ASSEGNO DI DIVORZIO: come applicare la sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018

di Gianfranco Dosi

I La funzione dell’assegno nel nuovo orientamento delle Sezioni Unite
Il punto centrale – e al tempo stesso il dato fortemente innovativo – dell’interpretazione che con la sentenza 18287/2018 1 le Sezioni Unite hanno dato dell’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio2, è costituito dalla considerazione che l’inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge che ri¬chiede l’assegno divorzile non può essere valutata al di fuori degli indicatori contenuti nella parte iniziale della norma (soprattutto le condizioni dei coniugi, il contributo personale ed economico dato alla vita matrimoniale, la durata del matrimonio). Pertanto vanno considerate del tutto su¬perate le interpretazioni che valutano l’inadeguatezza dei redditi prescindendo da tali indicatori e cioè sia l’interpretazione data trent’anni fa dalle Sezioni Unite (n. 11490/1990), sia quella data di recente dalla Prima Sezione della Cassazione (n. 11504/2017). Le Sezioni Unite del 1990 avevano, infatti, stabilito che l’inadeguatezza dei redditi deve essere valutata in relazione al tenore di vita pregresso3, mentre la prima Sezione nel 2017 ha ricondotto il giudizio di inadeguatezza alla non
1 Cass. civ. Sez. Unite, 11 luglio 2018, n. 18287 in appendice.
2 “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive” (art. 5, comma 6, legge divorzio)
3 Si legge nella sentenza che “Questa valutazione, ove costituisca il fattore determinante l’an debeatur dell’as¬segno, non può sottrarsi a forti rischi di locupletazione ingiustificata dell’ex coniuge richiedente in tutte quelle situazioni in cui egli possa godere comunque non solo di una posizione economica autonoma ma anche di una condizione di particolare agiatezza oppure quando non abbia significativamente contribuito alla formazione della posizione economico-patrimoniale dell’altro ex coniuge. I criteri determinativi, ed in particolare quello relativo all’apporto fornito dall’ex coniuge nella conduzione e nello svolgimento della complessa attività endofamiliare, cui il Collegio ritiene di attribuire primaria e peculiare importanza, risultano marginalizzati, con conseguente in¬giustificata sottovalutazione dell’autoresponsabilità. Tale aspetto costituisce, invece, uno dei cardini delle scelte individuali e relazionali, sia nelle situazioni analoghe a quella sopradescritta, sia nelle situazioni opposte, carat¬terizzate da condizioni economico-patrimoniali che presentino uno squilibrio nella valutazione comparativa, nelle quali la situazione di disparità economico-patrimoniale, riscontrabile alla fine del rapporto, sia il frutto esclusivo o prevalente delle scelte adottate dai coniugi in ordine ai ruoli ed al contributo di ciascuno alla vita familiare. In
autosufficienza economica del coniuge richiedente4. Entrambe queste interpretazioni – sostengo¬no oggi le Sezioni Unite – peccano di astrattezza in quanto sono basate su elementi estranei agli indicatori, richiamati dalla prima parte della norma, di cui il giudice deve tenere conto quando si occupa dell’assegno divorzile. Proprio per questo motivo non ha più ragione di esistere la distinzio¬ne tra fase dell’an debeatur e fase del quantum debeatur: compito del giudice è quello di valutare, nell’ambito di un giudizio unitario, se e in che termini l’eventuale disparità dei redditi tra i coniugi (e quindi l’inadeguatezza dei mezzi a disposizione di un coniuge rispetto all’altro) sia collegata al contributo portato alla vita matrimoniale da ciascun coniuge, alle rispettive condizioni personali e alla durata del matrimonio e in che misura tale disparità debba essere perequata (funzione assi¬stenziale, perequativa, compensativa dell’assegno divorzile).
Il fondamento costituzionale dei criteri indicati nell’incipit della norma – così espressamente so¬stengono oggi le Sezioni Unite – deve condurre ad una valutazione concreta ed effettiva dell’i¬nadeguatezza dei mezzi e dell’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive fondata in primo luogo sulle condizioni economico-patrimoniali delle parti, da accertarsi anche utilizzando i poteri istruttori officiosi attribuiti espressamente al giudice della famiglia (art. 5, comma 9, della legge sul divorzio). Tale verifica è da collegare causalmente alla valutazione degli altri indicatori conte¬nuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, al fine di accertare se l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di ma¬trimonio, con il conseguente sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti.
Il principio di solidarietà, posto a base del riconoscimento del diritto, impone che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi ed all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive sia salda¬mente ancorato alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli endofamiliari.
In questo contesto l’accertamento del giudice non è conseguenza di un’inesistente ultrattività dell’unione matrimoniale, definitivamente sciolta, tanto da determinare una modifica irreversibile degli status personali degli ex coniugi, ma della norma regolatrice del diritto all’assegno, che con¬ferisce rilievo alle scelte ed ai ruoli sulla base dei quali si è impostata la relazione coniugale e la vita familiare. Tale rilievo ha l’esclusiva funzione di accertare se la condizione di squilibrio economico patrimoniale sia da ricondurre eziologicamente alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofamilia¬ri, in relazione alla durata del matrimonio e all’età del richiedente. Ove la disparità abbia questa radice causale occorre tenere conto di questa caratteristica della vita familiare nella valutazione dell’inadeguatezza dei mezzi e dell’incapacità del coniuge richiedente di procurarseli per ragioni oggettive. Gli indicatori, contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, prefigurano, perciò, una funzione perequativa e riequilibratrice dell’assegno di divorzio che permea il principio di solidarietà posto a base del diritto. All’assegno di divorzio deve, perciò, attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa
II Il compito del giudice
Secondo le Sezioni Unite il giudice ha tre compiti fondamentali: a) innanzitutto quello di accer¬tare l’esistenza e l’entità dello squilibrio tra i redditi dei coniugi eventualmente determinatosi al
questa peculiare situazione, peraltro molto frequente, il criterio compensativo non può essere esclusivamente un fattore di moderazione, dovendosene tenere conto al pari degli altri elementi alla luce dell’inquadramento costi¬tuzionale delle ragioni giustificative del diritto all’assegno di divorzio, così come fattori quali la salute o l’età in re¬lazione alle capacità lavorativo-professionali e di produzione di reddito. Gli indicatori contenuti nella L. n. 898 del 1978, art. 5, comma 6, prima parte, hanno un contenuto perequativo-compensativo che la preminenza assoluta della comparazione quantitativa tra le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi rischia di offuscare”.
4 Affermano le Sezioni Unite a tale proposito che “La valutazione svolta nella sentenza n. 11504 del 2017 è rile¬vante ma incompleta, in quanto non radicata sui fattori oggettivi e interrelazionali che determinano la condizione complessiva degli ex coniugi dopo lo scioglimento del vincolo… Nella sentenza n. 11504 del 2017 lo scioglimento del vincolo coniugale, comporta una netta soluzione di continuità tra la fase di vita successiva e quella anteriore. L’autodeterminazione e l’autoresponsabilità costituiscono la giustificazione di questa radicale cesura e vengono assunti come principi informatori dei residui, limitati effetti, della cessata relazione coniugale. La previsione legi¬slativa relativa all’assegno di divorzio, alle condizioni previste dalla legge, viene ritenuta prescrizione di carattere eccezionale e derogatorio, in relazione al riacquisto dello stato libero realizzato con il divorzio. All’assegno viene, di conseguenza, riconosciuta una natura giuridica strettamente ed esclusivamente assistenziale, rigidamente ancorata ad una condizione di mancanza di autonomia economica, da valutare in considerazione della condizio¬ne soggettiva del richiedente, del tutto svincolata dalla relazione matrimoniale ed unicamente orientata, per il presente e per il futuro, dalle scelte e responsabilità individuali. Si deve osservare, tuttavia, che questa impo¬stazione, pur condivisibile nella parte in cui coglie la potenzialità deresponsabilizzante del parametro del tenore di vita, omette di considerare che i principi di autodeterminazione ed autoresponsabilità hanno orientato non solo la scelta degli ex coniugi di unirsi in matrimonio ma, ciò che è più rilevante ai fini degli effetti conseguenti al suo scioglimento così come definiti nella L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, hanno determinato il modello di relazione coniugale da realizzare, la definizione dei ruoli, il contributo di ciascun coniuge all’attuazione della rete di diritti e doveri fissati dall’art. 143 c.c. La conduzione della vita familiare è il frutto di decisioni libere e condivise alle quali si collegano doveri ed obblighi che imprimono alle condizioni personali ed economiche dei coniugi un corso, soprattutto in relazione alla durata del vincolo, anche irreversibile. Alla reversibilità della scelta relativa al legame matrimoniale non consegue necessariamente una correlata duttilità e flessibilità in ordine alle condizioni soggettive e alla sfera economico patrimoniale dell’ex coniuge al momento della cessazione dell’unione matri¬moniale… Lo scioglimento del vincolo incide sullo status ma non cancella tutti gli effetti e le conseguenze delle scelte e delle modalità di realizzazione della vita familiare.
momento del divorzio; b) In secondo luogo il compito di valutare il nesso causale tra lo squilibrio e gli indicatori previsti nella legge; c) infine il compito di determinare l’importo perequativo-com¬pensativo del caso concreto.
a) L’accertamento dello squilibrio tra i redditi dei coniugi
Compito iniziale e principale del giudice è quello di accertare, preliminarmente, l’esistenza e l’enti¬tà dello squilibrio determinato dal divorzio tra i mezzi a disposizione di entrambi i coniugi. A questo fine la legge prevede l’obbligo della produzione delle dichiarazioni dei redditi delle parti e di ogni altra documentazione sui redditi e sul patrimonio ed il potenziamento dei poteri istruttori officiosi attribuiti al giudice – il quale può anche disporre indagini di polizia tributaria (art. 5, comma 9, legge sul divorzio 5) – nonostante la natura prevalentemente disponibile dei diritti in gioco.
All’esito di tale preliminare e doveroso accertamento può venire già in evidenza il profilo stretta¬mente assistenziale dell’assegno, qualora una sola delle parti non sia titolare di redditi propri e sia priva di redditi da lavoro. Possono, tuttavia, riscontrarsi più situazioni comparative caratterizzate da una sperequazione nella condizione economico-patrimoniale delle parti, di entità variabile.
b) La valutazione del nesso causale tra lo squilibrio e gli indicatori previsti nella legge
In caso di domanda di assegno da parte del coniuge economicamente debole, il parametro sulla base del quale il giudice deve fondare l’accertamento del diritto ha natura composita, dovendo l’inadeguatezza dei mezzi o l’incapacità di procurarli per ragioni oggettive essere desunta dalla valutazione, del tutto equiordinata degli indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, in quanto rivelatori della declinazione del principio di solidarietà, posto a base del giudizio rela¬tivistico e comparativo di adeguatezza.
In altre parole il giudice dispone sull’assegno di divorzio in relazione all’inadeguatezza dei mezzi ma questa valutazione avviene tenuto conto dei fattori indicati nella prima parte della norma.
Pertanto, esclusa ogni separata valutazione dei criteri attributivi e determinativi, l’adeguatezza assume un contenuto prevalentemente perequativo-compensativo che non può limitarsi, però, né a quello strettamente assistenziale né a quello dettato dal raffronto oggettivo delle condizioni economico patrimoniali delle parti.
Occorre invece procedersi all’effettiva valutazione del contributo fornito dal coniuge economica¬mente più debole alla formazione del patrimonio comune e alla formazione del profilo economico patrimoniale dell’altra parte, anche in relazione alle potenzialità future. La natura e l’entità di tale contributo è frutto delle decisioni comuni, adottate in sede di costruzione della comunità familiare, riguardanti i ruoli endofamiliari in relazione all’assolvimento dei doveri indicati nell’art. 143 c.c.. Tali decisioni costituiscono l’espressione tipica dell’autodeterminazione e dell’autoresponsabilità sulla base delle quali si fonda, ex artt. 2 e 29 Cost. la scelta di unirsi e di sciogliersi dal matrimonio.
Il criterio che il giudice deve adottare è un criterio integrato che si fonda sulla concretezza e mol¬teplicità dei modelli familiari attuali.
Se si assume come punto di partenza il profilo assistenziale, valorizzando l’elemento testuale dell’adeguatezza dei mezzi e della capacità (incapacità) di procurarseli, questo criterio deve essere calato nel “contesto sociale” del richiedente; deve, cioè essere contestualizzato con riferimento alla situazione effettiva nella quale s’inserisce la fase di vita post matrimoniale, in particolare in chiave perequativa-compensativa. Il criterio attributivo e quello determinativo, non sono più in netta separazione ma si coniugano in un criterio assistenziale-compensativo.
