L’avvocato che invia la corrispondenza (informativa di avvenuto pagamento del debito dei propri clienti) anche alla controparte “per conoscenza”, non commette illecito disciplinare

Cass. civ. Sezioni Unite, 4 luglio 2018, n. 17534
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 29727/2017 proposto da:
G.D.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRATELLI RUSPOLI 2, presso lo studio dell’avvocato FRANCO GLANDARELLI, rappresentato e difeso dal sè medesimo;
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI MONZA, PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 159/2017 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 6/11/2017.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/05/2018 dal Consigliere LUCIA TRIA;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale RENATO FINOCCHI GHERSI, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato G.D.V..
Svolgimento del processo

1. Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Monza, con decisione n. 30/2014, sanzionò con l’ammonimento l’avvocato G.D.V., per violazione degli artt. 6 e 27 del Codice deontologico forense applicabile ratione temporis consistita nell’avere inviato una lettera raccomandata – contenente alcune contestazioni ad un conteggio asseritamente non corrispondente al tariffario forense effettuato dal collega della controparte insieme con l’assegno circolare intestato alla stessa controparte ad estinzione del debito dei propri clienti – non solo direttamente all’avvocato della controparte ma anche “per conoscenza” a quest’ultima, senza che ricorresse alcuna delle ipotesi previste dal canone I del citato art. 27.
2. Il Consiglio nazionale forense, con decisione depositata l’8 novembre 2017, ha respinto l’impugnazione proposta dall’avvocato G. avverso la suindicata decisione del COA di Monza, precisando, per quel che qui interessa, quanto segue:
a) va ribadito il consolidato principio secondo cui il divieto di inviare direttamente corrispondenza alla controparte assistita da un collega trova fondamento nella tutela della riservatezza del mittente e della credibilità del destinatario (si cita: CNF, 11 marzo 2015, n. 19);
b) non ricorre, nella specie, alcuna delle eccezioni a tale regola tassativamente indicate dal canone I dell’art. 27 cit. ed ora previste dall’art. 41, comma 3, del Codice deontologico forense vigente, in quanto tali eccezioni riguardano comunicazioni dirette a richiedere alla controparte determinati comportamenti sostanziali tra i quali non è certamente compresa la trasmissione dell’assegno circolare allegato alla missiva di cui si tratta (vedi CNF decisione n. 122 del 2007);
c) quanto all’elemento soggettivo, per consolidata giurisprudenza del CNF, per l’integrazione degli illeciti disciplinari non si richiede la consapevolezza dell’illegittimità della condotta (dolo o colpa) ma si ritiene sufficiente la c.d. suitas, ossia la volontà consapevole dell’atto che si compie;
d) deve pertanto ritenersi sussistente la responsabilità disciplinare dell’incolpato, precisandosi che l’art. 6 del previgente Codice deontologico è stato trasfuso nell’art. 9 del nuovo Codice deontologico, la cui applicazione comporta la sanzione dell’avvertimento, come stabilito dal COA di Monza.
3. Il ricorso dell’avvocato G.D.V. domanda la cassazione di tale decisione per un unico motivo.
Nessuno degli intimati ha spiegato difese in questa sede.

Motivi della decisione

I – Sintesi delle censure.
1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia, in riferimentoall’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione ed errata applicazione degli artt. 6 e 27 del Codice deontologico forense applicabile ratione temporis.
Si rileva che la missiva in oggetto non è stata inviata direttamente alla controparte, ma è stata inviata direttamente al legale della controparte e solo “per conoscenza” a quest’ultima, sicché il comportamento posto in essere non rientra tra quelli sanzionati dall’art. 27 cit., in quanto oltre a perseguire “fini di giustizia” (come recita il preambolo del previgente Codice deontologico) è stato principalmente diretto a tutelare i propri clienti e indirettamente la controparte medesima.
2. Il ricorso è da accogliere per le ragioni di seguito esposte.
3. Per una migliore comprensione della decisione impugnata è opportuno chiarire che il presente procedimento disciplinare si colloca, per così dire, “a cavallo” tra il precedente e il successivo codice deontologico forense.
