L’addebito della separazione può essere pronunciato se la condotta del coniuge è causa della crisi coniugale

Cass. civ. Sez. I, 23 marzo 2017, n. 7469
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BERNABAI Renato – Presidente – Dott. SAMBITO Maria G.C. – Consigliere – Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere – Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere – Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
O.R., elettivamente domiciliato in Roma, al viale B. Buozzi n. 59, presso l’avv. STEFANO GIORGIO, dal quale, unitamente all’avv. ERCOLE RAGOZZINI del foro di Napoli, è rappresentato e difeso in virtù di procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
C.S., elettivamente domiciliata in Roma, alla via della Giuliana n. 32, presso l’avv. MARIA CASAGRANDE PERROTTA, unitamente allo avv. GRAZIELLA AUSIELLO del foro di Napoli, dalla quale è rappresentata e difesa in virtù di procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 1484/14, pubblicata il 2 aprile 2014.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 1 dicembre 2016 dal Consigliere Dott. MERCOLINO Guido;
uditi i difensori delle parti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, la quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Napoli, dopo aver pronunciato con sentenza non definitiva del 12 luglio 2011 la separazione personale dei coniugi O.R. e C.S., con sentenza definitiva dell’8 aprile 2013 addebitò la separazione al marito. dispose l’affidamento condiviso del figlio minore P.M. ad entrambi i genitori, con collocazione prevalente presso la madre, e pose a carico del padre l’obbligo di contribuire al suo mantenimento mediante il versamento di un assegno mensile di Euro 450,00, da rivalutarsi annualmente secondo l’indice (stat. dichiarando inammissibile la domanda di risarcimento dei danni proposta dalla donna ai sensidell’art. 96 c.p.c., e ritenendo invece abbandonata la domanda proposta ai sensi dell’art. 709 – ter c.p.c..
2. L’impugnazione proposta dall’ O. è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Napoli con sentenza del 2 aprile 2014.
Premesso che l’addebito ha carattere eccezionale presupponendo comportamenti più gravi e frequenti di quelli che determinano l’intollerabilità della convivenza e richiede una valutazione comparativa della condotta dei coniugi, volta a stabilire se il comportamento dell’uno sia configurabile come una giustificata reazione agli atti dell’altro, la Corte ha ritenuto condivisibile la decisione di primo grado osservando che l’ O. si era reso responsabile di condotte contrarie ai doveri coniugali, avendo intrapreso nel corso della convivenza una relazione con un’altra donna, confermata da tutti i testi escussi. Ha escluso che tale violazione fosse giustificata dalla condotta della C., in quanto i comportamenti alla stessa ascritti erano rimasti indimostrati, rilevando inoltre che l’abbandono della casa coniugale da parte della donna era stato determinato proprio dalla scoperta della relazione extraconiugale intrattenuta dall’uomo, e concludendo pertanto che tale allontanamento non costituiva violazione dell’obbligo di coabitazione.
Precisato poi che il contributo dovuto per il mantenimento del figlio minore dev’essere determinato tenendo conto delle sue esigenze in rapporto al tenore di vita goduto nel corso della convivenza ed alle risorse economiche dei genitori, ha rilevato che nella specie alla cessazione della convivenza non erano sopravvenute circostanze non considerate dalla sentenza di primo grado, osservando in particolare che l’importo da quest’ultima liquidato risultava ampiamente giustificato dalle esigenze di vita del figlio, che aveva ormai compiuto otto anni, e dai redditi dello appellante. Chiarito inoltre che laL. 8 febbraio 2006, n. 54, impone la regolamentazione delle spese senza distinguere tra quelle ordinarie e quelle straordinarie. demandando ad entrambi i genitori, in caso di affidamento condiviso, la decisione in ordine alla necessità della spesa ed alle modalità di effettuazione, ha affermato che nella specie per spese straordinarie dovevano intendersi quelle mediche non coperte dal Servizio sanitario nazionale, nonché quelle scolastiche, ludiche e sportive, con esclusione quindi di quelle per la mensa, affermando che esse dovevano essere poste a carico di ciascuno dei genitori nella misura del 50%.
Quanto alla domanda proposta ai sensi dell’art. 709 – ter c.p.c., la Corte, pur escludendo che la mancata riproposizione in sede di precisazione delle conclusioni consentisse di ritenerla abbandonata, ne ha affermato l’infondatezza nel merito, essendo emerso che la C. aveva tenuto un comportamento collaborativo nei confronti del coniuge, per preservarne il rapporto con il figlio, e che entrambe le parti avevano dimostrato adeguate capacità genitoriali ed educative e buoni rapporti con il minore.