L’elemento contributivo-compensativo si coniuga senza difficoltà a quello assistenziale perché en¬trambi sono finalizzati a ristabilire una situazione di equilibrio che con lo scioglimento del vincolo era venuta a mancare.
È importante osservare come per le Sezioni Unite azione che il testo dell’art. 5 della legge sul divorzio non preclude la formulazione di un giudizio di adeguatezza anche in relazione alle legit¬time aspettative reddituali conseguenti al contributo personale ed economico fornito da ciascun coniuge alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno ed a quello comune.
L’adeguatezza dei mezzi deve, pertanto, essere valutata dal giudice, non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva ma anche in relazione a quel che si è contribuito a realizzare in funzione della vita familiare e che, sciolto il vincolo, produrrebbe effetti vantaggiosi unilateral¬mente per una sola parte.
È quindi necessaria una valutazione integrata, incentrata sull’aspetto perequativo-compensativo, fondata sulla comparazione effettiva delle condizioni economico-patrimoniali alla luce delle cause che hanno determinato la situazione di disparità.
Il giudice dovrà procedere in sostanza ad un accertamento probatorio rigoroso del rilievo causale degli indicatori di cui alla prima parte della norma sulla sperequazione che il divorzio ha determinato,
5 “I coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione per¬sonale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria” (art. 5, comma 9, legge divorzio)
ed, infine, la funzione equilibratrice dell’assegno, deve ribadirsi, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale ma soltanto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla realizzazione della situazione comparativa attuale.
c) La decisione sull’importo dell’assegno
Alla pluralità di modelli familiari consegue una molteplicità di situazioni personali conseguenti allo scioglimento del vincolo.
Il giudice dovrà quindi procedere alla determinazione in concreto dell’importo dell’assegno tenendo presenti le valutazioni effettuate.
Si tornerà più oltre su questo aspetto (certamente il più strettamente collegato alla giustizia del caso singolo) intorno al quale le Sezioni Unite consegnano ai giudici di merito un compito certa¬mente non facile e, come si dirà, non privo di elementi di problematicità.
III Lo squilibrio economico tra i coniugi determinato dal divorzio
Come si è detto l’accertamento dell’esistenza e dell’entità dello squilibrio tra i mezzi a disposizione di entrambi i coniugi determinato dal divorzio, costituisce l’operazione preliminare rispetto alla va¬lutazione delle richieste delle parti in ordine all’assegno divorzile. L’operazione non offre elementi di particolare complessità: si tratterà di fare soprattutto corretta applicazione dell’art. 5, comma 9, della legge sul divorzio che, come si è detto, prevede l’obbligo per entrambi i coniugi di presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai redditi e al patrimonio personale e comune su cui, se necessario, il giudice può disporre indagini anche di polizia tributaria.
I principi che possono essere enucleati sono i seguenti:
a) La sperequazione tra i redditi delle parti che l’importo dell’assegno è destinato a perequare (fun¬zione assistenziale e perequativa) è condizione necessaria per l’attribuzione dell’assegno divorzile. Se manca la sperequazione non si può parlare di diritto all’assegno divorzile. Nella decisione delle Sezioni Unite si parla di “rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex co¬niugi all’atto dello scioglimento del vincolo”.
b) Possono riscontrarsi più situazioni comparative caratterizzate da una sperequazione di entità variabile nella condizione economico-patrimoniale delle parti (dalla situazione in cui un coniuge non ha alcun reddito a quella in cui ha redditi inferiori a quelli dell’altro coniuge). L’assegno sarà, in linea di principio, tanto più alto quanto più alto è lo squilibrio tra le condizioni economiche e patrimoniali dei coniugi.
c) All’assenza di mezzi e redditi va equiparata l’impossibilità oggettiva di procurarseli.
d) Non esiste un minimum che rende irrilevante la sperequazione. Perciò anche se un coniuge fosse “autosufficiente economicamente” (avendo per esempio un reddito che gli consente di con¬durre una vita dignitosa) avrà sempre diritto a richiedere un assegno divorzile ove sussista una sperequazione di una certa rilevanza.
IV Gli indicatori dell’assegno assistenziale-perequativo-compensativo
a) La durata del matrimonio
Benché nell’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio questo elemento sia indicato alla fine dell’e¬lenco degli indicatori (“…. e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio…”) certamente si tratta del dato più significativo da tener presente. D’altra parte la decisione delle Sezioni Unite ha inteso proprio risolvere il problema (mortificato dalle decisioni del 2017 della Prima Sezione) della tutela del coniuge debole nei matrimoni di lunga durata ed è quindi evidente che la durata del matrimonio è il primo elemento a disposizione del giudice per le valutazioni relative all’assegno divorzile.
Il concetto di “durata del matrimonio” fa riferimento a due situazioni:
– Innanzitutto alla durata della “convivenza” (coabitazione) matrimoniale e cioè al periodo che va dalle nozze alla separazione anche di fatto dei coniugi. Occorre ricordare che il concetto di “durata del matrimonio” è inteso in altre parti della legge sul divorzio in modo diverso. Per esempio nell’art. 9, comma 3, la ripartizione della pensione di reversibilità tra ex coniuge e coniuge superstite può tener conto, nella valutazione della durata del rapporto matrimoniale, anche dell’eventuale perio¬do di convivenza precedente al matrimonio con il coniuge superstite; nell’art. 12-bis la durata del matrimonio ai fini del diritto alla quota di TFR è, invece, quella rigorosamente legale dalle nozze al giudicato di divorzio.
– In secondo luogo (e si tratta di una considerazione di importanza spesso sottovalutata) la durata del matrimonio, in presenza di figli, fa riferimento anche al periodo successivo alla separazione per tutto l’arco di tempo in cui uno dei genitori si occupa in via prevalente, appunto, dei figli. In altre parole, per quanto riguarda il diritto all’assegno divorzile il matrimonio si protrae – ai fini della va¬lutazione della sua “durata” – fino a che durano gli impegni di una delle parti non solo verso l’altro coniuge ma anche verso i figli.
b) La condizione personale dei coniugi
Il secondo elemento da prendere in considerazione nelle valutazioni relative all’assegno divorzile è la “condizione dei coniugi” e cioè l’insieme di quelle circostanze – anche in questo caso di non dif¬ficile individuazione – che potremmo considerare per così dire “oggettive”, trattandosi di elementi che fanno riferimento a dati oggettivi relativi ad entrambe le parti:
– L’età del coniuge richiedente l’assegno (su sui si sofferma espressamente anche il principio di diritto enunciato dalla Sezioni Unite).
– La formazione professionale, le capacità professionali, il titolo di studio del coniuge richiedente l’assegno, le opportunità di lavoro.
– L’esistenza di una “famiglia ricomposta”. Per quanto attiene al coniuge che richiede l’assegno, come è noto, la stessa legge sul divorzio prevede all’art. 5, comma 10 6 la perdita del diritto all’as¬segno in caso di nuove nozze; effetto che la giurisprudenza ha anche applicato alla instaurazione di una stabile convivenza di fatto. Per quanto invece attiene al coniuge obbligato, l’eventuale famiglia ricomposta (con o senza figli) pur non essendo un elemento che produce de iure la ces¬sazione dell’obbligo, va ricondotta, appunto, alla valutazione delle “condizioni di coniugi” essendo certamente un elemento che introduce una oggettiva alterazione negli equilibri di tipo economico-patrimoniale di cui è impensabile non tener conto. Il tema delle famiglie ricomposte (cioè del diritto a rifarsi una famiglia dopo il divorzio) è proprio, anzi, uno dei temi che più hanno pesato negli ultimi anni nel dibattito in materia di assegno divorzile.
c) Il contributo personale ed economico dato alla vita matrimoniale
Si tratta dell’indicatore certamente più importante previsto nell’art. 5, comma 6 della legge sul divorzio (“…il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune…”). L’indicatore è così importante da aver portato oggi le Sezioni Unite a qualificare non solo come assistenziale ma soprattutto come “compensativa” la funzione dell’assegno. Non si tratta di una caratteristica nuova, naturalmente, essendo tale qualificazione quella già data all’indomani dell’entrata in vigore del divorzio sulla base del testo originario della legge 898/70 che aveva attribuito all’assegno divorzile una funzione composita (assistenziale, perequativa e compensativa).
L’espressione “funzione compensativa” (equiordinata rispetto a quella assistenziale e perequativa) fa riferimento alla “compensazione” delle aspettative professionali ed economiche sacrificate dal coniuge che si è dedicato in via esclusiva o primaria alla cura della famiglia e dei figli nel corso del matrimonio. Occorre fare attenzione a non confondere questo significato con l’altro di senso comu¬ne che l’espressione può anche avere di “compensazione” dello squilibrio reddituale: a quest’ulti¬mo significato si riferisce invece l’espressione “perequazione dei redditi”.
Si deve considerare che il principio costituzionale di uguaglianza e di parità tra coniugi (art. 29, cpv della Costituzione 7 ) oltre che il principio di parità contributiva indicato nell’art. 143 del codice civile 8 , impongono di tener conto, al momento dello scioglimento del vincolo, della di¬stribuzione dei compiti professionali (capitale visibile) ovvero domestici e di cura della famiglia e dei figli (capitale invisibile) che i coniugi hanno realizzato nel corso del matrimonio, essendo del tutto evidente che da tale distribuzione di compiti può derivare una oggettiva penalizzazione al momento del divorzio per il coniuge che ha assunto soprattutto compiti di natura non reddituale/ professionale. Nel giudizio, quindi, sulla inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge debo¬le economicamente non può essere trascurato il peso di questa distribuzione di compiti all’interno della vita matrimoniale.
Come hanno chiarito molto bene le Sezioni Unite l’accertamento del giudice relativo al contributo personale ed economico dato da ciascuno nel corso del matrimonio, “non è conseguenza di un’i-nesistente ultrattività dell’unione matrimoniale, definitivamente sciolta tanto da determinare una modifica irreversibile degli status personali degli ex coniugi, ma della norma regolatrice del diritto all’assegno, che conferisce rilievo alle scelte ed ai ruoli sulla base dei quali si è impostata la rela¬zione coniugale e la vita familiare”.
In verità, anche questo indicatore, non è di difficile individuazione nei suoi elementi costitutivi. Si tratta di verificare quale sia stata la oggettiva distribuzione di compiti tra i coniugi nel corso del matrimonio e di valutare (anche in via presuntiva) se – ma soprattutto quanto – questa distribu¬zione incida sulla condizione dei coniugi al momento del divorzio.
6 “L’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge al quale deve essere corrisposti passa a nuove nozze” (art. 5, comma 10, legge divorzio)
7 “Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi con i limiti stabiliti dalla legge a ga¬ranzia dell’unità familiare” (art. 29 Cost.)
8 “Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e gli stessi doveri.
Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione.
Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro pro¬fessionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia” (art. 143 c.c.).
d) Le ragioni della decisione
Pur non essendo un indicatore al quale le Sezioni Unite dedicano specifica attenzione, non vi è dub¬bio che l’art. 5, comma 6 della legge sul divorzio prevede pur sempre “le ragioni della decisione” tra gli elementi di cui il giudice è chiamato a tener conto in materia di assegno divorzile.
Visto dall’angolo visuale del coniuge creditore dell’assegno, storicamente si tratta di un elemento, come è noto, collegato all’addebito della separazione (cui consegue ex lege la perdita del diritto all’assegno coniugale: art. 156 c.c.). Non essendo contenuta nella legge sul divorzio alcuna analo¬ga previsione, ne deriva che il coniuge al quale fosse stata addebitata la separazione (e che abbia di conseguenza perso in quella sede il diritto all’assegno di mantenimento coniugale) potrebbe recuperare in sede di divorzio il diritto a richiedere un assegno divorzile: una situazione legittima ma oggettivamente ingiusta. Proprio per questo motivo – e benché l’addebito in sede di separa¬zione sia statisticamente ormai poco frequente – la giurisprudenza ha attribuito alle “ragioni della decisione” la funzione di elemento che potrebbe “azzerare” l’importo eventualmente dovuto in base ai presupposti che l’assegno ha in sede di divorzio. Era questa la posizione delle Sezioni Unite del 1990 che avevano indicato questo possibile “azzeramento” dell’assegno quale conseguenza non solo delle “ragioni della decisione” ma anche di tutti gli altri indicatori di cui alla prima parte dell’art. 5, comma 6, qualificati, proprio per questo, elementi di sola moderazione dell’importo dell’assegno (individuato in astratto nella fase dell’an debeatur).
