NONNI

Di Gianfranco Dosi

I. La categoria parentale degli ascendenti
II. I nonni (dopo la parificazione della filiazione)
III. La tutela delle relazioni tra nonni e nipoti
1) I procedimenti di tutela
a) Il procedimento per abuso della responsabilità genitoriale davanti al tribunale per i minorenni (art. 330 e seguenti c.c.)
b) Il contrasto tra i genitori sui rapporti tra nonni e nipoti (art. 316 c.c.)
c) Il procedimento davanti al tribunale per i minorenni azionato dai nonni (art. 317-bis c.c.)
IV. La tutela delle relazioni tra nonni e nipoti in caso di separazione dei genitori
a) Il diritto dei nipoti a conservare rapporti significativi con gli ascendenti e i parenti
b) È possibile l’intervento dei nonni nel processo di separazione?
V. I nonni nel procedimento di adottabilità di un minore
VI. Il punto di vista rigoroso della Corte europea dei diritti dell’uomo
VII. I nonni come parenti affidatari del minore
VIII. I nonni sono tenuti a mantenere i nipoti?
IX. La tutela dei nonni in condizione di bisogno
a) I diritti di natura alimentare
b) La sanzione in caso di violazione degli obblighi alimentari verso i nonni
c) Altri reati commessi contro i nonni
X. Il risarcimento del danno per morte del nonno cagionata da fatto illecito altrui
I La categoria parentale degli ascendenti
I nonni non sono mai nominati con questo nome nei codici. L’art. 74 c.c. li colloca nell’ambito della parentela, categoria con cui indistintamente la legge si riferisce al vincolo che unisce le persone che discendono da uno stesso stipite. La filiera parentale in cui i nonni sono inseriti è quella della linea retta che lega i figli ai propri genitori e ai genitori dei genitori (appunto i nonni). Considerato dal punto di vista del nipote i nonni sono parenti di secondo grado. Infatti, come ricorda l’art. 76 c.c. “nella linea retta si computano altrettanti gradi quante sono le generazioni, escluso lo stipite”. Ciascuno dei nonni (paterni o materni) è, appunto, lo stipite.
Nonno paterno Nonna paterna Nonno materno Nonna materna
Papà Mamma
Figlio Figlia
Tra fratelli vi è un rapporto di parentela di secondo grado in linea collaterale (art. 76 c.c.: “nella linea collaterale i gradi si computano dalle generazioni, salendo da uno dei parenti fino allo stipite comune e da questo discendendo all’altro parente, sempre restando escluso lo stipite”).
I nonni sono quindi parenti di secondo grado in linea retta. Gli zii sono parenti di terzo grado in linea collaterale. I cugini sono parenti di quarto grado in linea collaterale.
Tra i nonni paterni e quelli materni non vi è alcun rapporto neanche di affinità. Infatti secondo l’art. 78 c.c. “l’affinità è il vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro”, non quindi un vincolo tra i parenti dei due coniugi.
I nonni sono suoceri se visti dall’angolo visuale del coniuge del loro figlio. Ma solo nella parentela matrimoniale. La convivenza non induce alcun vincolo di affinità tra uno dei due conviventi e i parenti dell’altro. Ugualmente non vi è vincolo di affinità nell’unione civile, in quanto il comma 20 dell’art. 1 della legge 20 maggio 2016, n. 76 non richiama espressamente l’art. 78 c.c. e quindi, stante il principio di tassatività nel rinvio alle norme del codice civile, indicato nello stesso comma, tra un partner dell’unione civile e i genitori dell’altro partner non vi è rapporto di affinità.
La categoria giuridica specifica in cui i nonni sono collocati nell’ambito della parentela è quella degli ascendenti.
A questa categoria (nella quale sono accomunati genitori, nonni, bisnonni, trisavoli) fanno riferi¬mento innanzitutto le norme sulla successione. L’art. 565 c.c. inserisce gli ascendenti tra i succes¬sibili anche se poi l’art. 569 c.c. li ammette alla successione solo nel caso, in verità infrequente, in cui chi muore non lascia figli, né genitori, né fratelli o sorelle, né altri discendenti. In tale raro concorrono tra loro gli ascendenti della linea paterna insieme a quelli della linea materna. Se però con i nonni vi sono i bisnonni l’eredità si devolve solo ai nonni (art. 569, cpv, c.c.). Questa collo¬cazione confinata ai margini dei chiamati alla successione è in minima parte compensata anche da una collocazione dei nonni tra i legittimari (art. 536 c.c.). Nel caso, infatti, in cui chi muore non lascia figli ma ascendenti, a questi è riservato complessivamente un terzo del patrimonio che scende alla misura di un quarto se invece dei figli chi muore lascia, insieme agli gli ascendenti, il coniuge (art. 544 c.c.). Nonostante l’allungamento della vita media, a differenza degli ascendenti, maggiori chances di succedere hanno i discendenti. È sempre statisticamente più frequente che nella successione vi siano discendenti, anziché ascendenti.
II I nonni (dopo la parificazione della filiazione)
La nozione di parentela dopo la riforma della filiazione operata con la legge 10 dicembre 2012, n. 219 non è più solo riferita alla parentela che nasce dal matrimonio. L’art. 7 della legge citata, infatti, ha modificato la nozione di parentela contenuta nell’art. 74 c.c. riconoscendo l’esistenza di vincoli parentali “sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso”. E d’altro lato la riforma in questione ha anche modificato l’art. 258 c.c. (Effetti del riconoscimento) precisando che “il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso”. La precedente versione della norma esclude¬va questi effetti. Pertanto sia i figli nati nel matrimonio che quelli nati fuori dal matrimonio hanno il medesimo vincolo parentale con i rispettivi nonni.
Non solo. Poiché il vigente articolo 74 c.c. riconosce il rapporto di parentela anche tra i figli (minori) e i relativi genitori adottivi, ha fatto ingresso nel nostro sistema giuridico familiare anche la figura del nonno adottivo, il cui vincolo parentale con i nipoti è identico a quello di tutti gli altri nonni.
Si aggiunga che l’estensione del vincolo parentale anche al rapporto tra nonni e nipoti nati fuori dal matrimonio pone certamente alcuni problemi di carattere, non strettamente di tipo giuridico, una volta assenti. Se, infatti, uno dei genitori – separato, divorziato o vedovo – ha con un successivo partner un altro figlio, nella famiglia ricomposta potranno essere visibili non soltanto più figure ge¬nitoriali acquisite ma anche più nonni acquisiti (quelli paterni e materni originari e quelli ulteriori re¬lativi alla seconda unione) con un ampliamento della rete parentale cosiddetta sociale significativa.
III La tutela delle relazioni tra nonni e nipoti al di fuori della separazione dei genitori
I nonni sono tali se esiste quanto meno un nipote. La categoria dei nipoti in verità non è di esclu¬siva pertinenza dei nonni in quanto anche gli zii hanno i nipoti. I nipoti e i nonni sono però tra loro parenti in linea retta di secondo grado, mentre invece i nipoti e gli zii sono parenti in linea collaterale di terzo grado.
La legge protegge il rapporto tra nonni e nipoti nell’ambito di due contesti normativi differenziati: uno di carattere generale e l’altro connesso alla separazione dei genitori.
Il primo contesto normativo è quello della tutela dei diritti dei figli in generale. L’art. 315-bis del codice civile, come introdotto con la riforma della filiazione (art. 1, comma 8, della legge 10 dicem¬bre 2012, n. 219) al secondo comma espressamente ricorda che “il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti”. Si tratta della protezione di un vero e proprio diritto dei figli e, come si vede, in questo ambito normativo di carattere generale, la tutela è anche diretta alla protezione del rapporto tra nipoti e zii, nonché, s’intende, tra fratelli e cugini (evocando la norma la categoria dei parenti in generale). Sono previste, a tutela del rapporto nonno-nipoti, tre tipi di procedure giudiziarie.
a) Il procedimento per abuso della responsabilità genitoriale davanti al tribunale per i minorenni (art. 330 e seguenti c.c.)
È evidente che, trattandosi di un vero e proprio diritto dei figli al rapporto parentale, la sua compressione da parte di un genitore potrebbe essere configurato un vero e proprio abuso della responsabilità genitoriale, con legittimo eventuale intervento del tribunale per i minorenni ai sensi dell’art. 333 (limitazione) o 330 (decadenza) del codice civile, su impulso di parte ma anche su impulso del Pubblico ministero (art. 336 c.c.).
Problematiche di questo tipo si pongono di frequente soprattutto in caso di allontanamento e ab¬bandono da parte di uno dei genitori o di morte di un genitore. Questi eventi possono determinare nel genitore rimasto o superstite reazioni tese alla colpevolizzazione dell’altro ramo parentale così come possono anche produrre da parte dei parenti del genitore allontanatosi o deceduto vere e proprie pretese di eccessiva intrusività nella vita dei nipoti.
Si legge per esempio in Cass. civ. Sez. I, 23 novembre 2007, n. 24423 che i nonni, ai quali è impedita dai genitori la frequentazione del nipote minorenne, possono adire il giudice minorile per ottenere un provvedimento ai sensi dell’art. 333 c.c., che consenta loro di incontrare il nipote. Sebbene il provvedimento giurisdizionale “innominato” non possa imporre serenità di rapporti del minore con i propri parenti, è compito del giudice minorile intervenire al fine di garantire, nell’in¬teresse del minore, serenità ed equilibrio in detti rapporti.
L’intervento dei tribunali per i minorenni è sempre guidato, in questi casi, da molta prudenza, nel timore di creare situazioni di ulteriore difficoltà relazionale. Tuttavia in molti casi i provvedimenti sono tesi correttamente a garantire il più possibile il diritto alla relazione nonno-nipote, nell’inte¬resse del minore e tenendo conto naturalmente di tutte le circostanze del caso concreto.
L’art. 336 c.c. – cioè la norma che disciplina il procedimento di contrasto agli abusi della respon¬sabilità genitoriale davanti al tribunale per i minorenni – prevede che i provvedimenti del giudice possono essere adottati “su ricorso dell’altro genitore, dei parenti o del pubblico ministero”. Il che significa che lo stesso nonno potrebbe ricorrere direttamente a questo tipo di procedura, nono¬stante che, come si vedrà tra breve, l’articolo 317-bis c.c. mette a sua disposizione uno strumento ad hoc di natura sostanzialmente identica. La differenza tra i due procedimenti (se proprio la si vuole trovare) sta solo nel fatto che il focus dell’articolo 317-bis (la cui procedura è azionabile solo dai nonni) è posto soprattutto sul diritto dei nonni, che le riforma della filiazione ha inteso qualifi¬care espressamente come tale, mentre il focus delle procedure in tema di abusi della responsabi¬lità genitoriale (azionabile anche dal pubblico ministero) è quello dell’esclusiva tutela dei diritti del minore contro comportamenti a lui pregiudizievoli.
È a questa specifica situazione di abuso (nella specie art. 333 c.c.) che si riferiscono i principi indicati dall’importante Cass. civ. Sez. I, 5 marzo 2014, n. 5097 che ha avuto modo di affermare che nel procedimento finalizzato all’accertamento del diritto del minore a conservare rapporti signi¬ficativi con gli ascendenti ed i parenti del genitore scomparso (che nella specie era stato azionato nel 2010 dai parenti della madre defunta, prima dell’introduzione del nuovo art. 317-bis c.c. di cui si dirà più oltre) il comportamento ostativo del genitore superstite costituisce una condotta pre¬giudizievole secondo la previsione degli artt. 330 e segg. cod. civ., poiché comporta la rescissione, nella fase evolutiva della formazione della personalità del ragazzo, di una sfera affettiva e identitaria assolutamente significativa, e lo espone a una vicenda esistenziale particolarmente dolorosa.
In tale procedimento – afferma, tuttavia, la decisione in questione richiamando la riforma della filiazione che era intervenuta nel frattempo nel 2012 – l’oggetto del procedimento, non è l’accer¬tamento di un diritto dei nonni, ma l’accertamento del diritto del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Come si vede, nonostante il giudizio severo verso il comportamento ostativo dei genitori al rappor¬to tra i nonni e i nipoti, la linea interpretativa della giurisprudenza sembra restare quella segnata dai testi normativi precedenti all’entrata in vigore del nuovo art. 317-bis c.c. che attribuisce ai nonni un diritto specifico.
Per la giurisprudenza, insomma, parlare di “diritto dei nonni” pare ancora un linguaggio inaccettabile.
Nella giurisprudenza precedente al nuovo testo dell’art. 317-bis c.c. era usuale parlare di “diritto dei minori” e non certo di “diritto dei nonni”.
