COMPETENZA E CONFLITTI DI COMPETENZA

di Gianfranco Dosi
I. I problemi generali in tema di competenza nel diritto di famiglia
II. La competenza per materia
III. I conflitti di competenza per materia tra tribunale ordinario e tribunale per i mino¬renni relativamente ai provvedimenti de potestate
IV. La competenza per territorio
V. Cumulo soggettivo e inammissibilità della connessione tra domande aventi riti diversi
VI. Come e quando può essere eccepita o rilevata d’ufficio l’incompetenza?
VII. Come sono decise dal giudice le questioni relative alla competenza e come può essere impugnata la decisione?
VIII. Il regolamento di competenza
I
I problemi generali in tema di competenza nel diritto di famiglia
Un giudice è competente se sono rispettate le regole (relative alla materia, al valore e al territorio) in base alle quali è distribuito tra i diversi giudici il potere di decisione. Queste regole definiscono esattamente le attribuzioni di ogni giudice e al tempo stesso disciplinano i conflitti di competenza.
Non danno luogo a conflitti di competenza ma a semplici problemi di organizzazione giudiziaria, la ripartizione degli affari tra sede principale e sezioni distaccate del medesimo tribunale, o tra diverse sezioni distaccate (Cass. civ. Sez. III, 21 maggio 2013, n. 12388), né le questioni concernenti la composizione del giudice (monocratico o collegiale) – tutte questioni che vanno rilevate entro la prima udienza e risolte dal presidente del tribunale al quale il giudice deve invia¬re il fascicolo (art. 83-ter disp. att. c.p.c.) (Cass. civ. Sez. I, 18 settembre 2003, n. 13751; Cass. civ. Sez. I, 14 giugno 2001, n. 8025) – e neppure eventuali conflitti tra giudice tutelare e altri giudici del medesimo tribunale, dal momento che quella di giudice tutelare è una semplice funzione (come la definiva, elencando le funzioni esercitate dal pretore, l’art. 33 dell’ordinamento giudiziario – R.D. L. 30 gennaio 1941, n. 12). Prima che la figura del pretore venisse abolita dal D. Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 istitutivo del giudice unico di primo grado, erano naturalmente possi¬bili conflitti di competenza tra il pretore (in funzione di giudice tutelare) e il tribunale (Cass. civ. Sez. I, 3 novembre 2000, n. 14360). Successivamente a questa riforma non si può più parlare di conflitti di competenza tra giudici con funzioni diverse all’interno del tribunale (Cass. civ. Sez. VI, 25 marzo 2013, n. 7462; App. Potenza, 11 novembre 2008).
Secondo l’orientamento consolidato in giurisprudenza le questioni relative alla distribuzione di competenza tra giudici dei diversi stati dell’Unione europea sono questioni di giurisdizione e non di competenza, anche se i testi normativi (Regolamento europeo 2201/2003 relativo alla compe¬tenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale; Regolamento europeo n. 4/2009 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari) utilizzano, dal corretto angolo visuale sovranazionale, il termine “com¬petenza” (Cass. civ. Sez. Unite, 30 dicembre 2011, n. 30646; Cass. civ. Sez. Unite, 17 febbraio 2010, n. 3680; Cass. civ. Sez. Unite, 21 ottobre 2009, n. 22238). Pertanto il difetto di giurisdizione (competenza giurisdizionale) “può essere rilevato, in qualunque stato e grado del processo, soltanto dal convenuto costituito che non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana. È rilevato dal giudice d’ufficio, sempre in qualunque stato e grado del processo, se il convenuto è contumace, se ricorre l’ipotesi di cui all’art. 5 [momento determinante della giurisdizione e della competenza] ovvero se la giurisdizione italiana è esclusa per effetto di una norma internazionale” (art.11, rubricato “rilevabilità del difetto di giurisdizio¬ne”, della legge 31 maggio 1995, n. 218 che ha sostituito il secondo comma abrogato dell’art. 37 c.p.c.). La questione di giurisdizione può essere risolta in via preventiva con il regolamento di giurisdizione dalla Sezioni Unite (articoli 41, 360, n. 1 e 374 c.p.c.) mentre trova applicazione in campo sovranazionale il regolamento di competenza solamente per impugnare il provvedimento di sospensione del procedimento.

La competenza si determina in riferimento alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al mo¬mento della proposizione della domanda senza che abbiano rilevanza i mutamenti successivi (art. 5 c.p.c.) (Cass. civ. sez. I, 18 aprile 2001, n. 5729; Cass. civ. Sez. I, 23 ottobre 1989, n. 4317; Cass. civ. Sez. I, 14 novembre 1986, n. 6695) anche se si tratta di mutamenti di diritto che privano il giudice della competenza (Cass. civ. Sez. I, 13 marzo 1990, n. 2032), mentre certamente hanno rilevanza i mutamenti normativi che attribuiscono nuove competenze (Cass. civ. Sez. Unite, 19 febbraio 2002, n. 2415; Cass. civ. Sez. I, 18 maggio 2000, n. 6473; Trib. Bologna, 25 ottobre 2007). Per determinare il momento della proposizione della domanda si fa pacificamente riferimento alla data di notifica della citazione introduttiva o alla data del deposito del ricorso (Cass. civ. Sez. I, 30 marzo 2001, n. 4686) anche se, in caso di trasferimento di residenza Trib. Rimini, 25 gennaio 2010 ha ritenuto, applicando per analogia la normativa dei regolamenti europei, che dovrebbe farsi riferimento al luogo della residenza pre¬cedente ove il trasferimento sia avvenuto entro l’anno; non vi è però un fondamento normativo a questa opinione.
Specifiche questioni di competenza per valore non si pongono nel diritto di famiglia dal momento che il tribunale ha in questo ambito competenza per materia esclusiva e quindi assorbe anche le cause di natura “familiare” (per esempio in tema di mantenimento) che, essendo di valore inferiore ai 5.000 euro (dopo la riforma operata con la legge 18 giugno 2009, n. 69), sarebbero di com¬petenza del giudice di pace. La giurisprudenza tuttavia ha chiarito (sia pure irragionevolmente) che la competenza in ordine alle controversie aventi ad oggetto l’adempimento delle obbligazioni assunte dal coniuge in sede di separazione o divorzio circa il pagamento delle spese straordinarie relative ai figli, va determinata in ragione del valore della causa secondo i criteri ordinari, trattan¬dosi di controversia diversa da quelle concernenti la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, rientranti nella competenza funzionale del tribunale (Cass. civ. Sez. I, 22 agosto 2006, n. 18240). Pertanto residua la competenza del giudice di pace (si ripete, irragionevolmente) nei limiti del valore riservato a tale organo giudiziario per le controversie relative all’adempimento delle obbligazioni di natura economica connesse alle spese straordinarie per i figli scaturenti dalla separazione o dal divorzio.
II La competenza per materia
Per quanto riguarda la competenza per materia (competenza funzionale) il codice di procedura civile (da prima del D. Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 che ha abolito il pretore e istituito il giudice unico di primo grado) ha sempre attribuito espressamente, anche in via generale residuale, le cause di diritto di famiglia al tribunale (art. 9, comma 2, c.p.c. dove si prevede che “il tribunale è altresì esclusivamente competente per tutte le cause che non sono di competenza di altro giudice… è altresì competente per le cause… in materia di stato e capacità delle persone”).
Il tribunale ordinario si occupa quindi in via esclusiva di separazione, divorzio, nullità del matrimo¬nio, azioni sullo status filiationis, interdizione, inabilitazione, adozione dei maggiorenni, dichiara¬zione di assenza e di morte presunta (art. 48 c.c. e 721 c.p.c.) ed anche di cause alimentari (art. 433 ss c.c.), tutte materie regolate nel primo libro del codice civile e ulteriormente richiamate, quanto alla competenza per materia del tribunale ordinario, dal secondo comma dell’art. 38 delle disposizioni di attuazione del [primo libro del] codice civile che attribuisce al tribunale ordinario nel settore minorile tutto ciò che non è specificamente attribuito, nel primo comma, alla competenza del tribunale per i minorenni.
Con la legge 5 aprile 2001, n. 154 la competenza per materia del tribunale (ordinario) si è este¬sa agli ordini di protezione. Con la legge 9 gennaio 2004, n. 6 si è estesa all’amministrazione di sostegno. Infine con la legge 10 dicembre 2012, n. 219 si è estesa ai procedimenti relativi all’af¬fidamento e al mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio oltre che a tutte le azioni di status filiationis, ivi compresa l’azione di paternità naturale nell’interesse dei minori di età (che prima della riforma del 2012 era di competenza del tribunale per i minorenni).
In Cass. civ. Sez. VI – 1, 12 luglio 2017, n. 17190 si afferma il principio che anche la contro-versia relativa alla modifica delle condizioni della separazione e del divorzio o dell’affidamento dei figli minori appartiene all’esclusiva competenza del tribunale ordinario (del luogo di residenza abituale dei figli), anche quando la domanda sia giustificata dall’esistenza di un grave pregiudizio per i figli minori , non essendo tale circostanza idonea a spostarne la competenza al tribunale per i minorenni.
In Cass. civ. Sez. VI – 1, 31 marzo 2016, n. 6249 si afferma che il procedimento di cui all’art. 337 quater c.c. è devoluto alla competenza del tribunale ordinario del luogo di residenza abituale del minore, non potendo subire la “vis actractiva” del tribunale per i minorenni, che ha competenze tassativamente individuate dalla legge tra le quali non figura detto procedimento.
La competenza esclusiva per materia del tribunale comporta anche l’inesistenza di una compe¬tenza cautelare ex art. 700 c.p.c. (Cass. civ. Sez. I, 8 settembre 1992, n. 10292) in tutti i casi in cui, come per esempio nei procedimenti di separazione e di divorzio, sia prevista una tipica procedura di carattere urgente (nella specie di attribuzione presidenziale).
Poiché, come detto, nelle cause sopra indicate (salvo che in quelle relative agli “alimenti”) è ob¬bligatorio l’intervento del pubblico ministero, le cause in questione – ivi comprese s’intende tutte quelle camerali – sono decise dal tribunale in composizione collegiale (art. 50-bis n. 1, c.p.c.).
Sul versante della competenza per materia del tribunale per i minorenni, dopo la legge 8 febbraio 2006, n. 54 sull’affidamento condiviso, la Cassazione attribuì al giudice minorile la competenza sui procedimenti relativi all’affidamento (e alle domande contestuali di mantenimento) dei figli nati fuori dal matrimonio (Cass. civ. Sez. I, 3 aprile 2007, n. 8362) sulla base dell’inequivoco testo dell’art. 38 disp. att. c.c. che allora prevedeva specificamente la competenza del tribunale per i minorenni nei procedimenti in questione (abrogato art. 317-bis c.c.) e nonostante la presa di po¬sizione contraria di parte della stessa magistratura minorile (Tribunale per minorenni Milano, 12 maggio 2006). La soluzione della Cassazione non era del tutto scontata – dal momento che l’art. 4 della legge 14 febbraio 2006, n. 54 sull’affidamento condiviso secondo molti avrebbe potuto portare ad una interpretazione diversa – ma fu poi ribadita da altre sentenze (Cass. civ. sez. VI, 5 ottobre 2011, n. 20352; Cass. civ. Sez. I, 3 dicembre 2012, n. 21655).
Con la riforma sulla filiazione del 2012 (legge 10 dicembre 2012, n. 219 e Decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 di attuazione) la situazione è radicalmente mutata. Al tribunale per i mino¬renni sono rimaste, in sostanza, oltre alle attribuzioni penali sui reati commessi dai minorenni, le competenze civili in ordine alla dichiarazione di adottabilità e all’adozione dei minori, nonché le at¬tribuzioni relative ai provvedimenti de potestate (art. 336 c.c.) con la precisazione importante – su cui si tornerà più oltre – che, ove tra le stesse parti sia in corso procedimento davanti al tribunale ordinario, quest’ultimo ha anche competenza sui provvedimenti de potestate. Sono state altresì attribuite al tribunale ordinario (con la riforma dell’art. 38 disp. att. c.c.) le competenze relative alle procedure di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio e alla dichiarazio¬ne giudiziale di paternità naturale promossa nell’interesse del figlio minore (entrambe in passato di competenza del tribunale per i minorenni).
In seguito alla riforma dell’art. 38 disp. att. c.c. oltre a quanto si è già detto, sono anche diventati di competenza del tribunale ordinario (oltre a tutti i provvedimenti per i quali non sia stabilita una autorità diversa) i provvedimenti – prima di competenza del tribunale per i minorenni – contem¬plati nei seguenti articoli del codice civile: art. 171 c.c. (intervento del giudice per l’amministrazio¬ne del fondo patrimoniale alla sua cessazione se vi sono figli minori), art. 194, comma secondo, c.c. (usufrutto disposto dal giudice in caso di divisione di beni della comunione legale se vi sono minori), art. 250 c.c. (riconoscimento tardivo di figlio nato fuori dal matrimonio), art. 252 c.c. (autorizzazione del giudice all’inserimento del figlio nella famiglia naturale di uno dei coniugi), art. 262 c.c. (cognome del figlio in caso di riconoscimento tardivo da parte del padre), art. 264 (au¬torizzazione all’impugnazione del riconoscimento e contestuale nomina di un curatore speciale), art. 316 (intervento del giudice in caso di contrasto sull’esercizio della responsabilità genitoriale di genitori non separati). A questi va aggiunto anche l’art. 279 c.c. (nomina di un curatore per ottenere il mantenimento o gli alimenti nei casi in cui non può proporsi l’azione per la dichiarazio¬ne giudiziale di paternità naturale) per espressa abrogazione (operata dall’art. 105 del D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154) dell’art. 34 delle disposizioni di attuazione del codice civile che prevedeva in materia la competenza del tribunale per i minorenni.
Il riformato art. 38 disp. att. c.c. conserva al tribunale per i minorenni anche la competenza ad autorizzare il matrimonio di minori (art. 84 c.c.) mentre l’art. 96 del D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 (che ha ulteriormente modificato l’art. 38 disp. att. c.c.) ha attribuito al tribunale per i minorenni anche la competenza sui procedimenti azionati dagli ascendenti per regolamentare i rapporti con i nipoti minorenni (nuovo art. 317-bis c.c.) e la competenza ad autorizzare il ricono¬scimento dei figli nati da relazione incestuosa (nuovo art. 251 c.c.). Nessuna riforma ha toccato l’art. 40 delle disposizioni di attuazione del codice civile che prevede la competenza del tribunale per i minorenni sulle domande di interdizione o inabilitazione del minore nell’ultimo anno della minore età.
Va infine ricordato che la regolamentazione dell’affidamento dei figli successivamente alla dichia¬razione di nullità del matrimonio è sempre stata considerata di competenza del tribunale ordinario (Cass. civ. Sez. I, 6 luglio 2000, n. 9011; Cass. civ. Sez. I, 4 febbraio 2000, n. 1213; Cass. civ. Sez. I, 27 marzo 1998, n. 3222; Cass. civ. Sez. I, 17 maggio 1984, n. 3050).
III I conflitti di competenza per materia tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni relativamente ai provvedimenti de potestate
Conflitti di competenza per materia nel diritto di famiglia si sono sempre posti non tanto tra tribu¬nale ed altri giudici (pretore o – dopo la legge 51/1998 – giudice di pace) ma soprattutto nei rap¬porti tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni (le cui rispettive attribuzioni, sono indicate nell’art. 38, primo comma, delle disposizioni di attuazione del codice civile).
L’oggetto più ricorrente dei conflitti di competenza tra giudice ordinario e giudice minorile sono sta¬ti sempre soprattutto i provvedimenti de potestate – cioè i provvedimenti ablativi (art. 330 c.c.) o limitativi della responsabilità genitoriale (art. 333 c.c.) – diretti alla protezione dei soggetti minori di età rispetto agli abusi della genitorialità che l’art. 38 disp. att. c.c. attribuisce alla competenza per materia del tribunale per i minorenni. Il problema è sempre stato costituito dall’individuazione del tribunale competente allorché una esigenza di tutela del minore si presenta nel corso della causa di separazione o di divorzio o successivamente in sede di procedimento di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. E’ opportuno in questi casi lasciare al giudice della separa¬zione e del divorzio l’intervento di protezione o è necessario e inevitabile l’intervento del tribunale per i minorenni? Naturalmente un problema del genere non si porrebbe se non vi fosse una duplicazione dei giudici. Ed in effetti fortunatamente i progetti di riforma dell’ordinamento giudiziario nel settore del diritto di famiglia e dei minori prevedono l’accorpamento di tutte le funzioni in questo settore davanti a sezioni specializzate dei tribunali con la conseguente scomparsa degli attuali tribunali per i mino¬renni. Provvedimenti de potestate e provvedimenti sul conflitto familiare (separazione e divorzio) saranno di competenza del medesimo giudice.
a) La tesi prevalente negli anni Novanta sulle competenze de potestate sempre del tri-bunale per i minorenni
In passato, fino gli anni Novanta, si è sempre considerato competente il tribunale per i minorenni (individuato, quasi sacralmente, come unico organo legittimato agli interventi de potestate), an¬che per la modifica dei provvedimenti relativi all’affidamento dei figli in corso di separazione o dopo la separazione, allorché come petitum il ricorrente richiedesse un intervento ablativo o limitativo della responsabilità genitoriale a norma degli articoli 330 e 333 c.c.
In queste ipotesi, pur in pendenza di un procedimento di separazione, quindi, la competenza ad emettere provvedimenti de potestate è stata sempre attribuita al tribunale per i minorenni (Cass. civ. sez. I, 16 febbraio 1982, n. 9619; Cass. civ. Sez. I, 18 ottobre 1985, n. 5137; Cass. civ. Sez. I, 4 giugno 1994, n. 5431; Cass. civ. Sez. I, 11 aprile 1997, n. 3159; App. Napoli, 12 febbraio 1998; App. Bologna 18 gennaio 1992). La delimitazione delle competenze, per quanto in taluni casi potesse creare qualche discussione, era sostanzialmente molto chiara.
b) La prassi emersa negli anni Duemila sulla competenza del giudice della separazione in materia di provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale
Nel corso dell’ultimo decennio si è andata affermando, invece, gradualmente una prassi giudizia¬ria tendente a circoscrivere, in pendenza di un procedimento di separazione tra le stesse parti, la competenza del tribunale per i minorenni ai soli provvedimenti di decadenza della responsabilità genitoriale (art. 330 c.c.).
La prassi si è diffusa in virtù della constatazione che i provvedimenti limitativi cui fa riferimento l’art. 333 del codice civile, tesi a contrastare comportamenti dei genitori pregiudizievoli ai minori, costituiscono nella sostanza spesso l’oggetto anche di provvedimenti del tutto consueti del giudice della separazione (si pensi alla sospensione degli incontri tra il figlio minore e i genitori, all’affida¬mento ai servizi sociali, all’affidamento a terzi, agli incontri protetti).
L’affermarsi di questa prassi è stata facilitata da una rapida evoluzione della giurisprudenza che agli inizi degli anni Duemila cominciò ad esprimere, sul tema della delimitazione di competenze tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni, posizioni meno rigide rispetto al passato.
Importanti in questo contesto sono state per esempio alcune decisioni con le quali la Corte di cas¬sazione ha dato il via libera alla revisione dell’impostazione tradizionale che faceva leva, come si è sopra detto, sul discrimine molto netto fra la competenza del tribunale ordinario e la competenza del tribunale per i minorenni. L’impostazione tradizionale venne considerata “angusta e forma¬listica” una prima volta da Cass. civ. Sez. I, 10 ottobre 2008, n. 24907 e successivamente da Cass. civ. Sez. VI, 5 ottobre 2011, n. 20352 dove si prendeva atto che nella legislazione “non esiste alcun limite all’intervento del giudice ordinario” e che “tanto il giudice specializzato (nel caso di coppie non coniugate o, se coniugate, quando non pende separazione) che il giudice della separazione o del divorzio in presenza di una situazione di pregiudizio per i minori, possono assumere provvedimenti volti alla tutela dei figli”. Successivamente la posizione era ulteriormente ribadita anche da Cass. civ. Sez. I, 8 marzo 2013, n. 5847 che ha ritenuto i provvedimenti del giudice minorile e del giudice ordinario del tutto autonomi, stante la reciproca autonomia delle attribuzioni del tribunale per i minorenni, competente ad assumere i provvedimenti incidenti sulla spettanza della potestà genitoriale e del tribunale ordinario quale giudice della separazione, com¬petente altresì sulle modalità di esercizio della potestà medesima, anche quando l’affidamento dei figli sia richiesto in ragione dell’esistenza di un grave pregiudizio per i figli minori. Nella giuri-sprudenza di merito, su questa linea, molto chiaro in proposito è stato Trib. Minorenni Brescia, 9 febbraio 2010.
La giurisprudenza prevalente – soprattutto negli anni più recenti – ha preso quindi atto che in pen¬denza di separazione o divorzio la competenza del tribunale per i minorenni debba ammettersi in sostanza solo ove venga richiesto e considerato plausibile un provvedimento di decadenza ex art. 330 c.c. mentre i provvedimenti di protezione atipici di limitazione cui fa riferimento l’art. 333 c.c. restano, in pendenza di separazione/divorzio, di competenza dello stesso giudice della separazio¬ne/divorzio (Cass. civ. Sez. I, 27 febbraio 2013, n. 4945 in una vicenda in cui è stato applicato l’art. 38 disp. att. c.c. nel testo precedente alla riforma del 2012 sulla filiazione; Cass. civ. Sez. I, 24 marzo 2011, n. 6841; Cass. civ. Sez. VI, 5 ottobre 2011, n. 20352). Come si dirà tra bre¬ve questa tendenza è stata successivamente recepita nella riforma sulla filiazione del 2012 e 2013.
c) La riforma del 2012 e del 2013 e i nuovi criteri di distribuzione delle competenze de potestate
L’ultima tappa coincide con la riforma del 2012 e del 2013 sulla parificazione dello stato giuridi¬co dei figli (bene riassunta nel nuovo articolo art. 315 c.c. in base al quale “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”), la quale ha previsto espressamente nel nuovo art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile che se è in corso tra le stesse parti una causa per la regolamentazione dell’affidamento dei figli davanti al tribunale ordinario (separazione, divorzio o altro procedimento relativo all’affidamento di un figlio) il giudice di tale causa acquisisce anche il potere di adottare i provvedimenti de potestate che altrimenti sarebbero di competenza del tribunale per i minorenni.
Il testo del nuovo art. 38 non è purtroppo di scorrevole interpretazione ed è ancora dibattuto in dottrina se la competenza del tribunale ordinario in questi casi resti confinata ai soli provvedimenti limitativi della potestà/responsabilità (che negli ultimi anni, come detto, la giurisprudenza ha già di fatto attribuito al giudice della separazione) oppure se si estenda anche all’adozione di provve¬dimenti di decadenza. L’interpretazione letterale della norma (collegata soprattutto al principio di necessaria concentrazione del contenzioso e di effettività della tutela) depone per ritenere che la competenza del giudice della separazione debba estendersi anche alla decadenza.
È stata la giurisprudenza della Corte di cassazione – nell’interpretazione del nuovo testo dell’art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile – ad imporre negli anni recenti una inversione di tendenza che ormai appare coerentemente seguita nelle molte pronunce ormai disponibili.
Per meglio inquadrare questa interpretazione è necessario ricordare il nuovo testo dell’art. 38 del¬le disposizioni di attuazione del codice civile come modificato dalla riforma sulla filiazione (legge 10 dicembre 2012, n. 219 e Decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 di attuazione) il quale prevede che “Sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma del codice civile. Per i procedimenti di cui all’art. 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell’ipotesi in cui sia in corso tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’art. 316 del codice civile; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario”.
La norma, quindi, dopo aver ribadito il principio generale della competenza del tribunale per i mi¬norenni in materia de potestate, ha introdotto una inedita ipotesi di “connessione per attrazione”, attribuendo la competenza sui provvedimenti de potestate al giudice ordinario in pendenza di un procedimento di separazione, di divorzio o di regolamentazione dell’affidamento del figlio nato fuori dal matrimonio.
Nonostante la infelice formulazione della norma si può convenire sul fatto che con l’espressione “procedimento in corso” il legislatore ha fatto riferimento alla nozione tradizionale di “pendenza” (Cass. civ. Sez. VI, 26 gennaio 2015, n. 1349 ha così interpretato la norma: “…in pendenza di separazione le domande dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale spettano al giudice del conflitto familiare, individuabile nel tribunale ordinario, se sia ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella corte d’appello in composizione ordinaria, se penda il termine per l’impugnazione o sia stato interposto appello).
Inoltre si può anche convenire sul fatto che l’espressione procedimento in corso “tra le stesse parti” porta ad escludere il meccanismo della attrazione allorché il procedimento de potestate sia stato azionato davanti al tribunale per i minorenni dai parenti del minore (che non sono parti del giudizio di separazione).
Viceversa – come si vedrà – si ritiene in giurisprudenza che la competenza appartiene al giudice ordinario del conflitto familiare anche nel caso in cui l’iniziativa sia stata presa in sede minorile dal pubblico ministero, in quanto pur sempre l’ufficio del pubblico ministero (ordinario) ha la possibilità di intervenire e di interloquire anche nel procedimento di separazione e divorzio, pur non essen¬done tecnicamente parte (da ultimo Cass. Civ. Sez. VI, 14 gennaio 2016, n. 432¸contra Trib. Minorenni Brescia, 1 agosto 2013).
Infine si può dare per acquisito anche che per “procedimento” si intende non soltanto un procedi¬mento di separazione (o divorzio o affidamento di figlio nato fuori dal matrimonio) ma anche un procedimento di modifica delle condizioni di affidamento o un procedimento ex art. 709-ter del codice di procedura civile.
Tanto premesso – ed entrando nell’esame della giurisprudenza di legittimità – possano verificarsi le seguenti situazioni:
1. La competenza sui provvedimenti de potestate appartiene al tribunale per i minorenni (chiun¬que ne sia il ricorrente: PM, genitori, parenti) ma se già è stata instaurata una causa sul conflitto familiare (separazione, divorzio, affidamento, modifica, 709 ter c.p.c.) la competenza ad adottare provvedimenti de potestate è del giudice ordinario che si sta occupando del conflitto familiare. Nel caso in cui il processo di separazione venga instaurato successivamente la competenza del tribu¬nale per i minorenni rimane piena.