Se nel contesto interpretativo dato dalla Sezioni Unite del 1990 le “ragioni della decisione” avevano questa efficacia di sola “moderazione” dell’importo dell’assegno limitata al coniuge creditore, es¬sendo ora scomparso ogni riferimento alle due fasi (an debeatur e quantum debeatur), ne conse¬gue che le “ragioni della decisione” potrebbero avere anche una efficacia non solo “al ribasso” ma anche “al rialzo” nel senso che potrebbero portare ad un aumento dell’importo dell’assegno. Sta comunque di fatto che le “ragioni della decisione” in un sistema centrato sul “diritto” allo sciogli¬mento del vincolo matrimoniale, difficilmente potranno avere in concreto una valenza penalizzante per il coniuge debitore dell’assegno.
V L’onere della prova
Fermo restando l’obbligo da parte di entrambi i coniugi di produrre “la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune” – cui si accompagna anche, secondo la prassi vigente in molti tribunali, la produzione di apposite dichiarazioni sostitutive di atto notorio – ed il potenziamento dei poteri istruttori officiosi attribuiti al giudice il quale può anche disporre “indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria” (art. 5, comma 9, legge sul divorzio), la “natura prevalentemente disponibile dei diritti in gioco” (affermazione di grande significato fatta dalle Sezioni Unite di cui non può essere taciuta la rilevanza) ha come conseguenza per le parti oneri di natura probatoria caratteristici del processo civile.
Sono le stesse Sezioni Unite che lo ribadiscono laddove – dopo aver affermato che “l’attenzione deve rivolgersi, al fine di rendere effettiva la funzione perequativa dell’assegno, al rigoroso ac¬certamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, dovendo trovare giustificazione causale negli indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6 ed in particolare nel contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge” – testualmente precisano che “di tale contributo la parte richiedente deve fornire la prova con ogni mezzo anche mediante presunzioni. Del superamento della disparità determinata dalle cause sopraindicate, la parte che chiede la riduzione o la eliminazione dell’asse¬gno posto originariamente a suo carico, deve fornire la prova contraria”.
Il coniuge che richiede l’assegno divorzile ha l’onere, quindi, di dimostrare che lo squilibrio (del benessere economico e patrimoniale) determinato dal divorzio trova ragione e causa negli indica¬tori elencati nella prima parte dell’art. 5, comma, 6 della legge sul divorzio e, in particolare, nella distribuzione dei compiti nel corso del matrimonio (e della organizzazione dei compiti di cura dei figli anche successivamente) da cui può desumersi anche in via presuntiva l’indebolimento delle capacità di recupero professionale anche in ragione dell’età del richiedente,
L’altro coniuge ha l’onere di fornire la prova contraria dimostrando che le disparità economiche e patrimoniali non trovano ragione negli indicatori in questione.
VI Come si determina in concreto l’importo dell’assegno divorzile
a) Le considerazioni delle Sezioni Unite sulla determinazione dell’assegno
Si tratta di un aspetto sul quale le Sezioni Unite non sono state molto prodighe di attenzione, no¬nostante che la determinazione in concreto dell’assegno divorzile costituisca il vero obiettivo cui è preordinato tutto il lavoro di ricostruzione e di valutazione, nel corso del processo, dello squi¬librio economico e patrimoniale tra i coniugi al momento del divorzio e delle cause che lo hanno determinato. Verosimilmente ciò è avvenuto nella fiducia che la giurisprudenza di merito – a cui è affidata la giustizia del caso singolo – sappia individuare caso per caso i parametri per la soluzione di questo problema.
Due passaggi della sentenza sono, però, utilizzabili per dare una possibile risposta al problema di come possa essere determinato in concreto l’importo dell’assegno.
In un punto della decisone le Sezioni Unite chiariscono che “la funzione assistenziale dell’asse¬gno di divorzio si compone di un contenuto perequativo-compensativo che discende direttamente dalla declinazione costituzionale del principio di solidarietà e che conduce al riconoscimento di un contributo [cioè di un assegno ndr] che, partendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei due coniugi, deve tener conto non soltanto del raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza, secondo un parametro astratto ma, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita fami¬liare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell’età del richiedente. Il giudizio di adeguatezza ha, pertanto, anche un contenuto prognostico riguardante la concreta possibilità di recuperare il pregiudizio professionale ed economico derivante dall’assunzione di un impegno diverso. Sotto questo specifico profilo il fattore età del richiedente è di indubbio rilievo al fine di verificare la concreta possibilità di un adeguato ricollocamento sul mercato del lavoro”.
Da questo passaggio si comprende come le Sezioni Unite ritengono che dovrebbe essere assicurato non soltanto il “raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire l’autosuffi¬cienza del coniuge debole” ma soprattutto che tale livello debba essere “adeguato al contributo” dato alla vita familiare “tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmen¬te sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell’età del richiedente” anche al fine di poter “recuperare il pregiudizio professionale ed economico”.
Nel secondo passaggio in cui si allude alla determinazione in concreto dell’assegno divorzile si leg¬ge che “la funzione equilibratrice dell’assegno… non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale ma soltanto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla realizzazione della situazione comparativa attuale”.
In sintesi l’importo dell’assegno:
– deve assicurare innanzitutto (come obiettivo minimo) l’autonomia e l’autosufficienza economica del coniuge debole;
– in secondo luogo deve, però, anche essere adeguato al contributo dato dal coniuge alla vita fa¬miliare (cura della famiglia e dei figli) e, quindi, compensare (tenendo conto dell’età e della durata del matrimonio) il sacrificio delle aspettative9 professionali ed economiche che ne sono conseguite;
– non ha la finalità di ricostituzione del tenore di vita endoconiugale.
Tutti compiti del giudice di merito che, come si ripete, avrà la responsabilità nei prossimi anni di dare attuazione concreta ai nuovi principi introdotti dalle Sezioni Unite.
b) Che fine ha fatto il tenore di vita?
Nonostante l’impegno ricostruttivo delle Sezioni Unite teso a tener fuori il “tenore di vita” dall’as¬segno divorzile (“…la funzione equilibratrice dell’assegno non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale…”), la sensazione è che il tenore di vita coniugale sarà invece ben presente nella prassi applicativa dei principi oggi introdotti dal nuovo orientamento.
Nel significato comune dell’espressione “tenore di vita” ci si riferisce all’insieme delle opportunità che le condizioni economiche offrono alla coppia e alla famiglia. Se le condizioni economiche sono buone sarà buono anche il tenore di vita.
Il tenore di vita si misura soprattutto su alcuni elementi quali le spese quotidiane, la scelta della scuola dei figli, la scelta del luogo e del modo delle vacanze, gli acquisti di beni di consumo e di beni voluttuari e in genere corrisponde alle reali disponibilità dei coniugi. Naturalmente questa equiparazione tra condizioni economiche e tenore di vita (che costituisce oggetto di prova nel pro¬cesso) non è sempre così lineare, come avviene nei casi in cui la giurisprudenza parla di tenore di vita “possibile” (nel caso in cui il tenore di vita è superiore ai mezzi economici a disposizione, per esempio per un ampio ricorso dei coniugi a prestiti bancari) o potenziale (nel caso, inverso, in cui il tenore di vita è inferiore alle più ampie possibilità economiche).
Ebbene, se il tenore di vita costituisce in genere il segnale del benessere raggiunto da una fami¬glia in seguito agli sforzi e ai sacrifici dei coniugi, è evidente che questa condizione di benessere dovrà influire sulla misura dell’assegno divorzile. Se si deve valutare il contributo dato dai coniugi alla vita familiare, come si può escludere da tale valutazione il tenore di vita? Pertanto la misura dell’assegno sarà direttamente proporzionale al tenore di vita raggiunto dalla famiglia.
Il giudice ha il compito, come si è detto, di verificare se lo squilibrio tra i redditi e i mezzi a dispo¬sizione di ciascun coniuge dopo il divorzio sia di tale entità da giustificare un riequilibrio, una pe¬requazione, a favore del coniuge debole. In questa operazione è insita una valutazione dei redditi e quindi del benessere (cioè del tenore di vita) raggiunto da una famiglia. Se è vero che – come affermano le Sezioni Unite – “la funzione equilibratrice dell’assegno… non è finalizzata alla ricosti¬tuzione del tenore di vita endoconiugale” è anche altrettanto vero che per individuare un importo dell’assegno nel caso concreto non si potrà fare a meno di considerare anche il tenore di vita della coppia. È oggettivamente impensabile che ciò possa non essere fatto.
Pertanto il tenore di vita coniugale, quale desumibile dai redditi delle parti e dagli accertamenti eventualmente disposti non può che essere l’elemento di partenza per l’individuazione in concreto dell’importo dell’assegno perequativo e compensativo.
Ipotizziamo una coppia unita in matrimonio da dodici anni e in cui durante il matrimonio e dopo la separazione (e perfino dopo il divorzio) la moglie, insegnante di scuola, si sia anche occupata dei figli come genitore prevalente. Se il marito, ingegnere, è stato da sempre il soggetto econo¬micamente trainante della famiglia grazie a redditi professionali elevati, il giudice chiamato ad individuare un importo dell’assegno non potrà fare a meno di considerare il livello di benessere raggiunto complessivamente da questa famiglia. È infatti a questo livello di benessere che la moglie ha contribuito non soltanto con il suo lavoro di insegnante ma anche e soprattutto con il suo impegno familiare e verso i figli e quindi con il sacrificio che ne è conseguito di aspettative di tipo professionale. Se questo lavoro di ricostruzione – anche in via presuntiva – del tenore di vita coniugale non venisse svolto, l’assegno finirebbe per aver la sola funzione (esclusa dalla Sezioni Unite) di garantire l’autosufficienza economica del richiedente.
Perciò nell’individuazione in concreto dell’assegno divorzile non sarà possibile escludere il riferi¬mento al tenore di vita della famiglia, non per ricostituirlo a favore di un coniuge, ma per misurare quali compiti abbia effettivamente svolto il coniuge richiedente l’assegno che hanno contribuito (nell’ottica della parità del lavoro professionale e di quello casalingo e di cura dei figli) a raggiun¬gere quel tenore di vita. Compiti che il coniuge ha svolto sacrificando altre aspettative La compen¬sazione di tali “sacrifici” sarà necessariamente collegata al benessere che ne è conseguito, anche in termini di maggiore importo dell’assegno divorzile.
Appendice
Cass. civ. Sez. Unite, 11 luglio 2018, n. 18287
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente di Sezione –
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente di Sezione –
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sezione –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 23138-2017 proposto da:
C.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3, presso lo studio dell’avvocato BRUNO NICOLA SASSANI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARGHERITA BARIE’ e FRANCESCA BALDI;
– ricorrente –
C.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA QUINTINO SELLA 41, presso lo studio dell’avvocato CAMILLA BO¬VELACCI, rappresentato e difeso dall’avvocato BRUNELLA BERTANI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1429/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 15/06/2017.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/04/2018 dal Consigliere dott.ssa MARIA ACIERNO;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. MATERA MARCELLO, che ha concluso per l’accoglimento, p.q.r., del primo motivo del ricorso, assorbito il secondo motivo;
uditi gli avvocati Bruno Nicola Sassani, Margherita Bariè e Brunella Bertani.
Svolgimento del processo
1. Il matrimonio concordatario tra le parti è stato celebrato nel (OMISSIS). La separazione personale consensua¬le reca la data del (OMISSIS). Le parti, in questa sede, hanno raggiunto un accordo fondato sul riequilibrio dei loro patrimonio che non prevedeva la corresponsione di alcun assegno da parte di un coniuge il favore dell’altro.
2. La cessazione degli effetti civili del matrimonio è stata pronunciata con sentenza parziale del Tribunale di Reggio Emilia il (OMISSIS). Con sentenza definitiva il Tribunale ha posto a carico dell’ex marito la somma di Euro 4000,00 mensili a titolo di assegno divorzile in favore della ex moglie.
3. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza impugnata, ha negato il diritto della ex moglie al riconoscimento di un assegno di divorzio condannandola alla ripetizione delle somme ricevute a tale titolo specifico.