Così per esempio App. Roma Sez. minori, 8 giugno 2011 afferma che (a quella data) il nostro ordinamento non garantisce in via immediata e diretta l’aspirazione dei nonni alla frequentazione dei nipoti, ma offre una tutela soltanto indiretta all’interesse dei parenti ad avere rapporti con i minori, mediante il riconoscimento della loro legittimazione a sollecitare il controllo giurisdizionale, ai sensi dell’art. 336 c.c., sull’esercizio della potestà dei genitori, i quali non possono senza motivo plausibile impedire i rapporti dei figli con detti congiunti; ciò non esclude l’intervento del giudice nel riconoscere e regolamentare i rapporti predetti, in quanto, dovendo i provvedimenti giurisdi¬zionali essere ispirati sempre all’interesse del minore e rientrando la tutela del vincolo affettivo e di sangue nell’ambito di un tale interesse, il rifiuto del genitore può ritenersi giustificato solo in presenza di serie e comprovate ragioni che sconsiglino di assicurare e regolamentare i rapporti dei nonni con il minore, potendo negarsi il diritto di visita unicamente quando il rapporto dei nonni con il nipote appare pregiudizievole. Ugualmente si esprime Trib. Minorenni Catanzaro, 7 febbraio 2011 affermando che non sussiste nell’ordinamento italiano un vero e proprio diritto dì visita dei nonni e degli altri parenti, ma solo un interesse del minore ad una crescita sana ed equilibrata, alla cui realizzazione possono contribuire anche le figure dei nonni, a meno che non sussistano ragioni che ostano al mantenimento di tale rapporto. Anche secondo Trib. Minorenni Milano Decreto, 1 ottobre 2010, pur non spettando ai nonni, ed agli altri parenti, un vero e proprio diritto di visita, il loro interesse legittimo è tutelato solo in maniera indiretta, mediante il riconoscimento della legittimazione, ex art. 336 c.c., a sollecitare il controllo giudiziario sull’eser¬cizio della potestà dei genitori, i quali non possono, senza un plausibile motivo, vietare i rapporti dei figli con i parenti più stretti.
b) Il contrasto tra i genitori sui rapporti tra nonni e nipoti (art. 316 c.c.)
È prospettabile, nella famiglia unita, anche il ricorso di uno dei genitori (ma non da parte dei nonni) a tutela del rapporto tra nonni (o zii) e nipoti, non sulla base delle norme in materia di responsabilità genitoriale, ma sulla base della norma generale che consente ad uno dei genitori in caso di “contrasto [con l’altro genitore] su questioni di particolare importanza” di ricorrere al giudice, anche nella famiglia unita, indicando i provvedimenti che ritiene più idonei.
Si tratta di uno dei due casi (l’altro è previsto nell’art. 145 c.c. a tutela del disaccordo tra coniugi sull’indirizzo della vita familiare in generale) in cui il codice prevede l’intervento del giudice nel¬la famiglia unita e non tra coniugi separati. Si tratta di procedure assai infrequenti, per la loro intrinseca debolezza, come si capisce anche dal fatto che la disposizione prevede che il giudice, sentite le parti ed il figlio, non decide alcunché, ma “suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del figlio” e “se il contrasto permane, attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene più idoneo a curare l’interesse del figlio”.
Non è affatto da escludere che un contrasto “di particolare importanza” tra i genitori anche nella famiglia unita possa avere proprio ad oggetto le difficoltà frapposte da uno dei due genitori al rap¬porto tra il figlio e i parenti dell’altro genitore.
La competenza, però, per il procedimento ai sensi dell’art. 316 c.c. (così come quella per il pro¬cedimento ai sensi dell’art. 145 c.c.) non appartiene al tribunale per i minorenni, ma al tribunale ordinario (art. 38 disposizioni di attuazione del codice civile).
c) Il procedimento davanti al tribunale per i minorenni azionato dai nonni (art. 317-bis c.c.)
La riforma sulla filiazione del 2012 ha previsto un intervento del giudice – proprio a salvaguardia del rapporto tra nonni e nipoti (ma, irragionevolmente, non tra zii e nipoti, o tra cugini) – tarato sostanzialmente sul procedimento di contrasto agli abusi della responsabilità genitoriale – nel qua¬le però l’intervento di protezione si configura come intervento, indirettamente sempre a tutela del diritto del figlio, ma esplicitamente diretto alla tutela anche di un vero e proprio diritto dei nonni. Si tratta dell’art. 317 bis c.c. (Rapporti con gli ascendenti) – nel testo introdotto ex novo dall’art. 42 del D. Lgs 28 dicembre 2013, n. 154 – dove si prevede che “Gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni”.
Qui il focus è incentrato sul diritto dei nonni. Come si vede è esclusa l’attribuzione di un diritto del genere agli zii (che non sono ascendenti) a protezione del cui rapporto con i nipoti potrebbero, però, certamente trovare applicazione le norme sugli abusi sopra richiamate (articoli 330, 333 c.c.). Spesso, infatti, i rapporti tra gli zii e i nipoti – così come i rapporti tra cugini – sono altrettanto significativi e importanti di quelli tra i nonni e i nipoti.
Secondo le indicazioni procedimentali contenute nello stesso art. 317 bis c.c. l’ascendente al quale è impedito l’esercizio del diritto a rapporti significativi con i nipoti “può ricorrere al giudice del luo¬go di residenza abituale del minore affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore. Si applica l’art. 336, secondo comma” e quindi, come si è detto, si seguirà la procedura camerale descritta nella norma richiamata.
La competenza per materia appartiene al tribunale per i minorenni in base a quanto espressamen¬te dispone l’art. 38, primo comma, ultima parte, delle disposizioni di attuazione del codice civile (nel testo aggiunto dall’art. 96, comma 1, lett. c del D. Lgs 28 dicembre 2013, n. 154) dove si legge che “sono altresì di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 251 e 317-bis del codice civile”.
L’attribuzione della competenza al tribunale per i minorenni – troppo decentrato – è stata criticata da parte di molti, anche perché la riforma del 2012 ha spostato al tribunale ordinario la maggior parte dei procedimenti che concernono la famiglia e i minori. Sono anche state sollevate sul punto questioni di legittimità costituzionale (Trib. minorenni Bologna, 5 maggio 2014; Trib. mino¬renni Napoli 25 luglio 2014 e 10 novembre 2014) che però la Corte costituzionale non ha ritenuto di dover accogliere (Corte cost. 24 settembre 2015, n. 194) ritenendo non irragione¬vole la scelta del legislatore.
Perciò il nonno al quale sia impedito l’esercizio del suo diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni può ricorrere egli stesso al tribunale per i minorenni.
Si deve osservare che in questo procedimento – essendo richiamato solo il secondo comma dell’art. 336 c.c. – non trovano applicazione le altre disposizioni dell’art. 336 e in particolare quella dell’ultimo comma in cui si prevede anche la difesa tecnica del minore. Qui, come è molto chiaro, non siamo in presenza di un contenzioso tra nonni e nipoti – cioè di un procedimento tra posizioni contrapposte tra nonni e nipoti – ed il minore non è considerato parte processuale. Si tratta di un procedimento con una parte soltanto, appunto il nonno, il quale chiede al giudice l’attuazione di un proprio diritto, mentre la tutela del minore è assicurata dal suo ascolto. Natu-ralmente – come d’altronde previsto dal secondo comma dell’art. 336 c.c. – devono anche essere sentiti i genitori i quali però non assumono la veste di parti processuali contrapposte al nonno.
Una decisione di legittimità (Cass. civ. Sez. I, 19 gennaio 2015, n. 752) ha, ribadito l’impostazio¬ne tradizionale sul punto del bilanciamento tra il diritto dei nonni e il diritto dei nipoti, occupandosi del ricorso di una nonna avverso un provvedimento della Corte d’appello di Roma che aveva rigettato una istanza della nonna – già respinta dal tribunale per i minorenni – tesa ad ottenere un diritto di frequentazione della nipote. La Corte d’appello in ordine alla lamentata violazione del diritto della reclamante a mantenere rapporti significativi con la nipote affermava di dover richiamare, come condivisibile e meritevole di pieno recepimento, l’insegnamento della Suprema Corte, secondo cui le norme sul diritto dei minori di conservare rapporti significativi con gli ascendenti non attribuisco¬no a questi ultimi un autonomo diritto di visita, ma introducono un elemento ulteriore di indagine e di valutazione nella scelta e nell’articolazione dei provvedimenti da adottare nella prospettiva di una rafforzata tutela del diritto del minore ad una crescita serena ed equilibrata. In altri termini era la prospettiva del minore, e non quella dell’ascendente, a dovere essere apprezzata e tutelata, in conformità ai principi generali vigenti in materia di provvedimenti relativi ai minori. Proponendo una censura per violazione e falsa applicazione della legge n. 219 del 2012, art. 2, in punto di legittima¬zione degli ascendenti a far valere il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minori, la ricorrente sosteneva che i nonni sono ormai legittimati a fare valere il loro diritto a mantenere rap¬porti significativi coi nipoti e che, dunque, lei ha il diritto di mantenere le preesistenti frequentazioni con la nipotina, onde anche garantirle il sano sviluppo dell’importante, rapporto parentale. Il motivo – affermano i giudici della Cassazione deve essere disatteso. La legittimazione ad agire della M. non è stata negata, per cui sul punto le censure sono inammissibile per difetto interesse; per il resto i giudici di merito hanno irreprensibilmente valorizzato l’interesse preminente della minore in riferi¬mento alla situazione attuale, destinata ad evolversi nel tempo, con auspicabili diversi e positivi esiti.
Questa sentenza è il segnale di come la giurisprudenza soprattutto minorile fatichi a leggere la nuova norma di cui all’art. 317-bis c.c. (ancorché molto chiara nella sua formulazione) come un diritto attribuito ai nonni. Per esempio in Trib. Venezia Sez. minori, 24 dicembre 2015 si legge che l’art. 317-bis c.c., pur non attribuendo ai nonni un diritto autonomo di visita dei nipoti, nel prevedere che debbano essere assicurati tra gli stessi rapporti significativi, riconosce l’importanza che assume, nella vita e nella formazione educativa dei minori, la conoscenza e frequentazione dei nonni, in funzione di una loro crescita serena ed equilibrata, quali componenti della famiglia allargata, nel cui interno essi sono collocati.
Come si avrà modo di vedere tra breve, ben diversa è l’impostazione della Corte europea dei diritti dell’uomo in ordine al rispetto del diritto dei nonni.
IV La tutela delle relazioni tra nonni e nipoti in caso di separazione dei genitori
a) Il diritto dei nipoti a conservare rapporti significativi con gli ascendenti e i parenti
Il rapporto tra i parenti in generale (nonni e zii) e i nipoti è poi espressamente tutelato nell’ambito delle norme sulla separazione e sul divorzio dei genitori nonché in tutte le procedure di scissione della coppia genitoriale anche non matrimoniale.
Effettivamente la scissione della vita di coppia può determinare – e determina di frequente – l’in¬sorgere di reazioni conflittuali genitoriali con ricadute sul rapporto tra i figli e i parenti dell’uno o dell’altro genitore.
La norna di riferimento – nell’ambito delle disposizioni unificate che disciplinano l’esercizio della responsabilità genitoriale in caso di separazione, divorzio o scissione della coppia genitoriale non matrimoniale (capo II del titolo IX del primo libro del codice civile) – è l’art. 337-ter (Provvedi¬menti riguardo ai figli) dove si enuncia il principio generale che anche in caso di separazione dei genitori il figlio minore, non solo ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, ma anche il diritto “di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.
Qui è la relazione con la rete parentale complessiva del figlio minore che deve essere tutelata, come gli stessi giudici spesso precisano testualmente. Per esempio in App. Milano, 11 febbraio 2008 si legge che “i nipoti hanno diritto a frequentare i nonni, soprattutto quando hanno con gli stessi relazioni significative… il bagaglio di memoria e di affetto di cui i nonni sono portatori va preservato, valorizzato e distinto da quello genitoriale, anche in situazioni di particolare difficoltà, ricorrendo all’ausilio di personale specializzato, per il superamento di situazioni di disagio nell’in¬teresse dei minori”.
Il legislatore ha riconosciuto da tempo tale diritto alla più ampia tutela parentale, con la L. 8 feb¬braio 2006, n. 64, art. 1, comma 1, (con il quale era stato modificato il previgente art. 155 cod. civ. e attribuito al giudice un elemento ulteriore di indagine e di valutazione nella scelta e nell’arti¬colazione di provvedimenti da adottare in tema di affidamento), nella prospettiva di una rafforzata tutela del diritto ad una crescita serena ed equilibrata che si pone con evidenza nel caso in cui il minore perda prematuramente un genitore (così Cass. Civ. Sez. I, 16 ottobre 2009, n. 22081 e Cass. civ. Sez. I, 11 agosto 2011, n. 17191).
La linea interpretativa è quella tradizionale secondo cui queste disposizioni attribuiscono al minore il diritto di conservare rapporti significativi con gli ascendenti, nel quadro del mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con i propri genitori e con la medesima finalità di evitare, per quanto possibile, che la separazione produca traumi nello sviluppo della personalità del minore stesso ma non attribuiscono ai nonni un diritto di visita dei nipoti autonomamente tutelabile (Cass. civ. Sez. I, 11 agosto 2011, n. 17191).
Il minore nei procedimenti in questione che concernono i rapporti tra genitori, non assume la qua¬lità di parte e la sua tutela è assicurata dalle norme sull’ascolto obbligatorio in quanto l’’art. 336, ultimo comma, c.c. (“per i provvedimenti di cui ai commi precedenti i genitori e il minore sono assistiti da un difensore”) trova applicazione soltanto per i provvedimenti limitativi ed eliminativi della responsabilità genitoriale, ove si pone in concreto un profilo di conflitto di interessi tra ge¬nitori e minore e non in una controversia relativa al regime di affidamento e di visita del minore, figlio di una coppia che ha deciso di cessare la propria comunione di vita (nel matrimonio o fuori del matrimonio). In tale ipotesi, la partecipazione del minore nel conflitto genitoriale deve espri¬mersi, ove ne ricorrano le condizioni di legge, solo se ne ravvisi la corrispondenza agli interessi del minore medesimo e si riscontri un grado di discernimento adeguato, mediante il suo ascolto, oltre che mediante l’esercizio dei poteri istruttori officiosi di cui il giudice può usufruire in virtù della natura e della preminenza dell’interesse da tutelare (Cass. civ. Sez. I, 31 marzo 2014, n. 7478 e Cass. civ. Sez. I, 21 aprile 2015, n. 8100)1
1 Per un approfondimento di questi aspetti si rinvia alla voce Ascolto del minore e alla voce Conflitto di interessi tra genitori e figli. .
