Se rispondente al miglior interesse del minore, la permanenza in Italia del genitore straniero, anche se condannato, va autorizzata

Cass. civ. Sez. I, 4 giugno 2018, n. 14238
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 3358/2017 proposto da:
Y.F., W.P., quali genitori dei minori L., F. e E., domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,rappresentati e difesi dall’avvocato Migliaccio Luigi, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Napoli, Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, Pubblico Ministero presso il Tribunale per i Minorenni di Napoli;
– intimati –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 11/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/01/2018 dal cons. Dott. ACIERNO MARIA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso in via principale per il rigetto, in subordine per la rimessione alle Sezioni Unite;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato Migliaccio Luigi che ha chiesto l’accoglimento.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con decreto n. 225/2016 la Corte d’appello di Napoli ha rigettato il reclamo proposto da Y.F. e W.P., cittadini cinesi, avverso la decisione del Tribunale per i minorenni di Napoli che aveva rigettato il ricorso dagli stessi proposto al fine di ottenere l’autorizzazione alla permanenza del territorio nazionale nell’interesse dei tre figli minori ( Y.F., L. e E.) ai sensi delD.Lgs. n. 286 del 1998,art.31, comma 3.
A sostegno del rigetto la Corte territoriale ha affermato:
– ilD.Lgs. n. 286 del 1998,art.31, tutela il minore straniero che versi in una situazione di eccezionale e contingente grave pericolo per il suo sviluppo psico-fisico, e non ha la finalità di garantire, in ogni caso, il diritto del medesimo di crescere ed essere educato nella propria famiglia, né di salvaguardare la sua situazione di integrazione nel tessuto sociale dove vive;
– il diritto del minore a vivere nella propria famiglia non può prevalere sull’interesse dello Stato alla tutela del territorio e alla sicurezza dei cittadini, nel caso in cui colui che richieda il permesso di soggiorno abbia commesso reati tali da far presumere la sua pericolosità sociale. Nella specie risulta che Y.F. e W.P. sono attualmente imputati e hanno riportato condanne irrevocabili per reati relativi alla tutela del diritto d’autore, ricettazione e contraffazione, fatti che comportano la revoca del permesso di soggiorno e l’espulsione dello straniero dal territorio. Ciò fa presumere che l’istanza da essi formulata ex art. 31 cit. sia del tutto strumentale;
– i minori sono tutti nati in Italia e sono ben inseriti nel contesto scolastico ed amicale, ma la previsione che essi potrebbero subire un danno psicologico in conseguenza dell’allontanamento dei genitori non costituisce ragione sufficiente per consentire l’ulteriore permanenza di quest’ultimi in Italia. Inoltre, anche qualora gli istanti fossero autorizzati a rimanere in Italia, i figli minori sarebbero comunque privati del loro sostegno, in quanto dovrebbero scontare in prigione varie condanne a pene detentive di rilevante durata: correttamente il Tribunale per i minorenni ha ritenuto superflua una consulenza tecnica d’ufficio su di loro.
Avverso questa pronuncia propongono ricorso per cassazione Y.F. e W.P. sulla base di due motivi, accompagnati da memoria exart. 378 c.p.c..
In esito all’adunanza camerale del 12/06/2017, tenutasi presso la Sesta sezione civile, la trattazione del presente ricorso è stata rimessa, con ordinanza interlocutoria n. 19921/2017, alla pubblica udienza della Prima sezione civile.
Con il primo motivo viene censurata, sotto il profilo della violazione delD.Lgs. n. 286 del 1998,art.31, comma 3, l’interpretazione fortemente restrittiva data dalla Corte d’appello all’espressione “gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore”, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità e con la ratio stessa dell’istituto in questione, che pone al centro l’interesse del minore. Il decreto impugnato risulta motivato esclusivamente sulle condanne penali riportate dai ricorrenti.
Con il secondo motivo viene censurato, sotto il profilo dell’omesso esame circa un fatto decisivo exart. 360 c.p.c., n. 5, il mancato svolgimento di un giudizio prognostico sulle prospettive di danno grave per i minori, nati e cresciuti in Italia e qui ben radicati, nell’ipotesi di allontanamento di uno o entrambi i genitori.
Il ricorso, i cui motivi possono trattarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, è fondato.
IlD.Lgs. n. 286 del 1998,art.31, comma 3, prevede che il Tribunale per i minorenni possa rilasciare – anche in deroga alle disposizioni che regolano il soggiorno dei cittadini stranieri nel territorio nazionale – un’autorizzazione temporanea all’ingresso o alla permanenza in Italia del familiare di un minore, per gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico del minore medesimo e tenuto conto della sua età e delle sue condizioni di salute.
La pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 21799 del 25/10/2010, cui ha fatto seguito la costante giurisprudenza di questa Sezione, ha chiarito che siffatta autorizzazione non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla salute del minore, ma può comprendere qualsiasi danno effettivo ed obiettivamente grave che deriva o deriverà allo stesso dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto, in considerazione della sua età o delle sue condizioni di salute sia fisica che psichica (Cass. n. 2648/2011; n. 13237/2011; n. 14125/2011, par. 2; Cass. 17739/2015, par. 9; n. 24476/2015, riv. 638154-01; n. 25419/2015, rv. 638177-01; n. 4197/2017; n. 29795/2017, par. 5). Il giudice del merito, in altri termini, è chiamato ad accertare la sussistenza di “gravi motivi” basati su una situazione oggettiva attuale o futura dedotta, attraverso un giudizio prognostico, quale conseguenza dell’allontanamento improvviso del familiare (Cass. n. 17861/2017, rv. 645052-01), avendo la parte, dal canto suo, l’onere di dedurre in modo specifico il grave disagio psico-fisico del minore che da tale allontanamento discenderebbe (Cass. n. 26710/2017, rv. 64656601).
L’art. 31 cit. delinea, pertanto, due distinte situazioni giuridiche soggettive: da un lato, il diritto del minore ad avere l’assistenza e la cura del proprio familiare in Italia; dall’altro, il diritto del familiare a dare assistenza al minore stesso, in ragione della tutela di “quel particolare bene della vita costituito dall’unità della famiglia e della reciproca assistenza tra i suoi membri” (Cass. n. 21799/2010). Si tratta di due posizioni complementari, di cui quella del familiare subordinata a quella del minore, titolare di un interesse che, infatti, costituisce l’oggetto primario della tutela apprestata dalla disposizione in esame, come risulta dalla sua rubrica (“Disposizioni a favore dei minori”) e, ancor più significativamente, dall’essere la valutazione sulla sussistenza dei “gravi motivi” rimessa all’apprezzamento del Tribunale per i minorenni. Ne deriva che l’interesse del familiare ad ottenere l’autorizzazione all’ingresso o alla permanenza nel territorio nazionale riceve tutela in via riflessa, ovvero nella misura in cui sia funzionale a salvaguardare lo sviluppo-psicofisico del minore, che è il bene giuridico protetto dalla norma nonché la ragione unica del provvedimento autorizzatorio.
La temporaneità dell’autorizzazione non esclude che essa possa essere prorogata ove, al termine del periodo previsto, permanga la sua ragione giustificativa (i “gravi motivi”), né che possa essere revocata prima della scadenza “quando vengano a cessare i gravi motivi che ne giustificavano il rilascio”, essendo la condizione psicofisica del minore, invero, una situazione naturalmente suscettibile di mutare ed evolversi nel tempo (Cass. n. 17861/2017, rv. 64505201). La norma in esame prevede altresì due ulteriori fattispecie di revoca dell’autorizzazione, dovute ad attività del familiare incompatibili “con le esigenze del minore” o “con la permanenza in Italia”. Si tratta di ipotesi che, all’evidenza, sono distinte sia quanto al loro presupposto fattuale, sia quanto alla loro ratio. La prima ipotesi si spiega già in ragione della natura dell’autorizzazione, perché l’ingresso o la permanenza dell’istante, concessi in deroga all’ordinario regime giuridico disciplinante l’immigrazione, si giustifica se ed in quanto egli svolga la propria funzione familiare a beneficio del minore e del suo sviluppo psico-fisico, venendosi altrimenti a contraddire lo scopo stesso della disposizione in oggetto (Cass. 21799/2010, par. 8). Ne consegue che comportamenti dell’adulto richiedente incompatibili con le esigenze del minore condurranno il Tribunale a negare il rilascio dell’autorizzazione (o a revocarla in caso di condotte sopravvenute), essendo una valutazione necessariamente implicita in quella concernente la sussistenza dei “gravi motivi” e non scindibile da essa.