3.1. A sostegno della decisione assunta, la Corte ha applicato l’orientamento espresso nella pronuncia di questa Corte n. 11504 del 2017 secondo il quale il fondamento dell’attribuzione dell’assegno divorzile è la mancanza di autosufficienza economica dell’avente diritto. Nel merito ha escluso che la parte appellata fosse in tale condizio¬ne, in quanto titolare e percettrice di uno stipendio decisamente superiore alla media nonchè di un patrimonio mobiliare ed immobiliare molto cospicuo. Ha, pertanto, precisato che l’attribuzione dell’assegno di divorzio si era fondata sull’orientamento, superato da quello più recente cui era stata prestata adesione, fondato sul criterio del tenore di vita, peraltro potenziale, goduto dal richiedente, nel corso dell’unione coniugale, da valutarsi alla stregua delle capacità patrimoniali ed economiche delle parti. Nella specie pur essendovi un’evidente spere¬quazione delle predette capacità economiche e patrimoniali in favore dell’ex marito, l’agiatezza della ex moglie aveva condotto ad escludere la ricorrenza dei requisiti attributivi dell’assegno, dovendosene escludere il difetto di autosufficienza economica.
4. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione C.L., con richiesta, accolta con provvedimento del 30 ottobre 2017, di rimessione del ricorso alle Sezioni Unite. Ha resistito con controricorso C.O.. La parte ricor¬rente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
5. Nel primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 e successive modifica¬zioni per le seguenti ragioni:
5.1 il criterio dell’indipendenza od autosufficienza economica non trova alcun riscontro nel testo della norma che detta i criteri per l’attribuzione e determinazione dell’assegno di divorzio. Inoltre, non risulta chiaro quali siano i parametri al quale ancorarlo tra le diverse alternative proponibili, ovvero l’indice medio delle retribuzio¬ni degli operai ed impiegati; la pensione sociale; un reddito medio rapportato alla classe economico sociale di appartenenza dei coniugi e alle possibilità dell’obbligato. Nell’ultima ipotesi, peraltro, il tenore di vita verrebbe ripreso in considerazione perchè i mezzi adeguati non potrebbero che essere rapportati alla condizione sociale ed economica delle parti in causa e ai loro redditi;
5.2 la lettura logico sistematica della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 e successive modificazioni conduce al ripristino del criterio del tenore di vita, tenuto conto che l’art. 5, al comma 9 prevede espressamente la pos¬sibilità per il Tribunale, in caso di contestazioni, di disporre indagini sull’effettivo tenore di vita. La stessa Corte Costituzionale con la sentenza n. 11 del 2015 ha ritenuto del tutto legittimo tale criterio, allora costantemente seguito dalla giurisprudenza;
5.3 l’applicazione del criterio dell’autosufficienza economica è foriero di gravi ingiustizie sostanziali, in particolare per i matrimoni di lunga durata ove il coniuge più debole che abbia rinunciato alle proprie aspettative professionali per assolvere agli impegni familiari improvvisamente deve mutare radicalmente la propria conduzione di vita;
5.4 il richiamo, contenuto nella sentenza n. 11504 del 2017, all’art. 337 septies c.c. che fissa il criterio dell’in¬dipendenza economica ai fini del riconoscimento del diritto ad un contributo per il mantenimento dei figli mag¬giorenni non autosufficienti non risulta condivisibile in quanto le condizioni soggettive rispettivamente dell’ex coniuge e del figlio maggiorenne non autosufficiente non sono comparabili: il figlio maggiorenne ha il compito sociale, prima che giuridico, di mettersi nelle condizioni di essere economicamente indipendente e l’obbligo di mantenimento è definito temporalmente in funzione del raggiungimento dell’obiettivo; il coniuge, specie se non più giovane, che abbia rinunciato, per scelta condivisa anche dall’altro, ad essere economicamente indipendente o abbia ridotto le proprie aspettative professionali per l’impegno familiare si può trovare, in virtù dell’applicazio¬ne del criterio dell’indipendenza economica, in una situazione di irreversibile grave disparità. Infine, l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente perdura fino a quando non sia raggiunto un livello di indipendenza adeguato al percorso di studi e professionale seguito, mentre all’esito del divorzio per il coniuge che abbia le caratteristiche soggettive sopra delineate, la condizione deteriore in cui versa non ha alcuna possi¬bilità di essere emendata, essendo fondata su una sperequazione reddituale e patrimoniale non più colmabile. Tale è la condizione della ricorrente rispetto al livello economico-patrimoniale molto più elevato dell’ex marito.
5.5 Il nuovo orientamento lede il principio della solidarietà post matrimoniale, sottolineato, invece, dal legislato¬re sia in ordine al diritto alla pensione di reversibilità che in relazione alla quota del trattamento di fine rapporto spettanti al titolare dell’assegno. Il criterio adottato porta ad una lettura sostanzialmente abrogativa dell’art. 5.
6. Nel secondo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 2033 c.c. con riferimento alla condanna alla ripetizione di quanto indebitamente versato. La statuizione della sentenza d’appello non è idonea a configurare un indebito oggettivo perchè dispone per l’avvenire. Inoltre vige, nella specie, il principio dell’irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità delle prestazioni assistenziali, del tutto disatteso nella specie.
7. L’esame della questione rimessa alle Sezioni Unite richiede l’illustrazione preliminare del quadro legislativo interno di riferimento, anche sotto il profilo diacronico, dal momento che le modifiche medio tempore intervenute hanno notevolmente influenzato gli orientamenti della giurisprudenza anche di legittimità.
8. IL QUADRO LEGISLATIVO INTERNO.
8.1. Il testo originario della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 6, e gli orientamenti giurisprudenziali relativi.
Il testo originario della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 della aveva il seguente contenuto:
Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale di¬spone, tenuto conto delle condizioni economiche dei coniugi e delle ragioni della decisione, l’obbligo per uno dei coniugi di somministrare a favore dell’altro periodicamente un assegno in proporzione alle proprie sostanze e ai propri redditi. Nella determinazione di tale assegno il giudice tiene conto del contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi. Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in una unica soluzione. L’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze.
Il coniuge, al quale non spetti l’assistenza sanitaria per nessun altro titolo, conserva il diritto nei confronti dell’ente mutualistico da cui sia assistito l’altro coniuge. Il diritto si estingue se egli passa a nuove nozze.
La lettura della norma, già nella sua formulazione originaria, poteva dare luogo ad interpretazioni diverse. Va¬lorizzando la distinzione di significato tra l’espressione “il Tribunale dispone” con la quale si apriva l’elencazione dei criteri di cui si doveva “tenere conto” ai fini del diritto alla corresponsione dell’assegno di divorzio e l’incipit della seconda parte della norma “nella determinazione di tale assegno il giudice tiene conto” emergeva, sul pia¬no testuale una distinzione tra criteri attributivi (le condizioni economiche dei coniugi – profilo assistenziale; le ragioni della decisione – profilo risarcitorio) e determinativi (contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi – profilo compensativo).
La dottrina prevalente e la giurisprudenza di questa Corte avevano, tuttavia, ritenuto che l’assegno di divorzio, alla luce della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 avesse una natura mista senza alcuna diversificazione e gra¬duazione tra i criteri attributivi e determinativi.
In particolare le Sezioni Unite, poco dopo l’entrata in vigore della norma affermarono che l’assegno previsto dalla L. 1 dicembre 1970 n 898, art. 5 aveva natura composita “in relazione ai criteri che il giudice per legge deve applicare quando è chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di corresponsione: assistenziale in senso lato, con riferimento al criterio che fa leva sulle condizioni economiche dei coniugi; risarcitoria in senso ampio, con riguar¬do al criterio che concerne le ragioni della decisione; compensativa, per quanto attiene al criterio del contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge alla condizione della famiglia ed alla formazione del patrimonio di entrambi. Il giudice, che pur deve applicare tali criteri nei confronti di entrambi i coniugi e nella loro necessaria coesistenza, ha ampio potere discrezionale, soprattutto in ordine alla quantificazione dell’assegno (S.U. 1194 del 1974; conf. 1633 del 1975).
La coesistenza dei criteri, come espresso efficacemente nella massima, ne evidenziava la equiordinazione e costituiva una prescrizione di primario rilievo per la valutazione che doveva essere svolta dal giudice di merito al quale veniva riconosciuto un ampio potere discrezionale nella determinazione nell’ammontare dell’assegno ma non gli era consentito di considerare recessivo, in astratto ed in linea generale, un criterio rispetto ad un altro, salvo che il rilievo concreto di alcuno di essi non fosse marginale od insussistente. Nella giurisprudenza immediatamente successiva, la formulazione generale del principio venne puntualizzata in relazione a ciascun parametro. In particolare la Corte escluse che l’assegno potesse avere carattere alimentare proprio in relazione allo scioglimento definitivo del vincolo di parentela, dal momento che tale tipologia di obbligazioni postulava la permanenza del vincolo stesso e non la sua cessazione (Cass. 256 del 1975). Venne sottolineato come il fulcro dell’accertamento da svolgere, in questa prima fase storica di applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, dovesse incentrarsi sulla natura e misura dell’indebolimento della complessiva sfera economico-patrimoniale del coniuge richiedente l’assegno in relazione a tutti i fattori che possano concorrere a determinare questa sperequazione, quali l’età, la salute, l’esclusivo svolgimento di attività domestiche all’interno del nucleo familiare, il contributo fornito al consolidamento del patrimonio familiare e dell’altro coniuge etc. (Cass. 835 del 1975). Gli orientamenti furono certamente influenzati dal contesto socio economico nel quale la L. n. 898 del 1970 si è innestata, in quanto caratterizzato da un modello coniugale formato su ruoli endofamiliari distinti ed eziologicamente condizionanti la posizione economico patrimoniale di ciascuno dei coniugi dopo lo scioglimento dell’unione matrimoniale. Il rilievo paritario attribuito a tutti i parametri venne condizionato dalla vis espansiva del principio di parità ed uguaglianza tra i coniugi così come innovativamente consacrato e reso effettivo dalla riforma del diritto di famiglia.
Il criterio assistenziale, in particolare, assume, già in questa prima fase di applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, una funzione perequativa della condizione di “squilibrio ingiusto” (Cass. 660 del 1977) che può determinarsi in relazione alla situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi, a causa dello scioglimento del vincolo, in particolare quando la disparità di condizioni si giustifica in funzione di scelte endofamiliari comuni che hanno prodotto una netta diversificazione di ruoli tra i due coniugi così da escludere o da ridurre considerevol¬mente l’impegno verso la costruzione di un livello reddituale individuale autonomo adeguato a quello familiare. Risultava evidente, pertanto, già negli orientamenti degli anni 70 che il profilo strettamente assistenziale si contaminava con quello compensativo, soprattutto in relazione alla durata del matrimonio, così da dar luogo all’inizio degli anni 80 a principi ancora più decisamente ispirati all’esigenza di ristabilire “un certo equilibrio nella posizione dei coniugi dopo lo scioglimento del matrimonio” (Cass. 496 del 1980) da realizzarsi assumendo il parametro relativo alle condizioni economiche dei coniugi non come criterio esclusivo o prevalente ma come elemento di giudizio da porsi in relazione con gli altri concorrenti, in considerazione delle complessive condizioni di vita garantite nel corso dell’unione coniugale e delle aspettative che tali condizioni potevano indurre (Cass. 496 del 1980).
La funzione dell’assegno di divorzio si caratterizza, sempre più, negli anni 80, sotto il vigore del testo originario della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come strumento perequativo della situazione di squilibrio economico patrimoniale che si sia determinata a vantaggio di un ex coniuge ed in pregiudizio dell’altro. A questo fine i tre criteri contenuti nella norma operano come “presupposti di attribuzione” (Cass. 5714 del 1988) dell’assegno stesso. All’interno di questo orientamento, la funzione dell’assegno si risolve in uno strumento volto ad interveni¬re su una situazione di squilibrio “ingiusto” non in senso astratto, ovvero fondato sulla mera comparazione quan¬titativa delle sfere economico-patrimoniali o delle capacità reddituali degli ex coniugi ma in concreto, ponendo in luce la correlazione tra la situazione economico patrimoniale fotografata al momento dello scioglimento del vin¬colo ed i ruoli svolti dagli ex coniugi all’interno della relazione coniugale. Al riguardo sempre più frequentemente entrava nella valutazione complessiva e paritaria dei criteri ex art. 5, comma 6 il rilievo dell’apporto personale al soddisfacimento delle esigenze domestiche di uno solo dei coniugi (Cass. 3390 del 1985) ed, in particolare, l’effetto negativo sull’acquisizione di esperienze lavorative e professionali che può determinare un impegno ver¬sato essenzialmente nell’ambito domestico e familiare (Cass. 3520 del 1983), tanto da far affermare che, anche in relazione all’età, il giudice del merito avrebbe dovuto accertare se fosse in concreto possibile per l’ex coniuge richiedente l’assegno essere competitivo sul mercato del lavoro senza dover svolgere attività lavorative troppo usuranti od inadeguate rispetto al profilo complessivo della persona, (Cass. 3520 del 1983).