Non è affatto escluso che i provvedimenti del tribunale sulla tutela del rapporto tra nonni e nipoti adottati nel corso del procedimento di separazione possano anche assumere, su istanza di parte, la forza e la valenza di provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale in quanto l’art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile attribuisce al giudice ordinario in caso di separazione il potere (esclusivo) di adottare tali provvedimenti.
b) È possibile l’intervento dei nonni nel processo di separazione?
Il problema che si deve affrontare è se, nell’ipotesi in cui sia in corso una causa di separazione tra i genitori del minore, i nonni, anziché ricorrere al tribunale per i minorenni (ai sensi dell’art. 317 bis c.c. sopra esaminato), possano invece intervenire direttamente nel processo di separazione (art. 105 c.p.c.) chiedendo al giudice della separazione particolari garanzie sul loro rapporto con i nipoti. Con ciò evitando una duplicazione delle procedure.
È pur vero che nel processo di separazione potranno essere gli stessi genitori ad introdurre nella causa, ove necessario, il tema dei rapporti del figlio con i rispettivi rami parentali (nonni, zii, cugini) e non vi è dubbio che il giudice della separazione abbia pieno titolo per occuparsi di questi aspetti considerato che le norme sulla separazione prevedono espressamente, come detto, che “il figlio minore ha diritto… di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale” (art. 337-ter c.c. e già prima art. 155 c.c.), ma è altrettanto vero che la qualificazione molto chiara del “diritto” dei nonni operata dalla riforma sulla filiazione rafforza il convincimento che i nonni possano anche intervenire ex art. 105 c.p.c. nel processo di separazione secondo i principi generali. Prima della riforma del 2012 della filiazione poteva essere plausibile ritenere, relativamente ai rapporti tra il minore e gli ascendenti, come precisava anche l’art. 155 c.c. nel testo introdotto dalla legge 54/2006, che non si trattava di un diritto dei nonni ma di un diritto del minore e che di conseguenza i nonni non potessero essere ammessi ad intervenire nel processo di separazione dei genitori.
Tuttavia la giurisprudenza ha sempre ritenuto che i nonni non abbiamo un diritto di intervento, con motivazioni che sembrano prescindere dalla titolarità o meno di un diritto o meno in capo ai nonni alla relazione con i nipoti.
Si scrive per esempio in Cass. civ. Sez. I, 16 ottobre 2009, n. 22081 che, in mancanza di una espressa previsione normativa, non è possibile ritenere che altri soggetti diversi dai coniugi siano legittimati ad essere parti nel giudizio di separazione” e si precisa che la legittimazione all’inter¬vento ad adiuvandum presuppone la titolarità nel terzo di una situazione giuridica in relazione di connessione – da individuarsi in termini di pregiudizialità dipendenza – con il rapporto dedotto in giudizio, tale da esporlo ai cosiddetti effetti riflessi del giudicato. Ciò posto – si conclude – anche alla luce della novella di cui alla legge n. 54 del 2006 che notevolmente valorizza la posizione degli ascendenti e degli altri parenti di ciascun ramo genitoriale nei confronti del minore, non pare po¬tersi riconoscere la sussistenza di una posizione siffatta in capo ai menzionati soggetti nell’ambito dei giudizi di separazione o divorzio, poiché immutati quanto alla natura, all’oggetto, ai diritti ed alle posizioni anche in seguito alla citata novella. Pertanto nel giudizio di separazione personale la legittimazione ad agire spetta – secondo la sentenza da ultimo richiamata – unicamente ai coniugi, non potendosi ravvisare la sussistenza di diritti relativi all’oggetto o dipendenti dal titolo dedotto nel processo che possano legittimare un intervento di terzi ovvero un interesse di terzi a sostenere le ragioni di una delle parti sul quale fondare un intervento ad adiuvandum.
Gli stessi principi sono stati ribaditi in Cass. civ. Sez. I, 27 dicembre 2011, n. 28902 dove si osserva che in assenza di un dato normativo che autorizzi un’iniziativa sul piano giudiziario degli ascendenti, come avviene nei giudizi de potestate (art. 336 c.c., comma 1), non è consentito l’intervento degli stessi nei giudizi di separazione e di divorzio, nei quali la posizione dei minori è tutelata sotto forme che non prevedono la loro assunzione della qualità di parte, né uno specifico diritto di difesa, come avviene nei procedimenti di adozione. D’altra parte, una lettura sistemati¬ca del quadro normativo, alla luce delle norme che disciplinano la revisione delle condizioni della separazione e che sono intese a dirimere i conflitti fra genitori, induce a ritenere che questi ultimi siano gli unici soggetti cui è affidata la legittimazione sostitutiva all’esercizio dei diritti dei minori. Pertanto anche in seguito alla novella dell’art. 155, comma 1, c.c., operata dalla legge n. 54/2006 gli ascendenti non sono titolari di alcun diritto a conservare rapporti e relazioni con i nipoti, ma solo di un mero interesse di natura morale o affettiva, il quale non legittima gli ascendenti stessi a intervenire nei giudizi di separazione e di divorzio.
La giurisprudenza di merito è allineata con quella di legittimità nel ritenere l’inammissibilità dell’in¬tervento dei nonni nel procedimento di separazione (Trib. Bari Sez. I, 27 gennaio 2009).
Nessuna decisione risulta ancora edita dopo la riforma della filiazione che indubbiamente ha qua¬lificato espressamente come diritto quello dei nonni alla conservazione dei rapporti con i nipoti minorenni (nuovo art. 317-bis c.c.). Pertanto in base a questa nuova chiarissima qualificazione potrebbero venire meno i dubbi sulla possibilità di intervento dei nonni nel processo di separa¬zione. L’intervento potrebbe essere considerato ammissibile con la stessa motivazione con cui è stato ritenuto ammissibile l’intervento dei figli maggiorenni (Cass. civ. Sez. I, 19 marzo 2012, n. 4296) sussistendo una connessione od un collegamento implicante l’opportunità di un simul¬taneus processus (Cass. civ. Sez. II, 28 dicembre 2009, n. 27398; Cass. civ. Sez. III, 27 giugno 2007, n. 14844).
V Il punto di vista rigoroso della Corte europea dei diritti dell’uomo
Con una decisione molto significativa la Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte europea di¬ritti dell’uomo, 20 gennaio 2015, caso Manuello e Nevi c/ Italia) ha affermato che le autorità giudiziarie e amministrative hanno il dovere di adottare sollecitamente tutte le misure, positive e negative, volte a favorire il riavvicinamento e gli incontri tra i minori e i loro familiari, compresi i nonni e che, pertanto, vìola l’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sotto il pro¬filo del rispetto della vita familiare, la condotta delle autorità giudiziarie italiane nei confronti dei nonni cui sono stati di fatto preclusi gli incontri con la nipote per circa dodici anni, incontri in un primo momento autorizzati, ma mai attuati, nonostante la collaborazione prestata ai servizi sociali da parte dei nonni medesimi, e infine vietati, con l’argomentazione che ne poteva derivare turba¬mento alla minore, il cui padre, figlio dei ricorrenti, nelle more era stato assolto dall’imputazione di abusi sessuali a suo danno.
Un uomo e una donna si erano uniti in matrimonio nel 1996 e nel 1997 nasceva la loro figlia; abitano per molto tempo in una casa appartenente ai nonni paterni, vicino al domicilio di questi ultimi; anche dopo il trasloco in un altro appartamento, la minore continua a frequentare rego¬larmente i nonni nella cui casa conserva una camera e i suoi giochi. Nel 2002 la moglie chiedeva la separazione con addebito al marito; quest’ultimo veniva anche subito dopo denunciato dalla scuola materna frequentata dalla bambina, per sospette molestie sessuali. Contemporaneamente, la moglie chiedeva la decadenza dalla potestà al tribunale per i minorenni.
Da questo momento in poi sostanzialmente i nonni paterni non riescono più ad incontrare la nipo¬te. Il padre, nel 2006, veniva assolto dall’accusa penale perché il fatto non sussiste.
I nonni paterni ricorrevano al tribunale per i minorenni chiedendo di incontrare la nipote. Per due anni i contatti tra la bambina e i nonni avvengono solo tramite i servizi sociali con telefonate e let¬tere, in seguito i nonni chiedono di poterla incontrare, dichiarandosi disponibili a frequentare corsi appositi per prepararsi all’evento. A febbraio 2006 il Tribunale autorizza gli incontri ogni quindici giorni alla presenza dei servizi sociali incaricando i servizi stessi e la psicologa di relazionare entro giugno 2006. Nel giugno 2006, la psicologa chiede al giudice di sospendere la decisione sugli in¬contri con i nonni, motivando sulla circostanza che la minore avrebbe mostrato un senso di paura e di angoscia nei confronti del padre e poiché la figura dei nonni era ancora associata a quella del padre, aveva espresso il proprio rifiuto di incontrarli; segnala anche che i nonni avevano mostrato difficoltà ad avere una posizione autonoma rispetto al figlio e a comprendere le ragioni del disagio della nipote. Analoghe richieste formulano i servizi sociali.
Nel 2007 il tribunale per i minorenni di Torino dichiara non luogo a provvedere in ordine alla do¬manda di decadenza del padre dalla potestà genitoriale sulla figlia minore proposta dalla madre ex art. 330 c.c., ma dispone la sospensione dei rapporti della minore con i nonni paterni.
Contro il provvedimento, questi ultimi propongono reclamo sostenendo che il tribunale aveva omesso di valutare che nel maggio 2006 il padre era stato assolto dalle accuse di abuso sessuale e contestano che la bambina abbia manifestato un’effettiva volontà di non incontrarli. Con decreto del 29 aprile 2008, la Corte di Appello di Torino respinge il reclamo, in quanto l’assoluzione del padre non cambia la valutazione dei traumi subiti dalla minore in relazione alla figura paterna e di riflesso anche nei confronti dei nonni, la cui figura la bambina non riesce a scindere da quella del padre. I nonni ricorrono, infine, in Cassazione che dichiara inammissibile la domanda.
A questo punto i nonni paterni si rivolgono alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo denunciando la violazione dell’art. 8 della Convenzione sul rispetto della vita familiare, per l’eccessiva durata del procedimento davanti al tribunale per i minorenni ma anche per il mancato intervento delle auto¬rità italiane contro la condotta ostativa dei servizi sociali che non avrebbero messo in esecuzione la decisione del tribunale che autorizzava gli incontri. La Corte accoglie il ricorso ribadendo che l’art. 8 non si limita a prevenire ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici nella vita familiare ma impone agli stessi di intraprendere azioni positive e che garantiscano il rispetto effettivo della vita familiare nonché di predisporre strumenti giuridici volti a garantire l’effettività dei diritti degli interessati e in particolare il rapporto con i minori, anche nella crisi della coppia.
Tali principi – afferma la Corte – valgono non solo nel rapporto tra genitori e figli ma anche nel rapporto tra nonni e nipoti poiché anche queste relazioni rientrano nei legami familiari protetti dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Nella specie l’impossibilità di vedere i nipoti da parte dei nonni è dipesa, da un lato, da mancanza di diligenza delle autorità competenti e, in secondo luogo, dalla decisione delle stesse di sospendere gli incontri.
Nel caso di specie – si legge in sentenza – i ricorrenti non hanno potuto vedere la nipote per dodici anni, e hanno costantemente cercato un riavvicinamento con la bambina, attenendosi alle prescri¬zioni dei servizi sociali e degli psicologi. E’ chiaro che non è stato sufficiente mantenere una qual¬che forma di contatto tra nonni e nipote e il ritardo nel riavvicinamento ha avuto una conseguenza molto grave: la rottura totale del loro rapporto.
La Corte ritiene dunque che le autorità nazionali non abbiano compiuto sforzi adeguati e sufficienti per preservare il rapporto di parentela tra i ricorrenti e la loro nipote.
VI I nonni nel procedimento di adottabilità del minore
L’art. 8 della legge che disciplina l’adozione dei minori (legge 4 maggio 1983, n 184 come mo¬dificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149) attribuisce al tribunale per i minorenni il compito di dichiarare lo stato di adottabilità dei minori che si trovano in stato di abbandono “perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi” salvo che tale mancanza di assistenza non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio. L’accerta¬mento di questa condizione di abbandono avviene attraverso un procedimento del quale la legge disciplina accuratamente i passaggi e nel quale al minore, ai genitori e ai parenti è riconosciuto e garantito il diritto di partecipazione e di difesa. Al termine di questo procedimento il tribunale dichiara lo “stato di adottabilità” del minore di cui è accertata la condizione di abbandono e – di¬ventata definitiva la decisione dopo l’eventuale fase di impugnazione – pronuncia successivamente l’adozione a favore di una coppia che sia stata preventivamente riconosciuta idonea sempre dal tribunale per i minorenni.
Interessa in questa sede soffermarsi sulla nozione di abbandono che costituisce il presupposto di tutto il procedimento. Non è sufficiente, come si è visto, che il minore sia abbandonato dai suoi genitori in quanto la legge richiede che vi sia privazione di assistenza morale e materiale del mi¬nore anche da parte dei “parenti tenuti a provvedervi”. Se vi è assistenza morale e materiale da parte di uno di questi parenti non può essere mai pronunciato lo stato di adottabilità del minore.
La legge non indica qui quali siano questi parenti “tenuti a provvedervi” ma si può fare riferimento alla categoria delle persone obbligate agli “alimenti” (art. 433 c.c.) dove ci si riferisce tra gli altri, oltre ai genitori, agli “ascendenti prossimi”. Nella stessa legge sull’adozione, all’art. 11 si fa riferi¬mento ai “parenti entro i quarto grado”.