Infatti, mentre la missiva che ha dato luogo alla sanzione è del 14 aprile 2011, la delibera del COA di Monza è del 10 novembre 2014 e la decisione del CNF impugnata è del 6 novembre 2017, quando il codice deontologico pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 16 ottobre 2014 era entrato in vigore (visto che l’art. 73 del codice stesso ne ha previsto l’entrata in vigore sessanta giorni dopo tale pubblicazione: cioè il 16 dicembre 2014). Tale codice è stato poi modificato in alcuni articoli una prima volta con decorrenza 2 luglio 2016 e, da ultimo, con un testo pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 13 aprile 2018 la cui vigenza è stata fissata al 12 giugno 2018.
Peraltro, tale cronologia, non produce alcun effetto nel presente giudizio.
Infatti, per consolidata giurisprudenza di queste Sezioni unite le norme del nuovo codice deontologico possono essere applicate anche nei procedimenti disciplinari in corso al momento della relativa entrata in vigore per fatti ad essa anteriori soltanto se più favorevoli per l’incolpato rispetto a quelle del codice previgente, giusta il criterio del “favore rei” desumibile dallaL. n. 247 del 2012,art.65, comma 5, (tra le tante: Cass. SU 16 febbraio 2015, n. 3023; Cass. SU 20 settembre 2016, n. 18394; Cass. SU 6 giugno 2017, n. 13982).
Nella specie tale evenienza non si verifica in quanto sia il codice deontologico previgente (art. 6) sia quello vigente (art. 9) stabiliscono che l’avvocato deve svolgere la propria attività professionale con lealtà e correttezza e disciplinano, in modo analogo, l’obbligo per il legale di astenersi dal mettersi in contatto diretto con la controparte che sia assistita da altro collega (rispettivamente nell’art. 27 del vecchio codice e nell’art. 41 del nuovo codice). Inoltre, all’attuale ricorrente è stata inflitta la sanzione dell’avvertimento che, per il nuovo codice, è la sanzione più lieve dopo il richiamo verbale che però non ha carattere di sanzione disciplinare.
4. Detto questo, si deve osservare che la decisione impugnata risulta, in primo luogo, fondata su un’affermazione che non ha alcuna corrispondenza nel testo degli artt. 6 e 27, del vecchio codice deontologico, richiamati nel capo di incolpazione e che quindi non ha attinenza con il comportamento sanzionato.
In essa, infatti, nella parte iniziale della motivazione il fondamentale divieto di inviare “direttamente” corrispondenza alla controparte assistita da un collega – che è una delle applicazioni del basilare obbligo dell’avvocato di svolgere la propria attività professionale con lealtà, correttezza, probità verso i colleghi ed anche nei confronti della controparte (vedi: Cass. SU 25 giugno 2013, n. 15873) – viene invece fatto discendere dalla necessità di “tutelare la riservatezza del mittente e la credibilità del destinatario”, aggiungendosi argomentazioni esplicative sempre riferite al disvalore della compromissione della tutela dei due suindicati beni, senza considerare che si tratta di una questione del tutto estranea alla presente vicenda, visto che è pacifico che la lettera inviata dall’avvocato G. al collega e per conoscenza alla società da questi assistita non conteneva alcuna divulgazione a terzi di notizie riservate o similari.
E il suddetto equivoco è reso palese dal richiamo, sul punto, della sentenza del CNF, 11 marzo 2015, n. 19, che si è occupata di un caso di violazione dell’art. 28 del codice previgente il quale, diversamente dall’art. 27, prevede il divieto di produrre o riferire in giudizio la corrispondenza espressamente qualificata come riservata quale che ne sia il contenuto, nonché quella contenente proposte transattive scambiate con i colleghi a prescindere dalla suddetta clausola di riservatezza.
5. Questo equivoco di fondo incide indirettamente anche sulle successive statuizioni con le quali viene identificato il contenuto precettivo dell’art. 27.
In particolare ne risultano influenzate le successive statuizioni prive di richiami alla giurisprudenza del Consiglio nazionale forense afferenti alla fattispecie sub judice – secondo cui:
a) l’elencazione delle eccezioni al divieto di corrispondenza con la controparte assistita da altro legale, contenuta nel canone I dell’art. 27 cit. (ed ora nell’art. 41, comma 3, del Codice deontologico forense vigente) avrebbe carattere tassativo;
b) sarebbe, pertanto, impossibile includervi la presente fattispecie perché le eccezioni elencate riguardano comunicazioni dirette a richiedere alla controparte determinati comportamenti sostanziali o comunque si riferiscono ad atti di “natura sostanziale” tra i quali non è certamente compresa la trasmissione dell’assegno circolare allegato alla missiva di cui si tratta.