Da questi orientamenti emerge l’incidenza del principio costituzionale della parità sostanziale tra i coniugi, così come declinato nell’art. 29 Cost. nella valutazione in concreto dei criteri, ed in particolare di quello assistenziale e compensativo, sempre meno scindibili nel giudizio complessivo relativo al diritto all’assegno. L’interconnessione tra i due parametri viene precisata dall’affermazione contenuta nella pronuncia n. 6719 del 1987, secondo la quale la funzione dell’assegno di divorzio non è remunerativa ma compensativa, essendo preordinata all’obiet¬tivo del “giusto mantenimento” in relazione, non solo all’apporto del coniuge richiedente alla conduzione della vita familiare, ma anche alla formazione del patrimonio comune ed in particolare al rafforzamento della sfera economico patrimoniale dell’altro coniuge.
Deve essere sottolineato come l’applicazione equilibrata dei tre criteri, assistenziale, compensativo e risarcitorio, sia stata ritenuta adeguata alla varietà delle situazioni concrete ed idonea a far emergere l’effettiva situazione di squilibrio (od equilibrio) conseguente alle scelte ed all’andamento effettivo della vita familiare, tenuto conto delle condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi e delle cause, con particolare riferimento a quelle maturate in corso di matrimonio, che hanno concorso a determinarle.
I principi giurisprudenziali illustrati, tuttavia, furono sottoposti a revisione critica dalla dottrina, in particolare per l’eccessiva discrezionalità rimessa ai giudici di merito che l’equiordinazione dei criteri aveva determinato. Si lamentava l’assenza di un fondamento unitario e coerente nella composizione mista dei parametri di attribuzione e determinazione dell’assegno di divorzio. Si sottolineava come l’an ed il quantum dell’assegno fossero stati ten¬denzialmente stabiliti del tutto discrezionalmente e l’applicazione dei criteri, proprio in quanto composita, fosse stata utilizzata per giustificare ex post la decisione, invece che dettarne le coordinate. Inoltre, vennero poste in luce le profonde mutazioni nella società civile, l’affermazione del principio di autoresponsabilità ed autode¬terminazione, da ritenere determinanti anche nelle scelte relazionali, oltre che l’evoluzione del ruolo femminile all’interno della famiglia e nella società. Si gettavano le basi, pur sottolineandosi la funzione complessivamente perequativa dell’assegno di divorzio, per la riforma della norma.
8.2. L’intervento della L. 6 marzo 1987 e la modifica della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6; l’interpretazione del nuovo testo nella giurisprudenza di legittimità.
In questo rinnovato contesto, è stato modificato l’art. 5, comma 6 dalla L. n. 74 del 1987, art. 10 nel modo che segue:
“Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. La sentenza deve stabilire anche un criterio di adeguamento automatico dell’assegno, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria. Il tribunale può, in caso di palese iniquità, escludere la previsione con motivata decisione. Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico.
I coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione perso¬nale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria. L’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze.
Il coniuge, al quale non spetti l’assistenza sanitaria per nessun altro titolo, conserva il diritto nei confronti dell’ente mutualistico da cui sia assistito l’altro coniuge. Il diritto si estingue se egli passa a nuove nozze.
Il confronto testuale con la formulazione originaria della norma pone immediatamente in luce alcune differenze:
a) il rilievo dell’indagine comparativa dei redditi e dei patrimoni degli ex coniugi, fondato sull’obbligo di depo¬sito dei documenti fiscali delle parti e sull’attribuzione di poteri istruttori officiosi al giudice in precedenza non esistenti in funzione dell’effettivo accertamento delle condizioni economico patrimoniali delle parti, nella fase conclusiva della relazione matrimoniale;
b) l’accorpamento di tutti gli indicatori che compongono rispettivamente il criterio assistenziale (“le condizioni dei coniugi” ed “il reddito di entrambi”), quello compensativo (“il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune”) e quello risarcitorio (“le ragioni della decisione”) nella prima parte della norma, come fattori di cui si deve “tenere conto” nel disporre sull’assegno di divorzio;
c) la condizione (che costituisce l’innovazione più significativa, perché assente nella precedente formulazione della norma) dell’insussistenza di mezzi adeguati e dell’impossibilità di procurarli per ragioni obiettive, in capo all’ex coniuge che richieda l’assegno.
La rigida bipartizione tra criteri attributivi e determinativi, sorta per delineare più specificamente e rigorosamen¬te i parametri sulla base dei quali disporre l’an ed il quantum dell’assegno di divorzio, e la ricerca del parametro dell’adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi al di fuori degli indicatori contenuti nell’art. 5, comma 6, novellato, raggruppati nella prima parte della stessa, non costituisce una conseguenza necessaria della nuova formulazione della norma. In primo luogo, come nella versione originaria, il legislatore impone di “tenere conto” dei fattori che compongono i tre criteri, fornendone, rispetto alla formulazione antevigente un’elencazione completa. In secondo luogo nella norma s’introducono, al fine di sottolineare il rilievo indefettibile dell’indagine, poteri istrut¬tori officiosi in capo al giudice del merito in ordine all’accertamento delle condizioni economico-patrimoniali di entrambe le parti, tanto da imporre l’obbligo di produrre la documentazione fiscale fin dagli atti introduttivi del giudizio. Proprio in virtù delle due nuove caratteristiche di questa fase istruttoria (previsione ex lege di produ¬zione della documentazione fiscale e poteri officiosi d’indagine), deve ritenersi che essa costituisca, per tutte le controversie nelle quali si discuta dell’assegno di divorzio, un accertamento ineludibile rivolto ad entrambe le parti, con la conseguenza che la conoscenza comparativa di tali condizioni costituisce, secondo quanto risulta dall’esame testuale della norma, pregiudiziale a qualsiasi successiva indagine sui presupposti dell’assegno. In terzo luogo, il dato testuale dal quale è scaturita l’opzione interpretativa della netta bipartizione tra an e quan¬tum e della individuazione del parametro dell’adeguatezza dei mezzi al di fuori degli indicatori contenuti nella norma, non presenta l’univocità che gli orientamenti, ancorché contrapposti, in ordine al metro di valutazione dell’adeguatezza dei mezzi, hanno voluto ravvisarvi. La norma stabilisce, nell’ultima parte del primo periodo, che l’obbligo per un coniuge di “somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno (di divorzio n.d.r.)” sorge quando il richiedente non ha mezzi adeguati e non può procurarseli per ragioni oggettive, ma il periodo si apre con la prescrizione espressa e completa dei criteri di cui il giudice deve tenere conto, valutandone il peso in relazione alla durata del matrimonio quando dispone sull’assegno di divorzio.
Al fine di comprendere le ragioni dell’affermazione dell’opzione ermeneutica che ha dato luogo al contrasto di orientamenti su cui si fonda l’intervento delle S.U., deve rilevarsi che il dibattito che ha accompagnato la nascita della novella legislativa, si era incentrato su una netta contrapposizione di posizioni. Da un lato si sosteneva la necessità di ancorare il diritto all’assegno di divorzio esclusivamente all’accertamento di una condizione di non autosufficienza economica, variamente declinata come autonomia od indipendenza economica, od anche capaci¬tà idonea a consentire un livello di vita dignitoso, dall’altro si poneva in luce come la comparazione delle condi¬zioni economico-patrimoniali delle parti non potesse dirsi esclusa dall’accertamento rimesso al giudice di merito, essendo una delle novità introdotte dalla novella proprio l’attribuzione di poteri istruttori officiosi all’organo giudicante, oltre al rilievo, del tutto attuale, della sostanziale marginalizzazione degli indici contenuti nella prima parte della norma, ove l’accertamento fosse esclusivamente incentrato sulla condizione economico patrimoniale del creditore. Le S.U. con la sentenza n.11490 del 1990 hanno ritenuto centrali questi ultimi profili, dando vita ad un orientamento, rimasto fermo per un trentennio, fino al mutamento determinato dalla sentenza n. 11504 del 2017. Nella sentenza del 1990 hanno affermato che l’assegno ha carattere esclusivamente assistenziale dal momento che il presupposto per la sua concessione deve essere rinvenuto nell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza degli stessi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. E’ stato però chiarito che non è necessario l’accertamento di uno stato di bisogno, assumendo rilievo, invece, l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali de¬vono essere tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio. I criteri indicati nella prima parte della norma hanno funzione esclusivamente determinativa dell’assegno, da attribuirsi, tuttavia, sulla base dell’e¬sclusivo parametro dell’inadeguatezza dei mezzi. Ove sussista tale presupposto, la liquidazione in concreto deve essere effettuata in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri enunciati dalla legge (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), con riguardo al momento della pronuncia di divorzio.
A questo consolidato orientamento si è di recente contrapposto quello affermato dalla sentenza n. 11504 del 2017 che, pur condividendo la premessa sistematica relativa alla rigida distinzione tra criterio attributivo e deter¬minativo, ha individuato come parametro dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, la non autosufficienza economica dello stesso ed ha stabilito che solo all’esito del positivo accertamento di tale presupposto possano essere esaminati in funzione ampliativa del quantum i criteri determinativi dell’assegno indicati nella prima parte della norma.
Entrambe le sentenze si sono richiamate ai lavori preparatori della nuova legge. In particolare, la recente sen¬tenza n. 11504 del 2017 ha valorizzato un passaggio contenuto nella relazione accompagnatoria della novella, dal quale poteva desumersi che l’intentio legis fosse quella di limitare l’accertamento sull’an debeatur alle condi¬zioni economico-patrimoniali del creditore-richiedente l’assegno, ma si deve obiettare a questa argomentazione, per un verso, l’intrinseca ambiguità dell’intentio legis e dall’altro che il testo della norma, come ricordato nella sentenza delle S.U. n. 11490 del 1990, ha subito un significativo mutamento rispetto a quello predisposto dalla Commissione Giustizia del Senato, nel quale l’adeguatezza dei mezzi era correlata al conseguimento di un digni¬toso mantenimento, disancorato da quello goduto in costanza di matrimonio.
8.2.1. L’interpretazione dell’art. 5, comma 6, novellato, nella giurisprudenza di legittimità.
La lettura del nuovo testo della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, non offre indicazioni applicative univoche, in ordine all’esatta determinazione del sintagma “mezzi adeguati” non essendo espressamente precisato quale sia il parametro di riferimento cui ancorare il giudizio di adeguatezza.
Questa indeterminatezza ha dato luogo a due orientamenti contrapposti, ancorché entrambi fondati sull’esi¬genza di limitare la discrezionalità dei giudici di merito, ai quali era lasciata la comparazione, la selezione e, in concreto la graduazione della rilevanza dei tre criteri (assistenziale, compensativo e risarcitorio) contenuti nella norma. In particolare, sia l’orientamento della sentenza n. 1652 del 1990, che legava l’adeguatezza dei mezzi al conseguimento di un’esistenza libera e dignitosa, intesa come autonomia ed indipendenza economica da va¬lutarsi prescindendo dalle condizioni di vita matrimoniale e senza un accertamento comparativo della situazione economico-patrimoniale delle parti al momento dello scioglimento del vincolo, sia l’orientamento opposto (Cass. 1322 del 1989 e 2799 del 1990) fatto proprio dalla sentenza delle S.U. 11540 del 1990, secondo il quale l’inade¬guatezza dei mezzi deve riconoscersi quando il richiedente non abbia mezzi adeguati per conseguire un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di rapporto coniugale, partono da un postulato ermeneutico comune dell’art. 5, comma 6 novellato. Entrambi gli orientamenti, forti anche di sostegno dottrinale, ritengono che la norma imponga una distinzione tra il criterio attributivo dell’assegno, di natura assistenziale, e gli altri, mera-mente determinativi. Il legislatore, avendo condizionato l’obbligo di somministrare periodicamente (od in un’u¬nica soluzione) l’assegno di divorzio all’accertamento sull’inadeguatezza dei mezzi e sull’impossibilità oggettiva di procurarli, avrebbe inteso separare nettamente il piano assistenziale da quello compensativo e risarcitorio.