D’altro lato la legge che disciplina l’adozione si apre proprio con l’affermazione di principio che ogni minore ha diritto di essere educato nella propria famiglia e la nozione di famiglia comprende certamente il ramo parentale prossimo.
Quindi la dichiarazione di adottabilità non può essere pronunciata se il minore – ancorché abban¬donato dai suoi genitori – risulti assistito adeguatamente dai parenti entro il quarto grado per esempio dagli zii oppure, appunto, dai nonni.
Deve trattarsi, però, di assistenza morale e materiale adeguata e credibile (Cass. civ. Sez. I, 24 novembre 2015, n. 23979; Cass. civ. Sez. I, 16 luglio 2014, n. 16280; Cass. civ. Sez. I, 28 febbraio 2006, n. 4407) e naturalmente prestata da parenti che – come si precisa nel successi¬vo art. 12 della legge – “abbiano mantenuto rapporti significativi con il minore” (in caso contrario sarebbe plausibile la dichiarazione di adottabilità del minore: Cass. civ. Sez. I, 11 aprile 2018, n. 9021).
A queste condizioni i nonni sono riconosciuti come figure parentali rilevanti per escludere lo stato di adottabilità, relativamente a minori i cui genitori non siano stati in grado di garantire assistenza morale e materiale (per esempio Cass. civ. Sez. I, 26 maggio 2014, n. 11758 ha annullato la sentenza di merito con cui, in ragione di patologie di carattere mentale e dello stato di tossico¬dipendenza dei genitori biologici, si era erroneamente dichiarato lo stato di adottabilità dei figli, omettendo di valutare l’idoneità dei nonni paterni a provvedere all’assistenza ed alla cura dei nipoti, in violazione del diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia) ma anche per esempio nei confronti di un minore i cui genitori siano entrambi deceduti.
Nel caso in cui il procedimento di adottabilità venga, quindi, aperto i nonni hanno diritto di es¬sere convocati e ascoltati (art. 12) e di impugnare eventualmente i provvedimenti del tribunale (art.17 ss).
VII I nonni come parenti affidatari del minore
Le figure parentali sono in genere quelle più adatte a garantire assistenza ad un minore che si trovi temporaneamente privo di una tutela genitoriale idonea.
La legge prevede espressamente che i nonni – così come gli altri parenti entro il quarto grado, in-differentemente in linea retta o collaterale (tra cui gli zii) – possano assumere liberamente funzioni vicarianti rispetto a quelle genitoriali.
Fatta salva naturalmente l’adeguatezza della collocazione (che potrebbe essere sempre oggetto di accertamento giurisdizionale nell’ambito delle consuete procedure di contrato agli abusi della responsabilità genitoriale) la legge prevede che qualsiasi parente entro il quarto grado può acco¬gliere stabilmente nella propria abitazione un minore senza limiti di tempo. L’art. 9, sesto comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 fa obbligo solo a chi non è parente entro il quarto grado di segnalare all’autorità giudiziaria il protrarsi di una ospitalità di un minore oltre un periodo di sei mesi, in quanto evidentemente questo prolungarsi dell’ospitalità potrebbe essere indizio di un ab¬bandono di un minore da parte dei sui genitori.
I nonni possono essere pertanto legittimi affidatari di fatto di un minore senza limiti di tempo. E, come si è detto, mai potrebbe essere legittimamente dichiarata l’adottabilità di un minore al quale i nonni garantiscono adeguata assistenza.
La legittimazione dei nonni quali parenti affidatari è anche una legittimazione riconosciuta e ga¬rantita spesso dallo stesso tribunale in funzione sostituiva della collocazione presso i genitori nei casi in cui venga aperto dallo stesso tribunale un procedimento di controllo della responsabilità genitoriale. Può infatti accadere che il tribunale per i minorenni o il tribunale ordinario nel corso di una causa di separazione o divorzio (art. 38 disp. att. c.c.) ritengano necessario disporre misure limitative (art. 333 c.c.) o di decadenza (art. 330 c.c.) della responsabilità genitoriale. Non è af¬fatto raro che tali misure si sostanzino nell’affidamento del minore ai nonni anche per periodi di tempo prolungati.
Il giudice della separazione, nel suo potere di adottare i provvedimenti che ritiene più adeguati può senz’altro affidare il figlio nel corso o all’esito della causa di separazione anche ai nonni (Trib. Reggio Emilia, 24 agosto 2009) o comunque regolare i rapporti tra i nonni e il nipote anche d’ufficio (Trib. Reggio Emilia Sez. I, 17 maggio 2007).
VIII I nonni sono tenuti a mantenere i nipoti?
Una specifica disposizione del codice civile contenuta nell’ambito delle norme sulla responsabilità genitoriale (titolo IX del primo libro) dispone che “I genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro pro¬fessionale o casalingo” precisando subito dopo che “Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli” (art. 316-bis inserito dall’art. 40, comma 1, del D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154).
Questa norma – che prima della riforma del 2013 era contenuta nell’art. 148 c.c. – prevede quindi l’obbligo dei nonni di occuparsi del mantenimento dei nipoti “quando i genitori non hanno mezzi sufficienti”. Sennonché l’obbligazione non è indicata come un’obbligazione direttamente verso i nipoti, ma come obbligo dei nonni (in generale degli ascendenti in ordine di prossimità) di “fornire ai genitori stessi i mezzi necessari”.
Innanzitutto è da osservare che ove i genitori siano privi di mezzi economici, i parenti in linea collaterale (e cioè gli zii) non possono essere condannati a fornire loro quanto necessario ad adem¬piere ai doveri imposti dalla legge nei confronti dei figli, atteso che la disposizione fa riferimento esclusivamente agli “ascendenti” e, quindi, ai soli parenti in linea retta. (Cass. civ. Sez. I, 24 novembre 2015, n. 23978).
Ai fini dell’interpretazione corretta della disposizione sono fondamentali Cass. civ. Sez. I, 23 marzo 1995, n. 3402, Cass. civ. Sez. I, 30 settembre 2010, n. 20509 e Cass. civ. Sez. I, 30 settembre 2010, n. 20509 dove si è precisa che l’obbligo di provvedere al mantenimento del minore grava sugli ascendenti prossimi soltanto in via succedanea e sostitutiva rispetto ai ge¬nitori, e solo quando questi ultimi non siano in grado di adempiere al loro obbligo in via primaria e integrale.
L’obbligo di mantenimento dei figli minori spetta primariamente e integralmente ai loro genitori sicché, se uno dei due non possa o non voglia adempiere al proprio dovere, l’altro, nel preminente interesse dei figli, deve far fronte per intero alle loro esigenze con tutte le sue sostanze patrimo¬niali e sfruttando tutta la propria capacità di lavoro, salva la possibilità di convenire in giudizio l’i¬nadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle condizioni economiche globali di costui; pertanto l’obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari affinché possano adem¬piere i loro doveri nei confronti dei figli – che investe contemporaneamente tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori – va inteso non solo nel senso che l’obbligazione degli ascendenti è subordinata e, quindi, sussidiaria rispetto a quella, primaria, dei genitori, ma anche nel senso che agli ascendenti non ci si possa rivolgere per un aiuto economico per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il proprio contributo al mantenimento dei figli, se l’altro genitore è in grado di mantenerli; così come il diritto agli alimenti ex art.433 cod. civ., legato alla prova dello stato di bisogno e dell’impossibilità di reperire attività lavorativa, sorge solo qualora i genitori non siano in grado di adempiere al loro diretto e personale obbligo.
Le decisioni richiamate suggeriscono quindi anche una interpretazione dell’art. 433 c.c. che rico¬nosce un’obbligazione principale ai genitori e solo sussidiaria ai nonni (“All’obbligo di prestare gli alimenti sono tenuti nell’ordine… 3) i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi…”).
La giurisprudenza di merito si è adeguata a questa interpretazione Trib. Parma, 26 maggio 2014; Trib. Monza Sez. IV, 14 febbraio 2012; Trib. Trani, 13 aprile 2010; Trib. Vicenza 4 settembre 2009).
Si è discostato da questa line interpretativa Trib. Mantova, 22 novembre 2012 secondo l’art. 148, comma 2, c.c., va interpretato nel senso che l’obbligo di concorso degli ascendenti deve ritenersi sussistente non solo nei casi di impossibilità oggettiva di provvedere al mantenimento della prole da parte dei genitori ma anche in quello di omissione volontaria da parte di costoro nei confronti dei figli posto che scopo della norma è quello di salvaguardare in modo assoluto i minori e con la necessaria celerità.
Non presenta particolare problematicità il procedimento previsto. La disposizione sopra richiamata prevede che In caso di inadempimento dell’obbligo di mantenimento da parte dei genitori o dei nonni il presidente del tribunale, su istanza di chiunque vi ha interesse, sentito l’inadempiente ed assunte informazioni, può ordinare con decreto (non solo un obbligo diretto di mantenimento) ma anche che una quota dei redditi dell’obbligato, in proporzione agli stessi, sia versata direttamente all’altro genitore o a chi sopporta le spese per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione della prole. Il decreto, notificato agli interessati ed al terzo debitore, costituisce titolo esecutivo, ma le parti ed il terzo debitore possono proporre opposizione nel termine di venti giorni dalla notifica. L’opposizione è regolata dalle norme relative all’opposizione al decreto di ingiunzione, in quanto applicabili. Le parti ed il terzo debitore possono sempre chiedere, con le forme del processo ordi¬nario, la modificazione e la revoca del provvedimento.
IX La tutela dei nonni in condizione di bisogno
a) I diritti di natura alimentare
I nipoti hanno verso i nonni obblighi di natura alimentare; così come i figli verso i genitori (art. 433 c.c.)2
2 Cfr la voce ASCENDENTI IN CONDIZIONE DI BISOGNO .
Le problematiche giuridiche connesse agli obblighi di natura alimentare verso gli ascendenti sono soprattutto riferibili alle persone anziane. Le difficoltà economiche sono molto frequenti in età avanzata, quando anche i legami familiari possono indebolirsi e lasciare soprattutto i più anziani privi di assistenza, emarginati o isolati. Non sono rari i casi in cui una persona anziana viene ad es¬sere privata non solo dell’affetto ma anche del sostegno dei figli, dei fratelli o di altri parenti stretti.
Sono due i presupposti previsti per l’insorgere di doveri di natura alimentare.
Si verifica lo stato di bisogno allorché mancano le risorse economiche occorrenti per soddisfare le essenziali e primarie esigenze di vita valutate non con riferimento alle norme dettate da leggi speciali per finalità di ordine generale di sostegno dell’indigenza, bensì in relazione al contesto socio-economico del richiedente (Cass. civ. Sez. I, 27 gennaio 2012, n. 1253).
L’altro presupposto consiste nell’impossibilità da parte dell’interessato di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento, cioè – come è stato precisato con riguardo a qualsiasi persona – di trovare un’attività lavorativa confacente alle proprie attitudini ed alle proprie condizioni sociali (Cass. civ. Sez. I, 30 settembre 2010, n. 20509), situazione che per una persona anziana è evidentemente in re ipsa.
Su questi punti la giurisprudenza è sempre stata concorde (per esempio Cass. civ. Sez. I, 14 febbraio 2007, n. 3334; Cass. civ. Sez. I, 6 ottobre 2006, n. 21572; Cass. civ. Sez. I, 14 maggio 2004, n. 9185; Cass. civ. Sez. I, 14 febbraio 1990, n. 1099).
Allorché, quindi, queste circostanze si verificano l’art. 433 del codice civile indica con precisione le persone tenute a soddisfare le necessità alimentari. Queste persone sono (oltre al coniuge ed ai fratelli se esistenti) i figli e, in loro mancanza i discendenti prossimi (cioè i figli dei figli).
Quindi non solo i figli devono occuparsi delle necessità dei loro genitori ma, se i figli non hanno la possibilità anche i nipoti prossimi (che quindi rispondono in via sussidiaria). Anche i generi e le nuore sono obbligati all’adempimento dell’obbligazione alimentare verso l’anziano (benché non siano stretti al beneficiario da alcun vincolo di parentela).
L’obbligo alimentare si suddivide tra tutti gli obbligati a seconda delle possibilità di ciascuno. L’art. 438 del codice civile lo prevede espressamente allorché prevede che gli alimenti “devono essere assegnati in proporzione del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli”.
La proporzionalità comporta che l’obbligazione va considerata “parziaria” in contrapposizione a quella “solidale” in cui ciascuno degli obbligati è tenuto all’adempimento dell’intera obbligazione (art. 1292 codice civile).
L’anziano che si trova nella necessità di essere mantenuto – perché non è assistito spontaneamen¬te da nessuna delle persone a lui più vicine o da nessuno dei suoi familiari – può invitare per iscritto la persona obbligata o anche tutti gli obbligati a corrispondergli un assegno periodico. La persona obbligata potrebbe anche offrirsi di ospitare e mantenere in casa con sé il beneficiario (art. 443 codice civile), ma in caso di mancato accordo la decisione spetta al giudice.
L’obbligo di mantenimento – come molto opportunamente prevede l’art. 445 del codice civile – decorre dalla data dell’inoltro della richiesta scritta (che vale come messa in mora) purché l’inte¬ressato inizi il procedimento davanti al tribunale del foro di propria residenza entro i successivi sei mesi. Altrimenti, decorso questo termine, l’obbligo decorrerà dalla data della domanda giudiziale. La causa è regolata dalle norme del processo ordinario davanti al tribunale in composizione mo¬nocratica.
