione si limita, infatti, a consentire che la legislazione interna di ciascun Stato aderente possa considerare ammissibile l’adozione da parte del “single”, rimettendosi in tal modo alla mera discrezionalità di ogni legislatore nazionale. L’ammissibilità in via di principio del “single” all’adozione legittimante, oltre ad accendere non infondati dubbi di legittimità costi¬tuzionale, vanificherebbe quanto previsto dall’attuale normativa in tema di limiti e differenze di età, snaturando profondamente l’istituto “de quo”.
App. Torino, 3 dicembre 1994 (Dir. Famiglia, 1996, 992)
L’adozione, ai sensi dell’art. 44 lett. b) l. n. 184/1983, di un minore da parte del coniuge del genitore naturale che eserciti la potestà parentale sul figlio stesso con lui convivente, non richiede l’assenso dell’altro genitore biologico non convivente e non esercitante la potestà, ed il cui rifiuto dell’assenso dell’adozione non è per ciò di ostacolo a quest’ultima allorché essa risponda all’interesse del figlio. Anche in tal caso, però, l’adozione non ha carattere sanzionatorio per il genitore che rifiuti l’assenso, per cui la compressione potenzialmente definitiva della potestà genitoriale (suscettibile di cessare solo in caso di revoca dell’adozione) si giustifica non in ragione di un comportamento, commissivo od omissivo, pregiudizievole al figlio, ma in considerazione del diritto di questi a realizzare un vero e proprio rapporto parentale con il genitore adottivo, in quanto questi viene giudicato la persona più adatta – per attitudini educative, situazione personale ed economica, ambiente familiare, posizione sociale, aspirazioni del minore, e così via – a svolgere il ruolo genitoriale, che, tuttavia, non comporta il venir meno dei legami affettivi tra il minore ed il genitore biologico non convivente, nè esclude il mantenimento di reciproci rapporti, che devono però avvenire in modo non conflittuale, sì da non porre in discussione e rendere infecondo il ruolo primario del genitore adottivo.
App. Roma, 28 novembre 1994 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La l. 22 maggio 1974 n. 357, di ratifica ed esecuzione della convenzione di Strasburgo 24 aprile 1967 sull’a-dozione dei minori che consente l’adozione da parte di persona singola non coniugata, ha conferito all’art. 6 della convenzione predetta immediata, concreta efficacia operativa in seno al nostro ordinamento, efficacia non abrogata, né abrogabile, dalla legge n. 184 del 1983 che, in linea di principio, concede l’adozione di minori solo alle coppie coniugate, ma che non rende inammissibile l’istanza di adozione di un minore da parte di persona singola non coniugata, in aggiunta all’ipotesi di cui all’art. 44 comma 3 legge n. 184.Alla luce delle disposizioni vigenti in materia, e in particolare dell’art. 6 della convenzione europea di Strasburgo del 24 aprile 1967, resa esecutiva in Italia con legge n. 357 del 1974, anche la persona singola non coniugata è legittimata a proporre domanda di adozione.
Cass. civ. Sez. I, 8 novembre 1994, n. 9278 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Agli effetti dell’adozione “particolare” prevista dall’art. 44 della l. 4 maggio 1983 n. 184, alla delibazione di un provvedimento straniero di adozione non è di ostacolo il fatto che detta adozione sia stata pronunciata a favore di parte adottante costituita da una persona singola, giacché tale ipotesi non costituisce violazione del limite dell’ordine pubblico, dovendosi nella specie solo verificare che il giudice straniero abbia adeguatamente escluso la possibilità di un vero e proprio affidamento preadottivo ed abbia considerato l’interesse del minore.
Trib. Minorenni Roma, 24 marzo 1993 (Giust. Civ., 1993, I, 2821 nota di BEGHE’ LORETI)
Al di fuori dell’ipotesi prevista dall’art. 44, 1° comma, lett. c), l. 4 maggio 1983 n. 184 è inammissibile la do-manda di adozione di un minore presentata da persona non coniugata: questa disciplina non contrasta con l’art. 6 convenzione europea sull’adozione dei minori fatta a Strasburgo il 24 aprile 1967 e resa esecutiva con l. 22 maggio 1974 n. 357.