A questa premessa unitaria si aggiunge, l’ulteriore profilo comune costituito dal rinvenimento del parametro dell’adeguatezza/inadeguatezza al di fuori degli indicatori contenuti nella norma. Entrambi i parametri, il te¬nore di vita matrimoniale (specie se potenziale) e l’autonomia od indipendenza economica (anche nella nuova versione dell’autosufficienza economica, introdotta dalla sentenza n. 11504 del 2017) sono esposti al rischio dell’astrattezza e del difetto di collegamento con l’effettività della relazione matrimoniale. Tale collegamento diventa meramente eventuale ove si assuma come parametro l’autosufficienza economica ma può perdere di rilievo anche con l’ancoraggio al tenore di vita ove questo criterio venga assunto esclusivamente sulla base della comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti e, dunque valutando la potenzialità e non l’ef¬fettività delle condizioni di vita matrimoniale.
Le due parti della norma sono state interpretate in modo dicotomico pur essendo legate da un nesso di dipen¬denza logica testuale che ne impone un esame esegetico unitario. Il giudice dispone sull’assegno di divorzio in relazione all’inadeguatezza dei mezzi ma questa valutazione avviene tenuto conto dei fattori indicati nella prima parte della norma. La scissione tra le due parti della norma e quella conseguente tra i criteri attributivi e determi¬nativi, può condurre ad escludere nella prevalenza dei casi, l’esame degli indicatori la cui valutazione è imposta dall’art. 5, comma 6, oltre che dal contesto costituzionale e convenzionale di riferimento nel quale deve essere inquadrato il diritto all’assegno di divorzio quando ne ricorrano le condizioni.
9. L’ESAME COMPARATIVO DEI DUE ORIENTAMENTI.
Esaminati gli aspetti che accomunano i due orientamenti occorre rilevarne le ragioni di forte contrapposizione che li contraddistinguono.
Preliminarmente è necessario evidenziare che l’orientamento fissato nella sentenza n. 11490 del 1990, è stato costantemente seguito dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, ancorché con adattamenti determinati dal¬le esigenze concrete che di volta in volta si sono prospettate. In particolare, l’astrattezza del criterio del tenore di vita, anche solo potenzialmente, tenuto durante la relazione matrimoniale è stata temperata tanto in funzione della durata del rapporto, (Cass. 7295 del 2013; 6164 del 2015), per cui la estrema limitatezza temporale della relazione coniugale può determinare l’azzeramento del diritto all’assegno, quanto in funzione della creazione di un nuovo nucleo relazionale, caratterizzato dalla convivenza e dalla condivisione della vita quotidiana (c.d. fa¬miglia di fatto), essendo tale circostanza ritenuta, (Cass. 6455 del 2015; 2466 del 2016) fattore definitivamente impeditivo del riconoscimento del diritto dell’assegno.
Tuttavia, nonostante i criteri determinativi possano, in concreto, incidere sull’entità dell’assegno, come fattori limitativi, deve condividersi il duplice rilievo critico che viene mosso al parametro del tenore di vita goduto o fruibile nel corso della relazione coniugale. Il primo rilievo riguarda l’assoluta preminenza della comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei coniugi nel giudizio sul diritto all’assegno. Questa valutazione, ove costituisca il fattore determinante l’an debeatur dell’assegno, non può sottrarsi a forti rischi di locupletazione ingiustificata dell’ex coniuge richiedente in tutte quelle situazioni in cui egli possa godere comunque non solo di una posizione economica autonoma ma anche di una condizione di particolare agiatezza oppure quando non abbia significativamente contribuito alla formazione della posizione economico-patrimoniale dell’altro ex coniu¬ge. I criteri determinativi, ed in particolare quello relativo all’apporto fornito dall’ex coniuge nella conduzione e nello svolgimento della complessa attività endofamiliare, cui il Collegio ritiene di attribuire primaria e peculia¬re importanza, risultano marginalizzati, con conseguente ingiustificata sottovalutazione dell’autoresponsabilità. Tale aspetto costituisce, invece, uno dei cardini delle scelte individuali e relazionali, sia nelle situazioni analoghe a quella sopradescritta, sia nelle situazioni opposte, caratterizzate da condizioni economico-patrimoniali che presentino uno squilibrio nella valutazione comparativa, nelle quali la situazione di disparità economico-patrimo¬niale, riscontrabile alla fine del rapporto, sia il frutto esclusivo o prevalente delle scelte adottate dai coniugi in ordine ai ruoli ed al contributo di ciascuno alla vita familiare. In questa peculiare situazione, peraltro molto fre¬quente, il criterio compensativo non può essere esclusivamente un fattore di moderazione, dovendosene tenere conto al pari degli altri elementi alla luce dell’inquadramento costituzionale delle ragioni giustificative del diritto all’assegno di divorzio, così come fattori quali la salute o l’età in relazione alle capacità lavorativo-professionali e di produzione di reddito. Gli indicatori contenuti nella L. n. 898 del 1978, art. 5, comma 6, prima parte, han¬no un contenuto perequativo-compensativo che la preminenza assoluta della comparazione quantitativa tra le condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi rischia di offuscare. Tuttavia, il rischio di trascurare del tutto i predetti indicatori, è ancora più incisivo alla luce dell’opposto orientamento, già preesistente e consacrato nella sentenza n. 1564 del 1990 ma, di recente, riaffermato, ed arricchito di rilievi critici e di nuovi elementi di valu¬tazione giuridici e metagiuridici, con la sentenza n. 11504 del 2017.
La ragione di fondo, espressa nella motivazione di quest’ultima pronuncia che ha dato luogo alla modifica del consolidato orientamento giurisprudenziale in ordine al criterio attributivo dell’assegno di divorzio, risiede nell’in¬dicata inattualità del precedente orientamento e nella sua inadeguatezza rispetto ad una mutata valorizzazione delle scelte personali e delle loro conseguenze sotto il profilo dell’autoresponsabilità, da valutarsi nel contesto costituzionale all’interno del quale tali scelte e la loro protezione giuridica si collocano.
L’opzione di fondo della pronuncia coglie un elemento di rilievo ma ne trascura altri. L’autodeterminazione indi¬viduale e la libertà di scegliere il percorso da imprimere alla propria esistenza costituisce certamente un valore assiologico portante nel sistema dei diritti della persona, ma è necessario che la declinazione di questo profilo dinamico dell’autodeterminazione sia effettiva ovvero non sia sconnessa dall’altro profilo fondante, quello della dignità personale, atteso che la libertà di scegliere e di determinarsi è eziologicamente condizionata dalla pos¬sibilità concreta di esercitare questo diritto. Per questa ragione, i diritti inviolabili della persona sono vivificati nella nostra Costituzione dal principio di effettività che permea l’art. 3 Cost.. Alla luce di tale specifico richiamo, devono essere posti in rilievo alcuni elementi che anche il legislatore, nella composita indicazione di fattori incidenti sull’assegno di divorzio ha inteso valorizzare. In primo luogo deve sottolinearsi che con la cessazione dell’unione matrimoniale si realizza, nella prevalenza delle situazioni concrete, un depauperamento di entrambi gli ex coniugi e si crea uno squilibrio economico-patrimoniale conseguente a tale determinazione.
I ruoli all’interno della relazione matrimoniale costituiscono un fattore, molto di frequente, decisivo nella defini¬zione dei singoli profili economico-patrimoniali post matrimoniali e sono frutto di scelte comuni fondate sull’au¬todeterminazione e sull’autoresponsabilità di entrambi i coniugi all’inizio e nella continuazione della relazione matrimoniale. Inoltre, non può trascurarsi, per la ricchezza ed univocità dei riscontri statistici al riguardo, la perdurante situazione di oggettivo squilibrio di genere nell’accesso al lavoro, tanto più se aggravata dall’età.
La valutazione svolta nella sentenza n. 11504 del 2017 è rilevante ma incompleta, in quanto non radicata sui fattori oggettivi e interrelazionali che determinano la condizione complessiva degli ex coniugi dopo lo sciogli¬mento del vincolo.
Lo stesso limite dell’incompletezza si deve rilevare in ordine alla ratio posta a sostegno del criterio attributivo dell’assegno di divorzio, individuato nella carenza di autosufficienza economica della parte richiedente. Solo que¬sto parametro viene ritenuto coerente con i principi di autodeterminazione ed autoresponsabilità che permeano la solidarietà post coniugale, su cui, in via esclusiva, si rinviene il fondamento dell’assegno. Il sostegno costitu¬zionale della ratio solidaristica viene desunto dall’art. 2 Cost. e dall’art. 23 Cost.. La garanzia costituzionale della riserva di legge in ordine al prelievo fiscale ed ad ogni forma di obbligo tributario anche inteso in senso lato, risulta del tutto estraneo al contesto giuridico-costituzionale all’interno del quale deve collocarsi la cd. solidarietà post coniugale, riguardando esclusivamente la relazione tra il cittadino-contribuente e l’autorità statuale o pub¬blica in senso ampio. Essa tuttavia costituisce la premessa coerente del contenuto riduttivo che nella pronuncia si attribuisce al principio di autodeterminazione ed autoresponsabilità, ancorché formalmente ancorati all’art. 2 Cost.. Della norma costituzionale viene, tuttavia, azzerata la parte, di primaria importanza, che colloca il princi¬pio di autodeterminazione all’interno delle formazioni sociali nelle quali si sviluppa la personalità dell’individuo.
La giurisprudenza costituzionale ha, del resto, ancorato proprio all’art. 2 Cost. ed alla dignità costituzionale che assume la modalità relazionale nello sviluppo della personalità umana, il fondamento costituzionale delle unioni e delle convivenze di fatto (Corte Cost. n. 404 del 1988; 559 del 1989) estendendo ad esse, strumenti di tutela propri dell’unione matrimoniale (diritto a succedere nella titolarità del rapporto di locazione etc.) mediante un processo di adeguamento incrementato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità (Cass. 12278 del 2011; 9178 del 2018). Lo stesso fondamento costituzionale è stato riconosciuto alle unioni omoaffettive (Corte Cost. n. 138 del 2010; Cass. 2184 del 2012) prima dell’entrata in vigore della L. n. 76 del 2016. La libertà di scelta e l’autoresponsabilità, che della libertà è una delle principali manifestazioni, costituiscono il fondamento costitu¬zionale dell’unione matrimoniale, una delle formazioni sociali che la Costituzione riconosce come modello rela¬zionale-familiare preesistente e tipizzato. Il canone dell’uguaglianza, posto a base dell’art. 29 Cost., può essere attuato e reso effettivo soltanto all’interno di una relazione governata da scelte che sono frutto di determinazioni assunte liberamente dai coniugi in particolare in ordine ai ruoli ed ai compiti che ciascuno di essi assume nella vita familiare. L’uguaglianza si coniuga indissolubilmente con l’autodeterminazione e determina la peculiarità della relazione coniugale così come declinata nell’art. 143 c.c., norma che ne costituisce la perfetta declinazione.
L’autodeterminazione non si esaurisce con la facoltà anche unilaterale di sciogliersi dal vincolo ma preesiste a tale determinazione e connota tutta la relazione ed, in particolare la definizione e la condivisione dei ruoli en¬dofamiliari. Ugualmente l’autoresponsabilità costituisce il cardine dell’intera relazione matrimoniale, su di essa fondandosi l’obbligo reciproco di assistenza e di collaborazione nella conduzione della vita familiare così come tratteggiati nell’art. 143 c.c..
Nella sentenza n. 11504 del 2017, invece, lo scioglimento del vincolo coniugale, comporta una netta soluzione di continuità tra la fase di vita successiva e quella anteriore. L’autodeterminazione e l’autoresponsabilità costitui¬scono la giustificazione di questa radicale cesura e vengono assunti come principi informatori dei residui, limitati effetti, della cessata relazione coniugale. La previsione legislativa relativa all’assegno di divorzio, alle condizioni previste dalla legge, viene ritenuta prescrizione di carattere eccezionale e derogatorio, in relazione al riacquisto dello stato libero realizzato con il divorzio. All’assegno viene, di conseguenza, riconosciuta una natura giuridica strettamente ed esclusivamente assistenziale, rigidamente ancorata ad una condizione di mancanza di autono¬mia economica, da valutare in considerazione della condizione soggettiva del richiedente, del tutto svincolata dalla relazione matrimoniale ed unicamente orientata, per il presente e per il futuro, dalle scelte e responsabilità individuali. Si deve osservare, tuttavia, che questa impostazione, pur condivisibile nella parte in cui coglie la potenzialità deresponsabilizzante del parametro del tenore di vita, omette di considerare che i principi di auto¬determinazione ed autoresponsabilità hanno orientato non solo la scelta degli ex coniugi di unirsi in matrimonio ma, ciò che è più rilevante ai fini degli effetti conseguenti al suo scioglimento così come definiti nella L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, hanno determinato il modello di relazione coniugale da realizzare, la definizione dei ruoli, il contributo di ciascun coniuge all’attuazione della rete di diritti e doveri fissati dall’art. 143 c.c. La conduzione della vita familiare è il frutto di decisioni libere e condivise alle quali si collegano doveri ed obblighi che imprimo¬no alle condizioni personali ed economiche dei coniugi un corso, soprattutto in relazione alla durata del vincolo, anche irreversibile. Alla reversibilità della scelta relativa al legame matrimoniale non consegue necessariamente una correlata duttilità e flessibilità in ordine alle condizioni soggettive e alla sfera economico patrimoniale dell’ex coniuge al momento della cessazione dell’unione matrimoniale.