Il presidente del tribunale può anche ordinare agli obbligati il versamento di un assegno provviso¬rio (art. 446 codice civile) fino a che non sopravvenga la sentenza del tribunale. In considerazione della particolare natura della prestazione alimentare la persona obbligata a pagare il mantenimen¬to non può mai opporre in compensazione un proprio credito verso il beneficiario degli alimenti (art. 447 codice civile). L’obbligo di pagare gli alimenti ha natura personale; non si trasmette ai propri eredi e cessa quindi con la morte della persona obbligata (art. 448 codice civile).
b) La sanzione in caso di violazione degli obblighi alimentari verso i nonni
L’art. 570 del codice penale punisce con la reclusione fino a un anno congiuntamente ad una multa chiunque “fa mancare i mezzi di sussistenza … [anche] agli ascendenti”.
Nella importante decisione delle Sezioni Unite sull’articolo 570 del codice penale (Cass. pen. Sez. Unite, 31 gennaio 2013, n. 23866) si è affermato che la condotta sanzionata dall’art. 570, com¬ma secondo, codice penale presuppone uno stato di bisogno, nel senso che l’omessa assistenza deve avere l’effetto di far mancare i mezzi di sussistenza, che comprendono quanto è necessario per la sopravvivenza, situazione che non si identifica né con l’obbligo di mantenimento né con quello alimentare, aventi una portata più ampia.
Si propone, così, una tripartizione delle obbligazioni di natura economica verso i congiunti (man¬tenimento, alimenti, mezzi di sussistenza) intendendo per mezzi di sussistenza” però – come ha ben precisato Cass. pen. Sez. VI, 21 novembre 2012, n. 49755 – “non più solo i mezzi per la sopravvivenza vitale (quali il vitto e l’alloggio), ma anche gli strumenti che consentano, in rap¬porto alle reali capacità economiche e al regime di vita personale del soggetto obbligato, un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana (quali, ad es., abbigliamento, libri di istruzione per i figli minori, mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione)”.
c) Altri reati commessi contro i nonni
Non esistono naturalmente figure di reato tipiche verso i nonni, cioè reati che hanno come persone offese i nonni in quanto tali. Si tratta quindi di reati contro le persone anziane in generale.
Nel nostro sistema penale allorché un reato è commesso in danno di persone anziane non era prevista fino al 2009 nessuna specifica aggravante e la giurisprudenza utilizzava la circostanza aggravante di cui all’articolo 61, n. 5 codice penale (cosiddetta “minorata difesa” che consisteva nell’”aver profittato di circostanze di tempo, di luogo o di tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”) ritenendo però che “ l’età non può di per sé costituire condizione autosufficiente ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 codice penale, dovendo essere accom¬pagnata da fenomeni di decadimento o di indebolimento delle facoltà mentali o da ulteriori condi¬zioni personali, quali il basso livello culturale del soggetto passivo, che determinano un diminuito apprezzamento critico della realtà” (Cass. pen. Sez. II, 17 settembre 2008, n. 39023). Si trattava di una interpretazione, come è evidente, eccessivamente indulgente nei confronti dei reati contro gli anziani.
La legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) ha modificato il testo dell’articolo 61 n. 5 del codice penale che prevede ora come aggravante “l’avere profittato di cir¬costanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”.
Anche la giurisprudenza ne ha preso atto precisando ora che “a seguito della modifica introdotta dalla legge n. 94 del 2009, l’aggravante della “minorata difesa” deve essere specificamente valutata anche in riferimento all’età senile della persona offesa, avendo voluto il legislatore assegnare rile¬vanza ad una serie di situazioni che denotano nel soggetto passivo una particolare vulnerabilità della quale l’agente trae consapevolmente vantaggio. Pertanto ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della minorata difesa, l’età avanzata della vittima del reato, a seguito delle modificazioni legislative è rilevante nel senso che impone al giudice di verificare, allorché il reato sia commesso in danno di persona anziana, se la condotta criminosa posta in essere sia stata agevolata dalla scarsa lucidità o incapacità di orientarsi da parte della vittima nella comprensione degli eventi secondo crite¬ri di normalità (Cass. pen. Sez. V, 13 luglio 2011, n. 38347; Cass. pen. Sez. II, 23 settembre 2010, n. 35997).
Benché si sia fatta finora applicazione di questa aggravante soprattutto nel caso di truffe o furti in danno di anziani, non è affatto escluso che anche il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare possa essere largamente agevolato dalla scarsa resistenza della vittima o dalla ridotta capacità di valutare i propri diritti.
L’anziano deve proporre però querela, in quanto il reato previsto nell’articolo 570 del codice penale è perseguibile solo a querela di parte. Si tratta di una palese privazione di garanzia per le vittime anziane di questi comportamenti che spesso non sono in condizione di venire a conoscenza della necessità legale di presentare una querela. Soltanto nel caso in cui la persona anziana sia inferma di mente potrebbe scattare il meccanismo previsto dalla legge per la nomina, da parte del giudice penale – su richiesta del pubblico ministero – di un curatore speciale per l’esercizio del diritto di querela (art. 121 codice penale) e quindi per l’attivazione di una maggiore tutela della vittima.
X Il risarcimento del danno per morte del nonno cagionata da fatto illecito altrui
La giurisprudenza negli anni passati ha espresso posizioni differenziate in ordine al tema della risar¬cibilità del danno non patrimoniale in seguito alla morte di un nonno cagionata dal fatto illecito altrui.
Le decisioni più recenti che hanno affrontato il tema dei presupposti del risarcimento a favore die nipoti in seguito alla morte del nonno per fatto illecito altrui sono Cass. civ. Sez. III, 20 ottobre 2016, n. 21230 e Cass. civ. Sez. III, 7 dicembre 2017, n. 29332 che, ribaltando l’orienta¬mento precedente, affermano la piena risarcibilità del danno non patrimoniale da uccisione anche nel caso in cui non vi sia convivenza tra nonni e nipoti.
Si legge in queste importanti decisioni che in caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione, proposta iure proprio dai congiunti dell’ucciso, questi ultimi devono provare la effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, e ciò anche ove l’azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno; infatti, non essendo condivisibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento l’art. 29 Cost., all’ambito ristretto della sola cd. “famiglia nucleare”, il rapporto nonni-nipoti non può essere ancorato alla convivenza, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo automaticamente, nel caso di non sussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto.
In senso analogo in passato si era espressa Cass. civ. Sez. III, 15 luglio 2005, n. 15019 che aveva ritenuto ammissibile il risarcimento “allorché sussista un legame affettivo basato su una frequentazione in atto e sulla consapevolezza della presenza in vita di una persona cara” indipen¬dentemente dalla convivenza.
Analoga era stata la soluzione proposta dalla giurisprudenza di legittimità per il caso in cui i nonni intendano chiedere il risarcimento dei danni a seguito della morte del nipote, cagionata da fatto illecito altrui. Cass. pen. Sez. III, 4 giugno 2013, n. 29735 ha ritenuto infatti che i nonni della vittima di un incidente stradale sono legittimati “iure proprio” a costituirsi parte civile per il risar¬cimento dei danni patrimoniali e morali, a prescindere dall’esistenza di un rapporto di convivenza con la vittima medesima Si afferma, quindi, che ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale in favore dei nonni di una persona deceduta a seguito della commissione di un reato, costituitisi parti civili nel processo penale a carico del responsabile, non è indispensabile il requisito della convivenza con il nipote.
In passato aveva prevalso, invece, un orientamento fortemente contrario che dava rilevanza diri¬mente alla convivenza tra nonni e nipoti ai fini del risarcimento del danno.
Nella decisione su questo argomento più lontana nel tempo (Cass. civ. Sez. III, 23 giugno 1993, n. 6938) si era affermato che la risarcibilità dei danni morali per la morte di un nonno causata da atto illecito penale presuppone, oltre al rapporto di parentela, anche la perdita, in con¬creto, di un effettivo e valido sostegno morale, non riscontrabile in mancanza di una situazione di convivenza. L’orientamento era stato poi confermato da Cass. civ. Sez. III, 11 maggio 2007, n. 10823 in cui sé affermato che per il risarcimento dei danni morali conseguenti alla morte di un nonno a seguito di investimento stradale non è necessaria la prova specifica della sua sussisten¬za, ove sia esistito tra di essi un legame affettivo di particolare intensità, potendo a tal fine farsi ricorso anche a presunzione. La prova del danno morale è, infatti, correttamente desunta dalle indubbie sofferenze patite dai parenti, sulla base dello stretto vincolo familiare, di coabitazione e di frequentazione, che essi avevano avuto, quando ancora la vittima era in vita.
Ugualmente sulla necessità della convivenza ai fini del risarcimento del danno si era fondata Cass. civ. Sez. III,16 marzo 2012, n. 4253. In un sinistro stradale aveva petrso la vita un uomo di 71 anni. I nipoti agivano – insieme a figli del deceduto – per il risarcimento dei danni. Il tribunale di Ravenna riconosceva il danno non patrimoniale ai figli ma non ai nipoti. La decisione veniva confermata dalla Corte di appello di Bologna. Avverso la sentenza tutti i congiunti ricorrevano per cassazione.
Con uno dei motivi di ricorso motivo si deduceva la violazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056, 2059 cod. civ. in riferimento al mancato riconoscimento del danno non patrimoniale ai nipoti. La Corte di cassazione rigettava il ricorso entrando nel merito della questione posta e cioè se, nell’ambito del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale per la morte di un con¬giunto, il rapporto (reciproco) nonni-nipoti debba essere, o meno, ancorato alla convivenza per essere giuridicamente qualificato e rilevante, dovendosi escludere, nel caso lo si ritenga ancorato alla convivenza e questa non via sia, la possibilità di provare in concreto l’esistenza di rapporti, co¬stanti e caratterizzati da affetto reciproco e solidarietà, con il familiare defunto. Ritiene il Collegio che al quesito debba darsi risposta positiva. Infatti “la giurisprudenza di legittimità – si afferma – non ha avuto molte occasioni per affrontare specificamente il problema. Si discutono quindi i due orientamenti contrapposti. Da un lato quello che ritiene necessaria la convivenza. Dall’altro quello che individua il fondamento del danno non patrimoniale, per tutti i superstiti, nella lesione di valori costituzionalmente protetti e di diritti umani inviolabili, costituendo la perdita dell’unità familiare perdita di affetti e di solidarietà inerenti alla famiglia come società naturale, ritenendosi quindi sufficiente l’emersione, sul piano probatorio, di “normali rapporti” che, specie in assenza di coabitazione, lasciano intendere come sia rimasto intatto, e si sia rafforzato nel tempo, il legame affettivo e parentale tra prossimi congiunti. Ritiene il Collegio- si afferma nella sentenza qui esa¬minata – che debba darsi continuità all’indirizzo più risalente. A favore di una posizione qualificata giuridicamente, affinché possa essere configurato il diritto al risarcimento del danno non patrimo¬niale da lesione del rapporto parentale per la morte del nonno o del nipote, militano: la configura¬zione della famiglia, emergente dalla Costituzione come famiglia nucleare; la posizione dei nonni nell’ordinamento giuridico; il bilanciamento, che il dato esterno e oggettivo della convivenza con¬sente, tra l’esigenza di evitare il pericolo di una dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiati secondari e la necessità, costituzionalmente imposta dall’art. 2 Cost., di dare rilievo all’esplicarsi dei diritti della personalità nelle formazioni sociali e, quindi, nella famiglia dei conviventi, come proiezione sociale e dinamica della personalità dell’individuo.
Dai precetti costituzionali dedicati alla famiglia (artt. 29, 30 e 31 Cost.), anche alla luce del modo come essi si sono inverati nell’ordinamento, attraverso l’opera congiunta della giurisprudenza del Giudice delle leggi e del legislatore ordinario, emerge una famiglia (anche di fatto) nucleare, incentrata su coniuge, genitori e figli, rispetto alla quale soltanto è delineata la trama dei diritti e doveri reciproci. Deve ritenersi, quindi, che il fatto illecito, costituito dalla uccisione del congiunto, dia luogo a danno non patrimoniale, consistente nella perdita del rapporto parentale, quando col¬pisce soggetti legati da un vincolo parentale stretto, la cui estinzione lede il diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che connota la vita familiare nucle¬are. Mentre, affinché possa ritenersi leso il rapporto parentale di soggetti al di fuori di tale nucleo (nonni, nipoti, genero, nuora) è necessaria la convivenza, quale connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità dei rapporti parentali, anche allargati, caratterizzati da reciproci vincoli affettivi, di pratica della solidarietà, di sostegno economico.
La giurisprudenza di merito si era allineata a questa soluzione. Così per esempio Trib. Taranto Sez. III, 13 gennaio 2015, Trib. Bologna Sez. III, 3 novembre 2014, Trib. Firenze, 13 marzo 2014 e Trib. Alessandria, 26 aprile 2013 secondo cui affinché il risarcimento possa essere at¬tribuito a soggetti estranei al ristretto nucleo familiare (quali i nonni, i nipoti, il genero o la nuora) è necessario che sussista una situazione di convivenza, in quanto connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità delle relazioni di parentela, anche allargate, contraddistinte da reciproci legami affettivi, pratica della solidarietà e sostegno economico.
Come si è sopra detto le più recenti Cass. civ. Sez. III, 20 ottobre 2016, n. 21230 e Cass. civ. Sez. III, 7 dicembre 2017, n. 29332 hanno ribaltato questo orientamento.
I
Giurisprudenza
Cass. civ. Sez. I, 11 aprile 2018, n. 9021 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In assenza di rapporti significativi tra nonni e nipoti e di un legame familiare, è legittima l’esclusione di questi dall’affidamento dei minori e la conseguente dichiarazione di adottabilità.