Nondimeno, l’art. 31 introduce un parametro esterno a quello che, come detto, costituisce il bene giuridico tutelato dalla norma, in quanto conferisce rilievo ostativo ad attività del familiare incompatibili con la sua permanenza nel territorio nazionale, sia nel caso in cui siffatte attività siano sopravvenute sia, a fortiori, nel caso in cui vengano riscontrate dal giudice già al momento del primo rilascio. L’accertamento dell'”incompatibilità” della condotta dell’istante impone pertanto un giudizio di bilanciamento tra la protezione del benessere psico-fisico del minore (incluso il suo diritto al mantenimento dell’unità familiare), al cui scopo la presenza dell’adulto in Italia è finalizzata, e la tutela dell’ordine pubblico, da svolgersi alla stregua dei parametri dettati dalle norme interne e internazionali e precisati dalla giurisprudenza nazionale ed Europea, tenuto conto che la garanzia del superiore interesse del minore costituisce in questa sede il criterio interpretativo principale. A tal proposito viene in rilievo, in primo luogo, ilD.Lgs. n. 286 del 1998,art.28, comma 3, in base a cui “in tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all’unità familiare e riguardanti i minori, deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo”, nonché laL. n. 184 del 1983,art.1, che enuncia il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia di origine, e l’art. 337ter c.c., che riconosce al figlio minore “il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi”. Tra i documenti internazionali di maggior importanza vi è la Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del bambino, resa esecutiva dall’Italia con laL. n. 176 del 1991, il cui art. 3 afferma la necessità della considerazione in via preminente dell’interesse superiore del fanciullo in tutti i procedimenti che lo riguardano. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Nizza, 7 dicembre 2000) prevede un catalogo di diritti, assai ampio e specificatamente determinato, che coinvolgono direttamente o indirettamente la vita familiare (e in particolare il rapporto genitori-figli), la protezione e il rispetto della dignità umana (art. 6), il rispetto della vita privata e familiare (art. 7), il diritto dei minori alla protezione e alle cure necessaria per il loro benessere e ad intrattenere regolarmente relazioni e contatti diretti con i genitori, salvo che ciò appaia contrario al loro interesse (art. 24) (Cass. n. 4197/2018). La Corte Europea dei diritti dell’uomo, nell’interpretazione dell’art. 8 della Convenzione (“diritto al rispetto della vita privata e familiare”), ha enucleato una serie di parametri da tenere in considerazione nella valutazione della legittimità dell’ingerenza statuale nel diritto al rispetto della vita privata e familiare dello straniero (pronunce Boultif v. Switzerland, 02.11.2001, e Uner v. The Netherlands, 18.10.2006), da cui discende che l’accertamento della pericolosità sociale – secondo quanto statuito da questa Corte anche in relazione al sindacato sulla legittimità dei provvedimenti espulsivi e sul diniego di permesso di soggiorno per motivi familiari – dovrà essere svolto in concreto e non in astratto, attraverso un esame della condotta e della situazione complessiva dell’istante (Cass. 18482/2011). A questa preventiva valutazione, attinente alla condizione dell’adulto istante, segue il giudizio di bilanciamento tra l’interesse statuale all’allontanamento (o al diniego di ingresso) di cittadini stranieri socialmente pericolosi e il diritto del minore così come declinato dal citato articolo. Siffatto giudizio deve essere effettuato alla stregua dei criteri indicati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, tra cui vi sono il miglior interesse e il benessere del figlio minore (“the best interests and well-being of the children, in particular the seriousness of the difficulties which any children of the applicant are likely to encounter in the country to which the applicant is to be expelled”), al fine di verificare se il rigetto dell’istanza, rappresentando un’interferenza nella vita familiare del richiedente, costituisca una misura necessaria in una società democratica e proporzionata al legittimo fine perseguito (CEDU, Uner v. The Netherlands, cit., par. 57-58), tenuto conto che il carattere fortemente derogatorio della norma in esame comporta che l’interesse del minore – benché non possa considerarsi in senso assoluto sempre gerarchicamente prevalente – si trovi in una posizione di preminenza tale da imporre al giudice di considerare in ogni singolo caso quale delle soluzioni possibili sia ad esso più favorevole.
Il decreto impugnato non ha fatto corretta applicazione dei principi appena richiamati.
In primo luogo, nel premettere che l’art. 31 tutela situazioni di contingente ed eccezionale grave pericolo per lo sviluppo psico-fisico del minore, il giudice a quo invoca un orientamento di questa Corte che la più volte richiamata pronuncia delle Sezioni Unite n. 21799/2010 ha inteso superare, perché il requisito dell'”eccezionalità”, oltre a travalicare la lettera della legge, è contrario all’interpretazione della disposizione letta alle luce delle norme costituzionali e internazionali rilevanti.