Il legislatore è stato largamente consapevole del forte condizionamento che il modello di relazione matrimoniale prescelto dai coniugi può determinare sulla loro condizione economico-patrimoniale successiva allo scioglimento. Per questa ragione ha imposto al giudice di “tenere conto” di una serie d’indicatori che sottolineano il significato del matrimonio come atto di libertà e di auto responsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comu¬nione di vita. Queste declinazioni del modello costituzionale dell’unione coniugale, incentrata sulla pari dignità dei ruoli che i coniugi hanno svolto nella relazione matrimoniale, non possono entrare in via esclusivamente eventuale nella valutazione che il giudice deve effettuare quando dispone sull’assegno di divorzio. La relazione coniugale è orientata fin dall’inizio dai principi di libertà ed autoresponsabilità ed il legislatore ha inteso valoriz¬zare la funzione conformativa di questi principi nel regime giuridico dell’unione matrimoniale anche in relazione agli effetti che possono conseguire dopo lo scioglimento del vincolo, senza incidere sulla efficacia solutoria di tale determinazione, volta al riacquisto dello stato libero ma anche senza azzerare l’esperienza della relazione coniugale alla quale si dà forte rilevanza nella norma che prefigura gli effetti di natura economica che conseguo¬no al divorzio.
L’immanenza del principio di autoresponsabilità risulta cristallizzata nei criteri fissati nell’incipit dell’art. 5, com¬ma 6, individuati dal legislatore nelle condizioni dei coniugi, nelle ragioni della decisione, nel contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, nel reddito di entrambi, nella durata del matrimonio e, di conseguenza non può essere mai tenuta fuori dall’accertamento del diritto alla corresponsione di un assegno divorzile.
Nell’orientamento affermato dalle S.U. n. 11490 del 1990, la comparazione delle condizioni economico-patrimo¬niali degli ex coniugi conduceva sia pure in modo riflesso a tenere conto dei criteri determinativi, ma in funzione esclusivamente limitativa dell’astratta quantificazione dell’assegno fondata sul parametro del tenore di vita. Nell’orientamento più recente, tali ultimi criteri, ed in particolare quello, direttamente conseguente dal princi¬pio costituzionale della pari dignità dei coniugi, relativo al contributo dato da ciascuno di essi nella conduzione della vita familiare e nella formazione del patrimonio comune e di ciascuno, diventano meramente eventuali prospettandosi sostanzialmente una lettura dell’art. 5, comma 6 abrogatrice della prima parte, in quanto l’op¬zione ermeneutica prescelta è fondata sul rilievo nettamente preminente se non esclusivo del criterio attributivo dell’assegno.
10. LA SOLUZIONE INTERPRETATIVA ADOTTATA.
Le rilevanti modificazioni sociali che hanno inciso sulla rappresentazione simbolica del legame matrimoniale e sulla disciplina giuridica dell’istituto, sia per l’attribuzione a ciascuno dei coniugi del diritto unilaterale di scioglier¬si dal vincolo sia per la natura di scelta libera e responsabile che caratterizza la decisione di unirsi in matrimonio, hanno determinato l’esigenza di valutare criticamente il criterio attributivo dell’assegno cristallizzato nella sen¬tenza delle S.U. n. 11490 del 1990, soprattutto in relazione al rischio di creare rendite di posizione disancorate dal contributo personale dell’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune o dell’altro ex coniu¬ge, ed a quello connesso della deresponsabilizzazione conseguente all’adozione di un criterio fondato solo sulla comparazione delle condizioni economico-patrimoniale delle parti. Rimangono fermi, tuttavia, i rilevi formulati alla soluzione radicalmente opposta proposta da Cass. 11504 del 2017.
Al fine d’indicare un percorso interpretativo che tenga conto sia dell’esigenza riequilibratrice posta a base dell’o¬rientamento proposto dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 11490 del 1990 sia della necessità di attualizzare il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio anche in relazione agli standards europei, questa Corte ritiene di dover abbandonare la rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell’assegno di divorzio, alla luce di una interpretazione dell’art. 5, comma 6, più coerente con il quadro costituzionale di riferimento costituito, come già evidenziato, dagli artt. 2, 3 e 29 Cost..
Giova premettere che l’inclusione dell’art.29 Cost. nell’orizzonte in cui deve collocarsi l’interpretazione dell’art. 5, comma 6, deriva anche dalla sentenza della Corte Cost. n. 11 del 2015, sollecitata proprio in sede di denunzia d’illegittimità costituzionale del criterio attributivo dell’assegno di divorzio costituito dal tenore di vita goduto durante il matrimonio.
Questo richiamo diretto al modello costituzionale del matrimonio, fondato sui principi di uguaglianza, pari dignità dei coniugi, libertà di scelta, reversibilità della decisione ed autoresponsabilità sono stati tenuti in primaria consi¬derazione dal legislatore in sede di definizione degli effetti economico patrimoniali conseguenti allo scioglimento del vincolo.
L’art. 5, comma 6 attribuisce all’assegno di divorzio una funzione assistenziale, riconoscendo all’ex coniuge il diritto all’assegno di divorzio quando non abbia mezzi “adeguati” e non possa procurarseli per ragioni obiettive. Il parametro dell’adeguatezza ha, tuttavia, carattere intrinsecamente relativo ed impone una valutazione com¬parativa che entrambi gli orientamenti illustrati traggono al di fuori degli indicatori contenuti nell’incipit della norma, così relegando ad una funzione residuale proprio le caratteristiche dell’assegno di divorzio fondate sui principi di libertà, autoresponsabilità e pari dignità desumibili dai parametri costituzionali sopra illustrati e dalla declinazione di essi effettuata dall’art. 143 c.c..
L’intrinseca relatività del criterio dell’adeguatezza dei mezzi e l’esigenza di pervenire ad un giudizio comparativo desumibile proprio dalla scelta legislativa, non casuale, di questo peculiare parametro inducono ad un’esegesi dell’art. 5, comma 6, diversa da quella degli orientamenti passati. Il fondamento costituzionale dei criteri indicati nell’incipit della norma conduce ad una valutazione concreta ed effettiva dell’adeguatezza dei mezzi e dell’inca¬pacità di procurarseli per ragioni oggettive fondata in primo luogo sulle condizioni economico-patrimoniali delle parti, da accertarsi anche utilizzando i poteri istruttori officiosi attribuiti espressamente al giudice della famiglia a questo specifico scopo. Tale verifica è da collegare causalmente alla valutazione degli altri indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, al fine di accertare se l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettati¬ve professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in relazione alla durata, fattore di cruciale importanza nella valutazione del contributo di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell’altro coniuge, oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali valutabili alla conclusione della relazione matrimoniale, anche in relazione all’età del coniuge richiedente ed alla conformazione del mercato del lavoro.
Il richiamo all’attualità, avvertito dalla sentenza n. 11504 del 2017, in funzione della valorizzazione dell’autore¬sponsabilità di ciascuno degli ex coniugi deve, pertanto, dirigersi verso la preminenza della funzione equilibra¬trice-perequativa dell’assegno di divorzio. Il principio di solidarietà, posto a base del riconoscimento del diritto, impone che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi ed all’incapacità di procurarseli per ragioni og¬gettive sia saldamente ancorato alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli endofamiliari. L’accertamento del giudice non è conseguenza di un’inesistente ultrattività dell’unione matrimoniale, definitivamente sciolta tanto da determinare una modifica irreversibile degli status personali degli ex coniugi, ma della norma regolatrice del diritto all’assegno, che conferisce rilievo alle scelte ed ai ruoli sulla base dei quali si è impostata la relazione co¬niugale e la vita familiare. Tale rilievo ha l’esclusiva funzione di accertare se la condizione di squilibrio economico patrimoniale sia da ricondurre eziologicamente alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari, in relazione alla durata del matrimonio e all’età del richiedente. Ove la disparità abbia questa radice causale e sia accertato che lo squilibrio economico patrimoniale conseguente al divorzio derivi dal sacrificio di aspettative professionali e reddituali fondate sull’assunzione di un ruolo consumato esclusivamente o prevalentemente all’interno della fa¬miglia e dal conseguente contribuito fattivo alla formazione del patrimonio comune e a quello dell’altro coniuge, occorre tenere conto di questa caratteristica della vita familiare nella valutazione dell’inadeguatezza dei mezzi e dell’incapacità del coniuge richiedente di procurarseli per ragioni oggettive. Gli indicatori, contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, prefigurano una funzione perequativa e riequilibratrice dell’assegno di divorzio che permea il principio di solidarietà posto a base del diritto.
Il giudizio di adeguatezza impone una valutazione composita e comparativa che trova nella prima parte della norma i parametri certi sui quali ancorarsi. La situazione economico-patrimoniale del richiedente costituisce il fondamento della valutazione di adeguatezza che, tuttavia, non va assunta come una premessa meramente fenomenica ed oggettiva, svincolata dalle cause che l’hanno prodotta, dovendo accertarsi se tali cause siano riconducibili agli indicatori delle caratteristiche della unione matrimoniale così come descritti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, i quali, infine, assumono rilievo direttamente proporzionale alla durata del matrimonio. Solo mediante una puntuale ricomposizione del profilo soggettivo del richiedente che non trascuri l’incidenza della relazione matrimoniale sulla condizione attuale, la valutazione di adeguatezza può ritenersi effettivamente fon¬data sul principio di solidarietà che, come illustrato, poggia sul cardine costituzionale fondato della pari dignità dei coniugi. (artt. 2, 3 e 29 Cost.).
Il parametro dell’adeguatezza contiene in sé una funzione equilibratrice e non solo assistenziale-alimentare. Il rilievo del profilo perequativo non si fonda su alcuna suggestione criptoindissolubilista (l’espressione è stata usata nell’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale che ha dato luogo alla sentenza n. 11 del 2015), ma esclu¬sivamente sul rilievo che tale principio assume nella norma regolativa dell’assegno. La piena ed incondizionata reversibilità del vincolo coniugale non esclude il rilievo pregnante che questa scelta, unita alle determinazioni co¬muni assunte in ordine alla conduzione della vita familiare, può imprimere sulla costruzione del profilo personale ed economico-patrimoniale dei singoli coniugi, non potendosi trascurare che l’impegno all’interno della famiglia può condurre all’esclusione o limitazione di quello diretto alla costruzione di un percorso professionale-reddituale.
Ne consegue che la funzione assistenziale dell’assegno di divorzio si compone di un contenuto perequativo-com¬pensativo che discende direttamente dalla declinazione costituzionale del principio di solidarietà e che conduce al riconoscimento di un contributo che, partendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei due coniugi, deve tener conto non soltanto del raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza, secondo un parametro astratto ma, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative profes¬sionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell’età del richiedente. Il giudizio di adeguatezza ha, pertanto, anche un contenuto prognostico riguardante la concreta possibilità di recuperare il pregiudizio professionale ed economico derivante dall’assunzione di un impegno diver¬so. Sotto questo specifico profilo il fattore età del richiedente è di indubbio rilievo al fine di verificare la concreta possibilità di un adeguato ricollocamento sul mercato del lavoro.
L’eliminazione della rigida distinzione tra criterio attributivo e criteri determinativi dell’assegno di divorzio e la conseguente inclusione, nell’accertamento cui il giudice è tenuto, di tutti gli indicatori contenuti nell’art. 5, comma 6 in posizione equiordinata, consente, in conclusione, senza togliere rilevanza alla comparazione della situazione economico-patrimoniale delle parti, di escludere i rischi d’ingiustificato arricchimento derivanti dalla adozione di tale valutazione comparativa in via prevalente ed esclusiva, ma nello stesso tempo assicura tutela in chiave perequativa alle situazioni, molto frequenti, caratterizzate da una sensibile disparità di condizioni economico-patrimoniali ancorché non dettate dalla radicale mancanza di autosufficienza economica ma piuttosto da un disli¬vello reddituale conseguente alle comuni determinazioni assunte dalle parti nella conduzione della vita familiare.