Cass. civ. Sez. III, 7 dicembre 2017, n. 29332 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale “da uccisione”, proposta iure proprio dai con¬giunti dell’ucciso, questi ultimi devono provare la effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, e ciò anche ove l’azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno.
Cass. civ. Sez. III, 20 ottobre 2016, n. 21230 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale “da uccisione”, proposta “iure proprio” dai con¬giunti dell’ucciso, questi ultimi devono provare la effettività e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, e ciò anche ove l’azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno; infatti, non essendo condivisibile limitare la “società naturale”, cui fa riferimento l’art. 29 Cost., all’ambito ristretto della sola cd. “famiglia nucleare”, il rapporto nonni-nipoti non può essere ancorato alla convivenza, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo automaticamente, nel caso di non sussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto.
Trib. Lucca, 4 maggio 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In merito alla questione della risarcibilità del danno da perdita del rapporto parentale, lamentato da parenti non facenti parte del nucleo familiare ristretto (come i nonni), si ritiene che “la convivenza costituisca il connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità dei rapporti parentali anche allargati”, e quindi necessario ai fini del riconoscimento risarcitorio.
Trib. Venezia Sez. minori, 24 dicembre 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 317-bis c.c., pur non attribuendo ai nonni un diritto autonomo di visita dei nipoti, nel prevedere che deb¬bano essere assicurati tra gli stessi rapporti significativi, riconosce l’importanza che assume, nella vita e nella formazione educativa dei minori, la conoscenza e frequentazione dei nonni, in funzione di una loro crescita sere¬na ed equilibrata, quali componenti della famiglia allargata, nel cui interno essi sono collocati.
Cass. civ. Sez. I, 24 novembre 2015, n. 23979 (Nuova Giur. Civ., 2016, 5, 669, nota di CINQUE)
Il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia di origine comporta che il ricorso alla dichiarazione di adottabilità sia praticabile unicamente come soluzione estrema. In tale contesto, la ribadita e seria disponibilità dei nonni a prendersi cura del minore, quali figure sostitutive dei genitori, può valere ad inte¬grare, se concretamente accertata e verificata, il presupposto giuridico per escludere la situazione di abbandono ai sensi dell’art. 8 della legge n. 184/83 e, quindi, la dichiarazione di adottabilità del medesimo.
Cass. civ. Sez. I, 24 novembre 2015, n. 23978 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ove i genitori siano privi di mezzi economici, i parenti in linea collaterale (nella specie, le zie paterne) non pos¬sono essere condannati a fornire loro quanto necessario ad adempiere ai doveri imposti dalla legge nei confronti dei figli, atteso che l’art. 148, comma 2, c.c. (nella formulazione, applicabile “ratione temporis”, antecedente alle modifiche di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 154 del 2013) fa riferimento esclusivamente agli “ascendenti” e, quindi, ai soli parenti in linea retta.
Corte cost. 24 settembre 2015, n. 194 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, primo comma, delle disposizioni di attuazione del codice civile, come modificato dall’art. 96, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 76, 77 e 111 della Costituzione, dal Tribunale per i minorenni di Bologna e dal Tribunale per i minorenni di Napoli.
Cass. civ. Sez. I, 21 aprile 2015, n. 8100 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 336, ultimo comma c.c. che prevede la nomina di un difensore del minore, trova applicazione solo relativa¬mente ai provvedimenti limitativi della potestà genitoriale, nel caso in cui si ravvisi un concreto profilo di conflitto di interessi tra genitori e minore, e non anche alle controversie relative al regime di affidamento e di visita del minore, nelle quali la partecipazione del minore si esprime mediante l’ascolto dello stesso, quale adempimento già previsto dall’art. 155-sexies c.c., divenuto necessario ai sensi dell’art. 315-bis c.c., in tutte le questioni e procedure che lo riguardano, in attuazione dell’art. 2 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo.
Corte europea diritti dell’uomo, 20 gennaio 2015 (Foro It., 2015, 3, 4, 126)
In caso di separazione personale dei genitori, l’effettivo esercizio del diritto di visita ai figli minori deve essere ri¬conosciuto anche agli ascendenti, rientrando pure le relazioni tra nonni e nipoti nell’ambito di protezione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Ne discende l’obbligo degli Stati di adottare nel minor tempo possibile le misure necessarie a riunire i parenti ed i minori.
Cass. civ. Sez. I, 19 gennaio 2015, n. 752 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto degli ascendenti a mantenere rapporti con i nipoti non vuol dire che questi abbiano sempre e comunque diritto di visita del minore: l’interesse preminente del fanciullo, infatti, prevale comunque nel bilanciamento degli interessi in gioco.
Trib. Taranto Sez. III, 13 gennaio 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In materia di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, ai fini del riconoscimento del pregiudizio conseguente alla morte del congiunto, il requisito della convivenza non è necessario tra soggetti in relazione di stretta parentela, cioè appartenenti alla stessa famiglia di origine, quali fratelli o genitori e figli, mentre è impre¬scindibile tra parenti non stretti (quali nipoti, nonni, generi e nuore).
Trib. Bologna Sez. III, 3 novembre 2014 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il danno non patrimoniale conseguente ad un fatto illecito presunto e consistente nella perdita del rapporto parentale, può essere riconosciuto a soggetti legati da uno stretto vincoli di parentela che subiscono una lesio¬ne del diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare. Non parimenti allorquando la medesima domanda venga avanzata da soggetti ritenuti estranei a tale ristretto nucleo familiare quali i nonni, i nipotini, il genero o la nuora in quanto, in tali casi, è necessaria la presenza di un ulteriore fattore rappresentato da una situazione di convivenza attraverso il quale si esteriorizza l’intimità delle relazioni di parentela, anche allargate, da reciproci legami affettivi, solidarietà e so¬stegno economico che facciano assumere rilievo giuridico al collegamento tra danneggiato primario e secondario e alla famiglia intesa come luogo ove si esplica la personalità di ciascuno ai sensi dell’art. 2 della Costituzione.
Cass. civ. Sez. I, 16 luglio 2014, n. 16280 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di dichiarazione di stato di adottabilità del minore, ai fini dell’accertamento della situazione di abban¬dono, la dichiarata disponibilità di uno dei parenti entro il quarto grado (nella specie, i nonni) ad occuparsi dello stesso non è sufficiente, di per sé, ad escludere detta situazione, dovendo la stessa essere suffragata da ele¬menti oggettivi che la rendano credibile.
Cass. civ. Sez. I, 26 maggio 2014, n. 11758 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di adozione di minori, la prioritaria esigenza per il figlio di vivere, nei limiti del possibile, con i genitori biologici e di essere allevato nell’ambito della propria famiglia, alla stregua del legame naturale oggetto di tutela ai sensi dell’art. 1 della legge 4 maggio 1983, n. 184, impone particolare rigore nella valutazione dello stato di adottabilità ai fini del perseguimento del suo superiore interesse. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito con cui, in ragione di patologie di carattere mentale e dello stato di tossicodipendenza dei genitori bio¬logici, si era erroneamente dichiarato lo stato di adottabilità dei figli, omettendo di valutare l’idoneità dei nonni paterni a provvedere all’assistenza ed alla cura dei nipoti, in violazione del diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia).
Trib. Parma, 26 maggio 2014 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’obbligo di tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori di fornire a questi i mezzi necessari per adempiere al loro dovere nei confronti dei figli, ex art. 147 c.c., deve ritenersi sussistente non solo nei casi di impossibilità oggettiva di provvedere al mantenimento della prole da parte dei genitori, ma anche in quello di omissione volontaria da parte di entrambi o di uno solo di essi, laddove l’altro non sia in grado di provvedervi da solo. Scopo della norma di cui all’art. 148 c.c. è, invero, quello di salvaguardare i minori con la necessaria celerità ed in modo assoluto. In tale contesto, il riferimento legislativo relativo al non avere i genitori mezzi sufficienti al mantenimento va inteso nel senso che l’insufficienza dei mezzi ammette anche una integrazione parziale e non la sola sostituzione di una categoria all’altra.
Cass. civ. Sez. I, 31 marzo 2014, n. 7478 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La disposizione di cui all’art. 336, ultimo comma, c.c. – che richiede l’assistenza di un difensore – trova applica¬zione soltanto per i provvedimenti limitativi ed eliminativi della potestà genitoriale, ove si pone in concreto un profilo di conflitto di interessi tra genitori e minore, e non già in una controversia relativa al regime di affidamen¬to e di visita del minore, figlio di una coppia che ha deciso di cessare la propria comunione di vita.
Trib. Firenze, 13 marzo 2014 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il danno non patrimoniale derivante dalla perdita di un congiunto a seguito di un fatto illecito è di norma rico¬nosciuto ai soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela la cui estinzione lede il diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare. Affinché possa, in generale, tale risarcimento essere attribuito anche a soggetti estranei a tale ristretto nucleo familiare (quali i nonni, i nipoti, il genero o la nuora) è necessario che sussista una situazione di convivenza, in quanto connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità delle relazioni di parentela, anche allargate, contrad¬distinte da reciproci legami affettivi, pratica della solidarietà e sostegno economico. Solo in tal modo assume rilevanza giuridica il collegamento tra danneggiato primario e secondario, nonché la famiglia intesa come luogo in cui si esplica la personalità di ciascuno, ai sensi dell’art. 2 Costituzione.
Cass. civ. Sez. I, 5 marzo 2014, n. 5097 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel procedimento finalizzato all’accertamento del diritto del minore a conservare rapporti significativi con gli ascendenti ed i parenti del genitore scomparso, il comportamento ostativo del genitore superstite costituisce una condotta pregiudizievole secondo la previsione degli artt. 330 e segg. cod. civ., poiché comporta la rescissione, nella fase evolutiva della formazione della personalità del ragazzo, di una sfera affettiva e identitaria assolu¬tamente significativa, e lo espone a una vicenda esistenziale particolarmente dolorosa. In tale procedimento il minore assume la qualità di parte e, in quanto tale, come affermato anche dall’art. 315 bis cod. civ., introdotto dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, ha diritto di essere ascoltato, purché abbia compiuto gli anni dodici, ov¬vero, sebbene di età inferiore, sia comunque capace di discernimento, cosicché la sua audizione non può – anche nel caso in cui il giudice disponga, secondo il suo prudente apprezzamento, che l’audizione avvenga a mezzo di consulenza tecnica – in alcun modo rappresentare una restrizione della sua libertà personale ma costituisce, al contrario, un’espansione del diritto alla partecipazione nel procedimento che lo riguarda, quale momento formale deputato a raccogliere le sue opinioni ed i suoi effettivi bisogni.
E’ inammissibile perché investe statuizioni destinate ad assumere un mero carattere strumentale e non deciso¬rio. Inoltre, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, i provvedimenti, emessi in sede di volontaria giurisdizione, che dettino disposizioni per ovviare ad una condotta dei genitori pregiudizievole ai figli, ai sensi dell’art. 333 c.c., in quanto privi dei caratteri della decisorietà e definitività in senso sostanziale, non sono impugnabili con il ricorso straordinario per cassazione di cui all’art. 111 Cost., comma 7, neppure se il ricorrente lamenti la lesione di situazioni aventi rilievo processuale, quali espressione del diritto di azione, in quanto la pronunzia sull’osservanza delle norme che regolano il processo, disciplinando i presupposti, i modi e i tempi con i quali la domanda può essere portata all’esame del giudice, ha necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato e, pertanto, non può avere autonoma valenza di provvedimento decisorio e definitivo, se di tali caratteri quell’atto sia privo, stante la natura strumentale della problematica processuale e la sua idoneità a costituire oggetto di dibattito soltanto nella sede, e nei limiti, in cui sia aperta o possa essere riaperta la discussione sul merito (Cass. civ. sezione I n. 11756 del 14 maggio 2010). 21.
E’ errato ritenere che il minore non sia parte del processo in quanto la sua partecipazione al giudizio avviene mediante il suo rappresentante legale e in caso di conflitto di interesse a mezzo del curatore speciale (cfr. Cass. civ. sezione I, n. 3804 del 17 febbraio 2010).
E’ ravvisabile un conflitto d’interessi tra chi è incapace di stare in giudizio personalmente ed il suo rappresentante legale (nella specie, figlio minore e genitore), ogni volta che l’incompatibilità delle rispettive posizioni è anche solo potenziale, a prescindere dalla sua effettività; ne consegue che la relativa verifica va compiuta in astratto ed ex ante secondo l’oggettiva consistenza della materia del contendere dedotta in giudizio, anzichè in concreto ed a posteriori alla stregua degli atteggiamenti assunti dalle parti nella causa. Pertanto, in caso di omessa nomina di un curatore speciale, il giudizio è nullo per vizio di costituzione del rapporto processuale e per violazione del principio del contraddittorio.
Cass. pen. Sez. III, 4 giugno 2013, n. 29735 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
I nonni della vittima di un incidente stradale sono legittimati “iure proprio” a costituirsi parte civile per il risar¬cimento dei danni patrimoniali e morali, a prescindere dall’esistenza di un rapporto di convivenza con la vittima medesima.