Quindi se è in corso davanti al tribunale per i minorenni un procedimento de potestate ed uno dei genitori (parti di quel procedimento) dovesse depositare in tribunale ordinario un ricorso di separazione (o di divorzio o di affidamento del figlio nato fuori dal matrimonio) la competenza de potestate resta del giudice minorile.
Questa soluzione è stata avvalorata da Cass. civ. Sez. VI, 26 gennaio 2015, n. 1349 secondo cui l’art. 38, primo comma, disp. att. cod. civ. (come modificato dall’art. 3, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dall’1 gennaio 2013), si interpreta nel senso che, per i procedimenti di cui agli artt. 330 e 333 cod. civ., la competenza è attribuita in via generale al tribunale dei minorenni, ma, quando sia pendente un giudizio di separazione, di divorzio o ex art. 316 cod. civ., e fino alla sua definitiva conclusione, in deroga a questa attribuzione, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsa¬bilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un’ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva), spettano al giudice del conflitto familiare, individuabile nel tribunale ordinario, se sia ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella corte d’appello in composizione ordinaria, se penda il termine per l’impugnazione o sia stato interposto appello.
Non è chiaro in questo passaggio della decisione il riferimento al fatto che i provvedimenti debbano essere stati richiesti “con unico atto introduttivo” dal momento che del tutto ragionevolmente la competenza del giudice della separazione sussiste anche se i provvedimenti de potestate vengono richiesti in corso di causa e quindi successivamente agli atti introduttivi.
Gli stessi principi sono stati seguiti anche da Cass. civ. Sez. VI, 14 ottobre 2014, n. 21633; Cass. civ. Sez. VI, 12 febbraio 2015, n. 2833 e Cass. civ. Sez. VI, 14 gennaio 2016, n. 432 secondo cui ai sensi dell’art. 38 disp. att. cod. civ. come novellato dall’art. 3 della legge 10 dicembre 2012, n. 219, il tribunale per i minorenni resta sempre competente, una volta iniziato il procedimento in quella sede, a conoscere della domanda diretta ad ottenere la declaratoria di decadenza o la limitazione della responsabilità genitoriale – a nulla rilevando la successiva in¬troduzione in sede ordinaria di un giudizio sul conflitto familiare – trattandosi di interpretazione aderente al dato letterale della norma, rispettosa del principio della “perpetuatio jurisdictionis” di cui all’art. 5 cod. proc. civ., nonché coerente con ragioni di economia processuale e di tutela dell’interesse superiore del minore, che trovano fondamento nell’art. 111 Cost., nell’art. 8 CEDU e nell’art. 24 della Carta di Nizza.
2. Il giudice del conflitto familiare (separazione, divorzio, affidamento) e cioè il tribunale o la Corte d’appello, ha sempre il potere – anche d’ufficio (Cass. civ. Sez. VI, 26 gennaio 2015, n. 1349; Cass. civ. Sez. VI, 14 gennaio 2016, n. 432) – di adottare provvedimenti de potestate e pertanto chi agisce o è convenuto in un procedimento sul conflitto familiare può sempre chiedere un provvedimento de potestate con la domanda introduttiva o nel corso del procedimento (anche formulando la domanda in corso di causa e naturalmente anche oltre gli sbarramenti determi¬nati dalle preclusioni processuali, se i presupposti dovessero maturare in corso di causa). Se il procedimento pende davanti alla Corte di cassazione la domanda de potestate dovrebbe essere presentata il tribunale.
3. Se è in corso davanti al tribunale ordinario procedimento di separazione (o di divorzio o di affi¬damento del figlio nato fuori dal matrimonio) e una delle parti ovvero il pubblico ministero dovesse richiedere non al giudice della causa in corso ma al tribunale per i minorenni un provvedimento de potestate il giudice minorile – evidentemente su istanza di parte e, ove informato, anche d’ufficio ed anche oltre i termini indicati nell’art. 38, comma 3, c.p.c. se già superati – dovrebbe dichiarare con ordinanza ai sensi dell’art. 38 c.p.c. la propria incompetenza per materia (determinata dall’at¬trazione della competenza al giudice ordinario) indicando alle parti un termine per la riassunzione davanti al giudice della separazione per l’eventuale adozione del provvedimento de potestate. Nella prassi i tribunali per i minorenni (poco propensi alle formalità processuali del rito ordinario) preferiscono più informalmente dichiarare la domanda inammissibile e trasmettere il fascicolo al tribunale ordinario (prassi ritenuta legittima da Cass. civ. Sez. VI – 1, 12 aprile 2016, n. 7160).
4. Se è in corso davanti al tribunale ordinario un procedimento di separazione o divorzio, l’inizia¬tiva de potestate dei parenti davanti al tribunale per i minorenni dà luogo ad un procedimento autonomo che legittimamente continua davanti al tribunale per i minorenni.
Ugualmente se è in corso davanti al tribunale per i minorenni un procedimento de potestate a se¬guito di iniziativa di un parente, la causa di separazione eventualmente successivamente introdot¬ta non incide sul procedimento davanti al giudice minorile che continua autonomamente secondo quanto affermato da Cass. civ. Sez. VI, 12 febbraio 2015, n. 2833 sopra riportata.
5. Se in pendenza di un procedimento di separazione o divorzio viene azionato dal pubblico mini¬stero minorile un procedimento de potestate il tribunale per i minorenni – come si è già detto – non può procedere e deve declinare la propria competenza (salvo, naturalmente, che l’iniziativa del pubblico ministero concerna provvedimenti previsti in materia di adozione come testualmente pre¬cisato da Cass. civ. Sez. VI, 14 gennaio 2016, n. 432). Trova applicazione in proposito quanto affermato da Cass. civ. Sez. VI, 26 gennaio 2015, n. 1349 e precisato anche da Cass. civ. Sez. VI, 14 gennaio 2016, n. 432 dove si afferma testualmente che “sia nell’uno che nell’altro giudizio le parti in senso formale e sostanziale (i genitori) sono le stesse, dal momento che nella loro sfera personale e giuridica ricadranno gli effetti dei provvedimenti adottati e quindi il pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni, organo d’impulso, può trovare, ove interessato un sistema di raccordo con l’omologo ufficio del tribunale ordinario, ma non può essere vanificata l’applicabilità della vis attractiva dall’iniziativa processuale del pubblico ministero in ordine all’a¬zione ex artt. 330 e/o 333 c.c.. Se, infatti, si accedesse a tale interpretazione restrittiva, sarebbe sufficiente alla parte che voglia aggirare la prescrizione normativa di sollecitare con un esposto od un’istanza l’iniziativa dell’organo pubblico per non rivolgersi al giudice che già conosce e presso il quale è in corso un giudizio sull’affidamento dei minori, a cognizione estesa ove necessario anche ex officio ai provvedimenti sulla responsabilità genitoriale.
d) La riaffermazione dei principi in Cass. civ. Sez. VI, 14 gennaio 2016, n. 432
I principi sopra indicati sono stati riaffermati e riepilogati testualmente da Cass. civ. Sez. VI, 14 gennaio 2016, n. 432 nella quale si afferma che il nuovo art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile si inscrive in un’ampia riflessione affrontata dalla dottrina e dalla giurisprudenza in ordine alla relazione e alla sovrapponibilità tra i provvedimenti relativi all’affidamento dei figli minori, quando incidano sulla titolarità e l’esercizio della responsabilità genitoriale, come nelle ipotesi di affidamento ai servizi sociali o di affidamento monogenitoriale, con rilevante o totale compressione del diritto di visita, e quelli previsti degli artt. 330 e 333 c.c..
Le norme in materia di separazione e divorzio – ricorda la sentenza – consentono al giudice della separazione di adottare provvedimenti incidenti sulla responsabilità genitoriale, andando anche ultra petitum, avendo riguardo esclusivamente all’interesse morale e materiale della prole. Per esempio può essere disposto in sede di divorzio l’affidamento a terzi così come l’art. 709 ter c.p.c., precisa che il giudice della separazione può emettere i provvedimenti opportuni quando emergano gravi inadempienze od atti che arrechino pregiudizio al minore. Secondo questa linea interpreta¬tiva, la domanda di affidamento esclusivo per comportamento pregiudizievole dell’altro genitore e la richiesta di un provvedimento limitativo della responsabilità genitoriale svolta in pendenza di un conflitto familiare sono sostanzialmente indistinguibili. Nella interconnessione tra tali domande risiede la necessità che sia un unico giudice, il tribunale ordinario, a decidere per entrambi i profili. A sostegno della conclusione prescelta la giurisprudenza ha adottato il principio di concentrazione delle tutele, evidenziando che le soluzioni processuali devono essere ispirate a principi di coerenza logica e ancorate alla valutazione concreta del loro impatto operativo.
Delineato il quadro sistematico all’interno del quale è stata affrontata l’interpretazione della norma novellata, non risulta disagevole – continua la sentenza – indicare i seguenti principi:
a) la richiesta di provvedimenti ablativi della responsabilità genitoriale determina in via officiosa l’estensione dell’accertamento anche a provvedimenti limitativi o conformativi di essa nel conte¬nuto o nel tempo (Cass. 1349 del 2015);
b) Il giudice del conflitto familiare può assumere provvedimenti anche fortemente incidenti sulla responsabilità genitoriale, comprensivi dell’affidamento a terzi, (principio già contenuto in Cass. 20352 del 2011 e ribadito da Cass. 11412 del 2014 e 2833 del 2015) ovvero dell’ablazione della responsabilità genitoriale;
c) L’art. 38 disp. att. c.c., pur rivelando un netto favor legislativo per la concentrazione delle tutele, presso un unico giudice, quando vi sia in corso un procedimento relativo al conflitto coniugale o familiare, non afferma l’applicabilità di questo principio in forma assoluta, stabilendo, come affer¬mato da Cass. 2833 del 2015, che la vis attractiva verso il giudice ordinario operi soltanto quando il giudizio relativo al predetto conflitto sia stato instaurato anteriormente all’azione rivolta in via principale all’ablazione e/o limitazione della responsabilità genitoriale, dovendo, nell’ipotesi con¬traria, essere prescelta una interpretazione testuale della disposizione e mantenere la competenza del tribunale per i minorenni, presso il quale è già stato incardinato il procedimento relativo alla responsabilità genitoriale, tenuto conto dell’esigenza di non disperdere l’efficacia degli accerta¬menti già svolti e la conoscenza già acquisita dal giudice specializzato della concreta situazione fattuale sottesa all’azione.
d) Il perimetro applicativo del nuovo criterio di ripartizione di competenza si completa con la pronuncia n. 21633 del 2014 che ha stabilito l’inoperatività della vis attractiva per i procedimenti riguardanti la responsabilità genitoriale instaurati prima della sua entrata in vigore (1/1/2013).
e) Per quanto attiene all’ostacolo relativo alla non perfetta identità delle parti nei due procedi¬menti deve osservarsi che questa Corte, nella pronuncia n. 1349 del 2015 ha dato adeguata e condivisibile risposta all’interrogativo evidenziando che sia nell’uno che nell’altro giudizio le parti in senso formale e sostanziale (i genitori) sono le stesse, dal momento che nella loro sfera per¬sonale e giuridica ricadranno gli effetti dei provvedimenti adottati. Il pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni, organo d’impulso, può trovare, ove interessato un sistema di raccordo con l’omologo ufficio del tribunale ordinario, nei limiti in cui quest’ultimo debba partecipare al procedimento, ma non può essere vanificata l’applicabilità della vis attractiva, dall’iniziativa pro¬cessuale del p.m. in ordine all’azione ex artt. 330 e/o 333 c.c.. Residua, peraltro, la competenza del tribunale per i minorenni in ordine “alle situazioni di criticità segnalate (L. n. 184 del 1983, art. 9) o rilevate dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni che possono de-terminare l’apertura di un procedimento volto alla dichiarazione di adottabilità o a misure minori quali l’affido etero familiare (L. n. 184 del 1983, artt. 2 e 5). L’accertamento di questa tipologia di situazioni può determinare l’avvio di procedimenti limitativi od ablativi della responsabilità geni¬toriale, non dettati da un conflitto genitoriale e saldamente ancorati alla competenza del giudice specializzato”. (Cass. 1349 del 2015).
e) La distinzione tra procedimenti de potestate e provvedimenti de potestate
In tutti i casi in cui la competenza sui “provvedimenti” de potestate spetta al tribunale ordinario troveranno applicazione le norme e il rito del processo in corso davanti al giudice ordinario, non applicandosi le norme procedimentali del rito camerale stabilite per i “procedimenti” de potestate.
In altre parole l’attrazione al tribunale ordinario della competenza riguarda il “provvedimento” e non il “procedimento”. In talune ipotesi (in particolare ove si tratti di procedimento davanti al giu¬dice ordinario di regolamentazione dell’affidamento di un figlio nato fuori dal matrimonio) i due riti coincideranno (in base all’applicazione del rito camerale prescritto per tali procedure dal rinnovato art. 38 disp. att. c.c.).
La tutela del minore sarà garantita però non dalla nomina di un difensore (come prevede l’art. 336 c.c. nei procedimenti de potestate in cui il minore assume la qualità di parte processuale) ma soprattutto dalla sua audizione che garantisce quella posizione di protagonismo nel processo che la giurisprudenza sintetizza da tempo con l’attribuzione al minore della qualifica di “parte sostan¬ziale” (da ultimo Cass. civ., Sez. I, 31 marzo 2014, n. 7478).
IV La competenza per territorio
Particolarmente articolate sono le questioni legate alla competenza per territorio nelle cause di diritto di famiglia.
La premessa indispensabile è che nell’ambito del diritto di famiglia la competenza territoriale è inderogabile. Lo prevede l’art. 28 del codice di procedura civile. La conseguenza principale è che l’incompetenza territoriale può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice.
a) L’inderogabilità riguarda innanzitutto, secondo il testo dell’art. 28 c.p.c., “le cause previste nei numeri 1, 2, 3 e 5 dell’art. 70” – cioè, in sostanza, tutte le ipotesi in cui il pubblico ministero ha potere di azione e dovere di intervento. La finalità è quella di consentire al pubblico ministero naturale precostituito per legge l’adempimento dei suoi doveri d’ufficio. Tra le ipotesi richiamate dall’art. 70 c.p.c. vi sono sia i procedimenti in cui il pubblico ministero ha potere di azione, sia quel¬li in cui ha soltanto un dovere di intervento (art. 70 n. 1 che richiama l’art. 69: tra cui – quanto al potere di azione – i procedimenti de potestate e quelli per la dichiarazione di adottabilità e – quanto al dovere di intervento – quasi tutte le altre cause, soprattutto con figli minori). Vi rientrano tutte le “cause matrimoniali comprese quelle di separazione personale” oltre ai procedimenti tra genitori non coniugati che comportano provvedimenti relativi ai figli (Corte cost. 25 giugno 1996, n. 214), nonché le “cause riguardanti lo stato [status filiationis, divorzio, nullità] e la capacità delle persone” (interdizione, inabilitazione, amministrazione di sostegno).
b) L’altra area nel diritto di famiglia contrassegnata dalla competenza territoriale inderogabile – sempre richiamata dall’art. 28 c.p.c. – concerne tutti i “procedimenti in camera di consiglio”.
c) Infine l’art. 28 c.p.c. richiama nell’area dell’inderogabilità della competenza territoriale “ogni altro caso in cui l’inderogabilità sia disposta espressamente dalle legge” come per esempio, in materia di scomparsa, assenza e dichiarazione di morte presunta (art. 48 ss c.c. in cui la compe¬tenza appartiene al tribunale dell’ultima residenza o domicilio dello scomparso), di opposizione al matrimonio (art. 102 ss c.c. in cui la competenza è del tribunale del luogo ove il matrimonio deve essere celebrato).
Si sottrae all’inderogabilità la competenza all’emissione di decreto ingiuntivo per spese di man¬tenimento straordinario per i figli che si determina secondo i criteri di competenza per valore e territoriale consueti (art. 637 c.p.c.) e non sembra neanche escluso, quindi, che in questo settore i genitori possano previamente individuare in un loro accordo scritto (ex art. 29 c.p.c.) un criterio derogatorio della competenza territoriale. L’individuazione del giudice competente per le cause di opposizione al medesimo decreto ingiuntivo è esclusivamente del giudice che ha emesso il prov¬vedimento (art.645 c.p.c.).
La competenza territoriale è determinata in tutte le ipotesi sopra richiamate espressamente dalla legge.
1) Separazione
Per la separazione giudiziale (ex art. 706 c.p.c. come modificato dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35 convertito nella legge 14 maggio 2005, n. 80) la competenza territoriale è quella del tribunale dell’ultima residenza comune dei coniugi (Cass. civ. Sez. VI, 19 luglio 2013, n. 17744; Cass. civ. Sez. VI, 4 agosto 2011, n. 16957 ha escluso che si possa estendere alla separazione la pronuncia della Corte cost. 23 maggio 2008, n. 169 che, dichiarando incostituzionale la previ¬sione analoga che era stata prevista per il divorzio sempre dalla riforma del 2005, ha fatto rivivere per l’introduzione del giudizio di divorzio il criterio della residenza del coniuge convenuto). Alcune pronunce di merito si sono occupate di dare qualche specificazione ulteriore relativamente all’in¬dividuazione dell’ultima residenza comune (Trib. Bologna, sez. I, 18 luglio 2011 in un caso di separazione di poco successiva alle nozze ha dichiarato competente il giudice del luogo in cui era collocata l’abitazione destinata alla madre e al bambino; Trib. Napoli 29 ottobre 2009 ha precisato che il foro territoriale è quello dell’ultima residenza comune a condizione che ancora uno dei coniugi vi abiti; Trib. Napoli 4 giugno 2008 e Trib. Trento 18 aprile 2008 hanno fatto riferimento all’ultima residenza comune effettiva e non a quella anagrafica).
In mancanza di un’ultima residenza comune (in casi che dovrebbero essere rari) la competenza è quella del tribunale del luogo in cui il coniuge convenuto ha la residenza o il domicilio. A tale proposito la giurisprudenza ha sempre precisato che, salvo prova contraria, trattasi del luogo in cui è collocata la casa coniugale (Cass. civ. Sez. I, 12 ottobre 2006, n. 21916; Cass. civ. Sez. I, 28 giugno 2006, n. 15017; Cass. civ. Sez. I, 29 settembre 2004, n. 19595; Cass. civ. Sez. I, 24 aprile 2001, n. 6012; Cass. civ. Sez. I, 18 aprile 2001, n. 5729, Cass. civ. Sez. I, 5 maggio 1999, n. 4492; Cass. civ. Sez. I, 26 giugno 1992, n. 8019). Ai fini dell’in-dividuazione della residenza si può fare riferimento alle risultanze anagrafiche (Cass. civ. Sez. I, 18 gennaio 1990, n. 224; Cass. civ. Sez. I, 23 ottobre 1989, n. 4317) sia pure considerate presunzione semplice e quindi contrastabile con la prova contraria (Cass. civ. Sez. I, 12 ottobre 2006, n. 21916; Cass. civ. Sez. I, 22 luglio 1995, n. 8049). In caso di residenza all’estero del coniuge convenuto o di sua irreperibilità (considerata come impossibilità di conoscere la residenza o il domicilio) la domanda va proposta al tribunale del luogo di residenza o domicilio del coniuge ricorrente oppure, se anche il coniuge ricorrente risiede all’estero a qualunque tribunale italiano.
Per la separazione consensuale nessuna norma individua espressamente la competenza territo¬riale. L’art. 711 c.p.c. si limita a regolamentare il procedimento. L’opinione pertanto più ragio¬nevole è che si debba fare riferimento alla stessa regola prevista per la separazione giudiziale e cioè considerare competente il tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi. Ed in effetti non sembra che vi siano controindicazioni rispetto a questa conclusione, neanche quella – francamente superabile – del disagio che questa soluzione potrebbe provocare per il coniuge che si fosse già allontanato dalla casa familiare trasferendosi in atro luogo. Ove – per ipotesi – non vi fosse mai stata una ultima residenza comune si potrebbe fare riferimento (ma anche in questo caso nessuna norma lo chiarisce) alla residenza o al domicilio dell’uno o dell’altro coniuge. La consensualità della separazione dovrebbe in ogni caso consentire ai coniugi di trovare la soluzione meno faticosa. Secondo un orientamento (ragionevole) la domanda di separazione consensuale potrebbe essere proposta indifferentemente al tribunale del luogo di residenza o domicilio dell’u¬no o dell’altro coniuge (come previsto per il divorzio a domanda congiunta nell’art. 4 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, applicabile alla separazione ex art. 23 legge 6 marzo 1987, n. 74 che estende alla separazione le norme processuali sul divorzio). In dottrina si discute, però, se l’art. 23 della legge 74/1987 – la cui applicazione è espressamente stabilita “fino all’entrata in vigore del nuovo testo del codice di procedura civile” – possa essere considerato ancora in vigore dopo le riforme processuali sulla separazione e sul divorzio degli ultimi anni (che hanno ristrutturato autonomamente i due procedimenti); nella giurisprudenza di legittimità la norma è stata ritenuta ancora operante sul presupposto che le pur numerose modifiche legislative non hanno realizzato una organica riforma processuale (Cass. civ. Sez. I, 27 aprile 2011, n. 9373; Cass. civ. Sez. I, 28 giugno 2006, n. 15017).
Naturalmente in caso di matrimoni misti (o meglio di cause transfrontaliere) sia per la separa¬zione giudiziale che per quella consensuale, va considerata sempre salva l’applicazione dei criteri di competenza generale previsti dalla normativa europea sulle cause matrimoniali (art. 3 del Re¬golamento 2201/2003) o determinati secondo la legge 31 maggio 1995, n. 218 (articoli 3 e 32).
2) Divorzio
Per il divorzio è competente il tribunale del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domi¬cilio (art. 4, comma 1, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 come modificata dalla legge 6 marzo 1987, n. 74 e dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35 convertito nella legge 14 maggio 2005, n. 80) dopo l’intervento della Corte cost. 23 maggio 2008, n. 169 che, limitatamente al giudizio di divor¬zio, ha dichiarato incostituzionali le modifiche del 2005 che avevano previsto per la separazione e il divorzio la competenza territoriale del giudice dell’ultima residenza comune dei coniugi). In caso di residenza all’estero del coniuge convenuto o di sua irreperibilità la domanda va proposta al tribunale del luogo di residenza o domicilio del, coniuge ricorrente oppure, se anche il coniuge ricorrente risiede all’estero a qualunque tribunale italiano e sempre che esista, naturalmente, la giurisdizione del giudice italiano.
Il principio che la competenza è del tribunale del luogo di residenza del convenuto è stato ribadito da Cass. civ. Sez. VI – 1, 25 novembre 2015, n. 24099.
In caso di domanda congiunta di divorzio il ricorso può essere presentato al tribunale del luogo di residenza o domicilio dell’uno o dell’altro coniuge (art. 4, comma 1, ultima parte, legge divorzio).
3) Nullità del matrimonio
La competenza territoriale per l’azione di nullità civile è determinata dal foro generale delle per¬sone fisiche (art. 18 c.p.c.). Non trova applicazione il criterio dell’ultima residenza comune dei coniugi.
La competenza, invece, della Corte d’appello a pronunciare sulla domanda di delibazione della sentenza del tribunale ecclesiastico dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario si de¬termina con riferimento alla circoscrizione del tribunale cui appartiene il comune presso il quale fu trascritto l’atto di matrimonio (art. 17 legge 27 maggio 1929 n. 847), che si identifica, ai sensi dell’art. 8 n. 1 della legge 25 marzo 1985 n. 121 nel comune in cui il matrimonio stesso è stato celebrato (Cass. civ. Sez. I, 19 maggio 1995, n. 5562; Cass. civ. Sez. I, 9 marzo 1995, n. 2734; Cass. civ. Sez. I, 27 giugno 1990, n. 6551; App. Napoli Sez. II, 23 maggio 2006; App. Genova Sez. III, 14 marzo 2006; App. Napoli Sez. I, 7 febbraio 2006; App. Napoli Sez. I, 11 novembre 2005; App. Roma, 26 gennaio 2005).
4) Procedimenti di modifica delle condizioni economiche (per i coniugi e per i figli) sta-bilite nella separazione e nel divorzio
Per i ricorsi di modifica delle condizioni economiche stabilite nella separazione (art. 710 c.p.c.) già dalla prima decisione delle sezioni unite sull’argomento (Cass. civ. Sez. Unite, 16 gennaio 1991, n. 381 che risolse il contrasto fino ad allora esistente in giurisprudenza dichiarando che la domanda di modifica dell’assegno di mantenimento, proposta da uno dei coniugi separati è sogget¬ta ai normali criteri di competenza per territorio di cui agli art. 18 e 20 c. p.c.) non si considerano applicabili le regole della competenza dell’ultima residenza comune previste per la separazione ma trovano applicazione le regole generali.
L’orientamento si è poi consolidato nel tempo. È quindi competente secondo la giurisprudenza oltre al tribunale del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio (foro generale delle persone fisiche ex art. 18 c.p.c.), anche in via alternativa e facoltativa innanzitutto il tribunale del luogo in cui è sorta l’obbligazione e cioè il tribunale dove è stata omologata o decisa la separazione. Invece è stato escluso decisamente che sia competente il tribunale del luogo in cui è stato celebrato il matrimonio in quanto le obbligazioni connesse alla separazione non nascono con il matrimonio ma con la sentenza o con l’omologa della separazione (Cass. civ. Sez. I, 22 marzo 2001, n. 4099). In secondo luogo e in via facoltativa è anche competente il tribunale del luogo in cui deve essere eseguita l’obbligazione dedotta in giudizio (art. 20 c.p.c.) (Cass. civ. Sez. VI, 2 aprile 2013, n. 8016; Cass. civ. Sez. I, 5 settembre 2008, n. 22394; Cass. civ. Sez. I, 22 marzo 2001, n. 4099 e per la giurisprudenza di merito Trib. Genova Sez. IV, 7 marzo 2013 (nello specifico per il mantenimento di figli minori), Trib. Trieste 26 gennaio 2010, Trib. Santa Maria Capua Vetere, 25 giugno 1996; Trib. Mantova, 17 luglio 1995) e quindi il tribunale del luogo in cui, in sostanza, risiede la parte creditrice del mantenimento (art. 1182, comma 3, c.c. che indica il domicilio del creditore quale luogo dell’adempimento di obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro).