App. Perugia, 25 maggio 1992 (Dir. Famiglia, 1994, I, 154)
L’adozione in casi particolari ex art. 44 lett. b) costituisce un tipo di adozione pur sempre rivolto alla tutela del preminente interesse del minore, ma avente la singolarità d’essere diretto alla duplice esigenza di rafforzare, da un lato, l’unità familiare agevolando l’inserimento familiare del minore che sia figlio di uno solo dei coniugi, e di evitare, dall’altro, che l’instaurazione del nuovo rapporto determini la rottura del vincolo esistente con l’altro ge¬nitore biologico e/o con i di lui parenti, quando con costoro il minore stesso abbia instaurato e mantenga legami significativi; è in applicazione di tali principi teleologici, ispiratori dell’istituto “de quo”, che il minore non acquista lo “status” di figlio legittimo, ma lo “status” di figlio adottivo, cui spetta nei confronti dei genitori adottivi – ai quali compete la potestà, di cui è invece privato l’altro genitore biologico – il diritto al mantenimento, all’educa¬zione ed all’istruzione, conservando nei confronti della famiglia di origine (con la quale manchino o siano venuti meno legami affettivi e rapporti stabili e consolidati e duraturi) solo i doveri ed i diritti d’ordine patrimoniale, ed in particolare i diritti successori, che saranno i coniugi costituenti la famiglia adottiva ad esercitare per conto del minore. Ciò premesso e ritenuto, qualora un minore verso cui si sia proceduto all’adozione in casi particolari ex art. 44 lett. b) legge n. 184 del 1983 da parte del coniuge della madre naturale, sia rimasto privo d’ogni rapporto e d’ogni legame affettivo col padre naturale per lungo tempo (circa un decennio), così da ignorare addirittura la verità sulle proprie origini biologiche, l’equilibrio del figlio minore va tutelato preservandolo da intromissioni tardive del padre naturale che pretenda di vigilare sulla sua educazione ed istruzione e sulle sue condizioni di vita, intendendo così esercitare un diritto che non gli spetta perché non contemplato dall’art. 44 lett. b) cit.: al genitore naturale per lungo tempo dimentico può pertanto essere negata anche la più ridotta frequentazione del minore, inconciliabile con la pregressa assenza di rapporti e di legami (protrattasi per circa un decennio), ed inopportuna perché idonea a generare confusione e conflitti con i poteri-doveri connessi alla potestà parentale ad altri spettante; i coniugi componenti la coppia presso la quale il minore è inserito, sono tuttavia obbligati a comunicare al minore la verità integrale circa le sue origini biologiche prima che il minore medesimo entri nel periodo delicato, e non scevro di traumi e travagli, dell’adolescenza: e ciò, anzitutto perché ogni minore ha dirit¬to a conoscere le proprie origini biologiche, e poi allo scopo di evitare i pericoli non lievi che da una rivelazione accidentale, o peggio, non proveniente da persona idonea potrebbero derivare all’equilibrio ed alla serenità del figlio, al quale occorre garantire anche la possibilità di decidere in modo consapevole ed autonomo circa i propri rapporti con il genitore naturale per lungo tempo dimentico.
Corte cost. 2 febbraio 1990, n. 44 (Foro It., 1990, I, 353)
La differenza di età di diciotto anni richiesta come dato temporale di distanza fra adottante e adottando mino¬renne (art. 44, comma quinto, della legge n. 184 del 1983) prescinde da giustificazioni naturalistiche e dunque non è confrontabile con la soglia minima di età (sedici anni) richiesta per il riconoscimento o la legittimazione della prole generata (artt. 250 e 284 cod. civ.).
Nel caso del coniuge che adotti il minore figlio anche adottivo dell’altro coniuge, l’inderogabilità del divario mini¬mo di età (diciotto anni) fra adottante e adottando può compromettere la realizzazione del valore costituzionale dell’unità della famiglia, cui è ispirata l’anzidetta specie particolare di adozione. Pertanto, è costituzionalmente illegittimo – per contrasto con l’art. 30 Cost., commi primo e terzo, l’art. 44, comma quinto, della legge 4 maggio 1983, n. 184, nella parte in cui, limitatamente al disposto della lett. b) del primo comma, non consente al giudice competente di ridurre, quando sussistono validi motivi per la realizzazione dell’unità familiare, l’intervallo di età di diciotto anni.
è illegittimo, per violazione dell’art. 30, 1° e 3° comma, cost., l’art. 44, l. 4 maggio 1983, n. 184, nella parte in cui, limitatamente al disposto della lett. b) del 1° comma, non consente al giudice competente di ridurre, quando sussistano validi motivi per la realizzazione dell’unità familiare, l’intervallo di età di diciotto anni.
App. Bologna Sez. minori, 15 aprile 1989 (Giur. di Merito, 1991, 91 nota di MANERA)
Anche la giuridica impossibilità di affidamento preadottivo permette l’adozione non legittimante, che è ammessa anche quando non ricorrano le condizioni per la dichiarazione di adottabilità, ossia anche quando manchi lo stato di abbandono.