5.1. Per quanto riguarda il ritenuto carattere tassativo delle suindicate eccezioni, si deve precisare che si tratta di un’affermazione che viene effettuata senza tenere nel debito conto dell’incipit del canone I dell’art. 27 cit., nel quale si fa un generico riferimento a “casi particolari”.
Al riguardo, nella giurisprudenza del CNF in molteplici occasioni è stato affermato che “la formulazione utilizzata dal codice con il rinvio generico, a casi particolari, fa sì che si tratti di una elencazione esemplificativa, priva di qualsivoglia ambizione di tassatività”.
Ciò è accaduto anche nella decisione n. 122 del 2007, correttamente richiamata dall’incolpato, dalla cui motivazione – diversamente da quanto ritenuto nella decisione impugnata – non risulta che, neppure implicitamente, si sia inteso affermare che i “casi particolari” devono pur sempre essere riferibili alle tipologie di comunicazioni elencate nella norma, visto che il caso esaminato era analogo all’attuale, riguardando un avvocato che, per evitare un’iniziativa giudiziaria nei confronti della propria cliente, aveva inviato una lettera alla controparte nella quale erano anche contenuti indiretti apprezzamenti sull’attività difensiva del legale della controparte medesima. La relativa valutazione ha portato il CNF ad escludere la sanzionabilità del comportamento addebitato, trattandosi di una corrispondenza funzionale a sollecitare una condotta collaborativa cioè un “determinato comportamento”.
Analoga interpretazione dell’art. 27 cit. è stata data dal CNF in altre occasioni e in molte pronunce (vedi, ad esempio: CNF n. 203 del 2011) è stato affermato che per costante giurisprudenza del CNF in base all’art. 27 cit. il comportamento di un avvocato è considerato scorretto nei confronti di un collega, con il quale si devono avere rapporti improntati a lealtà e correttezza, quando l’avvocato, pur sapendo che la controparte è assistita da un difensore, conferisce e tratta con la controparte in assenza del collega o senza che questi ne sia informato (CNF n. 137 del 2004, ove è stata confermata la sanzione dell’avvertimento in un caso di contatto diretto con la controparte all’insaputa del suo difensore e in senso conforme: CNF n. 79 del 2016; n. 241 del 2015; n. 87 del 2008; n. 137 del 2004).
In sintesi, l’art. 27, canone I, consente di scrivere direttamente alla controparte in “casi particolari e per richiedere determinati comportamenti”, quando copia della corrispondenza sia inviata anche al collega (CNF n. 203 del 2011 cit.).
Alla medesima conclusione si perviene con riguardo all’art. 41 del vigente codice deontologico, in quanto in base ad una interpretazione non formalistica (e, quindi, conforme ai principi del giusto processo) è irrilevante che l’incipit dell’art. 27 – “soltanto in casi particolari”, la cui interpretazione da parte della giurisprudenza del CNF ha portato ad escludere il carattere tassativo delle eccezioni di cui si è detto – sia stato sostituito l’avverbio “esclusivamente”, visto che il testo complessivo delle due norme è di uguale contenuto.
5.2. Come si è detto, nella decisione impugnata è stato anche affermato che sarebbe impossibile includere “la trasmissione dell’assegno bancario allegato alla missiva di cui trattasi” – ma più esattamente deve dirsi la trasmissione alla controparte, per conoscenza, di una missiva che era indirizzata, con allegato l’assegno in oggetto, al legale della controparte stessa – tra le eccezioni al divieto de quo perché tali eccezioni riguardano comunicazioni dirette a richiedere alla controparte determinati comportamenti sostanziali o comunque si riferiscono ad atti di “natura sostanziale” tra i quali non è certamente compresa la suindicata trasmissione dell’assegno circolare.
Anche tale statuizione appare priva di fondamento logico, oltre che giuridico.
Dal punto di vista logico, infatti, va rilevato che la comunicazione dell’avvenuto integrale pagamento (tramite invio al collega di assegno circolare) del debito dei propri clienti in favore della controparte, consistendo nella mera notizia di un fatto storico – pacificamente non collegato ad alcun processo tra le parti – non può che essere configurata come atto avente natura e contenuto “sostanziale”.