Queste conclusioni valgono sia per le obbligazioni economiche connesse al mantenimento coniu¬gale che per quelle connesse al mantenimento dei figli.
Non vi sono ragioni per non applicare sostanzialmente gli stessi principi alle modifiche delle con¬dizioni economiche stabilite in sede divorzile con la precisazione che i criteri di competenza terri¬toriale indicati nell’art. 4 della legge sul divorzio per la domanda introduttiva (così come risultanti a seguito della sentenza Corte cost. 23 maggio 2008, n. 169 che ha escluso il foro dell’ultima residenza comune) coincidono con i criteri del foro generale delle persone fisiche e sono validi per¬tanto anche per i procedimenti di revisione delle condizioni economiche (art. 9, comma 1, legge divorzio), a differenza di quanto si è sopra detto per la separazione (in cui i criteri previsti per la domanda introduttiva dall’art. 706 c.p.c. non valgono per le domande di modifica).
Proprio per i procedimenti di revisione delle condizioni economiche stabilite in sede di divorzio (relative all’assegno divorzile e a quello per i figli) il legislatore ha sentito il bisogno di ribadire (introducendo con la riforma di cui alla legge 74/1987 un apposito art. 12-quater nella legge sul divorzio) la validità del criterio generale del foro delle persone fisiche. L’art. 12-quater prevede, infatti, espressamente che “per le cause relative ai diritti di obbligazione di cui alla presente legge [quindi anche per le domande di revisione] è competente anche il giudice del luogo in cui deve essere eseguita l’obbligazione dedotta in giudizio”.
Benché qualche pronuncia di legittimità abbia dato adito a dubbi in proposito (Cass. civ. Sez. I, 22 marzo 2001, n. 4099; Cass. civ. Sez. I, 14 gennaio 2004, n. 336) la soluzione adottata dalla giurisprudenza successiva ammette insieme al foro generale delle persone fisiche, la possibi¬lità di ricorso ad entrambi i fori alternativi previsti dall’art. 20 c.p.c. (Cass. civ. Sez. VI, 2 aprile 2013, n. 8016 dove si afferma che la competenza territoriale a conoscere dei procedimenti di revisione delle disposizioni economiche contenute nella sentenza di divorzio è devoluta al giudice del luogo in cui è sorta l’obbligazione controversa, dovendo applicarsi a tali procedimenti i criteri ordinari di competenza per territorio stabiliti dagli articoli da 18 a 20 del codice di procedura civile. Nella sentenza si afferma – confermando quindi che la soluzione concerne anche le domande di revisione del mantenimento dei figli – che l’art. 12-quater della legge sul divorzio fa chiaro rife¬rimento alla disponibilità dei generali criteri alternativi di determinazione della competenza per le cause relative ai diritti di obbligazione di cui alla legge stessa, tra le quali non vi è ragione per non includere le controversie concernenti l’obbligo dei coniugi di contribuire al mantenimento dei figli. Anche la giurisprudenza di merito si è orientata in questo senso (Trib. Genova Sez. IV, 7 marzo 2013).
5) Procedimenti di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio.
Per i procedimenti relativi all’affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio – che in base al terzo comma seconda parte dell’art. 38 disp. att. c.c. seguono il rito camerale – è competente il tribunale ordinario del luogo di residenza del figli (principio ribadito da Cass. civ. Sez. VI – 1, 22 novem¬bre 2016, n. 23768 e Cass. civ. Sez. VI – 1, 22 novembre 2016, n. 23768).
La regola non è indicata espressamente ma è desunta dai principi generali che saranno tra breve ricapitolati in materia di procedimenti de potestate dove – anche in relazione alle indicazioni pro¬venienti dalla normativa sovranazionale (in particolare il Regolamento europeo 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale) – trova pacifica applicazione in relazione alle cause concer¬nenti la responsabilità genitoriale il principio di prossimità (giudice della residenza abituale del minore, secondo l’art. 8 del regolamento e art. 29 in caso di istanza di esecutività delle decisioni che lo riguardano).
Non risulta affrontato in giurisprudenza il problema se anche per le modifiche del contributo di mantenimento per i figli nati fuori dal matrimonio (che, come detto, sono devoluti al giudice del luogo di residenza del minore) possano essere seguiti gli stessi criteri ordinari di competenza per territorio stabiliti dagli articoli da 18 a 20 del codice di procedura civile. Le regole della necessaria prossimità del giudice nelle questioni concernenti l’affidamento dovrebbero però essere seguite anche nell’ipotesi in cui insieme all’affidamento si discuta del mantenimento.
La questione del collegamento tra affidamento e mantenimento – come si è accennato trattando della competenza per materia – era stata oggetto di dibattito in giurisprudenza dopo la legge 8 febbraio 2006, n. 54 sull’affidamento condiviso. La Cassazione aveva allora attribuito al tribunale per i minorenni la competenza sui procedimenti relativi all’affidamento e alle domande contestuali di mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio (Cass. civ. Sez. I, 3 aprile 2007, n. 8362) sulla base dell’inequivoco testo dell’art. 38 disp. att. c.c. che allora prevedeva specificamente la competenza del tribunale per i minorenni nei procedimenti in questione (abrogato art. 317-bis c.c.). La soluzione fu poi ribadita da altre sentenze (Cass. civ. sez. VI, 5 ottobre 2011, n. 20352; Cass. civ. Sez. I, 3 dicembre 2012, n. 21655). La soluzione faceva leva allora sul previgente testo dell’art. 38 disp. att. c.c. che attribuiva al giudice minorile le competenze sui pro¬cedimenti in materia di affidamento. Ebbene la stessa soluzione non può che applicarsi oggi anche dopo l’avvenuta attribuzione delle competenze al tribunale ordinario (con il nuovo testo dell’art. 38 disp. att. c.c.).
Per i procedimenti, quindi, di regolamentazione dell’affidamento e del contestuale mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio la competenza territoriale è del tribunale (ordinario ex nuovo testo dell’art. 38 disp. att. c.c. dopo la riforma operata con la legge 10 dicembre 2012, n. 219) del luogo di residenza abituale del figlio minore (e non una eventuale residenza transitoria: Cass. civ. Sez. VI – 1, 20 luglio 2017, n. 17969).
6) Procedimenti di modifica dell’affidamento di figli minori in separazione o divorzio e di risoluzione di contrasti sulla responsabilità genitoriale ex art. 709-ter c.p.c.
La competenza territoriale del luogo di residenza del minore nei procedimenti relativi alle mo¬difiche del solo affidamento di minori di genitori separati o divorziati ex art. 710 appartiene al tribunale del luogo di residenza del minore (Cass. civ. Sez. VI – 1, 12 luglio 2017, n. 17190; Cass. civ. Sez. VI – 1, 14 dicembre 2016, n. 25636; Cass. civ. Sez. VI – 1, 22 novembre 2016, n. 23768).
Per i procedimenti concernenti la risoluzione di contrasti sulla responsabilità genitoriale (art. 709- ter c.p.c.), è competente, secondo quanto espressamente prevede la norma in questione, il giu¬dice del procedimento in corso o, se non vi è procedimento pendente, del tribunale del luogo di residenza del minore.
L’art. 709-ter c.p.c. (soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze e vio¬lazioni) introdotto dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54 sull’affidamento condiviso, fa riferimento per le modifiche delle condizioni di affidamento al luogo di residenza dei figli (“Per i procedimenti di cui all’art. 710 c.p.c. è competente il tribunale del luogo di residenza del minore”) ma la giurispru¬denza più recente tende ad escludere che l’indicazione contenuta nell’art. 709-ter sia di carattere generale (e quindi le modifiche ex art. 710 c.p.c. rimangono soggette all’art. 18 e 20 del codice di procedura civile) e ad interpretare quella norma nel senso che essa regola la competenza per tale procedimento ove, essendosi concluso il giudizio di separazione o di divorzio, non sia più operante la competenza attribuita al giudice della separazione o del divorzio (Cass. civ. Sez. VI, 2 aprile 2013, n. 8016). Pertanto la disposizione inserita nell’art. 709-ter c.p.c. (“Per i procedimenti di cui all’art. 710 c.p.c. è competente il tribunale del luogo di residenza del minore”) attribuisce con le forme del procedimento di cui all’art. 710 c.p.c. al giudice della residenza abituale del minore le sole controversie indicate nello stesso art. 709-ter che insorgono allorché è esaurita la causa di separazione o di divorzio.
7) Procedimenti de potestate
Per i procedimenti de potestate (art. 336 c.c.) è competente territorialmente il tribunale per i mi¬norenni del luogo di residenza del minore (esclusi i casi di attrazione al giudice ordinario di cui si è parlato). L’affermazione del principio che la competenza territoriale del tribunale per i minorenni nei procedimenti de potestate si sottrae al criterio generale di competenza del foro generale delle persone fisiche (art. 18 c.p.c.) ed appartiene al giudice del luogo di abituale dimora del figlio mino¬re è stata ribadita più volte in giurisprudenza (Cass. civ. Sez. VI, 4 dicembre 2012, n. 21750; Cass. civ. Sezioni unite, 2 agosto 2011, n. 16864; Cass. civ. Sez. Unite, 9 dicembre 2008, n. 28875; Cass. civ. Sez. I, 31 gennaio 2006, n. 2171; Cass. civ. Sez. I, 23 gennaio 2003, n. 1058; Cass. civ. Sez. I, 7 luglio 2001, n. 9266; Cass. civ. Sez. I, 15 marzo 1996, n. 2184; Cass. civ. Sez. I, 10 aprile 1995, n. 4143). Le decisioni in questione hanno precisato che in tema di controversie relative a minori, ai fini dell’individuazione del tribunale per i minorenni ter¬ritorialmente competente in ordine ai provvedimenti diretti ad intervenire sulla potestà genitoriale e sulle modalità del suo esercizio secondo le previsioni degli artt. 330 e seguenti cod. civ., deve aversi riguardo alla residenza di fatto del minore e, quindi, al luogo di abituale dimora alla data della domanda o, in ipotesi di procedimento iniziato d’ufficio, alla data di inizio del procedimento stesso. a prescindere dagli eventuali trasferimenti di carattere contingente e transitori.
La giurisprudenza ha più volte chiarito che il principio della perpetuatio iurisdictionis – indicato nell’art. 5 c.p.c. secondo cui si deve aver riguardo allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda senza che possano avere rilevanza eventuali mutamenti successivi – vale anche nelle procedure camerali minorili (Cass. civ. Sez. VI – 1, 12 aprile 2016, n. 7161; Cass. civ. 29 gennaio 2008, n. 1998; Cass civ. Sez. I, 11 febbraio 2005, n. 2877; Cass. civ. Sez. I, 11 marzo 2003, n. 3587).
Risolvendo un conflitto di competenze sollevato d’ufficio dal tribunale per i minorenni di Napoli, Cass. civ. Sez. Unite, 9 dicembre 2008, n. 28875 ha precisato che l’eventuale modificazione della dimora abituale del minore intervenuta nella vigenza di un affidamento a lungo termine del minore determina la competenza del giudice del luogo in cui l’affidamento si svolge a emettere ogni provvedimento nell’interesse del minore.
8) I procedimenti ex art 316-bis c.c. (ex art. 148 c.c.)
Lo speciale procedimento monitorio previsto nell’art. 316-bis del codice civile – già art. 148 c.c. riformulato con la riforma sulla filiazione del 2012 (legge 10 dicembre 2012, n. 219 e D.Lgs. 28 di¬cembre 2013, n. 154 di attuazione) – appartiene alla competenza del giudice ordinario (Cass. civ.
Sez. VI, 12 dicembre 2011, n. 26814) e contempla la possibilità per chiunque vi ha interesse di azionare la pretesa all’adempimento degli obblighi di mantenimento verso i figli (minori o maggio¬renni, nati nel matrimonio o fuori dal matrimonio). Il Presidente del tribunale – precisa la norma – sentito l’inadempiente può disporre quanto necessario per assicurare l’adempimento dell’obbli¬gazione anche disponendo il pagamento a carico dei terzi a loro volta debitori dell’obbligato. La norma ha nella prassi una applicazione piuttosto residuale, essendo di solito il mantenimento ga¬rantito attraverso le procedure di separazione, divorzio o affidamento dei figli nati fuori dal matri¬monio. In questa sede interessa precisare che la competenza territoriale è del giudice (presidente o giudice da lui delegato) del luogo di residenza o di domicilio dell’inadempiente secondo la regola generale (art. 18 c.p.c.). Non risultano precedenti ma, trattandosi di obbligazioni, dovrebbe poter essere competente anche il giudice del luogo dove l’obbligazione deve essere adempiuta (art. 20 c.p.c.) e quindi del luogo in cui il creditore risiede (art. 1182, comma 2, c.c.).
9) Le domande di mantenimento da parte del figlio maggiorenne
Non necessariamente il mantenimento del figlio maggiorenne è collegato alla separazione o al divorzio dei suoi genitori (potendo il figlio maggiorenne trovarsi ad avere diritto al mantenimento a prescindere dalla condizione personale dei suoi genitori, coniugati o meno che siano, conviventi, separati o divorziati) ed inoltre, ove anche il mantenimento del figlio fosse stato stabilito o concor¬dato in sede giudiziaria (separazione, divorzio o altro procedimento anche tra genitori non coniu¬gati) quel titolo non attribuisce in via esclusiva ai genitori la legittimazione per richiedere la revi¬sione dell’importo. Il figlio maggiorenne, infatti, non soltanto può sempre promuovere un’azione autonoma se si trova nelle condizioni per aver diritto al mantenimento, ma anche, essendo sempre titolare di legittimazione concorrente con il genitore, potrebbe chiedere la revisione dell’eventuale contributo previsto in sede di separazione o divorzio. Ove poi in sede giudiziaria la parte creditrice – e titolare quindi di mantenimento diretto – sia stata individuata direttamente nel figlio maggio¬renne (e quindi resti esclusa la legittimazione del genitore) la domanda di revisione non potrà che essere proposta dal figlio maggiorenne, unico legittimato a pretendere la modifica dell’importo.
La competenza territoriale non è inderogabile (art. 28 c.p.c.) non essendo previsto per le cause di figli maggiorenni l’intervento obbligatorio del pubblico ministero. E quindi il tribunale giudica in composizione monocratica (art. 50-ter c.p.c.).
In tutti questi casi il procedimento segue le regole del rito a cognizione ordinaria (ovvero del rito sommario di cognizione) con applicazione delle norme generali per l’individuazione del giudice per valore e per territorio competente che sarà quello del luogo in cui i genitori (entrambi titolari del dovere di mantenimento) hanno la residenza o il domicilio (art. 18 c.p.c.). In caso di residenze difformi saranno applicabili i principi del cumulo soggettivo di cause (art. 33 c.p.c.).
10) Procedimenti di adottabilità
Per i procedimenti di adottabilità è competente il tribunale per i minorenni del distretto in cui il minore si trova in stato di abbandono (art. 8 legge 4 maggio 1983, n. 184).
11) Ordini di protezione
Per l’emissione di ordini di protezione la competenza è del tribunale del luogo di residenza o domi¬cilio dell’istante (art. 736 bis c.p.c.).
12) Cause sulla capacità delle persone
Per le procedure di interdizione, inabilitazione o amministrazione di sostegno la competenza è del tribunale del luogo di residenza dell’interessato, con la precisazione, però, che per il beneficiario dell’amministrazione di sostegno (art. 712 c.p.c.) il luogo è quello del giudice della dimora abituale (Cass. civ. Sez. VI, 17 aprile 2013, n. 9389 in considerazione della necessità che il beneficiario possa interloquire con il giudice tutelare, il quale deve tener conto, nella maniera più efficace e diretta, dei suoi bisogni e richieste). Nell’ipotesi di istanza di sostituzione dell’amministratore di sostegno, la competenza in caso di trasferimento di residenza è del giudice della nuova residenza senza che assuma rilievo il fatto che sia diverso da quello che originariamente aveva deliberato la nomina (Cass. civ. Sez. I, 7 maggio 2012, n. 6880) ma non nel caso in cui il trasferimento di residenza non sia stato volontario (Cass. civ. Sez. VI, 16 settembre 2011, n. 19017).
13) Cause di stato
Per le azioni di status filiationis la competenza territoriale è sempre quella del tribunale ordinario del luogo di residenza o domicilio del convenuto (art. 18 c.p.c.).
14) Riconoscimento di sentenze straniere
Il riconoscimento delle sentenze straniere e di altri provvedimenti stranieri concernenti il diritto di famiglia da effettuare sulla base della legge 31 maggio 1995, n. 218 in caso di mancata ottempe¬ranza o di contestazione del riconoscimento o per procedere all’esecuzione forzata è regolato dal rito sommario di cognizione e la competenza è attribuita alla corte d’appello del luogo di attuazione secondo quanto precisato dall’art. 30, primo e secondo comma, del D. Lgs. 1 settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplifi¬cazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69) applicabile ai procedimenti instaurati dopo il 6 ottobre 2011. Se la residenza di entrambi i coniugi è all’estero è competente il giudice del luogo in cui è stato celebrato il matrimonio (Cass. civ. Sez. I, 25 ottobre 1984, n. 5448).
Per il riconoscimento delle decisioni straniere disciplinate dal Regolamento europeo n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimo¬niale e in materia di responsabilità genitoriale, la competenza per il procedimento (eventuale) teso alla dichiarazione di esecutività appartiene anche in questo caso alla competenza per materia della Corte d’appello mentre la competenza territoriale “è determinata dalla residenza abituale della parte contro cui è chiesta l’esecuzione oppure dalla residenza abituale del minore cui l’istanza si riferisce. Altrimenti è determinata dal luogo dell’esecuzione (art. 29 reg. 2201/2003).
Per le obbligazioni alimentari (e quindi anche di mantenimento secondo l’interpretazione sovrana¬zionale dell’espressione “obbligazioni alimentari”) la competenza territoriale della Corte d’appello è determinata dalla residenza abituale della parte contro cui viene chiesta l’esecuzione o del luo¬go dell’esecuzione (art. 27 Regolamento europeo n. 4/2009 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari).
15) Cause ereditarie
Non derogabile dalle parti ed esclusivo è anche il foro territoriale per le cause ereditarie, cioè quel¬lo del luogo dell’apertura della successione (art. 22 e 747 c.p.c.). La competenza territoriale nelle cause ereditarie va stabilita ai sensi dell’art. 22 c.p.c. (giudice del luogo dell’apertura della succes¬sione) e dell’art. 456 c.c. (apertura della successione). Sulla base di quest’ultima norma la suc¬cessione si apre al momento della morte nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto, intendendosi con tale locuzione il luogo ove la persona concentra la generalità dei suoi interessi sia materiali ed economici, sia morali, sociali e familiari, prescindendosi dalla dimora o dalla presenza effettiva del medesimo in detto luogo (Cass. civ. Sez. VI, 2 agosto 2013, n. 18560; Cass. civ. Sez. II, 8 febbraio 2005, n. 2557; Cass. civ. Sez. II, 20 luglio 1999, n. 7750; Cass. civ. Sez. II, 29 maggio 1996, n. 2875; Trib. Nocera Inferiore Sez. II, 21 luglio 2011; Trib. Salerno Sez. II, 11 febbraio 2010; Trib. Bari Sez. II, 6 maggio 2009).
V Cumulo soggettivo e inammissibilità della connessione tra domande aventi riti diversi
Un problema molto dibattuto nell’ambito delle cause di diritto di famiglia è quello della possibilità di connessione tra domande aventi riti diversi. Infatti come è noto il rito in appello della separazione (e del divorzio) è quello camerale e questo fatto connota in senso camerale tutto il processo, fer¬mo il rito a cognizione ordinaria del primo grado. A quest’ultima fattispecie fa riferimento il terzo comma dell’art. 40 c.p.c. (cosiddetta connessione qualificata) il quale prevede che le domande che dovrebbero essere trattate con riti diversi possono essere proposte cumulativamente davanti allo stesso giudice solo “nei casi previsti negli articoli 31, 32, 34, 35 e 36” e cioè quando le domande siano connesse per le ragioni previste in tali articoli (accessorietà, garanzia, pregiudizialità, com¬pensazione, riconvenzionale) e non allorché le domande siano dirette contro la stessa persona (cumulo soggettivo). E così non è possibile – si afferma gin giurisprudenza- il cumulo nello stesso processo di separazione o divorzio (soggetto per quello che si è detto al rito camerale) di una do¬manda di divisione o di accertamento della proprietà (Cass. Sez. II, 27 gennaio 2005, n. 1705; Cass. civ. Sez. I, 19 gennaio 2005, n. 1084; Cass. civ. Sez. I, 12 gennaio 2000, n. 266; Trib. Torre Annunziata, 18 settembre 2013; Trib. Salerno, Sez. I, 9 febbraio 2012; Trib. Cassino, 19 aprile 2010; App. Napoli, 10 marzo 2010; Trib. Roma, Sez. I, 15 settembre 2009; Trib. Cassino 21 ottobre 2008; Trib. Cassino, 24 luglio 2008; Trib. Modena, 15 maggio 2007; Trib. Genova, Sez. IV, 28 febbraio 2006).
VI Come e quando può essere eccepita o rilevata d’ufficio l’incompetenza?
Per impedire che le questioni di competenza si trascinino senza fine nel processo e con l’obiettivo di accelerarne al massimo la decisione, una disciplina molto specifica è prevista nell’art. 38 c.p.c. nel testo sostituito una prima volta con la riforma di cui alla legge 353/1990 che aveva eliminato la possibilità di rilevare d’ufficio in ogni momento l’incompetenza e da ultimo con la legge 18 giugno 2009, n. 69 che ha equiparato le modalità di rilievo dell’incompetenza.
L’art. 38 c.p.c. prevede che l’incompetenza (ogni tipo di incompetenza) debba essere sempre eccepita dal convenuto a pena di inammissibilità con la comparsa di risposta “tempestivamente depositata”. Quindi – così viene interpretata la locuzione – nel rispetto del termine di preclusione indicato nel secondo comma dell’art. 167 c.p.c. (venti giorni prima dell’udienza di comparizione delle parti di cui all’art. 183 c.p.c.) anche se, a stretto rigore, l’art. 38 c.p.c. prevede che la deca¬denza si verifichi, in difetto di rilievo di parte, per le sole eccezioni “non rilevabili d’ufficio” mentre invece l’incompetenza per materia, per valore e territoriale inderogabile possono essere sempre rilevate dal giudice, sia pure entro la prima udienza (art. 38, comma 3, c.p.c.). Pertanto la sola incompetenza che ragionevolmente sarebbe soggetta alla preclusione e alla decadenza dovrebbe essere quella territoriale derogabile. L’incompetenza territoriale inderogabile (che, come si è visto, è tipica delle cause di diritto di famiglia), potendo essere rilevata d’ufficio dal giudice entro la prima udienza, non dovrebbe essere soggetta alla preclusione. Esigenze di concentrazione e di imme¬diatezza hanno fatto prevalere, tuttavia, la tesi rigorosa della necessità del rispetto dei termini di decadenza (Cass. civ. Sez. Unite, 12 maggio 2008, n. 11657). Peraltro lo stesso legislatore ha previsto che l’avvertimento al convenuto debba contenere il riferimento non solo alle decadenze di cui all’art. 167 c.p.c. ma, per l’appunto, anche a quelle di cui all’art. 38 c.p.c.
Il giudice può rilevare l’incompetenza non oltre la prima udienza di cui all’art. 183 c.p.c. (Cass. civ. Sez. VI, 5 luglio 2013, n. 16888; Cass. civ. Sez. Unite, 24 maggio 2013, n. 12900).
Naturalmente il giudice potrebbe non rilevare l’incompetenza. Pertanto il convenuto che non la eccepisca, in caso di mancato rilievo d’ufficio da parte del giudice, non potrebbe più far valere la questione di competenza in seguito o in appello (Cass. civ. Sez. III, 2 marzo 2012, n. 3251).
Se il convenuto o il giudice non dovessero rilevare l’incompetenza nei termini per loro previsti – o comunque entro la prima udienza in caso di rito a cognizione diversa da quello ordinario – il proces¬so continuerà regolarmente e la decisione sarà pienamente legittima nonostante l’incompetenza (Cass. civ. Sez. I, 17 aprile 2013, n. 9323).
VII Come sono decise dal giudice le questioni relative alla competenza e come può essere impugnata la decisione?
In seguito alla riforma operata con la legge 18 giugno 2009, n. 69 (applicabile ai giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore avvenuta il 4 luglio 2009), tutte le questioni relative alla competenza sono decise dal giudice della causa con ordinanza “in base a quello che risulta dagli atti e, quando sia reso necessario dall’eccezione del convenuto o dal rilievo del giudice, assunte sommarie informazioni”.
Quindi si tratta di una ordinanza e non più di una sentenza. Tuttavia il giudice ha il dovere di far previamente precisare alle parti le conclusioni (Cass. civ. Sez. VI, 30 ottobre 2013, n. 24509; Cass. civ. Sez. VI, 10 ottobre 2013, n. 23095; Cass. civ. Sez. VI, 26 giugno 2013, n. 16051; Cass. civ. Sez. VI, 11 dicembre 2012, n. 22737; Cass. civ. Sez. VI, 6 dicembre 2012, n. 22002).
L’ordinanza che accoglie l’eccezione di incompetenza senza decidere nel merito è impugnabile esclusivamente con istanza di regolamento (necessario) di competenza (art. 42 c.p.c.) – sul quale è competente a decidere la Corte di cassazione – mentre se la questione di competenza viene decisa insieme al merito, la parte interessata oltre a poter proporre regolamento (facoltativo) di competenza (che determina in tal caso la sospensione dei termini per l’impugnazione fino alla comunicazione della decisione della Corte di cassazione) può scegliere di impugnare nei modi oridnari la decisione (art. 43 c.p.c.).