Trib. Alessandria, 26 aprile 2013 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il fatto illecito, costituito dalla uccisione del congiunto, dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consi¬stente nella perdita del rapporto parentale, allorché colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, la cui estinzione lede il diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare. Perché, invece, possa ritenersi risarcibile la lesione del rapporto parentale subita da soggetti estranei a tale ristretto nucleo familiare (quali i nonni, i nipoti, il genero, o la nuora) è necessa¬rio che sussista una situazione di convivenza, in quanto connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità delle relazioni di parentela, anche allargate, contraddistinte da reciproci legami affettivi, pratica della solidarietà e sostegno economico, solo in tal modo assumendo rilevanza giuridica il collegamento tra danneggiato primario e secondario, nonché la famiglia intesa come luogo in cui si esplica la personalità di ciascuno, ai sensi dell’art. 2 Costituzione. E’ dunque risarcibile il danno non patrimoniali per i nipoti, in caso di uccisione della nonna, nel caso in cui sia stato provato, nel processo, che questi trascorrevano buona parte della giornata con l’ascendente, che li accudiva, provvedendo al soddisfacimento dei loro bisogni materiali ed affettivi, essendo i genitori impegnati in attività lavorativa
Cass. pen. Sez. Unite, 31 gennaio 2013, n. 23866 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La previsione di cui all’art. 12-sexies della legge n. 898 del 1970 delinea una fattispecie di reato, nella parte precettiva, del tutto autonoma rispetto all’art. 570 codice penale. Trattasi, in particolare, di un reato omissivo proprio, di carattere formale, essendo individuato il soggetto attivo unicamente in colui che è tenuto alla pre¬stazione dell’assegno di divorzio e consistendo la condotta nell’inadempimento dell’obbligo economico stabilito dal provvedimento del Giudice. Il rinvio operato dalla richiamata norma di legge all’art. 570 codice penale è, pertanto, unicamente limitato alla pena ivi prevista.
La condotta sanzionata dall’art. 570, comma secondo, codice penale presuppone uno stato di bisogno, nel senso che l’omessa assistenza deve avere l’effetto di far mancare i mezzi di sussistenza, che comprendono quanto è necessario per la sopravvivenza, situazione che non si identifica né con l’obbligo di mantenimento né con quello alimentare, aventi una portata più ampia.
Nel reato di omessa corresponsione dell’assegno divorzile previsto dall’art. 12 sexies della legge n. 898 del 1970 il generico rinvio, “quoad poenam”, all’art. 570 cod. pen. deve intendersi riferito alle pene alternative previste dal comma primo di quest’ultima disposizione.
Il reato di omessa corresponsione dell’assegno divorzile è procedibile d’ufficio e non a querela della persona offesa, in quanto il rinvio contenuto nell’art. 12 sexies della legge n. 898 del 1970 all’art. 570 cod. pen.si riferi¬sce esclusivamente al trattamento sanzionatorio previsto per il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare e non anche al relativo regime di procedibilità.
Cass. pen. Sez. VI, 21 novembre 2012, 49755 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, nella nozione penalistica di “mezzi di sussistenza” debbono ritenersi compresi non più solo i mezzi per la sopravvivenza vitale (quali il vitto e l’alloggio), ma anche gli strumenti che consentano, in rapporto alle reali capacità economiche e al regime di vita personale del sogget¬to obbligato, un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana (quali, ad es., abbigliamento, libri di istruzione per i figli minori, mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione).
Cass. civ. Sez. I, 19 marzo 2012, n. 4296 (Giur. It., 2012, 6, 1288, nota di SAVI)
È ammissibile nei giudizi di separazione e divorzio l’intervento del figlio maggiorenne che abbia diritto al mantenimento, in tale veste legittimato in via prioritaria a ottenere il versamento diretto del contributo. L’intervento in giudizio del figlio maggiorenne economicamente non autosufficiente può avvenire in tutte le forme previste dall’art. 105 c.p.c. (per far valere un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo della controver¬sia, o eventualmente in via adesiva) e assolve una funzione di ampliamento del contraddittorio, consentendo al giudice di provvedere in merito all’entità e al versamento del contributo al mantenimento sulla base di un’appro¬fondita ed effettiva disamina delle istanze dei soggetti interessati.
Nei giudizi di separazione o di divorzio, alla luce della introduzione dell’art. 155-quinquies c.c., l’intervento in giudizio, per far valere un diritto relativo all’oggetto della controversia, o eventualmente in via adesiva, del figlio maggiorenne, il quale, in quanto economicamente dipendente e sotto certi aspetti assimilabile al minorenne (in ordine al quale, proprio in epoca recente, in attuazione del principio del giusto processo, si tende a realizzare forme di partecipazione e di rappresentanza sempre più incisive), assolve, latusensu, una funzione di amplia¬mento del contraddittorio, consentendo al giudice di provvedere in merito all’entità e al versamento – anche in forma ripartita – del contributo al mantenimento, sulla base di un’approfondita ed effettiva disamina delle istanze dei soggetti interessati.
È legittimo l’intervento in giudizio ex art. 105 c.p.c. sia principale che litisconsortile, del figlio maggiorenne non ancora autosufficiente economi¬camente, nella causa di separazione coniugale dei propri genitori, volto ad ot¬tenere il contributo al proprio mantenimento, per proseguire gli studi universitari; detto intervento, inquadrabile nella fattispecie sostanziale di cui all’art. 155 quinquies, comma 1, c.c., concerne un diritto relativo all’og¬getto della lite ed ampliando il contraddittorio consente un simultaneusprocessus avanti al giudice del merito che deve decidere in ordine all’entità e al versamento dell’assegno di mantenimento, sulla base dell’analisi delle istanze proposte da tutti gli interessati.
Cass. civ. Sez. III,16 marzo 2012, n. 4253 (Danno e Resp., 2013, 1, 35 nota di ROSSETTI)
Il fatto illecito, costituito dalla uccisione del congiunto, dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consi¬stente nella perdita del rapporto parentale, allorché colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, la cui estinzione lede il diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare. Perché, invece, possa ritenersi risarcibile la lesione del rapporto paren¬tale subita da soggetti estranei a tale ristretto nucleo familiare (quali i nonni, i nipoti, il genero, o la nuora) è necessario che sussista una situazione di convivenza, in quanto connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità delle relazioni di parentela, anche allargate, contraddistinte da reciproci legami affettivi, pratica della solidarietà e sostegno economico, solo in tal modo assumendo rilevanza giuridica il collegamento tra danneg¬giato primario e secondario, nonché la famiglia intesa come luogo in cui si esplica la personalità di ciascuno, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione.
Trib. Monza Sez. IV, 14 febbraio 2012 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari per adempiere al loro dovere nei confronti dei figli previsto dall’art. 148 c.c. si concretizza solo in via sussidiaria. Altresì, siffatto obbligo si determina non già se uno dei due genitori sia rimasto inadempiente al proprio dovere, ma se ed in quanto l’altro genitore non abbia i mezzi per provvedervi.
Cass. civ. Sez. I, 27 gennaio 2012, n. 1253 (Fam. Pers. Succ. on line, 2012, 3)
In materia di alimenti l’entità del bisogno deve essere valutata non già con riferimento alle norme dettate da leggi speciali per finalità di ordine generale di sostegno dell’indigenza, bensì in relazione al contesto socio-econo¬mico del richiedente e del “de cuius”, in analogia a quanto previsto dall’art. 438 cod. civ. in materia di alimenti.
Cass. civ. Sez. I, 27 dicembre 2011, n. 28902 (Famiglia e Diritto, 2012, 4, 348, nota di VULLO)
Anche in seguito alla novella dell’art. 155, comma 1, c.c. operata dalla legge n. 54/2006, gli ascendenti non sono titolari di alcun diritto a conservare rapporti e relazioni con i nipoti, ma solo di un mero interesse di natura morale o affettiva, il quale non legittima gli ascendenti stessi a intervenire nei giudizi di separazione e di divorzio.
Cass. civ. sez. I, 11 agosto 2011, n. 17191 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 1, co. 1 della L. 8 febbraio 2006, n. 54, che ha novellato l’art. 155 c.c., nel prevedere il diritto dei mino¬ri, figli di coniugi separati, di conservare rapporti significativi con gli ascendenti (ed i parenti di ciascun ramo genitoriale), non attribuisce ad essi un autonomo diritto di visita, ma affida al giudice un elemento ulteriore di indagine e di valutazione nella scelta e nell’articolazione di provvedimenti da adottare in tema di affidamento, nella prospettiva di una rafforzata tutela del diritto ad una crescita serena ed equilibrata del minore.
In questa prospettiva al giudice è affidato il potere di emettere provvedimenti che tengano conto dell’interesse prevalente del minore e che si prestino alla maggiore flessibilità e modificabilità possibile in relazione alla finalità di attuare la miglior tutela in favore del minore.
Ne deriva che il giudice di merito deve evitare al minore di trovarsi al centro di un conflitto interfamiliare (nella specie, tra nonni paterni e genitori) la cui risoluzione non spetta certamente a quest’ultimo.
Cass. pen. Sez. V, 13 luglio 2011, n. 38347 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della minorata difesa, l’età avanzata della vittima del reato, a seguito delle modificazioni legislative introdotte dalla legge n. 94 del 2009, rileva in misura maggiore attribuendo al giudice di verificare, allorché il reato sia commesso in danno di persona anziana, se la condotta criminosa posta in essere sia stata agevolata dalla scarsa lucidità o incapacità di orientarsi da parte della vittima nella comprensione degli eventi secondo criteri di normalità.
App. Roma Sez. minori, 8 giugno 2011 (Corriere del Merito, 2011, 11, 1037, nota di ATTADEMO)
Il nostro ordinamento non garantisce in via immediata e diretta l’aspirazione dei nonni alla frequentazione dei nipoti, ma offre una tutela soltanto indiretta all’interesse dei parenti ad avere rapporti con i minori, mediante il riconoscimento della loro legittimazione a sollecitare il controllo giurisdizionale, ai sensi dell’art. 336 c.c., sull’esercizio della potestà dei genitori, i quali non possono senza motivo plausibile impedire i rapporti dei figli con detti congiunti; ciò non esclude l’intervento del giudice nel riconoscere e regolamentare i rapporti predetti, in quanto, dovendo i provvedimenti giurisdizionali essere ispirati sempre all’interesse del minore e rientrando la tutela del vincolo affettivo e di sangue nell’ambito di un tale interesse, il rifiuto del genitore può ritenersi giusti¬ficato solo in presenza di serie e comprovate ragioni che sconsiglino di assicurare e regolamentare i rapporti dei nonni con il minore, potendo negarsi il diritto di visita unicamente quando il rapporto dei nonni con il nipote appare pregiudizievole.
Trib. Minorenni Catanzaro, 7 febbraio 2011 (Corriere del Merito, 2011, 11, 1038 nota di ATTADEMO)
Non sussiste nell’ordinamento italiano un vero e proprio diritto dì visita dei nonni e degli altri parenti, ma solo un interesse del minore ad una crescita sana ed equilibrata, alla cui realizzazione possono contribuire anche le figure dei nonni, a meno che non sussistano ragioni che ostano al mantenimento di tale rapporto.
Trib. Minorenni Milano, 1 ottobre 2010 (Famiglia e Diritto, 2011, 4, 416)
Pur non spettando ai nonni, ed agli altri parenti, un vero e proprio diritto di visita, il loro interesse legittimo è tutelato solo in maniera indiretta, mediante il riconoscimento della legittimazione, ex art. 336 c.c., a sollecitare il controllo giudiziario sull’esercizio della potestà dei genitori, i quali non possono, senza un plausibile motivo, vietare i rapporti dei figli con i parenti più stretti.
Cass. civ. Sez. I, 30 settembre 2010, n. 20509 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
I genitori hanno l’obbligo di mantenere i propri figli, secondo il disposto di cui all’art. 147 c.c. Tale obbligo grava su entrambi i genitori in senso primario ed integrale, con la conseguenza che, laddove uno di essi, non volesse o non potesse ottemperarvi, l’altro è tenuto a farvi fronte, ricorrendo a tutte le proprie risorse economiche, sfruttando le proprie capacità di lavoro, salvo poi agire contro l’inadempiente per ottenere un contributo pro¬porzionale alle sue condizioni economiche. Ne deriva che l’obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari per adempiere al loro dovere di mantenimento ha natura sussidiaria, dunque, succedanea e che trova applicazione non già perché uno dei due genitori è inadempiente all’obbligo de quo, ma se ed in quanto l’altro genitore non è in grado di provvedervi. Ciò premesso, nel caso concreto, si è ritenuta corretta la sentenza im¬pugnata laddove aveva ritenuto che la ricorrente non avesse diritto ad ottenere dai nonni paterni, in luogo del padre inadempiente, un assegno per il mantenimento del proprio figlio, dal momento che la stessa, in base alle risultanze probatorie, risultava in grado di assolvere al suo personale dovere di mantenimento.
Il diritto agli alimenti previsto dall’art. 433 c.c. sussiste se risulta provato lo stato di bisogno nonché l’impos¬sibilità dell’alimentando di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento mediante la propria attività lavorativa. Qualora quest’ultimo sia in grado di trovare un’occupazione confacente alle proprie attitudini ed alle proprie condizioni sociali, nulla può pretendere dai soggetti indicati nell’art. 433 citato. In tal senso, nel caso concreto, è stata corretta la sentenza gravata laddove aveva negato alla ricorrente il diritto di percepire un con¬tributo economico per il mantenimento del figlio da parte dei nonni paterni, in luogo del padre inadempiente, in quanto, secondo il disposto dell’art. 433, comma 1, n. 3 c.c., gli ascendenti prossimi sono tenuti a versare gli alimenti in via succedanea e sostitutiva solo se (circostanza non rinvenuta nel caso di specie) i genitori non sono nelle condizioni di adempiere al loro personale obbligo di mantenimento dei figli.
Cass. pen. Sez. II, 23 settembre 2010, n. 35997 (Dir. Pen. e Processo, 2010, 12, 1422)
A seguito della modifica introdotta dalla legge n. 94 del 2009, l’aggravante della “minorata difesa” deve essere specificamente valutata anche in riferimento all’età senile della persona offesa, avendo voluto il legislatore as¬segnare rilevanza ad una serie di situazioni che denotano nel soggetto passivo una particolare vulnerabilità della quale l’agente trae consapevolmente vantaggio.