E’ anche evidente che se, come si è detto, è consentito inviare alla controparte corrispondenza “per richiedere determinati comportamenti”, purché ne sia informato il legale della controparte stessa, laddove tale ultima condizione sia stata rispettata, come accaduto nella specie, non si vede perché debba essere vietato comunicare alla controparte un fatto significativo – come l’avvenuto pagamento del debito da parte dei propri clienti – visto che tale comunicazione è stata diretta ad evitare l’inizio di procedure esecutive nei confronti dei propri clienti e quindi ha avuto una finalità di prevenzione non dissimile da quella propria di molte delle eccezioni elencate (in modo non tassativo) dall’art. 27 cit.
Pertanto può dirsi che l’invio della lettera anche alla controparte sia stato funzionale a sollecitare una condotta collaborativa – cioè la chiusura dei rapporti tra le parti – cioè un “determinato comportamento” (CNF n. 122 del 2007 cit.).
6. Tale conclusione appare conforme ai principi generali che, in base alla giurisprudenza di queste Sezioni Unite, informano il nuovo codice deontologico forense, a partire dal testo entrato in vigore il 16 dicembre 2014, secondo cui anche se tale codice ha un apparato sanzionatorio ispirato alla tendenziale tipizzazione delle sanzioni, tuttavia il principio di stretta tipicità dell’illecito, proprio del diritto penale, non trova per esso applicazione. Infatti, nella materia disciplinare forense non è prevista una tassativa elencazione dei comportamenti vietati, ma solo l’enunciazione dei doveri fondamentali, tra cui segnatamente quello di esercitare la professione forense “con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza” di cui all’art. 9, già artt. 5 e 6, del previgente codice deontologico forense (Cass. SU 18 luglio 2017, n. 17720).
Il suddetto art. 9 costituisce una “norma di chiusura” che consente attraverso il sintagma “per quanto possibile”, previsto nellaL. n. 247 del 2012,art.3, comma 3, di contestare l’illecito anche solo sulla sua base, onde evitare che la mancata “descrizione” di uno o più comportamenti e della relativa sanzione generi immunità (Cass. SU 29 dicembre 2017, n. 31227).
Ma questo non esclude che nel sistema disciplinare forense convivano due principi: quello della teorica idoneità di ogni comportamento che violi precetti normativi o deontologici ad integrare illecito disciplinare e quello dell’esclusione di qualsiasi automatismo sanzionatorio, anche in presenza della tipizzazione della fattispecie, in quanto la sanzione va sempre rapportata alle condizioni soggettive dell’incolpato e alle circostanze in cui si sono realizzati i fatti contestati (Cass. SU 11 luglio 2017 n. 17115; Cass. SU 18 luglio 2017, n. 17720; Cass. SU 29 dicembre 2017, n. 31227; CNF n. 139 del 2017; CNF n. 9 del 2018).
In altri termini, i comportamenti posti in essere dall’avvocato nell’esercizio della sua professione per essere sanzionati devono o corrispondere ad una delle fattispecie tipizzate o comunque essere idonei a ledere, in misura più o meno grave, quei valori fondamentali indicati nella suddetta norma di chiusura.
7. Comunque, il procedimento disciplinare forense è governato dal principio del favor per l’incolpato, che è stato mutuato dai principi di garanzia che il processo penale riserva all’imputato, per cui la sanzione disciplinare può essere irrogata, all’esito del relativo procedimento, solo quando sussista prova sufficiente dei fatti contrastanti la regola deontologica addebitati all’incolpato, dovendosi per converso assolversi in assenza di certezza nella ricostruzione del fatto e dei comportamenti.
Conseguentemente, l’incolpato deve essere assolto in ordine all’illecito contestatogli, quando non è stata raggiunta la prova certa della sua colpevolezza (CNF n. 191 del 2013; CNF n. 17 del 2015; CNF n. 108 del 2015; CNF n. 194 del 2015; CNF n. 9 del 2018).
8. In ossequio al principio enunciato dall’art. 21 del nuovo codice disciplinare (già art. 3 del codice previgente), nei procedimenti disciplinari l’oggetto di valutazione è il comportamento complessivo dell’incolpato e tanto al fine di valutare la sua condotta in generale, quanto a quello di infliggere la sanzione più adeguata (Cass. SU 30 marzo 2018, n. 8038; CNF n. 291 del 2016; CNF n. 241 del 2017; CNF n. 38 del 2018).