Quanto al contenuto della decisione sulla competenza, se di fronte a giudici diversi sono proposte cause che per ragioni di connessione possono essere decise in un solo processo, il giudice fissa alle parti un termine per riassumere la causa accessoria davanti al giudice della causa principale e negli altri casi di connessione davanti al giudice preventivamente adito (art. 40, primo comma, c.p.c.). Per le medesime esigenze di speditezza è previsto (art. 40, comma 2, c.p.c.) che la connessione non possa essere eccepita dalle parti o rilevata d’ufficio dopo la prima udienza e che comunque la rimessione non possa essere ordinata “quando lo stato della causa principale o preventivamente proposta non consente l’esauriente trattazione e decisione delle cause connesse”.
VIII Il regolamento di competenza
Il regolamento di competenza ha una disciplina piuttosto semplificata.
La parte (anche assistita dal procuratore della causa sia pure non iscritto all’albo speciale degli avvocati cassazionisti: Cass. civ. Sez. VI, 19 marzo 2012, n. 4345; Cass. civ. Sez. III, 27 ottobre 2011, n. 22485; Cass. civ. Sez. III, 7 luglio 2011, n. 15061; Cass. civ. Sez. III, 18 dicembre 2008, n. 29577) ed anche senza ulteriore procura ad hoc (Cass. civ. Sez. I, 9 settembre 2004, n. 18199; Cass. civ. Sez. III, 3 marzo 1998, n. 2333) promuove l’impu-gnazione con ricorso diretto alla Corte di cassazione e notificato alla controparte entro trenta giorni dalla comunicazione da parte della cancelleria dell’ordinanza con cui il giudice ha deciso sull’ec¬cezione di incompetenza o con cui ha sollevato egli stesso la questione ovvero entro trenta giorni dalla notifica a cura dell’altra parte se la cancelleria ha omesso la comunicazione o questa non è stata eseguita regolarmente (Cass. civ. Sez. VI, 16 luglio 2013, n. 17386; Cass. civ. Sez. I, 8 gennaio 2009, n. 135). Nei successivi cinque giorni deve chiedere alla cancelleria del giudice la trasmissione degli atti alla cancelleria della corte di cassazione ed entro venti giorni dalla notifica deve depositare il ricorso notificato.
La controparte può depositare le sue considerazioni difensive entro venti giorni dalla notifica del ricorso.
Nonostante la semplicità del procedimento la Cassazione pretende però che il ricorso abbia le stesse caratteristiche intrinseche di ammissibilità dei normali ricorsi per cassazione e in particolare quello dell’autosufficienza (Cass. civ. Sez. III, 21 luglio 2006, n. 16752; Cass. civ. Sez. III, 13 novembre 2000, n. 14699).
In assenza di regole per il rilievo d’ufficio la giurisprudenza ha chiarito che il regolamento di com¬petenza può essere azionato d’ufficio direttamente dal giudice con ordinanza con cui dispone che la cancelleria trasmetta gli atti alla Corte di cassazione, dandone comunicazione alle parti costitu¬ite (Cass. civ. Sez. Unite, 5 ottobre 2012, n. 16956) e che l’ordinanza deve essere motivata (Cass. civ. Sez. III, 6 settembre 2007, n. 18795).
Il Pubblico ministero non ha legittimazione all’istanza di regolamento di competenza (Cass. civ. Sez. I, 4 novembre 1997, n. 10779).
Per la stretta connessione che ha nel diritto di famiglia va precisato che la giurisprudenza ritiene inammissibile il regolamento di competenza avverso provvedimenti che non abbiano natura defi¬nitiva e decisoria come tutti quelli adottati dal tribunale per i minorenni o dal tribunale ordinario per regolamentare l’affidamento dei figli minori (Cass. civ. Sez. I, 7 maggio 2015, n. 9203; Cass. civ. Sez. VI, 14 maggio 2013, n. 11463; Cass. civ. Sez. VI, 3 gennaio 2013, n. 49; Cass. civ. Sez. I, 5 febbraio 2008, n. 2756 in un caso di affidamento del minore al servizio sociale da parte del tribunale per i minorenni; Cass. civ. Sez. I, 28 luglio 2006, n. 17234 in un procedimento davanti al tribunale su reclamo al giudice tutelare; Cass. civ. Sez. I, 20 ot¬tobre 2004, n. 20498 in un procedimento di volontaria giurisdizione; Cass. civ. Sez. Unite, 4 novembre 2003, n. 16568 avverso un decreto del tribunale per i minorenni in procedimento de potestate; Cass. civ. Sez. Unite, 10 ottobre 2003, n. 14671 in un procedimento di volonta¬ria giurisdizione; Cass. civ. Sez. I, 18 gennaio 2003, n. 586 in un procedimento di modifica relativa all’affidamento di un figlio; Cass. civ. Sez. I, 8 gennaio 1998, n. 93 concernente un provvedimento della corte d’appello su rapporti tra genitori e figli) salvo che il procedimento sia utilizzato dal legislatore per la tutela giurisdizionale di diritti (Cass. civ. Sez. I, 2 aprile 2012, n. 5257). Una non vicina decisione, però, dichiarò ammissibile il regolamento di competenza in un caso di decadenza della potestà (Cass. civ. Sez. I, 28 marzo 1997, n. 2797) ma si è trattato di una decisione assolutamente isolata.

Giurisprudenza
Cass. civ. Sez. VI – 1, 20 luglio 2017, n. 17969 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Con riferimento ai soggetti minori di età, ai fini della determinazione della competenza territoriale del giudice e, quindi dell’accertamento della cd. residenza abituale, non si deve tener conto della permanenza transitoria, in occasione delle vacanze estive, nella città dove risiedono i nonni, ossia che i minori si trovavano in tale città, alla data della domanda, solo a causa della omissione, per decisione unilaterale della madre, del programmato rientro nel luogo di residenza abituale dalle vacanze estive (fattispecie in tema di regolamentazione dell’affida¬mento di figli nati fuori dal matrimonio)
Cass. civ. Sez. VI – 1, 12 luglio 2017, n. 17190 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La controversia relativa alla modifica delle condizioni della separazione e del divorzio o dell’affidamento dei figli minori appartiene all’esclusiva competenza del tribunale ordinario, anche quando la domanda sia giustificata dall’esistenza di un grave pregiudizio per i figli minori, non essendo tale circostanza idonea a spostarne la com¬petenza presso il tribunale per i minorenni.
L’istanza per provvedimenti limitativi della capacità genitoriale depositata dopo il giudizio di separazione, ma antecedentemente a quello di divorzio, presso il Tribunale per i Minorenni, seppur comporti una modifica delle disposizioni stabilite del tribunale ordinario, va qualificata come richiesta di modifica delle condizioni di separa¬zione, anche se concerne l’esistenza di un pregiudizio per i figli minori e pertanto non è idonea a modificare la competenza presso il tribunale minorile.
Cass. civ. Sez. VI – 1, 14 dicembre 2016, n. 25636 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di regolamento necessario di competenza, la controversia relativa alla modifica delle disposizioni con¬cernenti l’affidamento dei figli, ai sensi dell’art. 337 quinquies c.c., appartiene all’esclusiva competenza del tribunale ordinario territorialmente individuato in base alla residenza dei figli minori, così come determinata dal provvedimento giudiziale di cui si chiede la modifica.
Cass. civ. Sez. VI – 1, 22 novembre 2016, n. 23768 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il procedimento per la regolamentazione dell’affidamento di un figlio nato fuori dal matrimonio di cui all’art. 337-ter c.c. è devoluto alla competenza del tribunale ordinario del luogo di residenza abituale del minore, non potendo subire la “vis actractiva” del tribunale per i minorenni, al quale l’art. 38 disp. att. c.c. attribuisce com¬petenze tassativamente individuate, tra le quali non figura il predetto procedimento.
Cass. civ. Sez. VI – 1, 12 aprile 2016, n. 7160 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nei procedimenti che tendono all’ablazione o alla limitazione della potestà genitoriale, ai sensi degli artt. 330 e ss. c.c., siano essi promossi d’ufficio o ad istanza di parte, la mera trasmissione del fascicolo processuale da un ufficio giudiziario ad un altro, con finalità di dismissione della propria competenza ed attribuzione della stessa al destinatario, è di per sé sufficiente a legittimare quest’ultimo, ove si ritenga a sua volta incompetente, a sollevare il conflitto di competenza ed a chiedere il regolamento d’ufficio, indipendentemente dall’intervenuta riassunzione del processo, nei modi e nei tempi previsti dall’art. 50 c.p.c., vertendosi in una materia nella quale il giudice competente dispone di poteri officiosi d’iniziativa ai fini tanto dell’instaurazione e della prosecuzione del procedimento quanto della pronuncia di merito.
Cass. civ. Sez. VI – 1, 12 aprile 2016, n. 7161 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nei procedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.c., il principio della “perpetuatio iurisdictionis”, in forza del quale la competenza territoriale del giudice adito rimane ferma, nonostante lo spostamento in corso di causa della residenza anagrafica o del domicilio del minore, a seguito del trasferimento del genitore con cui egli convive, prevale, per esigenze di certezza e di garanzia di effettività della tutela giurisdizionale, su quello di “prossimità”, ove il provvedimento in relazione al quale deve individuarsi il giudice competente sia quello stesso richiesto con l’istanza introduttiva o con altra che si inserisca incidentalmente nella medesima procedura. (Nella specie, la S.C. ha accolto il regolamento di competenza d’ufficio sollevato dal Tribunale per i minorenni di Brescia, dinanzi al quale era stato riattivato, nei medesimi termini originari, il procedimento “de potestate” dopo la pronuncia di incompetenza del Tribunale per i minorenni di Bologna, adito dal P.M., motivata sul trasferimento, in corso di causa, della madre, insieme alle minori, in un comune in provincia di Brescia).
Cass. civ. Sez. VI – 1, 31 marzo 2016, n. 6249 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il procedimento di cui all’art. 337 quater c.c. è devoluto alla competenza del tribunale ordinario del luogo di residenza abituale del minore, non potendo subire la “vis actractiva” del tribunale per i minorenni, che ha com¬petenze tassativamente individuate dalla legge tra le quali non figura detto procedimento.
Cass. civ. Sez. VI – 1, 25 novembre 2015, n. 24099 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Per la decisione sulla domanda di divorzio, ai sensi dell’art. 4, L. n. 898/1970, è competente il Tribunale del luo¬go di residenza del convenuto, anche in presenza di figli minori, senza che ciò comporti alcuna violazione della normativa europea né alcun sospetto di incostituzionalità.
Cass. civ. sez. VI – 1 Ordinanza, 23 ottobre 2015, n. 21667 (rv. 637305)
È inammissibile il regolamento di competenza proposto nei confronti dell›ordinanza del tribunale che, pronunciando in sede di reclamo avverso il decreto con cui il giudice tutelare ha autorizzato il rilascio del passaporto e della carta di identità, valida per l›espatrio, in favore del genitore presso il quale è collocato il minore, ha escluso la propria competenza in favore di quella del tribunale per i minorenni, atteso che l›erronea individuazione del giudice titolare del potere di decidere sulla impugnazione non dà luogo ad una questione di competenza, ma concerne esclusivamente la sussistenza delle condizioni di proponibilità o ammissibilità del gravame, la cui valu¬tazione non è censurabile in sede di legittimità con il mezzo di impugnazione previsto dall’art. 42 c.p.c.
Cass. civ. Sez. I, 7 maggio 2015, n. 9203 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In relazione ai provvedimenti de potestate, devoluti alla competenza del tribunale per i minorenni, che limitano od escludono la potestà (art. 317 bis c.c. vecchio testo) o ne pronunciano la decadenza (artt. 330 e 332 c.c.), non è ammissibile il ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost., nonostante il carattere contenzioso e la ricorribilità dei provvedimenti assunti in materia di affidamento dei figli naturali, permanendo in essi il carattere della non definitività, nella ricerca della più ampia garanzia per i minori, derivante dall’attuale ampiezza della revisione dei provvedimenti adottati. Conseguentemente, nella fattispecie, avente ad oggetto provvedimenti correlati e legittimati dall’art. 333 c.c. e, dunque, non destinati a regolare l’affidamento dei figli, il ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost. veniva dichiarato inammissibile.
Cass. civ. Sez. VI, 12 febbraio 2015, n. 2833 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai sensi dell’art. 38 disp. att. cod. civ. come novellato dall’art. 3 della legge 10 dicembre 2012, n. 219, il tribunale per i minorenni resta competente a conoscere della domanda diretta ad ottenere la declaratoria di decadenza o la limitazione della potestà dei genitori ancorché, nel corso del giudizio, sia stata proposta, innanzi al tribunale ordinario, domanda di separazione personale dei coniugi o di divorzio, trattandosi di interpretazione aderente al dato letterale della norma, rispettosa del principio della “perpetuatio jurisdictionis” di cui all’art. 5 cod. proc. civ., nonché coerente con ragioni di economia processuale e di tutela dell’interesse superiore del minore, che trovano fondamento nell’art. 111 Cost., nell’art. 8 CEDU e nell’art. 24 della Carta di Nizza.
Cass. civ. Sez. VI, 26 gennaio 2015, n. 1349 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 38, primo comma, disp. att. cod. civ. (come modificato dall’art. 3, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dall’1 gennaio 2013), si interpreta nel senso che, per i proce¬dimenti di cui agli artt. 330 e 333 cod. civ., la competenza è attribuita in via generale al tribunale dei minorenni, ma, quando sia pendente un giudizio di separazione, di divorzio o ex art. 316 cod. civ., e fino alla sua definitiva conclusione, in deroga a questa attribuzione, le azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un’ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva), spettano al giudice del conflitto familiare, in¬dividuabile nel tribunale ordinario, se sia ancora in corso il giudizio di primo grado, ovvero nella corte d’appello in composizione ordinaria, se penda il termine per l’impugnazione o sia stato interposto appello.
L’art. 38, primo comma, primo periodo, disp. att. cod. civ. — nel testo sostituito dall’art. 3, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219, applicabile ai giudizi instaurati a decorrere dal 1° gennaio 2013 (art. 4, comma 1, della stessa legge n. 219 del 2012), come nella specie — attribuisce tra l’altro, in via generale, al tribunale per i minorenni la competenza per i provvedimenti previsti dagli artt. 330 e 333 cod. civ. In deroga a tale attribu¬zione di competenza, quando sia in corso un giudizio di separazione, divorzio o un giudizio ai sensi dell’art. 316 cod. civ., anche in pendenza dei termini per le impugnazioni e nelle altre fasi di quiescenza, fino al passaggio in giudicato, la competenza in ordine alle azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi od ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con unico atto introduttivo dalle parti (così de¬terminandosi un’ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva) deve attribuirsi al giudice del conflitto familiare (Tribunale ordinario e Corte d’Appello). L’identità delle parti dei due giudizi non è esclusa dalla partecipazione del p.m. Ne consegue che nel caso, quale quello di specie, in cui — successivamente all’instaurazione di un giudizio di separazione o di divorzio, o del giudizio di cui all’art. 316 cod. civ. — siano state proposte azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi od ablativi della responsabilità genitoriale quando sia pendente il termine per l’impugnazione o sia stato interposto appello avverso la decisione di primo grado, la competenza a conoscere tali azioni è attribuita alla corte d’appello in composizione ordinaria.
Cass. civ. Sez. VI, 14 ottobre 2014, n. 21633 (Famiglia e Diritto, 2015, 2, 105 nota di LIUZZI)
La competenza a conoscere della domanda di limitazione o decadenza dalla potestà dei genitori, introdotta prima della modifica del testo dell’art. 38 disp. att. cod. civ. disposta dall’art. 3 della legge 10 dicembre 2012, n. 219, rimane radicata presso il tribunale per i minorenni anche se nel corso del giudizio sia stata proposta, innanzi al tribunale ordinario, domanda di separazione personale dei coniugi o di divorzio, in ossequio al principio della “perpetuatio jurisdictionis” ed a ragioni di economia processuale che trovano fondamento anche nelle dispo¬sizioni costituzionali (art. 111 Cost.) e sovranazionali (art. 8 C.E.D.U. e art. 24 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea). (Regola competenza)
Cass. civ. Sez. I, 31 marzo 2014, n. 7478 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 336, ultimo comma, c.c. trova applicazione soltanto per i provvedimenti limitativi ed eliminativi della pote¬stà genitoriale, ove si pone in concreto un profilo di conflitto di interessi tra genitori e minore e non in una con¬troversia relativa al regime di affidamento e di visita del minore, figlio di una coppia che ha deciso di cessare la propria comunione di vita. In tale ipotesi, la partecipazione del minore nel conflitto genitoriale deve esprimersi, ove ne ricorrano le condizioni di legge, solo se ne ravvisi la corrispondenza agli interessi del minore medesimo e si riscontri un grado di discernimento adeguato, mediante il suo ascolto, oltre che mediante l’esercizio dei poteri istruttori officiosi di cui il giudice può usufruire in virtù della natura e della preminenza dell’interesse da tutelare.
Cass. civ. Sez. VI, 30 ottobre 2013, n. 24509 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Anche dopo il mutamento della forma della decisione sulla competenza per effetto dell’art. 45 della legge 18 giu¬gno 2009, n. 69, la decisione affermativa della competenza presuppone sempre la rimessione in decisione della causa ai sensi degli artt. 189 e 275 cod. proc. civ.(ed ai sensi dello stesso art. 189 cod. proc. civ. in relazione all’art. 281-quinquies cod. proc. civ. per il procedimento di decisione del giudice monocratico) preceduta dall’in¬vito a precisare le conclusioni. Ne discende che, ove nel procedimento davanti al giudice monocratico quest’ul¬timo esterni espressamente od implicitamente in un’ordinanza, senza aver provveduto agli adempimenti sopra indicati, un convincimento sulla competenza e dia provvedimenti sulla prosecuzione del giudizio, tale ordinanza non ha natura di decisione affermativa sulla competenza impugnabile ai sensi dell’art. 42 cod. proc. civ., sicché il ricorso per regolamento di competenza avverso detto atto deve ritenersi inammissibile. (Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto che non avesse natura di decisione sulla competenza l’ordinanza con cui il tribunale in com¬posizione monocratica, sciogliendo la riserva assunta all’udienza di prima comparizione e assumendo una serie di provvedimenti di carattere ordinatorio, aveva delibato sulla questione di competenza con un provvedimento funzionale all’ulteriore “iter” processuale e non ultimativo – sebbene risoltasi con una statuizione di “rigetto dell’eccezione” – non essendo stata preceduto dall’invito alle parti a precisare le conclusioni).
Cass. civ. Sez. VI, 10 ottobre 2013, n. 23095 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In una controversia instaurata dopo l’entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n. 69, l’ordinanza declina¬toria della competenza suppone il previo invito alle parti alla precisazione delle conclusioni, cosicché, ove la decisione sia emessa senza il rispetto di tale formalità, la stessa è impugnabile con il regolamento di compe¬tenza necessario.
Trib. Torre Annunziata, 18 settembre 2013 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La trattazione congiunta di cause soggette a riti differenti può attuarsi, secondo le regole di cui all’art. 40 c.p.c. nel testo modificato dalla legge n. 353 del 1990 soltanto se tali cause siano connesse ai sensi degli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c.. Pertanto, non è possibile il cumulo in un unico processo della domanda di divorzio, soggetta al rito camerale, e di quella di divisione dei beni comuni, soggetta a rito ordinario, trattandosi di domande non legate da vincoli di connessione, ma autonome e distinte l’una dall’altra.
Cass. civ. Sez. VI, 2 agosto 2013, n. 18560 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La determinazione della competenza per territorio nelle cause ereditarie va stabilita ai sensi degli artt. 22 cod. proc. civ. e 456 cod. civ., con riferimento al luogo in cui il “de cuius” aveva al momento della morte l’ultimo domicilio, intendendosi con tale locuzione il luogo ove la persona concentra la generalità dei suoi interessi sia materiali ed economici, sia morali, sociali e familiari, prescindendosi dalla dimora o dalla presenza effettiva del medesimo in detto luogo.
Trib. Minorenni Brescia, 1 agosto 2013 (Famiglia e Diritto, 2014, 1, 60, nota di RUSSO)
Nei procedimenti ai quali, ratione temporis, è applicabile l’art. 38 disp. att. come modificato dalla legge n. 219/2012, sussiste la competenza del tribunale per i minorenni sulla domanda ex art. 333 c.c., nonostante la contemporanea pendenza di un giudizio di separazione o divorzio, solo se la domanda è proposta da chi non può essere parte in quel giudizio e cioè il pubblico ministero minorile ovvero i parenti legittimati ex art. 336 c.c.
Cass. civ. Sez. VI, 19 luglio 2013, n. 17744 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai fini dell’individuazione del tribunale competente per territorio sulla domanda di separazione personale dei coniugi, tale luogo deve essere identificato con l’ultima residenza comune, non potendosi ricorrere al foro subor¬dinato della residenza o del domicilio della parte convenuta.
L’art. 42 cod. proc. civ. là dove estende l’impugnazione con il regolamento di competenza ai provvedimenti, aventi natura ordinatoria, che dichiarano la sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., è norma di stretta interpretazione, la cui portata non può essere estesa fino a ritenere detto rimedio esperibile avverso il diverso provvedimento, che sia meramente confermativo di una precedente sospensione non tempe¬stivamente impugnata, non potendo esso produrre l’effetto di riaprire il termine perentorio di trenta giorni per proporre il regolamento.
Cass. civ. Sez. VI, 16 luglio 2013, n. 17386 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il regolamento di competenza ad istanza di parte va proposto, laddove la comunicazione di cancelleria al difenso¬re del ricorrente, ex art. 47, secondo comma, cod. proc. civ. non risulti effettuata nel domicilio da lui eletto, nel termine di trenta giorni dalla notificazione del provvedimento impugnato, se avvenuta, altrimenti applicandosi quello di decadenza di cui all’art. 327 cod. proc. civ. dalla data del suo deposito.
Cass. civ. Sez. VI, 5 luglio 2013, n. 16888 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È inammissibile il conflitto di competenza elevato dal giudice dopo la prima udienza di trattazione, quando egli ha già concesso alle parti i termini di cui all’art. 183, sesto comma, cod. proc. civ.
Cass. civ. Sez. VI, 3 luglio 2013, n. 16544 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di nomina dell’amministratore di sostegno, la competenza per territorio spetta al giudice tutelare del luogo in cui la persona interessata abbia stabile residenza o domicilio; pertanto le risultanze anagrafiche non as¬surgono a dato preminente, se vengono superate da evenienze di fatto conclamanti un diverso effettivo domicilio della persona, nel cui interesse si chiede l’apertura del procedimento.
Cass. civ. Sez. VI, 26 giugno 2013, n. 16051 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Anche dopo il mutamento della forma della decisione sulla sola competenza, per effetto della legge 18 giugno 2009, n. 69, presuppone sempre la rimessione in decisione della causa preceduta dall’invito a precisare le conclusioni. Ne discende che, ove il giudice unico, che nelle cause attribuite al tribunale in composizione mono¬cratica assomma in sé le funzioni di istruzione e decisione, si limiti a dare provvedimenti sulla prosecuzione del giudizio pur a fronte d’una eccezione di incompetenza (nella specie, ammettendo le prove richieste e fissando apposita udienza per la relativa assunzione e successiva udienza di precisazione delle conclusioni), l’ordinanza così pronunciata non riveste natura di decisione affermativa sulla competenza, impugnabile ai sensi dell’art. 42 cod. proc. civ., sicché il ricorso per regolamento di competenza avverso detto atto deve ritenersi inammissibile.
Cass. civ. Sez. Unite, 24 maggio 2013, n. 12900 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’incompetenza per materia, al pari di quella per valore e per territorio nei casi previsti dall’art. 28 del codice di rito, è rilevata, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di trattazione, la quale, nel rito ordinario, si identifica con l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c., e, nel processo del lavoro, corrisponde alla (prima) udienza di discussione fissata con il decreto giudiziale disciplinato dall’art. 415 c.p.c Pertanto, alla stregua del nuovo assetto attri¬buito dal riformato art. 38 c.p.c. al rilievo dell’incompetenza, anche la disposizione dell’art. 428 c.p.c. comma 1 (secondo la quale nei processi davanti ai giudice del lavoro l’incompetenza territoriale può essere rilevata d’ufficio non oltre l’udienza di cui all’art. 420 c.p.c.) va intesa nel significato che detta incompetenza può essere rilevata non oltre il termine dell’udienza fissata con il predetto decreto contemplato dal citato art. 415, con la conseguente inammissibilità del regolamento di competenza d’ufficio che dovesse essere sollevato superandosi tale preclusione.
Cass. civ. Sez. III, 21 maggio 2013, n. 12388 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La ripartizione degli affari tra le sezioni distaccate di un medesimo ufficio del giudice di pace, sito presso taluno dei capoluoghi dei mandamenti ove avevano sede le preture, ha carattere interno, sicché la sentenza con cui il giudice di una sezione distaccata dichiari la propria “competenza” non integra una decisione sulla competenza, avverso la quale sia esperibile il regolamento di competenza, ma va interpretata come provvedimento ordinato¬rio ex art. 83-ter disp. att. cod. proc. civ., introdotto dall’art. 128 del d.lgs. del 19 febbraio 1998, n. 51.
Cass. civ. Sez. VI, 14 maggio 2013, n. 11463 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La pronuncia sulla competenza contenuta in un provvedimento camerale privo di decisorietà e definitività non è impugnabile con il regolamento di competenza ad istanza di parte, atteso che la affermazione o la negazione della competenza è preliminare e strumentale alla decisione di merito e non ha una sua natura specifica, diversa da quest’ultima, tale da giustificare un diverso regime di impugnazione e da rendere ipotizzabile un interesse all’individuazione definitiva ed incontestabile del giudice chiamato ad emettere un provvedimento privo di deci¬sorietà e definitività,
Cass. civ. Sez. VI, 17 aprile 2013, n. 9389 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di amministrazione di sostegno, la competenza territoriale si radica con riferimento alla dimora abituale del beneficiario e non alla sua residenza, in considerazione della necessità che egli interloquisca con il giudice tutelare, il quale deve tener conto, nella maniera più efficace e diretta, dei suoi bisogni e richieste, anche suc¬cessivamente alla nomina dell’amministratore; né opera, in tal caso, il principio della “perpetuatio iurisdictionis”, trattandosi di giurisdizione volontaria non contenziosa, onde rileva la competenza del giudice nel momento in cui debbono essere adottati determinati provvedimenti sulla base di una serie di sopravvenienze.
