Il danno da occupazione illegittima della casa coniugale da parte di un coniuge in danno dell’altro è in “re ipsa”

Cass. civ. sez. VI – 3, 6 settembre 2017, n. 20856
ORDINANZA
sul ricorso 16061/2016 proposto da:
V.L., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato LUCA MARCHESE;
– ricorrente –
contro
F.B.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3, presso lo studio dell’avvocato BRUNO NICOLA SASSANI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI IACOMINI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2208/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 30/12/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 18/05/2017 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI. Dato atto che il Collegio ha disposto la motivazione semplificata.
Svolgimento del processo
che:
la sentenza impugnata ha confermato quella di primo grado nella parte in cui aveva condannato il M. a pagare alla V. la somma di 60.000 franchi svizzeri oltre interessi (a fronte dell’importo erogato dalla seconda al primo per la costruzione – su un terreno di proprietà del M. e del fratello – del fabbricato successivamente adibito a casa coniugale), mentre l’ha riformata nella parte in cui aveva rigettato la domanda di indennizzo avanzata dal M. per l’occupazione della ex casa coniugale da parte della medesima V.: su questo secondo punto, la Corte ha ritenuto che il danno fosse in re ipsa (con decorrenza dal passaggio in giudicato della sentenza di separazione, che aveva definitivamente escluso il diritto della moglie all’assegnazione della casa coniugale), fatta salva la necessità di liquidare il risarcimento dovuto in separato giudizio;
ha proposto ricorso per cassazione la V., affidandosi a due motivi che denunciano – rispettivamente – la violazione e/o falsa applicazione egliartt. 1277 e 1813 c.c.e la violazione e/o falsa applicazione degliartt. 1591, 1223 e 2056 c.c.;
ha resistito, con controricorso, F.B.M.C., in proprio e quale esercente la responsabilità genitoriale sulla minore M.M.A., entrambe eredi di M.G..
Motivi della decisione
che:
il primo motivo è inammissibile, in quanto non individua specifiche violazioni in iure relative alle norme richiamate, ma contesta la ricostruzione della vicenda della dazione della somma (di 60.000 franchi svizzeri) in termini di mutuo, sulla base di considerazioni che – senza denunciare violazioni di canoni ermeneutici o l’omesso esame di fatti decisivi – mirano a sostituire all’apprezzamento compiuto dalla Corte quello diverso proposto dalla ricorrente, così sollecitando la Corte ad una non consentita rivalutazione del fatto;
il secondo motivo – che censura la sentenza nella parte in cui ha affermato che il danno da occupazione illegittima di un immobile è in re ipsa e che richiama la giurisprudenza di legittimità di segno contrario – è infondato se si considera che l’affermazione della Corte si sostanzia nel richiamo a Cass. n. 20823/2015 e che tale pronuncia precisa come l’esistenza del danno sia comunque oggetto di una presunzione iuris tantum, superabile con prova contraria; ciò è conforme al più recente e condivisibile orientamento di legittimità secondo cui “nella ipotesi di occupazione “sine titulo” di un cespite immobiliare altrui, il danno subito dal proprietario per l’indisponibilità del medesimo può definirsi “in re ipsa”, purché inteso in senso descrittivo, cioè di normale inerenza del pregiudizio all’impossibilità stessa di disporre del bene, senza comunque far venir meno l’onere per l’attore quanto meno di allegare, e anche di provare, con l’ausilio delle presunzioni, il fatto da cui discende il lamentato pregiudizio, ossia che se egli avesse immediatamente recuperato la disponibilità dell’immobile, l’avrebbe subito impiegato per finalità produttive, quali il suo godimento diretto o la sua locazione” (Cass. n. 25898/2016);
il ricorso va pertanto rigettato;
le spese di lite seguono la soccombenza;
atteso che la ricorrente è ammessa al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono le condizioni per l’applicazione delD.P.R. n. 115 del 2002,art.13, comma 1quater (cfr. Cass. n. 18523/2014).
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.