In base alla suddetta disposizione la sanzione deve essere determinata tenendo conto: della gravità del fatto, del grado della colpa, della eventuale sussistenza del dolo e della sua intensità, del comportamento dell’incolpato, precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle circostanze, oggettive e soggettive, nel cui contesto è avvenuta la violazione (comma 3), del pregiudizio eventualmente subito dalla parte assistita e dal cliente, della compromissione dell’immagine della professione forense, della vita professionale dell’incolpato, dei suoi precedenti disciplinari (comma 4).
9. Al riguardo va ricordato che, in base alla giurisprudenza di queste Sezioni Unite, nei procedimenti disciplinari a carico degli avvocati, l’apprezzamento della gravità del fatto e della condotta addebitata all’incolpato, rilevante ai fini della scelta della sanzione opportuna è rimesso all’Ordine professionale. Ma, pur non essendo consentito alle Sezioni Unite sindacare sul piano del merito le valutazioni del giudice disciplinare, la Corte può esprimere un giudizio sulla congruità e ragionevolezza della decisione finale che attiene non alla congruità della relativa motivazione, ma all’individuazione del precetto e rileva, quindi, exart. 360 c.p.c., n. 3 (Cass. SU 17 marzo 2017, n. 6967; Cass. SU 13 novembre 2012, n. 19705).
10. D’altra parte, la mancata menzione dell’art. 21 del codice deontologico tra le norme delle quali il ricorrente ha denunciato la violazione è del tutto irrilevante, in quanto è jus receptum che la disposizionedell’art. 366 c.p.c., n. 4, – secondo cui il ricorso per la cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle norme di diritto che si assumono violate – va interpretata nel senso che tale indicazione è richiesta al solo fine di chiarire il contenuto dei motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza. Pertanto, ove si possa identificare il contenuto delle censure attraverso le ragioni prospettate dal ricorrente, il profilo sostanziale dell’atto deve prevalere su quello formale, sicché l’omessa o l’erronea indicazione degli articoli di legge viene a perdere ogni rilevanza (vedi, per tutte: Cass. 16 gennaio 1996, n. 30; Cass. SU 20 aprile 1998, n. 4018; Cass. 14 ottobre 2004, n. 20292).
Tale ultima evenienza si verifica nella specie visto che la corretta applicazione dell’art. 21 cit. ai fini della valutazione del comportamento complessivo dell’incolpato è alla base della sanzione la cui irrogazione è stata confermata nella decisione impugnata.
11. Ebbene, per consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte:
a) il “comportamento complessivo dell’incolpato” di cui all’art. 21, comma 2, del nuovo codice deontologico forense, in riferimento alla congruità, nel merito, della sanzione, assume una valenza autonoma tale da prescindere dall’ipotesi relativa ad una pluralità di violazioni poiché, al fine di determinare la sanzione in concreto, non possono non venire in considerazione la gravità dell’infrazione, il grado di responsabilità, i precedenti dell’incolpato e il suo comportamento successivo al fatto (ex multis: Cass. SU 16 novembre 1996, n. 10046; Cass. SU 30 marzo 2018);
b) peraltro, nell’ambito del comportamento successivo non possono farsi rientrare condotte omissive o commissive adottate nel corso del giudizio disciplinare, quali manifestazioni del diritto di difesa (Cass. SU 23 febbraio 1999, n. 98);
c) inoltre, così come accade in sede penale, a maggior ragione nell’ambito del procedimento disciplinare forense il movente non può costituire elemento che consenta di superare le discrasie di un quadro probatorio di per sé imprecisa e/o non convincente. Infatti, la causale intanto può fungere da fatto catalizzatore e rafforzativo della valenza degli indizi posti a fondamento di un giudizio di responsabilità, in quanto essi, all’esito dell’apprezzamento analitico e nel quadro di una valutazione globale di insieme, si presentino, anche in virtù della chiave di lettura offerta dal movente, chiari, precisi e convergenti per la loro univoca significazione (Cass. SU pen. 30 ottobre 2003, n. 45276; Cass. pen. 10 gennaio 2017, n. 813).