Cass. civ. Sez. I, 17 aprile 2013, n. 9323 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ove la sentenza che dichiara l’incompetenza del giudice adito, non è impugnata con l’istanza di regolamentodi competenza ed il giudice indicato come competente non solleva conflitto, ai sensi dell’art. 45 c.p.c., non sono più contestabili l’incompetenza del giudice che l’ha pronunciata e la competenza del giudice davanti al quale la causa sia stata riassunta, con la conseguenza che nei successivi gradi del giudizio, né le parti, né il giudice possono rimettere in discussione l’incompetenza dichiarata dal giudice originariamente adito.
Cass. civ. Sez. VI, 2 aprile 2013, n. 8016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La competenza territoriale a conoscere dei procedimenti di revisione delle disposizioni economiche contenute nella sentenza di divorzio è devoluta al giudice del luogo in cui è sorta l’obbligazione controversa, dovendo applicarsi a tali procedimenti i criteri ordinari di competenza per territorio stabiliti dagli articoli da 18 a 20 del codice di procedura civile e non il disposto dell’art. 709 ter, ultimo comma, cod. proc. civ., introdotto dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, destinato alla soluzione di controversie insorte tra genitori in ordine all’esercizio della potestà genitoriale o alle modalità di affidamento e, in tale ambito, all’adozione, in caso di gravi inadempienze dei genitori o di atti che arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento, dei provvedimenti sanzionatori previsti dalla norma stessa, anche in unione con la modifica dei provvedimenti in vigore relativamente a tali modalità . L’art. 12 quater della legge sul divorzio, introdotto dalla L. n. 74 del 1987 fa chiaro riferimento alla disponibilità dei generali criteri alternativi di determinazione della competenza per le cause relative ai diritti di obbligazione di cui alla legge stessa, tra le quali non vi è ragione per non includere le controversie concernenti l’obbligo dei coniugi di contribuire al mantenimento dei figli.
Cass. civ. Sez. VI, 25 marzo 2013, n. 7462 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Poiché le regole di distribuzione del potere di provvedere interne allo stesso ufficio giudiziario, e, a maggior ra¬gione, quelle di ripartizione del potere su di uno specifico affare all’interno dell’organo cui quest’ultimo è attribu¬ito, non integrano questioni di competenza ai sensi degli articoli 42 e 43 cod. proc. civ., è inammissibile l’istanza di regolament di competenza proposta avverso il decreto con cui il presidente della corte di appello, adito ai sensi degli articoli 283 e 351 cod. proc. civ., fissi l’udienza di comparizione delle parti in camera di consiglio ai fini della decisione della richiesta di sospensione della esecutività della sentenza di primo grado.
Cass. civ. Sez. I, 8 marzo 2013, n. 5847 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Non ha luogo violazione di legge nell’ipotesi in cui il Giudice di merito assuma una decisione sull’affidamento della prole minore di età e sul divieto del padre di avere contatti con essi, in pendenza del procedimento, attivato dalla madre dinanzi al Tribunale per i Minorenni ex art. 330 c.c. per la decadenza del padre dalla potestà genitoriale. I due procedimenti, invero, sono del tutto autonomi, stante la reciproca autonomia delle attribuzioni del Tribunale per i Minorenni, competente ad assumere i provvedimenti incidenti sulla spettanza della potestà genitoriale e del Tribunale ordinario quale giudice della separazione, competente altresì sulle modalità di esercizio della potestà medesima, anche quando l’affidamento dei figli sia richiesto in ragione dell’esistenza di un grave pregiudizio per i figli minori.
Trib. Genova Sez. IV, 7 marzo 2013 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La domanda di modifica dell’assegno di mantenimento dovuto per la prole, che investe rapporti obbligatori, non è equiparabile alla domanda di separazione e si sottrae alle speciali regole di competenza stabilite sia per il giu¬dizio di separazione, che per il giudizio di divorzio, nell’ambito del quale è invocabile anche il criterio alternativo previsto dall’art. 12 quater della legge n. 898 del 1970 (Divorzio), ossia il luogo ove l’obbligazione deve essere eseguita. Nel giudizio avente ad oggetto la modifica dell’assegno di mantenimento dovuto per i figli, in partico¬lare, in virtù degli artt. 148 e 155 c.c., è pacifica la sussistenza in capo al genitore dell’obbligo di contribuire al mantenimento del minore, obbligo che va specificato nel suo ammontare in ragione dei criteri facoltativi stabiliti dalla norma. Alla luce del criterio generale di cui all’art. 18 c.p.c. o dei criteri facoltativi di cui agli artt. 20 c.p.c. e 12 quater della legge n. 898 del 1970, competente è il Giudice del luogo ove il convenuto ha la residenza o il domicilio, oppure ove è sorta o deve essere eseguita l’obbligazione dedotta in giudizio.
Trib. Milano Sez. IX, 4 marzo 2013 (Corriere del Merito, 2013, 8-9, 835, nota di IANNELLI)
Nel procedimento instaurato per la modifica dell’assegno di mantenimento ai sensi dell’art. 710 c.p.c. è esclusa la competenza del tribunale innanzi al quale sia stata definita la separazione, quale giudice del luogo in cui è sorta l’obbligazione dedotta in giudizio ex art. 20 c.p.c. allorquando nel suo circondario non risieda la parte convenuta.
Cass. civ. Sez. I, 27 febbraio 2013, n. 4945 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di affidamento di minori e di provvedimenti di decadenza dalla potestà genitoriale, il discrimine tra la competenza del Tribunale ordinario e quella del Tribunale per i Minorenni deve essere individuato con riferimento al “petitum” ed alla “causa petendi” in concreto dedotti. Rientrano pertanto nella competenza del giudice specia¬lizzato, ai sensi del combinato disposto dell’art. 330 c.c. e art. 38 disp. att. c.c., soltanto le domande finalizzate ad ottenere i provvedimenti di decadenza dalla potestà genitoriale, mentre rientrano nella competenza del Tribunale ordinario, in sede di separazione personale dei coniugi, le pronunzie di affidamento del minori nonchè le modalità dell’affidamento; nè vale a spostare la competenza presso il Tribunale per i Minorenni l’allegazione di un grave pregiudizio per i figli minori, se tale deduzione non è intesa ad ottenere un provvedimento ablativo della suddetta potestà (cfr., da ultime, Cass. n. 6841 e 20352 del 2011). Sotto altro profilo, l’art. 709 ter c.p.c., stabilisce che competente a decidere in ordine alla soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della potestà genitoriale è “il giudice del procedimento in corso”, ossia il giudice della separazione giacchè la norma si inserisce tra quelle che disciplinano il procedimento di separazione personale dei coniugi. Analogamente l’art. 755 c.c., sancisce che, in caso di separazione, la potestà genitoriale è affidata ad entrambi i genitori e rimette al giudice della separazione la decisione in caso di disaccordo.Tali norme sono da considerarsi speciali e quindi pre¬valenti rispetto a quella dell’art. 316 c.c., che – attraverso il richiamo contenuto nell’art. 38 disp. att. c.c. – affida al Tribunale per i Minorenni di risolvere le questioni di contrasto di particolare importanza insorte tra i genitori in ordine all’esercizio comune della potestà genitoriale, norma che trova quindi applicazione per le controversie tra coniugi non separati o tra i quali non sia in corso procedimento di separazione. (Cass. 9339/97).
Cass. civ. Sez. VI, 3 gennaio 2013, n. 49 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È inammissibile il regolamento di competenza, ad istanza di parte o d’ufficio, proposto avverso provvedimenti che non abbiano carattere definitivo e decisorio, quali devono ritenersi quelli emessi in sede di volontaria giurisdizione, aventi ad oggetto la limitazione o l’esclusione della potestà genitoriale ex art. 317 bis cod. civ., pure ove pronuncino solo sulla competenza.
Cass. civ. Sez. VI, 11 dicembre 2012, n. 22737 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai fini dell’ammissibilità del regolamento di competenza, il principio secondo il quale, nelle cause attribuite al tribunale in composizione monocratica, il giudice unico, assommando le funzioni di istruzione e decisione, ove ritenga di emettere una pronuncia definitiva sulla competenza, è tenuto, ai sensi degli artt. 187 e 281-bis cod. proc. civ., ad invitare le parti a precisare le conclusioni, in tal modo scandendo la separazione fra la fase istrut¬toria e quella decisoria, trova applicazione anche quando egli intenda pronunciare sulla litispendenza, sicché, in mancanza dell’invito alla precisazione delle conclusioni, l’ordinanza assunta in tema di litispendenza non esauri¬sce la “potestas iudicandi” sul punto e non è impugnabile con regolamento di competenza.
Cass. civ. Sez. VI, 6 dicembre 2012, n. 22002 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Anche dopo la L. n. 69 del 2009, che ha introdotto come forma decisionale della sola questione di competenza, l’ordinanza, il coordinamento fra il novellato art. 279 e l’art. 187 c.p.c., comma 3, esige che la decisione sulla sola competenza sia preceduta dall’invito a precisare le conclusioni e se la decisione declinatoria della compe¬tenza viene adottata senza quell’invito si configura come impugnabile con il regolamento (da ultimo Cass. (ord.) n. 10594 del 2012); le parti che si siano viste decidere la questione, già insorta nel processo ai sensi dell’art. 38 c.p.c. senza essere state invitate a precisare le conclusioni, ricevono sicuramente una lesione del diritto di difesa quanto alla possibilità di argomentazione riguardo alla relativa questione in aggiunta a quanto avevano già detto, ma, ove tale pregiudizio non abbia riguardato l’istruzione possibile sulla competenza ai sensi dell’art. 38 c.p.c., u.c., la possibilità di impugnare con il regolamento di competenza, cioè con un apposito rimedio, costitui¬sce garanzia che assolve alla funzione di assicurare l’espletamento della difesa e non giustifica che la violazione della norma del procedimento comporti di per sè l’illegittimità della decisione sulla competenza. Ciò, perchè la statuizione sulla competenza che la Corte di cassazione rende sul regolamento, in quanto avviene previo lo svolgimento della difesa delle parti, sopperisce essa stessa a quanto avrebbe dovuto assolvere la garanzia della precisazione delle conclusioni.
Cass. civ. Sez. VI, 4 dicembre 2012, n. 21750 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di affidamento del figlio naturale, è competente il tribunale per i minorenni del luogo dove si trova la dimora abituale del minore nel momento in cui è stato proposto il ricorso, senza che assuma rilievo la mera residenza anagrafica o eventuali trasferimenti contingenti o temporanei; invero, nella individuazione in concreto del luogo di abituale dimora non può farsi riferimento ad un dato meramente quantitativo, rappresentato dalla prossimità temporale del trasferimento di residenza e dalla maggiore durata del soggiorno in altra città,essendo, invece, necessaria una prognosi sulla probabilità che la “nuova” dimora diventi l’effettivo e stabile centro d’in¬teressi del minore ovvero resti su un piano di verosimile precarietà o sia un mero espediente per sottrarsi alla disciplina della competenza territoriale.
Cass. civ. Sez. VI, 3 dicembre 2012, n. 21655 (Foro It., 2013, 7-8, 1, 2176)
La competenza sulla domanda diretta a determinare il contributo al mantenimento in favore dei figli minori spet¬ta al tribunale ordinario se non è contestuale alla domanda avente ad oggetto l’affidamento promossa innanzi al tribunale per i minorenni.
In tema di affidamento di minori e di provvedimenti di decadenza dalla potestà genitoriale, il discrimine tra la competenza del Tribunale ordinario e quella del Tribunale per i Minorenni deve essere individuato con riferimento al “petitum” ed alla “causa petendi” in concreto dedotti. Rientrano pertanto nella competenza del giudice spe¬cializzato, ai sensi del combinato disposto degli art. 330 c.c. e 38 disp.att.cod.civ., soltanto le domande finaliz¬zate ad ottenere i provvedimenti di decadenza dalla potestà genitoriale, mentre rientrano nella competenza del Tribunale ordinario, in sede di separazione personale dei coniugi, le pronunzie di affidamento del minori nonché le modalità dell’affidamento; né vale a spostare la competenza presso il Tribunale per i Minorenni l’allegazione di un grave pregiudizio per i figli minori, se tale deduzione non è intesa ad ottenere un provvedimento ablativo della suddetta potestà (cfr., da ultime, Cass. n. 6841 e 20352 del 2011). Sotto altro profilo, l’art. 709-ter c.p.c. stabilisce che competente a decidere in ordine alla soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della potestà genitoriale è “il giudice del procedimento in corso”, ossia il giudice della separazione giacché la norma si inserisce tra quelle che disciplinano il procedimento di separazione personale dei coniugi. Analogamente l’art. 155 c.c. sancisce che, in caso di separazione, la potestà genitoriale è affidata ad entrambi i genitori e rimette al giudice della separazione la decisione in caso di disaccordo. Tali norme sono da considerarsi speciali e quindi prevalenti rispetto a quella dell’art. 316 c.c. che – attraverso il richiamo contenuto nell’art. 38 delle disp.att.c.c – affida al Tribunale per i Minorenni di risolvere le questioni di contrasto di particolare impor¬tanza insorte tra i genitori in ordine all’esercizio comune della potestà genitoriale, norma che trova quindi appli¬cazione per le controversie tra coniugi non separati o tra i quali non sia in corso procedimento di separazione.
Cass. civ. Sez. Unite, 5 ottobre 2012, n. 16956 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 59 della legge n. 69/2009, pur configurando l’istituto della proposizione d’ufficio del conflitto di giurisdizio¬ne, non detta le regole procedurali relative; tale lacuna è colmabile applicando in via analogica la disciplina del conflitto di competenza di cui all’art. 45 c.p.c. e, in particolare, l’art. 47, quarto comma, c.p.c. che dispone la rimessione del fascicolo d’ufficio alla cancelleria della Corte di cassazione con ordinanza che, se pronunciata fuori udienza, dev’essere prima comunicata alle parti a cura del cancelliere del medesimo giudice ai fini della rituale instaurazione del contraddittorio.
Cass. civ. Sez. VI, 7 maggio 2012, n. 6880 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Competente a provvedere sull’istanza di sostituzione dell’amministratore di sostegno è il giudice tutelare del luogo di residenza del beneficiario, ancorché si tratti di luogo diverso da quello che ha radicato la competenza del giudice che ha adottato il decreto di nomina dell’amministratore.
Cass. civ. Sez. I, 2 aprile 2012, n. 5257 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La disposizione di cui all’art. 38 cod. proc. civ. nel testo di cui all’art. 4 della legge 26 novembre 1990, n. 353 (ed ora nel nuovo testo modificato dalla legge 18 giugno 2009, n. 69 applicabile “ratione temporis”), che ha introdotto una generale barriera temporale alla possibilità di rilevare tutti i tipi di incompetenza, fissandola nella prima udienza di trattazione, deve ritenersi applicabile non soltanto ai processi di cognizione ordinaria, ma anche ai processi di tipo camerale, qualora questi siano utilizzati dal legislatore per la tutela giurisdizionale di diritti.
Cass. civ. Sez. VI, 19 marzo 2012, n. 4345 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La procura conferita per un determinato grado del giudizio di merito, ove non escluda espressamente, o comun¬que in modo inequivocabile, la facoltà di proporre eventualmente istanza di regolamento di competenza, abilita il difensore alla proposizione di detta istanza, prevalendo, sulla presunzione di conferimento della procura per un determinato grado di giudizio, stabilita dall’ultimo comma dell’art. 83 cod. proc. civ. la norma speciale di cui all’art. 47, primo comma, dello stesso codice, con la conseguenza che questa può essere validamente sotto¬scritta dal difensore che rappresenti la parte nel giudizio di merito, ancorchè non iscritto all’albo degli avvocati abilitati al patrocinio davanti alle Magistrature Superiori.
Cass. civ. Sez. III, 2 marzo 2012, n. 3251 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nei giudizi promossi successivamente al 1 maggio 1995 trova applicazione il disposto normativo di cui all’art. 38 c.p.c. come risultante per effetto dell’art. 4 della legge n. 353 del 1990. con la conseguenza che l’incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio, nei casi previsti dall’art. 28 c.p.c., sono rilevate anche d’uf¬ficio non oltre la prima udienza di trattazione. Qualora, dunque, non sia stata sollevata entro il predetto termine l’eccezione di incompetenza per materia del tribunale in composizione ordinaria a conoscere della controversia, per essere competente la sezione specializzata agraria, risulta preclusa ogni successiva indagine sul punto.
Cass. civ. Sez. Unite, 13 febbraio 2012, n. 1984 (Riv. Dir. Internaz. Priv. e Proc., 2013, 1, 140)
Secondo l’art. 8 del Regolamento n. 2201/2003, l’unico criterio per stabilire la competenza giurisdizionale di uno Stato membro per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore è quello della residenza abituale del minore al momento della proposizione della domanda, intendendo come luogo di residenza quello del concreto e continuativo svolgimento della vita personale; non sussiste perciò la giurisdizione italiana qualora il minore risieda all’estero.
In tema di giurisdizione sui provvedimenti “de potestate”, l’art. 8 del Regolamento (CE) del 27 novembre 2003, n. 2201 dà rilievo, al fine di stabilire la competenza giurisdizionale di uno stato membro, unicamente al criterio della residenza abituale del minore al momento della proposizione della domanda, intendendo come tale il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale e non quello risultante da un calcolo puramente aritmetico del vissuto.
Trib. Salerno Sez. I, 9 febbraio 2012 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Tra la domanda di separazione personale dei coniugi e le domande di divisione di beni, che non consistono nella previsione di un assegno di mantenimento del coniuge ex art. 156 c.c. o per i figli ex art. 155 c.c. non è configu¬rabile una connessione qualificata ex art. 40, comma 3, c.p.c. e dunque va esclusa la possibilità del simultaneus processus e va dichiarata di conseguenza l”inammissibilità delle domande a rito ordinario.
Cass. civ. Sez. Unite, 30 dicembre 2011, n. 30646 (Riv. Dir. Internaz. Priv. e Proc., 2013, 1, 126)
La giurisdizione sulle domande relative all’affidamento dei figli ed al loro mantenimento, ove pure proposte congiuntamente a quella di separazione giudiziale, appartiene al giudice del luogo in cui il minore risiede abi¬tualmente, a norma dell’art. 8 del Regolamento n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003. Tale crite¬rio, informato all’interesse superiore del minore e, segnatamente, al criterio della vicinanza, riveste una tale pregnanza, da condurre ad escludere che il consenso del genitore alla proroga della giurisdizione quanto alle domande concernenti i minori – pur ammessa dall’art. 12 del citato regolamento, in presenza del consenso di entrambi i coniugi – sia ravvisabile dalla mancata contestazione giurisdizione da parte di un coniuge con riguardo alla domanda di separazione.
Ai sensi degli artt. 3 comma 1 lett. b e 8 del Regolamento n. 2201 del 2003 in una controversia di separazione personale sussiste la giurisdizione italiana in base alla comune cittadinanza dei coniugi, mentre essa non sussiste – bensì sussista quella inglese – riguardo all’affidamento dei figli, in quanto questi ultimi sono residenti nel Regno Unito né è stata accettata la giurisdizione italiana ex art. 12, comma 1.
Cass. civ. Sez. VI, 13 dicembre 2011, n. 26814 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La domanda proposta da uno dei due genitori coniugati nei confronti dell’altro, ai sensi dell’art. 148, secondo comma, cod. civ. avente ad oggetto la condanna alla corresponsione di un assegno di mantenimento per la figlia minore, è di competenza esclusiva del tribunale ordinario, ai sensi dell’art. 38 disp. att. cod. civ., anche quando sia connessa a quella di affidamento, essendo dirimente, ai fini del radicamento della competenza, lo “status” di figlia legittima della minore e il rapporto di “coniugio” tra le parti, dovendo peraltro nella specie farsi applicazione dell’art. 155 cod. civ., pur in assenza di un provvedimento di separazione giudiziale, non essendo ipotizzabile alcuna carenza di tutela nelle situazioni di conflitto proprie di una separazione di mero fatto. (Regola competenza d’ufficio)
Cass. civ. Sez. III, 27 ottobre 2011, n. 22485 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il d.m. di approvazione della tariffa forense, avendo natura di fonte regolamentare così come desumibile dalla legge 7 novembre 1957, n. 1051 di attribuzione della competenza al Consiglio Nazionale Forense, deve essere interpretato alla luce dei parametri e all’interno dei limiti stabiliti dalla legge 13 giugno 1942, n. 794 che esclu¬dono il riconoscimento dei diritti di procuratore per qualsiasi giudizio di cassazione compreso il regolamento di competenza, nonostante l’istanza possa essere proposta anche da un avvocato non iscritto nell’albo speciale dei cassazionisti.
Cass. civ. Sez. VI, 5 ottobre 2011, n. 20352 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La controversia relativa alla modifica delle condizioni della separazione (e del divorzio), nel cui giudizio sia chie¬sto l’affidamento esclusivo dei figli minori, appartiene all’esclusiva competenza del tribunale ordinario, anche quando la domanda, come nella specie, sia giustificata dall’esistenza di un grave pregiudizio per i figli minori, non essendo tale allegazione idonea a spostarne la competenza presso il tribunale dei minorenni.
Cass. civ. Sez. VI, 16 settembre 2011, n. 19017 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Qualora non ricorra il requisito della volontarietà dello spostamento della dimora abituale o del domicilio del soggetto destinatario dell’amministrazione di sostegno, la competenza a decidere della revoca e della nomina di un nuovo amministratore di sostegno, ai sensi dell’art. 404 cod. civ., spetta al giudice della circoscrizione nella quale l’amministrazione era stata aperta e la prima nomina effettuata, non rilevando il luogo ove il beneficiario sia stato di fatto trasferito. (Nella specie la S.C. ha rilevato che nessun mutamento di residenza o domicilio, effetto di volontaria scelta del sostenuto, poteva ritenersi sussistente a seguito dell’acclarata sottrazione dello stesso dall’istituto nel quale era ricoverato).
Cass. civ. Sez. VI, 4 agosto 2011, n. 16957 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai fini dell’individuazione del tribunale competente per territorio sulla domanda di separazione personale dei coniugi, tale luogo deve essere identificato con l’ultima residenza comune dei coniugi, non potendosi ricorrere al foro subordinato della residenza o del domicilio della parte convenuta, sulla base di una applicazione estensiva della sentenza 23 maggio 2008, n.169 della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.4, primo comma, della legge 1 dicembre 1970, n.898 – nel testo sostituito dall’art.2, comma 3-bis, d.l. 14 marzo 2005, n.35, convertito con emendamenti, in legge 14 maggio 2005, n.80 – limitatamente alle parole “del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero in mancanza”, per manifesta irragionevolezza, data la normale cessazione della convivenza, secondo l’”id quod plerumque accidit”; non è invero ammissibile esten¬dere ad altre norme una pronunzia di illegittimità costituzionale riferita ad una specifica disposizione, essendo semmai necessario sollevare questione di costituzionalità dell’art.706 cod.proc.civ., nella parte in cui impone come criterio principale di collegamento l’ultima residenza comune dei coniugi e, solo nell’ipotesi in cui mai vi sia stata convivenza, il foro subordinato della residenza o del domicilio della parte convenuta; nè peraltro sembra sussistere il predetto dubbio di legittimità, stante la diversità di situazioni, dei coniugi in procinto di separarsi, rispetto a coniugi già separati da tempo e parti nel giudizio di cessazione degli effetti civili nel matrimonio.
Cass. civ. Sez. Unite, 2 agosto 2011, n. 16864 (Famiglia e Diritto, 2012, 1, 29, nota di LIUZZI)
In tema di giurisdizione sui provvedimenti “de potestate”, l’art. 1 della Convenzione dell’Aja dà rilievo unica¬mente al criterio della residenza abituale del minore, quale determinata in base alla situazione di fatto esistente all’atto dell’introduzione del giudizio, non consentendo, quindi il mutamento della competenza, in ossequio al diverso principio di “prossimità”, poiché questo è evocabile solo in tema di competenza interna; pertanto, in caso di trasferimento di un minore (nella specie dalla Svizzera all’Italia) permane la giurisdizione del giudice di residenza abituale, ancorché l’autorità giudiziaria adita a seguito del trasferimento abbia emesso provvedimenti interinali per ragioni d’urgenza.
Trib. Nocera Inferiore Sez. II, 21 luglio 2011 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La competenza per territorio nelle cause ereditarie va stabilita ex art. 22 c.p.c. e art. 455 c.p.c. con riferi¬mento al luogo di apertura della successione, che coincide con quello in cui il “de cuius” aveva al momento della morte l’ultimo domicilio, intendendosi con tale locuzione la relazione tra la persona ed il luogo che essa ha scelto come centro dei propri affari ed interessi, indipendentemente dalla dimora o dalla presenza effettiva del de cuius in detto luogo.
Trib. Bologna Sez. I, 18 luglio 2011 (Fam. Pers. Succ., 2012, 2, 150)
La residenza comune della famiglia, idonea a radicare la competenza territoriale nel giudizio di separazione (art. 706, co. 1, c.p.c.), va individuata nel luogo in cui i coniugi, residenti in regioni diverse per motivi di lavoro, di comune accordo e in previsione della nascita del figlio hanno allestito un’abitazione destinata alla madre e al bambino e in cui il marito si è recato a visitare moglie e figlio, trattandosi del luogo in cui, sia pure per pochi mesi, si è realizzato il progetto di vita familiare.