In secondo luogo, la valutazione svolta dalla Corte territoriale risulta incentrata pressoché esclusivamente sulla posizione e sulla condotta dei genitori, ritenuti socialmente pericolosi in ragione delle condanne penali riportate (violazione delle norme in materia di diritto d’autore, contraffazione, ricettazione, etc…), da cui si evincerebbe che l’istanza dagli stessi formulata è meramente strumentale. Tale giudizio, tuttavia, non viene svolto in concreto ma risulta esclusivamente incentrato su una presunzione di pericolosità discendente dal disposto normativo delD.Lgs. n. 286 del 1998,art.4, comma 3, – che considera ostative all’ingresso nel territorio nazionale le condanne per i reati relativi alla tutela del diritto d’autore e quelli di cuiall’art. 473 c.p.(“contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli, e disegni”) eart. 474 c.p.(“introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi”) – disposizione cui l’art. 31, comma 3, cit., consente di derogare alla ricorrenza dei “gravi motivi”, stabilendo, invero, che l’autorizzazione possa concedersi “anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico”. Inoltre, la pronuncia mostra di non tenere in debita considerazione quello che costituisce il principale oggetto del giudizio ex art. 31 cit., ovvero il possibile pregiudizio psico-fisico che verrebbe arrecato ai tre figli minori in conseguenza dell’allontanamento dei genitori o dello sradicamento dal contesto di vita attuale. Infatti, da un lato viene dato atto che i figli, nati e cresciuti in Italia, sono ben inseriti nel contesto scolastico e amicale; dall’altro, viene escluso in astratto che la previsione che essi subiscano un danno psicologico a seguito dell’espulsione dei signori F. costituisca ragione sufficiente per rilasciare l’autorizzazione ex art. 31, sulla base di un’interpretazione che, richiamando la necessità che vengano dedotte situazioni di carattere “eccezionale”, trascura la giurisprudenza di questa Corte e la ratio dell’istituto in esame, mirante a una tutela globale del minore, comprensiva tanto della salute fisica quanto di quella psichica, a prescindere dall’eccezionalità o meno della situazione dedotta in giudizio (Cass. n. 24476/2015, rv. 638154-01). Al contrario, proprio l’accertato radicamento dei minori nel territorio nazionale avrebbe dovuto condurre la Corte di merito a valutare con attenzione il possibile pregiudizio psico-fisico discendente dal diniego del provvedimento autorizzatorio, non potendosi, d’altra parte, conferire rilievo alla possibilità che i tre figli possano espatriare con i genitori, trattandosi di un un’opzione non valutabile dal giudice, in virtù del divieto di espulsione dei minori vigente nel nostro ordinamento e del conseguente diritto costituzionalmente e convenzionalmente garantito dei minori di soggiornare in Italia unitamente ai genitori ove ricorrano le condizioni di legge (Cass. n. 1824/2016, par. 3). Parimenti non corretta l’argomentazione secondo cui i figli minori sarebbero in ogni caso privati del sostegno dei loro genitori a causa dello stato di carcerazione in cui essi verrebbe a trovarsi, perché basata su una prognosi apodittica e non concretamente giustificata.
Pertanto, il giudice è chiamato in primo luogo ad accertare, con riferimento esclusivo ai minori, la sussistenza di “gravi motivi” connessi con il loro sviluppo psicofisico, così come intesi dalla costante giurisprudenza di questa Corte a partire dalla succitata pronuncia delle Sezioni Unite n. 21799/2010. Esaurito positivamente tale accertamento, il Tribunale, a fronte del compimento da parte del familiare istante di attività “incompatibili con la sua permanenza in Italia”, potrà negare l’autorizzazione soltanto all’esito di un esame complessivo, svolto in concreto e non in astratto, della sua condotta, cui segua un attento giudizio di bilanciamento tra l’interesse statuale alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale e il preminente interesse del minore.
Tale giudizio di bilanciamento non è stato svolto dalla Corte territoriale, che, al contrario, attraverso un’inversione giuridicamente erronea, ha negato l’autorizzazione richiesta deducendone l’immeritevolezza dai precedenti penali degli odierni ricorrenti ma trascurando l’interesse dei minori, assegnandovi carattere residuale anziché considerazione primaria.
In conclusione, il ricorso deve essere accolto e la pronuncia impugnata cassata con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, che si atterrà al seguente principio di diritto: “Nel giudizio avente ad oggetto l’autorizzazione all’ingresso o alla permanenza in Italia del familiare del minore straniero,D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 31, comma 3, la sussistenza di comportamenti del familiare medesimo incompatibili con il suo soggiorno nel territorio nazionale deve essere valutata in concreto e attraverso un esame complessivo della sua condotta, al fine di stabilire, all’esito di un attento bilanciamento, se le esigenze statuali inerenti alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale debbano prevalere su quelle derivanti da gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore, cui la norma conferisce protezione in via primaria”.
Il giudice del rinvio provvederà anche alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma delD.Lgs. n. 196 del 2003,art.52.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 gennaio 2018.