Trib. Trani, 13 aprile 2010 (Corriere del Merito, 2010, 8-9, 815)
L’obbligo degli ascendenti legittimi o naturali di fornire ai genitori i mezzi necessari affinché questi ultimi possano provvedere ai loro doveri nei confronti dei figli previsto dall’art. 148 c.c. è di natura sussidiaria e presuppone che nessuno dei genitori abbia i mezzi sufficienti per il mantenimento dei figli.
Cass. civ. Sez. II, 28 dicembre 2009, n. 27398 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Per l’ammissibilità dell’intervento di un terzo in un giudizio pendente tra altre parti è sufficiente che la domanda dell’interveniente presenti una connessione od un collegamento implicante l’opportunità di un “simultaneuspro¬cessus”. In particolare, la facoltà di intervento in giudizio, per far valere nei confronti di tutte le parti o di alcune di esse un proprio diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto in causa, deve essere riconosciuta indipendentemente dall’esistenza o meno nel soggetto che ha instaurato il giudizio della “legitimatio ad causam”, attenendo questa alle condizioni dell’azione e non ai presupposti processuali.
Cass. civ. sez. I, 16 ottobre 2009, n. 22081 (Pluris, WoltersKluwer Italia)
La legittimazione all’intervento ad adiuvandum presuppone la titolarità nel terzo di una situazione giuridica in relazione di connessione – da individuarsi in termini di pregiudizialità dipendenza – con il rapporto dedotto in giudizio, tale da esporlo ai cd. effetti riflessi del giudicato. Ciò posto, anche alla luce della novella di cui alla L. n. 54 del 2006 che notevolmente valorizza la posizione degli ascendenti e degli altri parenti di ciascun ramo geni¬toriale nei confronti del minore, non pare potersi riconoscersi la sussistenza di una posizione siffatta in capo ai menzionati soggetti nell’ambito dei giudizi di separazione o divorzio, poiché immutati quanto alla natura, all’og¬getto, ai diritti ed alle posizioni anche in seguito alla citata novella. (Fattispecie re¬lativa al riconoscimento in appello della sussistenza di un interesse giuridicamente protetto in capo ai nonni, legittimante i medesimi ad un intervento ad adiuvandum ex art. 105, comma secondo, c.p.c. nel giudizio di separazione. Il Giudice di legittimità cassa senza rinvio la pronuncia impugnata).
Trib. Vicenza, 4 settembre 2009 (Famiglia e Diritto, 2010, 6, 589 nota di LONG)
L’obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi per mantenere la prole è assimilabile all’obbligo di cor¬rispondere gli alimenti, disciplinato dagli artt. 433-448 c.c.. Il dovere dei nonni di concorrere al mantenimento sussiste dunque solo qualora i redditi e i patrimoni dei genitori non siano, nel complesso, sufficienti a far fronte alle esigenze primarie dei figli. Il contributo a carico degli ascendenti, inoltre, deve essere assegnato sia in pro¬porzione del bisogno di chi li domanda, sia delle condizioni economiche di chi deve somministrarlo.
Trib. Reggio Emilia, 24 agosto 2009 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Considerata l’inadeguatezza genitoriale delle parti, incapaci di collaborare tra di loro per il benessere dei minori, di prendersi cura dei figli e di preservarli dal conflitto, il giudice istruttore della causa separazione può disporre in via provvisoria l’affidamento dei minori agli ascendenti attribuendo ad essi il potere di assumere le decisioni sia ordinarie che – previa consultazione coi genitori – straordinarie nell’interesse dei minori ed il compito di favorire i rapporti dei ragazzi con entrambi i genitori (nella specie, il giudice istruttore ha affidato i due minori ai nonni paterni, che si erano dichiarati disponibili ad accogliere i nipoti presso la loro abitazione, ed ha posto a carico di ciascuno dei genitori l’obbligo di versare un assegno mensile agli affidatari, disponendo inoltre la vigilanza servizio sociale).
Trib. Bari Sez. I, 27 gennaio 2009 (Corriere del Merito, 2009, 5, 504 nota di NATALI)
È inammissibile l›intervento adesivo degli avi nel procedimento di separazione personale tra i coniugi in quanto, dall›individuazione dell›oggetto del giudizio e dalla regola della legittimazione esclusiva ad agire dei coniugi, deriva che non esistono diritti relativi all›oggetto o dipendenti dal titolo dedotto nel processo di separazione né interesse a sostenere le ragioni di una delle parti che possano legittimare l›intervento dei terzi. L›aspirazione dei nonni ad avere rapporti con i nipoti riceve una tutela indiretta, mediante il riconoscimento della legittimazione ex art. 336 c.c. a sollecitare il controllo giudiziario sull›esercizio della potestà dei genitori da parte del Tribunale per i minorenni.
Cass. pen. Sez. II, 17 settembre 2008, n. 39023 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di minorata difesa, l’età non può di per sé costituire condizione autosufficiente ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 codice penale, dovendo essere accompagnata da fenomeni di decadimento o di indebolimento delle facoltà mentali o da ulteriori condizioni personali, quali il basso livello culturale del sog¬getto passivo, che determinano un diminuito apprezzamento critico della realtà.
App. Milano, 11 febbraio 2008 (Famiglia e Diritto, 2008, 4, 357, nota di PANUCCIO DATTOLA)
I nipoti hanno diritto a frequentare i nonni, soprattutto quando hanno con gli stessi relazioni significative. Il bagaglio di memoria e di affetto di cui i nonni sono portatori va preservato, valorizzato e distinto da quello genitoriale, anche in situazioni di particolare difficoltà, ricorrendo all’ausilio di personale specializzato, per il superamento di situazioni di disagio nell’interesse dei minori.
Cass. civ. Sez. I, 23 novembre 2007, n. 24423 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
I nonni, ai quali è impedita dai genitori la frequentazione del nipote minorenne, possono adire il giudice minorile per ottenere un provvedimento ai sensi dell’art. 333 c.c., che consenta loro di incontrare il nipote. Sebbene il provvedimento giurisdizionale “innominato” non possa imporre serenità di rapporti del minore con i propri paren¬ti, è compito del giudice minorile intervenire al fine di garantire, nell’interesse del minore, serenità ed equilibrio in detti rapporti.
Cass. civ. Sez. III, 27 giugno 2007, n. 14844 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai fini dell’intervento principale o dell’intervento litisconsortile nel processo, anche se l’articolo 105 cod. proc. civ. esige che il diritto vantato dall’interveniente non sia limitato ad una meramente generica comunanza di riferimento al bene materiale in relazione al quale si fanno valere le antitetiche pretese delle parti, la diversa natura delle azioni esercitate, rispettivamente, dall’attore in via principale e dal convenuto in via riconvenzionale rispetto a quella esercitata dall’interveniente, o la diversità dei rapporti giuridici con le une e con l’altra dedotti in giudizio, non costituiscono elementi decisivi per escludere l’ammissibilità’ dell’intervento, essendo sufficiente a farlo ritenere ammissibile la circostanza che la domanda dell’interveniente presenti una connessione od un collegamento con quella di altre parti relative allo stesso oggetto sostanziale, tali da giustificare un simultaneo processo.
Trib. Reggio Emilia Sez. I, 17 maggio 2007 (Fam. Pers. Succ. 2008, 3, 227, nota di TEDIOLI)
Il giudice anche d’ufficio, avuto riguardo all’esclusivo interesse del minore, può disciplinare i rapporti tra nipoti ed avi, disponendo che il minore possa trascorrere una parte del tempo anche presso i nonni materni o paterni. Il comma 1 dell’art. 155 c.c. attribuisce solo al minore il diritto di conservare rapporti significativi con i prossimi congiunti (ascendenti e parenti di ciascun ramo genitoriale), mentre questi ultimi hanno solo un interesse a che le condizioni di separazione vengano fissate (consensualmente o giudizialmente) in modo tale da consentire loro di avere rapporti personali con la prole dei coniugi separandi.
Cass. civ. Sez. III, 11 maggio 2007, n. 10823 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di danno morale dovuto ai parenti della vittima – nella specie, figlio e nipoti conviventi con la donna deceduta a causa di un investimento stradale -, non è necessaria la prova specifica della sua sussistenza, ove sia esistito tra di essi un legame affettivo di particolare intensità, potendo a tal fine farsi ricorso anche a presun¬zione. La prova del danno morale è, infatti, correttamente desunta dalle indubbie sofferenze patite dai parenti, sulla base dello stretto vincolo familiare, di coabitazione e di frequentazione, che essi avevano avuto, quando ancora la vittima era in vita.
Cass. civ. Sez. I, 14 febbraio 2007, n. 3334 (Foro It., 2008, 6, 1, 2009)
Il riconoscimento del diritto agli alimenti è subordinato alla dimostrazione della sussistenza di un duplice presup¬posto, costituito, da una parte, dallo stato di bisogno, dall’altra, dalla impossibilità da parte dell’alimentando di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento mediante l’esplicazione di attività lavorativa confacente alle proprie attitudini ed alle proprie condizioni sociali.
Cass. civ. Sez. I, 6 ottobre 2006, n. 21572 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto agli alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche della impossibilità di provve¬dere, in tutto o in parte, al proprio sostentamento mediante l’esplicazione di un’attività lavorativa, sicché, ove l’alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per incapacità fisica o l’impossibilità, per circostanze a lui non imputabile, di trovarsi un’occupazione confacente alle proprie attitudini e alle proprie condizioni sociali, la relativa domanda deve essere rigettata.
Cass. civ. Sez. I, 28 febbraio 2006, n. 4407 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di dichiarazione di stato di adottabilità del minore, ai fini dell’accertamento della situazione di abban¬dono, la dichiarata disponibilità di uno dei parenti entro il quarto grado (nella specie, i nonni) ad occuparsi dello stesso non è sufficiente, di per sé, ad escludere detta situazione, dovendo la stessa essere suffragata da ele¬menti oggettivi che la rendano credibile.
Cass. civ. Sez. III, 15 luglio 2005, n. 15019 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel caso di morte di un familiare è ammissibile il risarcimento del danno non patrimoniale ai congiunti non con¬viventi con la vittima, allorché sussista un legame affettivo basato su una frequentazione in atto e sulla consa¬pevolezza della presenza in vita di una persona cara (nel caso di specie, si è ammesso il risarcimento del danno ai nipoti per la morte del nonno).
Cass. civ. Sez. I, 14 maggio 2004, n. 9185 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di divorzio, l’assegno a carico dell’eredità, previsto dall’art. 9 della legge 1 dicembre 1970 n.898, in favore dell’ex coniuge in precedenza beneficiario dell’assegno di divorzio che versi in stato di bisogno, va quanti¬ficato in relazione al complesso degli elementi espressamente indicati nello stesso art. 9-bis, cioè tenendo conto, oltre che della misura dell’assegno di divorzio, dell’entità del bisogno, dell’eventuale pensione di reversibilità, delle sostanze ereditarie, del numero e della qualità degli eredi e delle loro condizioni economiche. Ad un tal riguardo, l’entità del bisogno deve essere valutata non già con riferimento alle norme dettate da leggi speciali per finalità di ordine generale di sostegno dell’indigenza – le quali sono prive di ogni collegamento con ragioni di solidarietà familiare, che costituiscono, invece, il fondamento della norma in esame -, bensì in relazione al contesto socio – economico del richiedente e del “de cuius”, in analogia a quanto previsto dall’art. 438 cod. civ. in materia di alimenti.
Cass. civ. Sez. I, 23 marzo 1995, n. 3402 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’obbligo di mantenimento dei figli minori, siano essi legittimi o naturali, spetta primariamente e integralmente ai loro genitori sicchè, se uno dei due non possa o non voglia adempiere al proprio dovere, l’altro, nel preminente interesse dei figli, deve far fronte per intero alle loro esigenze con tutte le sue sostanze patrimoniali e sfruttando tutta la propria capacità di lavoro, salva la possibilità di convenire in giudizio l’inadempiente per ottenere un con¬tributo proporzionale alle condizioni economiche globali di costui; pertanto l’obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari affinchè possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli – che investe contempora¬neamente tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori – va inteso non solo nel senso che l’obbligazione degli ascendenti è subordinata e, quindi, sussidiaria rispetto a quella, primaria, dei genitori, ma anche nel senso che agli ascendenti non ci si possa rivolgere per un aiuto economico per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il proprio contributo al mantenimento dei figli, se l’altro genitore è in grado di mantenerli.
Cass. civ. Sez. III, 23 giugno 1993, n. 6938 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La risarcibilità dei danni morali per la morte di un congiunto causata da atto illecito penale presuppone, oltre al rapporto di parentela, anche la perdita, in concreto, di un effettivo e valido sostegno morale, non riscontrabile in mancanza di una situazione di convivenza, ove si tratti di soggetto che, per il tipo di parentela, non abbia diritto di essere assistito anche moralmente dalla vittima (nella specie, la suprema corte, in base all’indicato principio ha confermato la decisione di merito che aveva escluso il diritto al risarcimento dei danni morali per i nonni non conviventi con la vittima).
Cass. civ. Sez. I, 14 febbraio 1990, n. 1099 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Poiché il diritto agli alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche dell’impossibilità da parte dell’alimentando di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento mediante l’esplicazione di at¬tività lavorativa, deve essere rigettata la domanda di alimenti ove l’alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per incapacità fisica, e la impossibilità, per circostanze a lui non imputabili, di trovarsi un’occupazione confacente alle proprie attitudini ed alle proprie condizioni sociali.