Cass. civ. Sez. III, 7 luglio 2011, n. 15061 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il d.m. di approvazione della tariffa forense, avendo natura di fonte regolamentare, così come desumibile dalla legge n. 1051 del 1957 di attribuzione della relativa competenza al Consiglio Nazionale Forense, deve essere interpretato alla luce dei parametri e all’interno dei limiti stabiliti dalla legge n. 794 del 1942 che escludono il riconoscimento dei diritti di procuratore per qualsiasi giudizio di Cassazione compreso il regolamento di com¬petenza, nonostante l’istanza possa essere proposta anche da un avvocato non iscritto nell’albo speciale dei cassazionisti.Cass. civ. Sez. VI, 16 giugno 2011, n. 13202
La formulazione dell’eccezione d’incompetenza territoriale derogabile, ai fini della sua ammissibilità, deve esse¬re svolta, con l’indicazione di tutti i fori concorrenti, ovvero per le persone fisiche, con riferimento, oltre ai fori speciali ai sensi dell’art. 20 cod. proc. civ., anche a quelli generali, stabiliti nell’art. 18 cod. proc. civ. e, per le persone giuridiche, con riferimento ai criteri di collegamento indicati nell’art. 19, primo comma, cod. proc. civ. L’incompletezza della formulazione dell’eccezione è controllabile anche d’ufficio dalla corte di Cassazione in sede di regolamento di competenza.
Cass. civ. Sez. I, 27 aprile 2011, n. 9373 (Famiglia e Diritto, 2011, 10, 877, nota di TOMMASEO)
L’art. 23 della legge n. 74/1987 estende ai giudizi di separazione personale, in quanto compatibili, le norme dell’art. 4 della legge sul divorzio che regolano i relativi giudizi: rimangono pertanto estranei dall’àmbito di appli¬cazione dell’art. 23 la disciplina dei procedimenti di revisione sia del regime del divorzio sia delle condizioni della separazione, sicché è da ritenersi che i decreti camerali pronunciati nei giudizi di revisione non siano immediata¬mente esecutivi poiché acquistano efficacia secondo le speciali regole di cui all’art. 741 c.p.c.
Cass. civ. Sez. I, 24 marzo 2011, n. 6841 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di affidamento di minori e di provvedimenti di decadenza dalla potestà genitoriale, dovendo il discrimine tra la competenza del tribunale ordinario e quella del tribunale per i minorenni essere individuato in riferimento al “petitum” ed alla “causa petendi”, rientrano nella competenza del tribunale per i minorenni, ai sensi del combi¬nato disposto degli art. 330 cod. civ. e 38 disp. att. cod. civ., le domande finalizzate ad ottenere i provvedimenti di decadenza dalla potestà genitoriale, mentre rientrano nella competenza del tribunale ordinario, in sede di separazione personale dei coniugi, le pronunzie di affidamento dei minori che mirino solo ad individuare quale dei due genitori sia più idoneo a prendersi cura del figlio, senza che in relazione a tale ripartizione abbia rilevanza il nuovo disposto dell’art. 155 cod. civ. sull’affido condiviso, in quanto l’affidamento della prole di minore età, in ordine al quale è competente il tribunale ordinario quale giudice della separazione sulla base di detto articolo, non incide sulla spettanza della potestà ad entrambi i genitori, ma, secondo l’espressa disposizione di cui all’art. 317, comma 2, cod. civ. interferisce soltanto sulle modalità di esercizio della potestà medesima.
App. Napoli, 10 marzo 2010 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel giudizio di separazione tra i coniugi non possono essere proposte né la domanda di divisione né quella di ac¬certamento di proprietà comune, trattandosi di domande che non hanno alcuna connessione tra loro e che sono soggette a rito differente. Ne consegue l’inammissibilità delle predette domande per diversità del rito da quello esperito per la separazione coniugale.
Trib. Cassino, 19 aprile 2010 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La trattazione congiunta di cause soggette a riti differenti può attuarsi, soltanto se tra tali cause sussista un vincolo di connessione, ai sensi degli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c. Ne consegue che non è possibile il cumulo in un unico processo della domanda di separazione, soggetta al rito camerale, e di quelle di accertamento della comproprietà della casa coniugale e di divisione della casa coniugale, soggette a rito ordinario, trattandosi di domande non legate da vincoli di connessione, ma autonome e distinte l’una dall’altra.
Cass. civ. Sez. Unite, 17 febbraio 2010, n. 3680 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il giudizio di separazione personale tra coniugi, cittadini di due diversi Stati membri dell’Unione Europea, può es¬sere validamente instaurato nella residenza abituale della parte attrice, così come previsto nell’art. 3, n. 1, lett. a), del Regolamento CE n. 2201 del 2003, anche se la domanda non sia proposta congiuntamente da entrambi i coniugi, in quanto tale criterio di collegamento è previsto in via alternativa sia in caso di domanda congiunta sia in caso di domanda proposta da una sola parte, in presenza (come nella specie) di una durata almeno annuale della residenza abituale dell’attore prima della proposizione della domanda. (Regola giurisdizione)
Trib. Salerno Sez. II, 11 febbraio 2010 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La causa avente ad oggetto la domanda di riduzione per lesione di legittima rientra tra quelle ereditarie giacché, in tema di competenza territoriale, per cause tra coeredi, che l’art. 22, co. l n. l, c.p.c. devolve al giudice del luo¬go in cui si è aperta la successione, debbono intendersi non soltanto le controversie che riguardino diritti caduti in successione, ma ogni causa avente un oggetto attinente alla qualità di erede, per la quale la legittimazione attiva o passiva delle parti discenda necessariamente da tale condizione.
Trib. Minorenni Brescia, 9 febbraio 2010 (Famiglia e Diritto, 2010, 7, 719, nota di SPACCAPELO)
La tutela della prole rispetto a condotte pregiudizievoli dei genitori non costituisce ragione esclusiva per la necessaria applicabilità del disposto di cui all’art. 333 c.c. e ss. e, conseguentemente, per la sussistenza della competenza del tribunale dei minori; infatti, l’obiettivo di realizzare l’interesse materiale e morale della prole ha valenza prioritaria in tutti gli interventi che il giudice è chiamato nelle diverse sedi a disporre, interventi che ben possono, se necessario, incidere anche sulle modalità dell’esercizio della potestà parentale (nel caso di specie gli atti venivano trasmessi d’ufficio dal tribunale ordinario, ritenutosi incompetente in relazione alla modifica delle condizioni previste in sede di separazione riguardanti il minore, al tribunale dei minorenni, il quale, reputatosi a sua volta incompetente, sollevava conflitto di competenza e chiedeva il relativo regolamento d’ufficio, asserendo che quest’ultimo può essere proposto anche quanto il provvedimento con cui è stata declinata la competenza non è seguito da riassunzione ai sensi ell’art. 50 c.p.c.
Trib. Trieste, 26 gennaio 2010 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La domanda di modificazione dell’assegno alimentare o di mantenimento, che venga proposta, ai sensi degli artt. 710 e 711 cod. proc. civ. da uno dei coniugi separati in base a sentenza o verbale di separazione consensuale omologato, è soggetta ai normali criteri di competenza per valore e per territorio e, quindi, con riguardo alla competenza per territorio, anche al foro concorrente del luogo dell’esecuzione dell’obbligazione, da identificarsi con il domicilio dell’avente diritto.
Trib. Rimini, 25 gennaio 2010 (Fam. Pers. Succ., 2010, 4, 311)
In caso di trasferimento della residenza del minore attuato da uno solo dei genitori coaffidatari nonostante il dissenso, espresso o tacito, dell’altro, ai sensi del combinato disposto degli artt. 710 e 709-ter, co. 1, c.p.c., la competenza territoriale inderogabile spetta al tribunale del luogo della pregressa residenza abituale del minore (ossia a quello che avrebbe dovuto risolvere in via preventiva il conflitto), qualora il ricorso per la modifica delle condizioni di separazione sia presentato entro un arco temporale variabile ma orientativamente compreso tra un minimo di tre mesi ed un massimo di un anno, considerati i criteri di cui agli artt. 9 e 10,Regolamento n. 2201/2003/CE (nel caso di specie, il tribunale, sul ricorso della madre, ha dichiarato la propria incompetenza territoriale nonché la litispendenza, in relazione al giudizio già promosso dal padre davanti al tribunale di Bologna subito dopo il mutamento di residenza attuato in via di fatto dall’altro genitore).
Trib. Napoli, 29 ottobre 2009 (Corriere del Merito, 2009, 12, 1187)
Nei giudizi di separazione giudiziale dei coniugi deve escludersi la competenza per territorio del Tribunale ove i coniugi hanno avuto l’ultima residenza comune, qualora- al momento della proposizione della domanda – non convivono già più, e risiedono nei circondari di diversi tribunali, trovando in tal caso applicazione la generale prescrizione della competenza dell’ufficio giudiziario del luogo di residenza del convenuto (nella specie questi risiedeva ormai in Comune nel circondario del Tribunale di Torre Annunziata).
Cass. civ. Sez. Unite, 21 ottobre 2009, n. 22238 (Foro It., 2010, 3, 1, 903)
È ammissibile il ricorso per cassazione avverso il decreto emesso dalla corte d’appello sui reclami contro i provvedimenti del tribunale sulle istanze di modifica di disposizioni accessorie della separazione.
In tema di riparto di giurisdizione tra autorità di stati diversi in ambito Ue, le controversie in materia di affida¬mento e di determinazione delle modalità di visita sono devolute al giudice del luogo di residenza abituale del minore e, in caso di lecito trasferimento del minore e per un periodo di tre mesi dal momento in cui quest’ultimo è avvenuto, al giudice del luogo nel quale il minore aveva la residenza abituale prima del trasferimento stesso.
Trib. Roma Sez. I, 15 settembre 2009 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nell’ambito di un giudizio di separazione giudiziale, la domanda di divisione della casa è inammissibile non es¬sendo configurabile tra tale domanda e quella di cessazione degli effetti civili del matrimonio alcuna forma di connessione, essendo le rispettive causae petendi del tutto diverse, autonome e distinte, così come parimenti diverso ne è l’oggetto.
Trib. Bari Sez. II, 6 maggio 2009 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La determinazione della competenza per territorio nelle cause ereditarie va stabilita (artt. 22 c.p.c. e art. 456 c.c.) con riferimento al luogo in cui il de cuius aveva al momento della morte l’ultimo domicilio, intendendosi con tate locuzione il luogo ove la persona, alla cui volontà occorre avere principalmente riguardo, concentra la generalità dei suoi interessi sia materiali ed economici, sia morali, sociali e familiari. Dunque in tema di eccezione di incompetenza per territorio, il principio della necessità di contestazione di tutti i fori alternativamente concor¬renti non opera in presenza di un foro esclusivo, quale è quello stabilito dall’art. 22 c.p.c. per le cause ereditarie.
Trib. Napoli, 23 febbraio 2009 (Famiglia e Diritto, 2009, 6, 642)
Posto che per i procedimenti di cui all’art. 710 c.p.c. è competente il Tribunale del luogo di residenza dei minori, quest’ultimo non va inteso in senso meramente anagrafico, quanto, piuttosto come il luogo ove concretamente e stabilmente si svolge la vita del minore (nella specie il Tribunale ha dichiarato la propria incompetenza, in quanto al momento della proposizione della domanda di modifica dell’affidamento di un minore proposta dal padre, la madre si era già trasferita per lavoro a Roma, con il minore, che ivi aveva iscritto a scuola, con ciò dovendosi ritenere provato il carattere non provvisorio del trasferimento).
Cass. civ. Sez. I, 8 gennaio 2009, n. 135 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Poiché, a norma dell’art. 47, secondo comma, cod. proc. civ. il ricorso per regolamento di competenza deve essere proposto entro trenta giorni dalla comunicazione della sentenza che abbia deciso sulla competenza, qua¬lora dagli atti non risulti che tale comunicazione sia avvenuta, il predetto termine per impugnare decorre dalla notificazione della sentenza. (Fattispecie relativa ad un ricorso per cassazione di cui si era postulata, in astratto, la convertibilità in regolamento di competenza, di cui però non possedeva i necessari requisiti).
Cass. civ. Sez. III, 18 dicembre 2008, n. 29577 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il d.m. di approvazione della tariffa forense, avendo natura di fonte regolamentare così come desumibile dalla legge di attribuzione della competenza al Consiglio Nazionale Forense, n. 1051 del 1957, deve essere interpre¬tata alla luce dei parametri e all’interno dei limiti stabiliti dalla legge n. 794 del 1942 che escludono il ricono¬scimento dei diritti di procuratore per qualsiasi giudizio di Cassazione compreso il regolamento di competenza, nonostante l’istanza possa essere proposta anche da un avvocato non iscritto nell’albo speciale dei cassazionisti.
Cass. civ. Sez. Unite, 9 dicembre 2008, n. 28875 (Famiglia e Diritto, 2009, 7, 701, nota di SALVANESCHI)
In tema di competenza territoriale nei procedimenti di affidamento eterofamiliare di minori, qualora il provvedi¬mento iniziale di affidamento, di regola soggetto a durata non superiore ai ventiquattro mesi, necessiti di essere seguito da un’ulteriore proroga o, viceversa, da una cessazione anticipata, queste ultime vicende integrano provvedimenti camerali nuovi, per i quali il principio della “perpetuatio” deve essere temperato con quello di prossimità, sicché il giudice competente per territorio deve essere individuato nel tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore legittimamente si trova, in tal modo dando rilievo ad eventuali sopravvenuti cambiamenti di residenza (nella specie, le S.U. hanno dichiarato la competenza del tribunale per i minorenni del distretto ove risiedeva la famiglia cui il minore era stato affidato con provvedimento di un altro tribunale per i minorenni, nel cui distretto originariamente il minore risiedeva con la propria madre).
App. Potenza, 11 novembre 2008 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In ragione dell’avvenuta soppressione dell’ufficio del pretore, con la conseguente abrogazione dell’art. 8 c.p.c. ad opera dell’art. 49 del D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, e l’istituzione del giudice unico di primo grado, la ripartizio¬ne degli affari tra il Giudice del Lavoro ed altro Giudice del medesimo Tribunale non configura più una questione di competenza per materia, bensì di ripartizione di affari all’interno dello stesso ufficio, rilevante sotto il profilo squisitamente tabellare. L’adozione del rito delle controversie di lavoro, in luogo di quello ordinario, non pone un problema di competenza, ma solo di, eventuale, violazione di altre norme processuali che abbia inciso sul con¬traddittorio o sull’esercizio del diritto di difesa o cagionato, in generale, un qualsivoglia altro specifico pregiudizio processuale alla parte, violazione, nel caso in questione, non denunciata.
Trib. Cassino, 21 ottobre 2008 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La trattazione congiunta di cause soggette a riti differenti può attuarsi, secondo le regole di cui all’ art. 40 c.p.c. nel testo modificato dalla legge n. 353 del 1990 soltanto se tali cause siano connesse ai sensi degli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c. Ciò posto, non è possibile il cumulo in un unico processo della domanda di divorzio, soggetta al rito camerale, e di quella di divisione dei beni comuni, soggetta a rito ordinario, trattandosi di domande non lega¬te da vincoli di connessione, ma autonome e distinte l’una dall’altra. Nel caso in oggetto, pertanto, pronunciatasi la separazione personale tra i coniugi, non può darsi seguito alla domanda di scioglimento della comunione legale dei beni comuni proposta dal ricorrente, in quanto domanda in questa sede inammissibile.
Cass. civ. Sez. I, 10 ottobre 2008, n. 24907 (Foro It., 2009, 3, 1, 836)
In sede di separazione dei coniugi, il tribunale ordinario – qualora sia accertata l’inidoneità di entrambi i genitori – può affidare i figli minori, nell’interesse degli stessi, ai servizi sociali territorialmente competenti (nella specie, i minori sono stati collocati presso l’abitazione coniugale assegnata alla moglie).
Cass. civ. Sez. I, 5 settembre 2008, n. 22394 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai giudizi di modifica delle condizioni economiche stabilite nella separazione, si applicano gli ordinari criteri di competenza e, quindi, oltre al foro generale delle persone fisiche, è competente anche il foro concorrente relativo alle obbligazioni; pertanto, sussiste la competenza del tribunale che ha pronunziato o ha omologato la separa¬zione, nel cui circondario sono sorte le obbligazioni di cui si tratta.
Trib. Cassino, 24 lugllio 2008 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In materia di connessione, posto che secondo le regole dettate dall’art. 40 c.p.c. – come modificato dalla legge n. 353/1990 – la trattazione congiunte di cause soggette a riti diversi è ammissibile solo in presenza di ipotesi qualificate di connessione e dunque solo se tali cause siano connesse ai sensi degli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c., ne deriva che non è possibile procedere alla trattazione congiunta della domanda di divorzio, soggetta al rito camerale, e della domanda di divisione dei beni comuni, soggetta a rito ordinario, in quanto trattasi di domande non connesse, bensì distinte ed autonome l’una dall’altra.
Trib. Napoli, 4 giugno 2008 (Corriere del Merito, 2008, 8-9, 898)
In tema di separazione giudiziale dei coniugi, la competenza per territorio è determinata dal luogo ove i coniugi avevano l’ultima residenza comune, da intendersi non come residenza meramente anagrafica, ma effettiva, come luogo (la casa coniugale) ove i coniugi hanno effettivamente vissuto.
Corte cost. 23 maggio 2008, n. 169 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È costituzionalmente illegittimo l’art. 4, comma 1, della legge n. 898 del 1970, nel testo sostituito dall’art. 2, comma 3-bis, del D.L. n. 35 del 2005, inserito dalla legge di conversione, L. n. 80 del 2005, limitatamente alle parole “del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza”. La previsione, tra i criteri di competenza per territorio applicabili ai procedimenti concernenti lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, di quello del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi, è manifestamente irragionevole ove si consideri che negli indicati procedimenti, nella maggioranza delle ipotesi, la residenza comune è cessata, quanto meno dal momento in cui i coniugi, in occasione della domanda di separazione – giudiziale consensua¬le – sono stati autorizzati a vivere separatamente, sicché non è ravvisabile alcun collegamento fra i coniugi e il tribunale individuato dalla norma.
Cass. civ. Sez. Unite , 12 maggio 2008, n. 11657 (Corriere Giur., 2008, 9, 1218, nota di GRECO DE PASCALIS)
In applicazione degli artt. 38, secondo comma, 166, 171, secondo comma e 167, secondo comma, cod.proc. civ. (quest’ultimo nel testo vigente a decorrere dal 22 giugno 1995 e fino all’entrata in vigore, in data 1 mar¬zo 2006, delle modifiche introdotte con il decreto legge n. 35 del 14 marzo 2005, conv. con mod. nella legge 14 maggio 2005, n. 80), l’eccezione di incompetenza per territorio derogabile è formulata tempestivamente nella comparsa di costituzione, anche se essa è depositata con la costituzione del convenuto “fino alla prima udienza”, mentre, successivamente alla entrata in vigore del decreto legge n. 35 del 2005, l’eccezione è tem¬pestivamente proposta soltanto se contenuta nella comparsa di risposta depositata almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione.
Trib. Trento, 18 aprile 2008 (Fam. Pers. Succ., 2008, 6, 556)
Il luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi, costituente il foro principale nelle cause di separazione exart. 706 c.p.c., si individua in base alle risultanze anagrafiche che però assumono un valore meramente presuntivo e possono essere superate da elementi effettivi comprovanti in modo univoco una diversa collocazione del centro vitale del nucleo familiare (nella specie, l’eccezione di incompetenza territoriale è stata respinta: ad avviso del Tribunale è mancata la prova che il ricorrente, padre di un figlio minorenne, avesse seguito il resto della famiglia trasferitosi in altra regione anni prima della proposizione della domanda).
Cass. civ. Sez. I, 5 febbraio 2008, n. 2756 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il decreto emesso dalla Corte d’appello, in sede di reclamo, avverso il decreto del tribunale per i minorenni che ha disposto l’affido di un figlio minore ai servizi sociali, non è impugnabile col ricorso ordinario per cassazione ai sensi dell’art. 739 cod. proc. civ. e, non essendo stato adottato per decidere un contrasto tra contrapposti diritti soggettivi, bensì allo scopo esclusivo di tutelare l’interesse del minore, neppure col ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 Cost. in quanto privo dei caratteri di decisorietà e definitività; né assume alcun rilievo il fatto che col ricorso sia stata denunciata anche la violazione di una norma sulla competenza, poiché la pronuncia sull’osservanza delle norme processuali ha necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato.
Trib. Bologna, 25 ottobre 2007 (Fam. Pers. Succ., 2008, 2, 172)
Va respinta l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata nel giudizio di separazione personale dei coniugi quando la nuova disciplina processuale vigente al tempo della decisione radichi la competenza del giudice adito (nella specie, la domanda di separazione era stata proposta non al tribunale del luogo in cui il coniuge convenuto ha la residenza o il domicilio, ma a quello del luogo dell’ultimaresidenza comune dei coniugi: la competenza è stata affermata in base al novellato art. 706, co. 1, c.p.c., pur trattandosi di causa già pendente alla data del 1.3.2006).
Cass. civ. Sez. III, 6 settembre 2007, n. 18795 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 47, comma quarto, cod. proc. civ. dispone che il regolamento di competenza d’ufficio sia richiesto con ordinanza, senza dettare alcuna precisazione sui requisiti di contenuto che tale provvedimento deve avere. Ne discende che tali requisiti vanno mutuati dall’art. 134 cod. proc. civ. e, pertanto, ai sensi del primo inciso di tale norma, è da ritenere che l’ordinanza debba essere motivata. In mancanza della motivazione, che – giusta la previsione dell’art. 45 cod. proc. civ., che indica come presupposto dell’elevazione del conflitto che il giudice della riassunzione ritenga a sua volta di essere incompetente, comporta l’indicazione delle ragioni di dissenso dall’altro giudice – l’ordinanza deve reputarsi inidonea ad assolvere allo scopo cui è diretta, cioè quello di inve¬stire la Corte di Cassazione delle ragioni giustificative dell’elevato conflitto. In analogia con quanto l’ordinamento prevede rispetto al ricorso per cassazione ( art. 366 cod. proc. civ.) e, di riflesso, con gli opportuni adattamenti, anche rispetto al regolamento di competenza su istanza di parte, la mancanza dei requisiti di contenuto ridonda in ragione di inammissibilità dell’istanza, dovendosi escludere che, per la forza di tale analogia, sia possibile disporre una rinnovazione dell’istanza ai sensi dell’art. 162, primo comma, cod. proc. civ.
Trib. Modena, 15 maggio 2007 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel giudizio di divorzio, la domanda riconvenzionale con cui il coniuge convenuto chieda l’accertamento della esistenza della azienda o dell’impresa coniugale (con conseguente divisione della comunione o rimessione della causa al giudice del lavoro), determina un insieme di causae petendi autonome, eterogenee e configgenti con il rito speciale e ad oggetto vincolato instaurato, dando luogo ad un cumulo di domande che, prescindendo da qualunque forma di connessione qualificata – e rappresentandone invece una di natura esclusivamente sogget¬tiva e semplice -, non può che condurre alla reiezione, in forma di pronunzia di improponibilità, della domanda riconvenzionale stessa.
Cass. civ. Sez. I, 3 aprile 2007, n. 8362 (Famiglia e Diritto, 2007, 5, 446, nota di TOMMASEO)
La legge n. 54 del 2006 in materia di separazione dei genitori e affido condiviso della prole, applicabile anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, ha riplasmato l’art. 317-bis c.c., il quale, innovato nel suo contenuto precettivo, continua tuttavia a rappresentare lo statuto normativo della potestà del genitore naturale e dell’affidamento del figlio nella crisi dell’unione di fatto, sicché la competenza ad adottare i provvedimenti nell’interesse del figlio naturale spetta al tribunale per i minorenni, in forza dell’art. 38, comma 1, disp. att. c.c. La contestualità delle misure relative all’esercizio della potestà e all’affido del figlio, da un lato, e di quelle economiche inerenti al loro mantenimento, dall’altro, prefigurata dai novellati artt. 155 c.c. e ss., ha peraltro determinato un’attrazione, in capo allo stesso giudice specializzato, della competenza a provvedere, altresì, sulla misura e sul modo con cui ciascuno dei genitori naturali deve contribuire al mantenimento del figlio.
Cass. civ. Sez. I, 12 ottobre 2006, n. 21916 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In base al combinato disposto degli artt. 31 disp. att. cod. civ. e 44 cod. civ., ai fini dell’opponibilità ai terzi di buona fede del trasferimento di residenza di una persona fisica è necessaria la denuncia di quest’ultima sia al comune di provenienza che a quello di arrivo, ma non è prescritto che tale doppia dichiarazione debba essere effettuata con distinti atti, poiché, al contrario, gli artt. 13, comma 2, e 18, comma 1, d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 (recante approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente) – con i quali le predet¬te norme codicistiche devono essere coordinate – stabiliscono che siffatte dichiarazioni, da redigersi utilizzando un “modello conforme all’apposito esemplare predisposto dall’Istituto centrale di statistica”, devono essere tra¬smesse, entro venti giorni, dall’ufficiale di anagrafe che le ha ricevute “al comune di precedente iscrizione ana¬grafica per la corrispondente cancellazione”, restando così previsto che la doppia dichiarazione di trasferimento di residenza sia effettuata mediante un unico documento destinato sia al comune che si abbandona che a quello di nuova residenza, il quale è specificamente incaricato di trasmettere il documento stesso anche al comune della precedente residenza. (Nella fattispecie la S.C. ha quindi ritenuto, ai fini della competenza territoriale in causa di separazione tra coniugi, opponibile all’attore il cambio di residenza del convenuto eseguito in base a rituale dichiarazione consegnata al solo comune di nuova residenza)
Cass. civ. Sez. I, 22 agosto 2006, n. 18240 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La competenza in ordine alla controversia avente ad oggetto l’adempimento delle obbligazioni assunte dal co¬niuge in sede di separazione consensuale circa il pagamento delle spese straordinarie relative ai figli sostenute dal coniuge affidatario, va determinata in ragione del valore della causa secondo i criteri ordinari, trattandosi di controversia diversa da quella concernente la modifica delle condizioni della separazione, rientrante nella com-petenza funzionale del tribunale.
Cass. civ. Sez. I., 28 luglio 2006, n. 17234 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il provvedimento adottato, in esito a procedimento camerale, ai sensi dell’art. 739 cod. proc. civ. dal Tribunale, a seguito di reclamo, in materia di richiesta di compenso e di rimborso spese avanzata da un tutore, ha natura decisoria, in quanto, riguardando pretesi crediti discendenti dalla funzione tutoria, statuisce su diritti soggettivi, ed ha attitudine ad acquistare autorità di cosa giudicata nel rapporto tra l’interdetto e il tutore. Ne consegue che nei confronti di detto provvedimento è ammissibile il regolamento di competenza.