11. IL QUADRO COMPARATISTICO EUROPEO ED EXTRAEUROPEO.
La soluzione prospettata è largamente coerente con il quadro della legislazione dei paesi dell’Unione europea. Il confronto, pur non essendo la materia ne’ di competenza dell’Unione Europea ne’ oggetto di diversa discipli¬na convenzionale, non può essere eluso, in considerazione della natura dei diritti in gioco e della composizione del principio solidaristico ad essi sottesi. La comparazione con alcuni ordinamenti europei (in particolare quello francese e tedesco) evidenzia, in particolare, la natura specificamente perequativo-compensativa attribuita all’as¬segno di divorzio correlata alla previsione della temporaneità dell’obbligo in quanto prevalentemente finalizzato a colmare la disparità economico patrimoniale determinatasi con lo scioglimento del vincolo. Possono, tuttavia, porsi in luce alcuni principi comuni, posti in luce dai lavori svolti dalla Commissione Europea del diritto di famiglia (C.E.F.L.), sorta al fine di armonizzare i principi che regolano il diritto di famiglia in considerazione della compe¬tenza del diritto dell’Unione Europea in ordine alla giurisdizione, al riconoscimento ed alla circolazione delle deci¬sioni in materia di scioglimento dell’unione coniugale e responsabilità genitoriale. Si è riscontrata, in particolare, la tendenziale eliminazione del divorzio per colpa che, anche all’interno del nostro ordinamento, trova riscontro nella progressiva riduzione dell’importanza del c.d. criterio risarcitorio fin dall’accertamento dell’addebito in sede di separazione; la natura consensuale del divorzio e la preminenza del principio di autoresponsabilità anche in sede di regolazione dell’assegno le cui caratteristiche sono da cogliere nell’ancoraggio ad un criterio perequativo-assi¬stenziale in funzione di riequilibrio della posizione dell’ex coniuge più svantaggiato (sistema francese); nel favor verso un sistema di riequilibrio economico-patrimoniale realizzato con la ripartizione pregressa delle risorse e del patrimonio familiare cui consegue l’eccezionalità dell’assegno di divorzio (sistema tedesco) ed infine nella tempo¬raneità della disposizione, in quanto finalizzata alla ricomposizione di un quadro di parità economico patrimoniale.
Sia le linee di tendenza comuni che le differenze di regime giuridico sono ispirate dal medesimo obiettivo della pari dignità degli ex coniugi. In questa priorità si coglie l’esclusivo elemento di continuità tra i postulati costitu¬zionali dell’unione matrimoniali e la finalità dell’assegno di divorzio.
La conferma della centralità del principio di uguaglianza effettiva tra i coniugi anche alla luce dell’esame compa¬ratistico delle legislazioni di paesi occidentali trova riscontro effettivo nel VII Protocollo addizionale alla Conven¬zione Europea dei Diritti Umani, nell’art. 5. Nella norma viene stabilito che: “I coniugi godono dell’uguaglianza di diritti e di responsabilità di carattere civile tra di essi e nelle loro relazioni con i loro figli riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e in caso di suo scioglimento. Il presente articolo non impedisce agli Stati di adottare le misure necessarie nell’interesse dei figli”.
Il principio è un’evoluzione di quanto già contenuto nell’art. 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani proclamata il 10 dicembre 1948. Nell’articolo è indicato che uomini e donne hanno eguali diritti riguardo al ma¬trimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento.
Emerge, in conclusione, corrispondenza tra la collocazione dell’assegno di divorzio nell’alveo degli artt. 2, 3 e 29 Cost. con la conseguente preminenza della funzione perequativa ad esso attribuibile ed il quadro europeo e con¬venzionale di riferimento. Gli elementi che appaiono in contrasto con tale quadro, ovvero l’eccezionalità del ricorso all’assegno e la temporaneità dello stesso non scalfiscono la comune provenienza dal principio di parità effettiva.
In particolare la mancanza di temporaneità trova puntuale correttivo nel meccanismo legislativo della revisione delle condizioni della sentenza di divorzio in presenza di fatti sopravvenuti mentre il riconoscimento dell’assegno per importi poco elevati ed in unzione perequativa riguarda una percentuale molto modesta delle controversie in tema di divorzio. L’attenzione deve rivolgersi, al fine di rendere effettiva la funzione perequativa dell’assegno al rigoroso accertamento probatorio dei fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale conseguente allo scioglimento del vincolo, dovendo trovare giustificazione causale negli indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6 ed in particolare nel contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge. Di tale contributo la parte richiedente deve for¬nire la prova con ogni mezzo anche mediante presunzioni. Del superamento della disparità determinata dalle cause sopraindicate, la parte che chiede la riduzione o la eliminazione dell’assegno posto originariamente a suo carico, deve fornire la prova contraria. La sostanziale assenza di preclusioni, salvo l’allegazione di mutamenti di fatto, nel procedimento di revisione, rende reversibile e modificabile sine die la determinazione originaria in ordine all’assegno di divorzio, escludendo anche sotto tale profilo, i rischi della c.d. cripto indissolubilità.
12. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.
Si ritiene utile, prima di procedere alla decisione riguardante il primo motivo di ricorso, fornire un quadro sin¬tetico conclusivo dei principi relativi alla individuazione dei criteri sulla base dei quali può essere riconosciuto il diritto all’assegno di divorzio.
Si deve premettere una considerazione di carattere fattuale. La determinazione e l’attuazione della scelta di sciogliere l’unione matrimoniale, determinano un deterioramento complessivo nelle condizioni di vita del coniuge meno dotato di capacità reddituali, economiche e patrimoniali proprie.
Il legislatore impone di accertare, preliminarmente, l’esistenza e l’entità dello squilibrio determinato dal divorzio mediante l’obbligo della produzione dei documenti fiscali dei redditi delle parti ed il potenziamento dei poteri istruttori officiosi attribuiti al giudice, nonostante la natura prevalentemente disponibile dei diritti in gioco. All’e¬sito di tale preliminare e doveroso accertamento può venire già in evidenza il profilo strettamente assistenziale dell’assegno, qualora una sola delle parti non sia titolare di redditi propri e sia priva di redditi da lavoro. Possono, tuttavia, riscontrarsi più situazioni comparative caratterizzate da una sperequazione nella condizione economico-patrimoniale delle parti, di entità variabile.
In entrambe le ipotesi, in caso di domanda di assegno da parte dell’ex coniuge economicamente debole, il parametro sulla base del quale deve essere fondato l’accertamento del diritto ha natura composita, dovendo l’inadeguatezza dei mezzi o l’incapacità di procurarli per ragioni oggettive essere desunta dalla valutazione, del tutto equiordinata degli indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, in quanto rivelatori della declinazione del principio di solidarietà, posto a base del giudizio relativistico e comparativo di adeguatezza. Pertanto, esclusa la separazione e la graduazione nel rilievo e nella valutazione dei criteri attributivi e determi¬nativi, l’adeguatezza assume un contenuto prevalentemente perequativo-compensativo che non può limitarsi né a quello strettamente assistenziale né a quello dettato dal raffronto oggettivo delle condizioni economico patrimoniali delle parti. Solo così viene in luce, in particolare, il valore assiologico, ampiamente sottolineato dalla dottrina, del principio di pari dignità che è alla base del principio solidaristico anche in relazione agli illustrati principi CEDU, dovendo procedersi all’effettiva valutazione del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio comune e alla formazione del profilo economico patrimoniale dell’altra parte, anche in relazione alle potenzialità future. La natura e l’entità del sopraindicato contributo è frutto delle decisioni comuni, adottate in sede di costruzione della comunità familiare, riguardanti i ruoli endofamiliari in relazione all’assolvimento dei doveri indicati nell’art. 143 c.c.. Tali decisioni costituiscono l’espressione tipica dell’autodeterminazione e dell’autoresponsabilità sulla base delle quali si fonda, ex artt. 2 e 29 Cost. la scelta di unirsi e di sciogliersi dal matrimonio.
Alla luce delle considerazioni svolte, ritiene il Collegio che debba essere prescelto un criterio integrato che si fondi sulla concretezza e molteplicità dei modelli familiari attuali. Se si assume come punto di partenza il profilo assistenziale, valorizzando l’elemento testuale dell’adeguatezza dei mezzi e della capacità (incapacità) di procu¬rarseli, questo criterio deve essere calato nel “contesto sociale” del richiedente, un contesto composito formato da condizioni strettamente individuali e da situazioni che sono conseguenza della relazione coniugale, specie se di lunga durata e specie se caratterizzata da uno squilibrio nella realizzazione personale e professionale fuori nel nucleo familiare. Lo scioglimento del vincolo incide sullo status ma non cancella tutti gli effetti e le conseguenze delle scelte e delle modalità di realizzazione della vita familiare. Il profilo assistenziale deve, pertanto, essere contestualizzato con riferimento alla situazione effettiva nella quale s’inserisce la fase di vita post matrimoniale, in particolare in chiave perequativa-compensativa. Il criterio attributivo e quello determinativo, non sono più in netta separazione ma si coniugano nel cd. criterio assistenziale-compensativo.
L’elemento contributivo-compensativo si coniuga senza difficoltà a quello assistenziale perché entrambi sono finalizzati a ristabilire una situazione di equilibrio che con lo scioglimento del vincolo era venuta a mancare. Il nuovo testo dell’art. 5 non preclude la formulazione di un giudizio di adeguatezza anche in relazione alle legittime aspettative reddituali conseguenti al contributo personale ed economico fornito da ciascun coniuge alla conduzio¬ne della vita familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno ed a quello comune. L’adeguatezza dei mezzi deve, pertanto, essere valutata, non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva ma anche in relazione a quel che si è contribuito a realizzare in funzione della vita familiare e che, sciolto il vincolo, produrreb¬be effetti vantaggiosi unilateralmente per una sola parte. Il superamento della distinzione tra criterio attributivo e criteri determinativi dell’assegno di divorzio non determina, infine, un incremento ingiustificato della discreziona¬lità del giudice di merito, perché tale superamento non comporta la facoltà di fondare il riconoscimento del diritto soltanto su uno degli indicatori contenuti nell’incipit dell’art. 5, comma 6 essendone necessaria una valutazione integrata, incentrata sull’aspetto perequativo-compensativo, fondata sulla comparazione effettiva delle condizioni economico-patrimoniali alla luce delle cause che hanno determinato la situazione attuale di disparità. Inoltre è necessario procedere ad un accertamento probatorio rigoroso del rilievo causale degli indicatori sopraindicati sulla sperequazione determinatasi, ed, infine, la funzione equilibratrice dell’assegno, deve ribadirsi, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale ma soltanto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla realizzazione della situazione comparativa attuale.
In conclusione, alla pluralità di modelli familiari consegue una molteplicità di situazioni personali conseguenti allo scioglimento del vincolo. Il criterio individuato proprio per la sua natura composita ha l’elasticità necessaria per adeguarsi alle fattispecie concrete perché, a differenza di quelli che si sono in precedenza esaminati non ha quelle caratteristiche di generalità ed astrattezza variamente criticate in dottrina.
13. ACCOGLIMENTO DEL PRIMO MOTIVO E PRINCIPIO DI DIRITTO.
Alla luce delle considerazioni svolte, deve essere accolto il primo motivo di ricorso. La sentenza impugnata si è fondata esclusivamente sul criterio dell’autosufficienza economica, escludendo dalla propria indagine l’accer¬tamento dell’eventuale incidenza degli indicatori concorrenti contenuti nella L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, ed in particolare quello relativo al contributo fornito dalla richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla conseguente formazione del patrimonio comune e personale dell’altro ex coniuge. Al riguardo nel ricorso alle pagine 14 e 15 viene sottolineato l’omesso esame di tale criterio, unitamente a tutti quelli non riconducibili al profilo strettamente assistenziale dell’autosufficienza economica. Limitatamente a tale specifica violazione dell’art. 5, comma 6, pertanto, il motivo deve essere accolto essendo necessario integrare alla luce delle alle¬gazioni fattuali della parte ricorrente ed in relazione alla comparazione della situazione economico patrimoniale delle parti e della intervenuta suddivisione del patrimonio familiare, se possa riconoscersi il diritto all’assegno diverso in funzione specificamente perequativo-compensativa, così come prospettato in ricorso. L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del secondo. Alla cassazione della sentenza impugnata consegue il rinvio alla Corte d’Appello di Bologna che dovrà attenersi al seguente principio di diritto:
“Ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, dopo le modifiche introdotte con la L. n. 74 del 1987, il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura com¬pensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in partico¬lare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto”.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione. Dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese processuali del presente giudizio alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 aprile 2018.