12. Nella specie dal capo di incolpazione riportato nella decisione del CNF de qua e dalla complessiva lettura della decisione stessa risulta che il comportamento addebitato all’avvocato G. è stato esclusivamente quello di avere inviato “direttamente” alla controparte la lettera in oggetto indirizzata peraltro al legale della controparte stessa “senza che sussistesse una delle ipotesi per ciò previste dal canone I dell’art. 27” del codice deontologico da applicare.
Pertanto, non risulta che nella lettera stessa fossero contenuti apprezzamenti sull’attività professionale del collega destinatario della missiva (come accaduto nel caso conclusosi con la già richiamata decisione n. 122 del 2007 nella quale il CNF ha escluso la sanzionabilità della condotta dell’incolpato) o comunque espressioni che manifestassero la scarsa fiducia del mittente nel collega della controparte.
Ne deriva che tale elemento – che rappresenta la causale interna o il movente – della decisione dell’avvocato di inviare la lettera “per conoscenza” alla controparte, in applicazione dei suddetti principi e di tutti quelli che governano il procedimento disciplinare forense, per effetto di una corretta applicazione dell’art. 21 cit. non può farsi rientrare nel “comportamento complessivo dell’incolpato” da valutare in sede disciplinare, perché esso, come affermato dal CNF, è emerso soltanto per effetto di dichiarazioni effettuate dall’incolpato nel corso del procedimento disciplinare e tali dichiarazioni sono da considerare quindi manifestazioni del diritto di difesa.
Del resto, di tale sentimento di sfiducia non vi è traccia nel capo di incolpazione.
13. In sintesi, in base ad una corretta interpretazione del combinato disposto degli artt. 6 e 27 del codice deontologico previgente (trasfusi negli artt. 9 e 41 del codice deontologico vigente) e dell’art. 21 dello stesso codice:
a) l’elencazione delle eccezioni al divieto di inviare direttamente corrispondenza alla controparte (di cui agli artt. 27 e 41 citati) non deve considerarsi tassativa ma meramente esemplificativa potendo rientrarvi anche altre ipotesi purchè si tratti di fattispecie nelle quali il collega della controparte sia stato informato o la corrispondenza sia stata inviata anche a lui e non siano rilevabili elementi che denotino mancanza di lealtà o correttezza nell’operato del mittente o nel contenuto della corrispondenza;
b) pertanto, alle suddette condizioni, può rientrarvi anche l’invio di una lettera alla controparte nella quale senza richiedersi alla stessa il compimento di determinati comportamenti le vengano fornite informazioni di fatti significativi nell’ambito dei rapporti intercorsi tra le parti, come l’avvenuto pagamento del debito da parte dei propri clienti;
c) infatti, anche una simile corrispondenza ha un contenuto di natura sostanziale e risulta diretta ad evitare l’inizio di procedure esecutive o di altre iniziative nei confronti dei propri clienti e quindi ha una finalità di prevenzione non dissimile da quella propria di molte delle eccezioni elencate (in modo non tassativo) dall’art. 27 cit., sicché può essere configurata come funzionale a sollecitare una condotta collaborativa della controparte cioè un “determinato comportamento”, consistente nella chiusura dei rapporti tra le parti;
d) alle suddette condizioni e in particolare in assenza di elementi che denotino mancanza di lealtà o correttezza nell’operato del mittente o nel contenuto della corrispondenza, non può farsi applicazione della norma di chiusura di cui all’art. 9 del codice deontologico vigente (già artt. 5 e 6 del previgente codice deontologico) facendo riferimento alla causale interna – o movente della decisione dell’avvocato di inviare la corrispondenza anche alla controparte, se essa è emersa soltanto per effetto di dichiarazioni effettuate dall’incolpato nel corso del procedimento disciplinare, in quanto tali dichiarazioni sono da considerare manifestazioni del diritto di difesa e quindi, per effetto di una corretta applicazione dell’art. 21 del codice deontologico, non possono farsi rientrare nel “comportamento complessivo dell’incolpato”.
III – Conclusioni.
14. La sentenza impugnata che non risulta conforme ai suindicati principi, in accoglimento del ricorso, deve essere cassata con rinvio al Consiglio Nazionale Forense, in diversa composizione, per nuovo esame del ricorso dell’avvocato G. avverso la decisione del COA di Monza.
Nulla va disposto per le spese del presente giudizio non avendo gli intimati svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Consiglio Nazionale Forense, in diversa composizione. Nulla per le spese del presente giudizio.