Cass. civ. Sez. III, 21 luglio 2006, n. 16752 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Anche al regolamento di competenza è applicabile il principio della cosiddetta “autosufficienza” del ricorso per cassazione, avendo la parte istante l’onere di indicare, in tale sede, in modo adeguato e specifico le ra¬gioni del proprio dissenso rispetto alla decisione impugnata, non potendo invero limitarsi a fare riferimento alle stesse difese svolte in sede di merito, asseritamente non valutate o scorrettamente valutate dal giudice “a quo”, ma dovendo eventualmente trascrivere in ricorso il loro contenuto, allo scopo di porre la Corte di cassazione nelle condizioni di apprezzarne la rilevanza e pertinenza ai fini del decidere, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti estranee allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito.
Cass. civ. Sez. I, 28 giugno 2006, n. 15017 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Al fine della determinazione del tribunale competente per territorio sulla domanda di separazione personale dei coniugi alla stregua del criterio “del luogo di residenza del coniuge convenuto al momento della proposizione della domanda” (art. 8 della legge n. 74 del 1987, applicabile alle separazioni ex art. 23 della stessa legge, e già art. 706 cod. proc. civ.) – da ritenersi coincidente con il momento del deposito del ricorso – , tale luogo deve essere identificato, in via presuntiva, nella casa coniugale. La presunzione può essere vinta dal convenuto mediante la prova, a suo carico, dell’avvenuto trasferimento in altro luogo della residenza effettiva e della co¬noscibilità legale di tale trasferimento dalla parte attrice in forza delle risultanze anagrafiche, ovvero della sua conoscenza di fatto.
App. Napoli Sez. II, 23 maggio 2006 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La competenza della Corte di Appello a pronunciare sulla domanda di delibazione della sentenza del Tribunale Ecclesiastico dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario, si determina con riferimento alla circoscri¬zione del Tribunale cui appartiene il Comune presso il quale fu trascritto l’atto di matrimonio che si identifica, ai sensi dell’art. 8 della L. n. 121/1985 nel Comune in cui il matrimonio stesso fu celebrato.
Trib. Minorenni Milano, 12 maggio 2006 (Fam. Pers. Succ., 2006, 10, 847)
Dopo la riforma del c.d. affidamento condiviso (legge 8 febbraio 2006, n. 54), la competenza sui procedimenti relativi a figli di genitori non coniugati, promossi su istanza di uno dei genitori non più conviventi ed aventi ad oggetto la regolamentazione giudiziaria dell’esercizio della potestà in tutti i suoi aspetti (personali ed economici), appartiene integralmente al Tribunale ordinario che procede nelle forme di cui agli artt. 706 c.p.c. e ss.
Trib. Firenze, 3 maggio 2006 (Famiglia e Diritto, 2006, 6, 646, nota di DORONZO)
La domanda di revisione dell’assegno di divorzio per l’ex coniuge può essere proposta al giudice del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio, oppure al giudice del luogo in cui deve essere eseguita l’obbligazione, ma non anche al giudice del foro in cui l’obbligazione è sorta (nella specie, è stata dichiarata l’incompetenza per territorio del Tribunale di Firenze, adito quale giudice del luogo in cui, essendo stata emessa la sentenza di divorzio, era sorto l’obbligo di somministrazione periodica dell’assegno divorzile).
App. Genova Sez. III, 14 marzo 2006 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La competenza della Corte d’Appello si determina con riferimento alla circoscrizione del Tribunale cui appartiene il Comune presso il quale fu trascritto l’atto di matrimonio ex art. 17 della L. 27 maggio 1929, n. 847, che si identifica, ai sensi dell’art. 8, n. 1, della L. 25 marzo 1985, n. 121, nel Comune in cui il matrimonio stesso è stato celebrato.
Trib. Genova Sez. IV, 28 febbraio 2006 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel giudizio per la separazione personale dei coniugi, deve dichiararsi inammissibile la domanda di divisione della casa ex-coniugale, non essendovi connessione per l’oggetto o per il titolo con il detto giudizio di separazione dei coniugi.
App. Napoli Sez. I, 7 febbraio 2006 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La competenza della Corte di Appello a pronunciare sulla domanda di delibazione della sentenza del Tribunale Ecclesiastico dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario, si determina con riferimento alla circoscri¬zione del Tribunale cui appartiene il Comune presso il quale fu trascritto l’atto di matrimonio che si identifica, ai sensi dell’art. 8 della L. n. 121/1985 nel Comune in cui il matrimonio stesso fu celebrato
Cass. civ. Sez. I, 31 gennaio 2006, n. 2171 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di controversie relative a minori, ai fini dell’individuazione del tribunale per i minorenni territorialmente competente in ordine ai provvedimenti diretti ad intervenire sulla potestà genitoriale e sulle modalità del suo esercizio secondo le previsioni degli artt. 330 e seguenti cod. civ., deve aversi riguardo alla residenza di fatto del minore e, quindi, al luogo di abituale dimora alla data della domanda o, in ipotesi di procedimento iniziato d’ufficio, alla data di inizio del procedimento stesso. a prescindere dagli eventuali trasferimenti di carattere con¬tingente e transitori.
App. Napoli Sez. I, 11 novembre 2005 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La competenza della Corte di Appello a pronunciare sulla domanda di delibazione della sentenza del Tribunale Ecclesiastico dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario, si determina con riferimento alla circoscri¬zione del Tribunale cui appartiene il Comune presso il quale fu trascritto l’atto di matrimonio che si identifica, ai sensi dell’art. 8 della L. n. 121/1985 nel Comune in cui il matrimonio stesso fu celebrato
Cass. civ. Sez. I, 11 febbraio 2005, n. 2877 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nei procedimenti che tendono all’ablazione o alla limitazione della potestà genitoriale, ai sensi degli artt. 330 e ss. cod. civ., siano essi promossi d’ufficio o ad istanza di parte, la mera trasmissione del fascicolo processuale da un Ufficio giudiziario ad un altro, con finalità dismissive della propria ed attributive ad altri della competenza giurisdizionale, legittima l’Ufficio che abbia ricevuto gli atti, e che si ritenga a sua volta incompetente, a solle¬vare conflitto di competenza ed a chiedere il relativo regolamento d’ufficio, quand’anche il provvedimento con cui sia stata declinata la competenza non sia seguito da riassunzione del processo, nei modi e nei tempi previsti dall’art. 50 cod. proc. civ.
Cass. civ. Sez. II, 8 febbraio 2005, n. 2557 (Guida al Diritto, 2005, 9, 81, nota di MATTIELLI)
L’azione di annullamento di un testamento pubblico rientra tra le cause ereditarie previste dall’art. 22 c.p.c. atte¬so che con tale impugnazione la parte intende far valere la validità di un testamento preesistente e, quindi, la sua qualità di erede. In senso contrario non vale osservare che l’azione diretta a conseguire la nullità del testamento può essere proposta da chiunque abbia un interesse meritevole di tutela e a prescindere dalla qualità di erede dell’attore, perchè, in tema di competenza territoriale, ai fini dell’applicabilità della disciplina dell’art. 22 c.p.c., che demanda alla competenza del giudice del luogo dell’apertura della successione qualunque altra causa tra i coeredi, fino alla divisione, deve intendersi per causa tra coeredi quella che, non solo si riferisca ai beni caduti in successione, ma comprenda, altresì, ogni controversia comunque attinente alla qualità di erede.
Cass. civ. Sez. II, 27 gennaio 2005, n. 1705 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai sensi dell’art. 40 c.p.c., terzo comma, le cause, che siano state cumulativamente proposte o vengano succes¬sivamente riunite, per le ragioni di connessione di cui agli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c. stesso debbono essere trattate e decise col rito ordinario, salva l’applicazione del rito speciale quando una di esse rientri tra quelle di cui agli artt. 409 e 442 c.p.c..
App. Roma, Sez. I, 26 gennaio 2005 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La competenza territoriale della Corte d’appello a pronunciare sulla domanda di delibazione della sentenza del tribunale ecclesiastico dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario si determina con riferimento alla circoscrizione del tribunale cui appartiene il comune presso il quale è stato trascritto l’atto di matrimonio. Si tratta di competenza per territorio inderogabile e come tale rilevabile d’ufficio.
Cass. civ. Sez. I, 19 gennaio 2005, n. 1084 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La trattazione congiunta di cause soggette a riti differenti può attuarsi, secondo le regole di cui all’art. 40 cod. proc. civ. nel testo modificato dalla legge n. 353 del 1990 soltanto se tali cause siano connesse ai sensi degli artt. 31, 32, 34, 35 e 36 cod. proc. civ. Pertanto, non è possibile il cumulo in un unico processo della domanda di separazione giudiziale di coniugi, soggetta al rito camerale, e di quella di accertamento della proprietà della casa coniugale, soggetta a rito ordinario, trattandosi di domande non legate da vincoli di connessione, ma autonome e distinte l’una dall’altra.
Cass. civ. Sez. I, 20 ottobre 2004, n. 20498 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La pronuncia sulla competenza contenuta in un provvedimento camerale privo di decisorietà e definitività non è impugnabile con il regolamento di competenza ad istanza di parte, atteso che la affermazione o la negazione della competenza è preliminare e strumentale alla decisione di merito e non ha una sua natura specifica, diversa da quest’ultima, tale da giustificare un diverso regime di impugnazione e da rendere ipotizzabile un interesse all’individuazione definitiva ed incontestabile del giudice chiamato ad emettere un provvedimento privo di deci¬sorietà e definitività. Ne consegue che, estendendosi una simile connotazione alla definizione di una questione pregiudiziale, priva di effetti vincolanti all’infuori del procedimento nel quale viene resa, non è impugnabile con il regolamento di competenza un siffatto decreto camerale neppure per la parte in cui abbia implicitamente af¬fermato la competenza stessa per territorio del giudice adito.
Cass. civ. Sez. I, 29 settembre 2004, n. 19595 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai fini dell’individuazione del tribunale competente per territorio sulla domanda di separazione personale dei co¬niugi alla stregua del criterio del luogo di residenza del convenuto al momento della proposizione della domanda (art. 706 cod. proc. civ.), tale luogo deve essere identificato con la casa familiare, la quale individua presunti¬vamente il luogo di dimora abituale della coppia, salvo che detta presunzione venga legittimamente superata fornendo la prova, il cui onere grava sul coniuge che contesti una simile circostanza, dello spostamento, da parte del medesimo convenuto, della propria abituale dimora di fatto in un altro luogo, nel qual caso la competenza territoriale spetta al giudice di quest’ultimo luogo. A tal riguardo, le risultanze anagrafiche rivestono mero valore presuntivo e possono essere superate, in quanto tali, da una prova contraria desumibile da qualsiasi fonte di convincimento affidata all’apprezzamento del giudice di merito, onde, allorchè si provi o risulti in concreto che il terzo di buona fede (che può anche essere il coniuge separato di fatto) fosse a conoscenza della mancata corri¬spondenza tra residenza anagrafica e residenza effettiva, non può operare, rispetto a detto terzo, la più rigorosa disciplina prevista dall’art. 44 cod. civ. in ordine all’opponibilità del trasferimento di residenza.
Cass. civ. Sez. I, 9 settembre 2004, n. 18199 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La procura conferita per un determinato grado del giudizio di merito, ove non escluda espressamente, o comun¬que in modo inequivocabile, la facoltà di proporre eventualmente istanza di regolamento di competenza, abilita il difensore alla proposizione di detta istanza, prevalendo, sulla presunzione di conferimento della procura per un determinato grado di giudizio, stabilita dall’ultimo comma dell’art. 83 cod. proc. civ. la norma speciale di cui all’art. 47, primo comma, dello stesso codice.
Cass. civ. Sez. I, 14 gennaio 2004, n. 336 (Foro It., 2004, 1, 1089)
Il soggetto che, al fine di ottenere la quota di pensione dell’ex coniuge deceduto, agisce nei confronti del coniuge superstite e dell’ente pensionistico, può avvalersi del foro del luogo in cui l’obbligazione deve essere adempiuta, ossia del luogo in cui l’ente erogatore ha la propria sede.
Cass. civ. Sez. Unite, 4 novembre 2003, n. 16568 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La pronuncia sulla competenza contenuta in un provvedimento camerale privo di decisorietà e definitività non è impugnabile con il regolamento di competenza ad istanza di parte, atteso che l’affermazione o la negazione della competenza stessa, preliminare e strumentale alla decisione di merito, non ha una sua natura specifica, diversa da quest’ultima, tale da giustificare un diverso regime di impugnazione e da rendere ipotizzabile un interesse all’individuazione definitiva ed incontestabile del giudice chiamato ad emettere un provvedimento privo di deci¬sorietà e definitività. (Nella specie era stato impugnato con regolamento di competenza il decreto con il quale l’adito tribunale per i minorenni aveva dichiarato la propria incompetenza per materia, indicando quale giudice competente il tribunale ordinario, su un’istanza dell’”ex” coniuge affidatario volta ad ottenere la sospensione del diritto dell’altro coniuge di incontrare e prendere con sè il figlio minorenne, secondo le modalità fissate nella sentenza di divorzio).
Cass. civ. Sez. Unite, 10 ottobre 2003, n. 14671 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La pronuncia sulla competenza contenuta in un provvedimento camerale privo di decisorietà e definitività non è impugnabile con il regolamento di competenza ad istanza di parte, atteso che l’affermazione o la negazione della competenza stessa, preliminare e strumentale alla decisione di merito, non ha una sua natura specifica, diversa da quest’ultima, tale da giustificare un diverso regime di impugnazione e da rendere ipotizzabile un in¬teresse all’individuazione definitiva ed incontestabile del giudice chiamato ad emettere un provvedimento privo di decisorietà e definitività.
Cass. civ. Sez. I, 18 settembre 2003, n. 13751 (Arch. Civ., 2004, 961)
Le sezioni distaccate di tribunale costituiscono articolazioni interne del medesimo ufficio giudiziario di tribunale e, in quanto tali, prive di rilevanza esterna, con la conseguenza che i rapporti tra sede principale e sezione di¬staccata non possono mai dare luogo a questioni di competenza.
Cass. civ. Sez. I, 11 marzo 2003, n. 3587 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il principio della “perpetuatio iurisdictionis” – in forza del quale la competenza territoriale del giudice adito rima¬ne ferma, nonostante lo spostamento in corso di causa della residenza anagrafica o del domicilio del minore, a seguito del trasferimento del genitore con il quale egli convive – è applicabile anche ai procedimenti di decadenza dalla potestà genitoriale, e prevale su quello cosiddetto “della prossimità” – secondo il quale è giudice territorial¬mente competente quello del luogo in cui il minore abitualmente vive o si trova di fatto (art. 8 della legge n. 149 del 2001) -, per ineliminabili esigenze di certezza e di garanzia di effettività della tutela giurisdizionale, tutte le volte in cui il provvedimento in relazione al quale deve individuarsi il giudice competente sia quello stesso richie¬sto con l’istanza introduttiva o con altra che si inserisca incidentalmente nella medesima procedura (applicando¬si, per converso, il criterio della prossimità quante volte sia richiesto, dopo l’avvenuto trasferimento di residenza, un provvedimento nuovo ed autonomo rispetto a quello pronunziato dal giudice originariamente competente).
Cass. civ. Sez. I, 23 gennaio 2003, n. 1058 (Famiglia e Diritto, 2003, 3, 273)
In tema di controversie relative a minori, ai fini dell’individuazione del tribunale per i minorenni territorialmente competente in ordine ai provvedimenti diretti ad intervenire sulla potestà genitoriale e sulle modalità del suo esercizio secondo le previsioni degli artt. 330 c.c. e segg., deve aversi riguardo alla residenza di fatto del minore e, quindi, al luogo di abituale dimora alla data della domanda o, in ipotesi di procedimento iniziato d’ufficio, alla data di inizio del procedimento stesso.
Cass. civ. Sez. I, 18 gennaio 2003, n. 586 (Famiglia e Diritto, 2004, 35, nota di LIUZZI)
Il decreto con cui il tribunale dichiara la propria incompetenza territoriale sulla domanda di modifica della con¬dizioni della separazione personale dei coniugi con riguardo alle modalità di affidamento del figlio minore, non è impugnabile con il regolamento di competenza (come non è impugnabile con il ricorso straordinario per cassazio¬ne ex art. 111 cost0.), non avendo – al pari del provvedimento di merito da adottarsi su tale domanda – carattere decisorio, neanche in ordine alla negazione della competenza, atteso che la negazione o l’affermazione di questa (come pure della giurisdizione) è preliminare, e strumentale alla decisione di merito e non ha una sua natura specifica, diversa da quest’ultima, tale da giustificare un diverso regime di impugnazione, né «fa giudicato» sulla competenza se non all’interno di quello specifico procedimento che termina con il decreto camerale.
Cass. civ. Sez. Unite, 19 febbraio 2002, n. 2415 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’irrilevanza, ai fini della giurisdizione, dei mutamenti legislativi successivi alla proposizione della domanda, san¬cita dall’art. 5 c.p.c., opera nel caso in cui il sopravvenuto mutamento dello stato di diritto privi il giudice della giurisdizione che egli aveva quando la domanda è stata introdotta, non già nel caso, inverso, in cui esso comporti l’attribuzione della giurisdizione al giudice che ne era inizialmente privo; a quest’ultimo riguardo è indifferente che la norma attributiva sopravvenga nel corso del giudizio di appello, in ogni caso trovando applicazione il principio della “perpetuatio iurisdictionis” di cui il citato art. 5 è espressione. (Principio espresso in relazione alla nuova disciplina di cui all’art. 9 d.l. 3 aprile 1995 n. 101, che ha equiparato, ai fini della tutela giurisdizionale, le concessioni in materia di lavori pubblici agli appalti).
Cass. civ. Sez. I, 7 luglio 2001, n. 9266 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di controversie relative a minori, ai fini dell’individuazione del tribunale per i minorenni territorialmente competente in ordine ai provvedimenti diretti ad intervenire sulla potestà genitoriale e sulle modalità del suo esercizio secondo le previsioni degli art. 330 e ss. c.c. deve aversi riguardo alla residenza di fatto del minore e, quindi, al luogo di abituale dimora alla data della domanda.
Cass. civ. Sez. I, 14 giugno 2001, n. 8025 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La ripartizione degli affari giurisdizionali tra sede centrale e sezioni distaccate del medesimo tribunale, non involge problemi di competenza “stricto sensu”, bensì afferisce a questioni di distribuzione delle controversie nell’ambito dello stesso ufficio giudiziario sulle quali eccepite dalle parti o rilevate “ex officio” non oltre l’udienza di prima comparizione provvede, semprechè non manifestamente infondate, il Presidente del tribunale con de-creto non impugnabile ex art. 83, ter disp. att. c.p.c.
Cass. civ. Sez. I, 24 aprile 2001, n. 6012 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Al fine dell’individuazione del tribunale competente per territorio sulla domanda di separazione personale dei coniugi alla stregua del criterio “del luogo di residenza del coniuge convenuto al momento della proposizione della domanda” (art. 706 c.p.c.), tale luogo deve essere identificato, sia pur in via soltanto presuntiva, con la casa coniugale, da ritenersi, sino a prova contraria, luogo di dimora abituale di tutti i componenti della famiglia. Tale presunzione può, peraltro, legittimamente superarsi fornendo la prova – il cui onere grava sul coniuge che contesti la detta circostanza – del verificarsi di una frattura del rapporto di convivenza prima della proposizione della domanda stessa a causa dello spostamento, da parte del predetto coniuge, della propria abituale dimora in un altro luogo. (Nell’affermare il principio di diritto che precede la S.C. ha, nella specie, dichiarato competente per territorio il giudice del luogo ove era ubicata la casa coniugale nonostante il coniuge istante per la separa¬zione avesse, per tutta la durata del matrimonio, conservato la residenza anagrafica in altra città, ove dimorava stabilmente nel corso della settimana per motivi lavorativi, facendo ritorno presso la casa coniugale soltanto nel week – end).
Cass. civ. Sez. I, 18 aprile 2001, n. 5729 (Giust. Civ., 2001, I, 2088)
Al fine dell’individuazione del tribunale competente per territorio sulla domanda di separazione personale dei coniugi, alla stregua del criterio del luogo di residenza del coniuge convenuto al momento di proposizione della domanda, tale luogo deve identificarsi con riferimento alla ubicazione della casa coniugale, la quale individua presuntivamente la residenza di tutti i componenti della famiglia, salvo che tale presunzione sia superata dalla prova del verificarsi di una frattura del rapporto di convivenza prima della proposizione della domanda di sepa¬razione, a causa dello spostamento da parte del convenuto della propria dimora abituale.
Nei procedimenti di separazione personale la competenza per territorio deve essere determinata con riferimento al momento del deposito del ricorso, essendo irrilevante l’eventuale successivo spostamento della residenza da parte del convenuto.
Cass. civ. Sez. I, 30 marzo 2001, n. 4686 (Giust. Civ., 2001, I, 2088)
Se la stessa causa di separazione personale dei coniugi viene introdotta davanti a giudici diversi, per individuare, ai fini della litispendenza, il giudice preventivamente adito occorre avere riguardo non già alla data di notifica degli atti introduttivi dei due giudizi ma a quella del deposito dei relativi ricorsi in cancelleria. Ha, infatti, rilievo generale il principio, affermato con particolare riferimento al processo del lavoro, nonchè ai giudizi d’impugnazio¬ne da proporre non con citazione, ma con ricorso, secondo il quale nei procedimenti che s’instaurano con ricorso (ad eccezione del rito monitorio per il quale vige la diversa regola di cui all’art. 643, ultimo comma, c.p.c.) la pendenza della lite è determinata dalla data di deposito del ricorso stesso in cancelleria.
Cass. civ. Sez. I, 22 marzo 2001, n. 4099 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di competenza per territorio, la domanda di modifica dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge consensualmente separato, proposta a norma degli art. 710 e 711 c.p.c. la quale investe rapporti obbligatori, non è equiparabile alla domanda di separazione personale e si sottrae alle speciali regole di competenza sta¬bilite per il giudizio di separazione. Ciò vale ovviamente rispetto sia alle regole di competenza dettate specifi-camente per la separazione sia per quelle dettate per il divorzio, ma dichiarate applicabili anche al giudizio di separazione. Inapplicabile sembra anche l’art. 12 quater della legge n. 898 del 1970 sul divorzio, introdotto dall’art. 18 della legge n. 74 del 1987, che regola la competenza per le cause di obbligazione di cui a quella legge. Per tali giudizi di modifica dell’assegno di mantenimento, è territorialmente competente, ai sensi dell’art. 20 c.p.c., anche il giudice del luogo in cui è sorto il debito di mantenimento, che si identifica nel luogo in cui è stata omologata la separazione consensuale e non in quello in cui il matrimonio è stato contratto. Con la riforma del diritto di famiglia, introdotta con la l. 19 maggio 1975 n. 151, infatti, all’obbligo del coniuge di contribuire ai bisogni della famiglia, sussistente durante la convivenza coniugale, subentra, con la cessazione di tale con¬vivenza conseguente alla separazione personale, ove ricorrano le prescritte condizioni ( art. 156, comma 1, c.c.), un obbligo di mantenimento, destinato al soddisfacimento dei bisogni individuali dell’altro coniuge. Deve, pertanto, escludersi che, dopo la riforma, l’obbligazione derivante dalla separazione sia la stessa che sussisteva durante la convivenza coniugale. D’altra parte appaiono manifestamente infondati i dubbi di costituzionalità per non essere prevista la sussistenza del medesimo foro alternativo nel giudizio di modifica dell’assegno di divor¬zio, non comportando il parallelismo dei procedimenti la necessità di adottare le stesse regole di competenza e non potendo estendersi previsioni che fanno eccezione a regole generali a casi non espressamente previsti. Per i giudizi di modifica dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge separato sussiste anche la competenza del giudice del luogo in cui è sorta l’obbligazione, ai sensi dell’art. 20 c.p.c., e cioè del tribunale che ha pronun¬ziato (o omologato) la separazione.
Cass. civ. Sez. III, 13 novembre 2000, n.14699 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il ricorso per regolamento di competenza è strutturato – salvo il caso in cui sia rivolto a risolvere un conflitto virtuale di competenza – come uno specifico mezzo di impugnazione avverso le sentenze che pronunciano sulla competenza. Esso deve, pertanto, contenere tutti gli elementi previsti dall’art. 366 c.p.c. in ordine ai quali l’art. 47 del codice di rito non disponga una regolamentazione differenziata. Ne consegue che deve ritenersi appli¬cabile anche a detto ricorso il principio di cosiddetta autosufficienza del ricorso per cassazione, avendo la parte istante, in sede di regolamento di competenza, l’onere di indicare in modo adeguato e specifico le ragioni del proprio dissenso, rispetto alla pronunzia impugnata, senza limitarsi a fare riferimento alle difese svolte in sede di merito, ma, eventualmente, trascrivendole in ricorso, al fine di porre la Corte di cassazione in condizione di apprezzarne la rilevanza e pertinenza ai fini del decidere.
Cass. civ. Sez. I, 3 novembre 2000, n. 14360 (Giust. Civ., 2001, I, 381)
È ammissibile il ricorso per regolamento di competenza avverso il decreto con il quale il giudice tutelare, adito ai sensi dell’articolo 337 c.c. per stabilire se rientri nell’esercizio della potestà del genitore affidatario la scelta della scuola (privata o pubblica) cui iscrivere il figlio, dichiara la competenza per materia del tribunale per i minorenni, trattandosi di provvedimento decisorio e definitivo sulla competenza ed avendo quindi natura e contenuto sostanziale di sentenza. La riassunzione della causa innanzi al giudice dichiarato competente da quello inizialmente adito non è ostativa alla successiva contestazione della competenza, atteso che il ricorso per regolamento di competenza è precluso solo dall’inutile decorso del termine di cui all’art. 47 c.p.c.
A seguito della separazione tra coniugi, la potestà sui figli rimane ad essi comune, l’esercizio esclusivo della me¬desima è attribuito all’affidatario, che deve attenersi alle condizioni fissate dal giudice, e le decisioni di maggior interesse (tra cui la scelta della scuola) devono essere adottate da entrambi i genitori; in mancanza di accordo, compete al giudice ordinario ai sensi dell’articolo 155, comma 3, c.c., accertare la congruità rispetto all’interes¬se del minore della decisione assunta dall’affidatario, avvalendosi a tal fine dei poteri ufficiosi di cui all’articolo 155, comma 7, c.c. e integrando all’occorrenza le condizioni della separazione; benchè la norma attribuisca il potere d’iniziativa al genitore non affidatario, analogo potere spetta anche all’affidatario, il quale, in presenza di contrasto con l’altro coniuge, anzichè decidere può chiedere direttamente al giudice di adottare i provvedimenti necessari.
In tema di soluzione dei contrasti tra i genitori per questioni di particolare importanza, l’articolo 316 c.c., il qua¬le prevede che ciascuno di essi può ricorrere al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei, trova applicazione per le ipotesi di famiglia unita; i provvedimenti di cui all’articolo 155, comma 3, si collocano invece durante lo stato di separazione tra i coniugi e rientrano nella disciplina di questa.
In materia di regolamento di competenza, la riassunzione ai sensi dell’articolo 50 c.p.c. davanti al giudice di¬chiarato competente non impedisce la successiva contestazione della competenza, una preclusione in tal senso derivando unicamente dall’inutile decorso del termine di cui all’articolo 47 c.p.c. e disciplinando l’articolo 48 c.p.c. il coordinamento tra gli istituti del regolamento e della riassunzione attraverso la sospensione dei processi relativamente ai quali è chiesto il regolamento.
Cass. civ. Sez. I, 6 luglio 2000, n. 9011 (Guida al Diritto, 2000, 68)
La competenza a provvedere sull’affidamento e sul mantenimento dei figli minori, a seguito di nullità del matri¬monio concordatario resa dal tribunale ecclesiastico, con sentenza dichiarata esecutiva in Italia, spetta al Tribu¬nale ordinario e non a quello per i minorenni, qualora i richiesti provvedimenti non incidano in senso limitativo sulla potestà dei genitori.
Cass. civ. Sez. III, 18 maggio 2000, n. 6473 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La norma di cui all’art. 5 c.p.c. (laddove stabilisce che la competenza – come la giurisdizione – si determina con riguardo alla legge – ovvero allo stato di fatto – vigente al momento della domanda) non trova applicazione nell’ipotesi in cui il giudice adito sia originariamente sprovvisto di competenza e ne venga successivamente in¬vestito, a meno che il criterio di collegamento tra la controversia e l’ufficio giudiziario adito non intervenga dopo che il giudice adito abbia declinato la propria competenza, non sussistendo, in tal caso, le ragioni di economia processuale poste a base del suindicato principio. Ne consegue che, investito di una controversia relativa ad opposizione ad ordinanza ingiunzione per violazioni del c. strad., il giudice di pace adito in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.l. n. 507 del 1999 (attributivo alla competenza di tale giudice delle controversie ex art. 22 legge n. 689 del 1981) legittimamente emette sentenza di incompetenza, e legittimamente il giudizio prosegue dinanzi al pretore, essendo intervenuto il criterio di collegamento tra la controversia ed il giudice adito in epoca successiva alla declaratoria di incompetenza emessa da quest’ultimo.
Cass. civ. Sez. I, 4 febbraio 2000, n. 1213 (Famiglia e Diritto, 2000, 5, 462, nota di TOMMASEO)
I provvedimenti di revisione di affidamento dei figli minori di coniugi separati, in forza di separazione giudiziale o consensuale omologata, ovvero di coniugi il cui matrimonio sia stato annullato o sciolto, sono devoluti alla competenza del tribunale ordinario, ai sensi dell’art. 155 c.c. mentre va ravvisata la competenza del tribunale per i minorenni, a norma dell’art. 38 disp. att. c.c., nei soli casi in cui si chieda un intervento cautelare ablativo della potestà genitoriale, a norma degli art. 330 e 333 c.c. In particolare sussiste la competenza del tribunale per i minorenni, a norma dell’art. 333 c.c., quando il provvedimento da adottare si risolve in una compressione della potestà genitoriale quale diretta conseguenza della condotta del genitore pregiudizievole al figlio, restando salva in ogni altro caso la competenza del giudice della separazione. (Nel caso di specie la S.C. ha negato la com-petenza del tribunale per i minorenni in un caso in cui detto tribunale aveva adottato un provvedimento diretto a rimuovere una situazione di obiettiva difficoltà della minore conseguente al disposto affidamento alla madre, ordinando, a modifica della statuizione del tribunale, l’affidamento di essa al comune, perchè fosse collocata con la madre in idonea struttura, nel dichiarato convincimento che tale soluzione valesse ad ovviare alle riscontrate carenze di entrambi i genitori).
Cass. civ. Sez. I, 12 gennaio 2000, n. 266 (Famiglia e Diritto, 2000, 6, 593, nota di PORCARI)
La trattazione congiunta di cause soggette a riti differenti può attuarsi, secondo le regole di cui all’art. 40 c.p.c. (nel testo modificato dalla l. n. 353 del 1990 soltanto laddove tali cause siano connesse ai sensi degli art. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c.; conseguentemente non è possibile il cumulo in un unico processo della domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio, soggetta al rito della camera di consiglio, e di quella di scioglimento della comu-nione su un bene comune dei coniugi, soggetta a rito ordinario, trattandosi di domande non legate da vincoli di connessione ma in tutto autonome e distinte. (Nella specie la S.C. ha confermato la pronuncia di improponibilità in sede di divorzio della domanda di divisione perchè incompatibile col rito camerale).
Cass. civ. Sez. II, 20 luglio 1999, n. 7750 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La determinazione della competenza per territorio nelle cause ereditarie va stabilita (art. 22 c.p.c. e art. 456 c.c.) con riferimento al luogo in cui il “de cuius” aveva al momento della morte l’ultimo domicilio, intendendosi con tale locuzione il luogo ove la persona, alla cui volontà occorre avere principalmente riguardo, concentra la generalità dei suoi interessi sia materiali ed economici, sia morali, sociali e familiari.
Cass. civ. Sez. I, 5 maggio 1999, n. 4492 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Al fine dell’individuazione del tribunale competente per territorio sulla domanda di separazione personale dei coniugi alla stregua del luogo di residenza del coniuge convenuto al momento della proposizione della domanda (ex art. 706 c.p.c.), tale luogo deve essere identificato con la casa coniugale, la quale individua presuntivamente la residenza, cioè il luogo di dimora abituale, di tutti i componenti della famiglia, salvo che tale presunzione sia superata dalla prova del verificarsi di una frattura del rapporto di convivenza prima della proposizione della do¬manda stessa, a causa dello spostamento, da parte del coniuge, della propria dimora in un altro luogo, nel qual caso la competenza territoriale spetta al giudice di questo luogo.
Cass. civ. Sez. I, 27 marzo 1998, n. 3222 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La competenza a provvedere sulla domanda di modifica degli accordi in tema di affidamento dei figli minori raggiunti in sede di separazione consensuale omologata (ovvero di modifica delle disposizioni adottate con la sentenza di separazione consensuale o con quella di scioglimento o di nullità del matrimonio) spetta al tribunale ordinario, individuandosi, per converso, nel tribunale dei minorenni il giudice competente a conoscere (in via re¬siduale) delle richieste di intervento ablativo o modificativo della potestà genitoriale, ai sensi degli art. 330, 333 c.c. con la conseguenza che, adottato, da parte di quest’ultimo giudice, in pendenza del giudizio di separazione, un siffatto provvedimento, il giudice della separazione dovrà tener conto di esso, come factum superveniens, ai fini della eventuale modifica dei provvedimenti provvisori adottati.
Cass. civ. Sez. III, 3 marzo 1998, n. 2333 (Giur. It., 1998, 2029)
All’istanza di regolamento di competenza proposta dal difensore munito di procura speciale per il giudizio di merito non si applica il principio di cui all’art. 83 comma 4 c.p.c. in forza del quale la procura speciale si presume conferita soltanto per un determinato grado del processo, quando nell’atto non è espressa una volontà diversa, in quanto derogato dal combinato disposto degli art. 84, comma 1 e 47 comma 1 c.p.c.
App. Napoli, 12 febbraio 1998 (Dir. Famiglia, 1998, 581)
Ritenuto che sussiste nel nostro ordinamento una certa e decisa tendenza ad affidare al tribunale dei minori tutta la materia relativa all’esercizio della potestà parentale, e ritenuto, altresì, che, ai sensi e per gli effetti generali dell’art. 38 disp. att. c.c., al tribunale ordinario va attribuita una competenza generale ed al tribunale dei minori una competenza in ordine alle sole ipotesi in tale norma menzionate, fra cui l’apposizione di limiti alla potestà genitoriale, e che, in relazione agli art. 330 e 333 c.c., richiamati, peraltro, dal cit. art. 38, “causa petendi”, “petitum” e specializzazione dell’organo minorile costituiscono un tutt’uno inscindibile, il tribunale dei minori, pur in pendenza di un giudizio di separazione personale tra i coniugi/genitori, ha competenza a pronunciarsi sul pregiudizio asseritamente incombente sulla prole minore, ma non è competente a decidere sulle richieste di affidamento (congiunto od alternato) che postulano, da parte del tribunale della separazione, una modifica dei provvedimenti adottati in seno all’ordinanza presidenziale.
Cass. civ. Sez. I, 11 aprile 1997, n. 3159 (Famiglia e Diritto, 1997, 5, 431, nota di CHIZZINI)
Alla stregua del disposto dell’art. 38 (nuovo testo) disp. att. c.c., sulla competenza del tribunale per i minorenni, coordinato con le norme dettate dagli art. 155 e 317 c.c., 9 l. 1 dicembre 1970 n. 898 e 710 c.p.c., i provve¬dimenti di revisione delle condizioni di affidamento dei figli minori di coniugi separati, in forza di separazione giudiziale o separazione consensuale omologata, ovvero di coniugi il cui matrimonio sia stato annullato o sciolto, rientrano nella suddetta competenza del tribunale dei minorenni nei soli casi in cui come causa di quella revisione si chieda un intervento ablativo o limitativo della potestà genitoriale sulla prole, a norma degli art. 330 e 333 c.c. mentre, in ogni altro caso, sono devoluti alla competenza del tribunale ordinario
Cass. civ. Sez. I, 28 marzo 1997, n. 2797 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il provvedimento del tribunale dei minorenni, che – nell’ambito di un procedimento instaurato per ottenere la decadenza dalla potestà del genitore sul figlio minore, ovvero l’adozione di altre misure volte ad ovviare alla condotta pregiudizievole al figlio, secondo le previsioni degli art. 330 e 333 c.c.- decida esclusivamente sulla competenza, ha contenuto decisorio su di essa, indipendentemente dalla forma rivestita dallo stesso ( dovendo la sostanza prevalere sulla forma) e, quindi, può essere impugnato con regolamento di competenza.
Corte cost. 25 giugno 1996, n. 214 (Foro It., 1997, I, 61, nota di CIPRIANI)
È incostituzionale l’art. 70 c.p.c., nella parte in cui non prescrive l’intervento obbligatorio del p.m. nei giudizi tra genitori naturali che comportino “provvedimenti relativi ai figli”, nei sensi di cui agli art. 9 l. n. 898/1970 e 710 c.p.c. (in motivazione, la Corte ha precisato che resta impregiudicato se tra tali giudizi rientrino quelli vertenti unicamente sull’”an” e sul “quantum” del mantenimento).
Trib. Santa Maria Capua Vetere, 25 giugno 1996 (Famiglia e Diritto, 1997, 3, 271, nota di CARRATTA )
Nel procedimento per la modifica delle condizioni della separazione di cui all’art. 710 c.p.c., avente ad oggetto una controversia in materia di obbligazioni, ai fini della determinazione della competenza territoriale del giudice, trova applicazione, oltre che l’art. 18 c.p.c., in tema di foro generale delle persone fisiche, anche l’art. 20 c.p.c. per il qua¬le è competente il giudice del luogo in cui l’obbligazione è sorta o deve eseguirsi l’obbligazione dedotta in giudizio.
Cass. civ. Sez. II, 29 marzo 1996, n. 2875 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La determinazione della competenza per territorio nelle cause ereditarie va stabilita ex art. 22 c.p.c. e art. 456 c.c. con riferimento al luogo di apertura della successione, in cui il de cuius aveva al momento della morte l’ul¬timo domicilio, intendendosi con tale locuzione la relazione tra la persona ed il luogo che essa ha scelto come centro dei propri affari ed interessi, prescindendosi dalla dimora o dalla presenza effettiva del de cuius in detto luogo.
Cass. civ. Sez. I, 15 marzo 1996, n. 2184 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Per l’individuazione del giudice competente per territorio a dichiarare la decadenza dalla potestà parentale deve farsi riferimento al luogo di abituale dimora del minore nel momento della presentazione della relativa domanda, senza che assumano alcun rilievo nè l’eventuale, diversa residenza anagrafica del minore, nè la circostanza del formale affidamento del minore stesso ad uno dei genitori. (Nella specie, il minore, anagraficamente residente in Catania, dimorava con la madre in Palermo al momento della proposizione del ricorso per la decadenza della potestà parentale del padre, benchè già alcuni giorni prima della domanda fosse stato affidato a quest’ultimo. La S.C., in applicazione dell’enunciato principio, ha dichiarato la competenza del tribunale per i minori di Palermo a conoscere della domanda in oggetto).
Cass. civ. Sez. I, 22 luglio 1995, n. 8049 (Giur. It., 1996, I,1, 338)
Nella determinazione del luogo di residenza del convenuto, al fine di stabilire il tribunale territorialmente compe¬tente nel giudizio di separazione personale dei coniugi, il principio della corrispondenza tra residenza anagrafica e residenza effettiva costituisce una presunzione semplice, superabile con ogni mezzo di prova idoneo ad evi¬denziare l’abituale e volontaria dimora di un soggetto in un luogo diverso; pertanto qualora si provi o risulti in concreto che il terzo, che può anche essere il coniuge separato di fatto, fosse a conoscenza della mancata corri¬spondenza fra residenza anagrafica e residenza effettiva, non può operare, rispetto a detto terzo, la più rigorosa disciplina prevista dall’art. 44 c.c. in ordine all’opponibilità del trasferimento della residenza.
Trib. Mantova, 17 luglio 1995 (Dir. Famiglia, 1996, 195)
In regime di separazione personale tra coniugi, la competenza territoriale a decidere sulla domanda di modi¬fica delle disposizioni (economiche) relative al mantenimento della prole va determinata ai sensi o dell’art. 18 o dell’art. 20 c.p.c., mentre la competenza territoriale a decidere sulla domanda di modifica delle disposizioni relative al diritto di visita e permanenza con la prole del genitore non affidatario va determinata solo ai sensi dell’art. 18 dello stesso codice di rito.
Cass. civ. Sez. I, 19 maggio 1995, n. 5562 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La competenza in ordine alla delibazione di sentenza straniera che dichiara la nullità di un matrimonio contratto in Italia appartiene alla Corte d’appello nel cui distretto ha sede l’ufficio di stato civile nei cui registri il matrimo¬nio sia stato trascritto e nei quali, quindi, debba eseguirsi l’annotazione e trascrizione della sentenza che rende esecutiva la sentenza straniera.
Cass. civ. Sez. I, 10 aprile 1995, n. 4143 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nei procedimenti diretti all’emanazione di provvedimenti limitativi della potestà del genitore, secondo la previ¬sione degli art. 330 ss. c.c., la competenza per territorio va determinata con riferimento al luogo in cui il minore abitualmente ed a prescindere, pertanto, da trasferimenti di carattere contingente e transitorio.
Cass. civ. Sez. I, 9 marzo 1995, n. 2734 (Dir. Eccl., 1995, II, 460)
La competenza territoriale della Corte d’appello a pronunciare sulla domanda di delibazione della sentenza del tribunale ecclesiastico dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario si determina con riferimento alla circoscrizione del tribunale cui appartiene il comune presso il quale fu trascritto l’atto di matrimonio (art. 17 legge 27 maggio 1929 n. 847) che si identifica, ai sensi dell’art. 8 n. 1 della legge 25 marzo 1985 n. 121, nel comune in cui il matrimonio stesso è stato celebrato.
Cass. civ. Sez. I, 4 giugno 1994, n. 5431 (Foro It., 1995, I, 2948)
Anche in caso di separazione personale tra i coniugi, la competenza del giudice minorile non viene meno nei casi in cui venga sollecitato, a istanza di uno dei genitori, o anche di un altro dei soggetti legittimi di cui all’art. 336 c.p.c. un provvedimento ablatorio o limitativo della potestà dei genitori, del quale dovrà tenere conto il giudice della separazione, come fatto sopravvenuto, nell’adeguamento dei provvedimenti provvisori adottati nella fase presidenziale del giudizio.
I decreti camerali resi a norma dell’art. 333 c.c. non sono impugnabili per cassazione, neppure ai sensi dell’art. 111 cost., in quanto privi dei caratteri della contenziosità e della definitività, essendo sempre revocabili secondo la previsione generale dell’art. 742 c.p.c. ma se contengono una decisione implicita o esplicita sulla competenza, acquistano carattere sostanziale di sentenza, potendosi, pertanto, proporre regolamento necessario di compe¬tenza. Il ricorso erroneamente proposto come ordinario può essere convertito, in regolamento per competenza solo se tempestivo rispetto al termine di cui all’art. 47 c.p.c. se dotato dei requisiti formali e sostanziali di quest’ultimo e se mostra in modo inequivocabile la volontà della parte di non aver inteso avvalersi di un mezzo destinato a sollevare censure diverse da quelle attinenti alla questione di competenza.
Cass. civ. Sez. I, 8 settembre 1992, n. 10292 (Giust. Civ., 1992, 1, 2642)
Spetta al tribunale ordinario la competenza per materia a provvedere, anche in via provvisoria ed urgente, sulla modifica delle condizioni della separazione fra i coniugi riguardanti l’affidamento del minore ed i rapporti fra lo stesso ed il genitore affidatario, senza che residui alcuna competenza del pretore adito ai sensi dell’art. 700 c. p.
Cass. civ. Sez. I, 26 giugno 1992, n. 8019 (Giur. It., 1993, I,1, 1298, nota di GENESI)
Al fine dell’individuazione del tribunale territorialmente competente sull’istanza di separazione, alla stregua del luogo della residenza del coniuge convenuto al momento della proposizione della domanda ( art. 706 c.p.c.) il luo¬go medesimo va identificato con la casa coniugale, la quale, segna presuntivamente la residenza della famiglia e quindi la dimora abituale dei suoi componenti, quando difetti la prova del verificarsi di frattura del rapporto di con¬vivenza prima dell’indicato momento, con lo spostamento altrove, da parte del convenuto, di detta dimora abituale.
App. Bologna, 18 gennaio 1992 (Dir. Famiglia, 1994, I, 148)
I provvedimenti di revisione delle condizioni di affidamento della prole di coniugi separati in forza di separazione consensuale omologata rientrano nella competenza del tribunale per i minorenni tutte le volte in cui la richiesta di revisione sia diretta ad ottenere un intervento ablativo o limitativo della potestà parentale, a norma e per gli effetti di cui agli art. 330 e 333 c.c. ferma restando, in ogni altro caso, la competenza del tribunale ordinario. E’ pertanto di competenza del tribunale minorile la decisione sul ricorso con il quale il genitore/coniuge separato consensualmente chieda l’ablazione o la limitazione della potestà parentale all’altro genitore/coniuge spettante mediante l’adozione dei provvedimenti più favorevoli alla prole, per la quale, in sede di separazione consensuale omologata, era stato disposto l’affidamento congiunto.
Cass. civ. Sez. Unite, 16 gennaio 1991, n. 381 (Foro It., 1991, I, 3165, nota di VILLANI)
La domanda di modificazione dell’assegno di mantenimento, che venga proposta ai sensi degli art. 710 e 711 (originario testo) c. p. c., da uno dei coniugi separati in base a sentenza o verbale di separazione consensuale omologato, è soggetta ai normali criteri di competenza per territorio di cui agli art. 18 e 20 c. p.c.
Cass. civ. Sez. I, 27 giugno 1990, n. 6551 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La competenza territoriale della Corte d’appello a pronunciare sulla domanda di delibazione della sentenza del tribunale ecclesiastico dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario si determina con riferimento alla circoscrizione del tribunale cui appartiene il comune presso il quale fu trascritto l’atto di matrimonio (art. 17 legge 27 maggio 1929 n. 847) che si identifica, ai sensi dell’art. 8 n. 1 della legge 25 marzo 1985 n. 121, nel comune in cui il matrimonio stesso è stato celebrato.
Cass. civ. Sez. I, 13 marzo 1990, n. 2032 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il principio di “perpetuatio iurisdictionis” (art. 5 c.p.c.) è operante anche nel caso di mutamento della situazione di diritto determinato dal sopravvenire di norme modificative della competenza.
Pertanto con riguardo al giudizio di dichiarazione della paternità naturale del minore, la sopravvenienza, nel cor¬so del giudizio di appello proposto davanti alla corte di appello avverso la sentenza del tribunale in composizione ordinaria, della l. 4 maggio 1983, n. 184, il cui art. 68, modificando l’art. 38 disp. att. c. c., prevede la compe¬tenza del tribunale per i minorenni, non determina né la nullità della sentenza di primo grado né l’incompetenza della corte di appello, che deve invece decidere sui motivi di impugnazione.
Cass. civ. Sez. I, 18 gennaio 1990, n. 224 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La residenza del coniuge convenuto, quale criterio per la determinazione della competenza territoriale indero¬gabile nelle cause di separazione personale fra coniugi (art. 706, 1° comma, c. p. c.), va individuata sulla base delle certificazioni anagrafiche, le cui risultanze non sono superate dalla circostanza del temporaneo allontana¬mento del coniuge convenuto dal luogo ivi indicato (che non comporta di per sé trasferimento della residenza o del domicilio), e neppure dalla dichiarazione del coniuge fatta unicamente al comune ove intenda trasferirsi, non accompagnata dalla parallela comunicazione al comune che si abbandona, prescritta dall’art. 31 disp. att. c. c.
Cass. civ. Sez. I, 23 ottobre 1989, n. 4317 (Arch. Civ., 1990, 275)
Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, la residenza ed il domicilio del convenuto – da accertarsi con riferimento alla situazione esistente alla data di notifica del ricorso e del decreto presidenziale di fissazione della comparizione delle parti – va individuata sulla base delle risultanze anagrafiche, le quali, pur se ammettono prova contraria, non sono superate dalla circostanza del temporaneo allontanamento dal luogo indicato, che non comporta di per sé trasferimento della residenza o del domicilio, mentre è irrilevante che la domanda sia stata notificata al coniuge convenuto nel luogo ove lo stesso si trovava temporaneamente o che in tale luogo, succes¬sivamente alla posizione della domanda, egli abbia trasferito la propria residenza.
Cass. civ. Sez. I, 14 novembre 1986, n. 6695 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La residenza od il domicilio del coniuge convenuto, quali criteri per la determinazione della competenza territo¬riale nel procedimento di separazione personale (art. 706, 1° comma, c. p. c.), vanno accertati con riferimento alla situazione esistente al momento della proposizione della domanda, e, cioè, non alla data del deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale, o del decreto presidenziale di fissazione della comparizione delle parti, ma a quella in cui il ricorso ed il decreto medesimi vengano notificati alla controparte.
Cass. civ. Sez. I, 18 ottobre 1985, n. 5137 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
A norma dell’art. 38 disp. att. c. c. (nel testo modificato prima con l’art. 221, l. 19 maggio 1975, n. 151 e poi con l’art. 68 l. 4 maggio 1983, n. 184), i provvedimenti di revisione delle condizioni di affidamento dei minori, figli di coniugi separati in forza di separazione giudiziale o consensuale omologata, rientrano nella competenza del tribunale per i minorenni nei soli casi in cui si chieda un intervento ablativo o limitativo della potestà dei genitori, a norma degli art. 330 e 333 c. c., mentre in ogni altra ipotesi, sono devoluti alla competenza del tri¬bunale ordinario.
Cass. civ. Sez. I, 25 ottobre 1984, n. 5448 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La competenza a pronunciare sulla domanda di dichiarazione di efficacia in Italia della sentenza straniera di separazione fra coniugi compete, qualora entrambi i coniugi abbiano all’estero la residenza, il domicilio o la dimora, alla corte d’appello nel cui distretto il matrimonio è stato contratto, in quanto non essendo individua¬bile un ambito territoriale in cui la sentenza debba avere attuazione, ai sensi dell’art. 796 c. p. c. e risultando inapplicabili i criteri legislativamente previsti dal foro speciale del procedimento di separazione fra coniugi (art. 706 c. p. c.) e del foro generale delle persone fisiche (art. 18 c. p. c.) viene in rilievo in ordine successivo, in via di interpretazione analogica della previsione del foro facoltativo delle cause relative alle obbligazioni (art. 20 c. p. c.) quale criterio di collegamento territoriale proprio alla fattispecie, quello del luogo della celebrazione del matrimonio, in cui ha avuto origine la situazione giuridica dedotta in giudizio, sulla quale la sentenza delibanda è destinata ad incidere.
Cass. civ. Sez. I, 17 maggio 1984, n. 3050 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La competenza a provvedere sull’affidamento e sul mantenimento dei figli minori, a seguito di pronunzia di nul¬lità del matrimonio concordatario resa dal tribunale ecclesiastico con sentenza dichiarata esecutiva in Italia ai sensi dell’art. 17 legge 27 maggio 1929, n. 847, spetta al tribunale ordinario, non al tribunale per i minorenni, qualora i richiesti provvedimenti non incidano, in senso negativo o limitativo, sulla potestà dei genitori.
Cass. civ., Sez. I, 16 febbraio 1982, n. 9619 (Dir. Famiglia, 1982, 471, nota di DALL’ONGARO, ARRIVAS)
La competenza a modificare i provvedimenti resi in sede di separazione e relativi all’affidamento della prole spetta, dopo la conclusione del processo, al tribunale ordinario e non a quello per i minorenni.