3. Avverso la predetta sentenza l’ O. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. La C. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazionedell’art. 112 c.p.c.edell’art. 2909 c.c., osservando che, nel rigettare la domanda proposta ai sensi dell’art. 709 – ter c.p.c., la sentenza impugnata ha dato atto della condotta collaborativa tenuta dalla C. ai fini della salvaguardia del rapporto tra il figlio minore ed il padre, in tal modo ribaltando, in assenza d’impugnazione, l’accertamento compiuto dalla sentenza di primo grado in ordine al comportamento fortemente ostativo tenuto dalla donna relativamente alle modalità di affidamento del figlio minore. L’inconciliabilità delle due affermazioni si traduce inoltre nella violazionedell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, configurandosi come un contrasto insanabile circa un punto controverso e decisivo del giudizio, che, escludendo la possibilità di desumere la motivazione in fatto dall’integrazione delle due sentenze, incide sul percorso motivazionale che ha condotto al rigetto della predetta domanda.
1.1. Nella parte riflettente l’ultrapetizione e la violazione del giudicato, il motivo è infondato.
La mancata impugnazione della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva dato atto della resistenza opposta dalla C. ai rapporti tra l’ O. e il figlio ai fini dell’accertamento della responsabilità per il fallimento dell’unione, non può ritenersi sufficiente a determinare la formazione di un giudicato interno sul punto, preclusivo della valutazione del medesimo comportamento ai fini dello accoglimento della domanda proposta ai sensi dell’art. 709 – ter c.p.c.. In quanto compreso nella valutazione dei presupposti di fatto necessari per la decisione in ordine alle domande di addebito reciprocamente proposte dalle parti, il predetto rilievo è rimasto infatti assorbito dal riesame della questione compiuto in sede di gravame, a seguito delle censure sollevate proprio dall’ O. in ordine tanto alla pronuncia di addebito emessa a suo carico quanto al rigetto dell’analoga domanda proposta nei confronti della C.; esso non può quindi considerarsi idoneo ad acquistare efficacia di giudicato interno, in quanto quest’ultimo non si forma su mere argomentazioni o su elementi di fatto che. unitamente ad altri, concorrano a formare un capo unico della decisione, ma solo su capi autonomi della sentenza, aventi una propria individualità e tali da integrare una decisione del tutto indipendente (cfr. Cass., Sez. I, 19 marzo 2014, n. 6304; 23 marzo 2012, n. 4732; Cass.. Sez. 3, 17 settembre 2008, n. 23747).
1.7. Quanto alla lamentata contraddittorietà della motivazione, non può condividersi l’eccezione sollevata dalla difesa della controricorrente, secondo cui la deducibilità di tale vizio sarebbe preclusa, nella specie, dalla conformità delle decisioni adottate nelle due fasi di merito sulla domanda proposta ai sensi dell’art. 709 – ter c.p.c.: tale domanda, ritenuta abbandonata dal Tribunale, è stata infatti rigettata nel merito dalla Corte d’Appello, la quale ha espressamente riformato sul punto la sentenza di primo grado, con la conseguenza che non è configurabile, nel caso in esame, l’identità delle ragioni di fatto poste a base della decisione. che ai sensi dell’art. 348 – ter c.p.c., esclude l’impugnabilità della sentenza ai sensidell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. L’evidenziato assorbimento, nell’ambito del riesame compiuto dalla sentenza di appello, del rilievo formulato dal Giudice di primo grado in ordine alla condotta ostativa tenuta dalla C., consente peraltro di escludere la sussistenza del vizio dedotto, configurabile esclusivamente in caso di contrasto insanabile tra le argomentazioni addotte nella sentenza impugnata, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico seguito per giungere alla decisione, e quindi non ipotizzabile allorquando, come nella specie, la contraddizione denunciata riguardi non già più proposizioni contenute nella sentenza impugnata, tra loro inconciliabili, ma le valutazioni contrastanti compiute dal giudice di primo grado e da quello di seconde cure (cfr. Cass.. Sez. 3^, 26 giugno 2007, n. 14767: 9 febbraio 2004, n. 2427; Cass.. Sez. 11. 15 luglio 1971, n. 2314).
2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione, in relazione agliartt. 143 e 151 c.c., agliartt. 112 e 132 c.p.c.edall’art. 118 disp. att. c.p.c., nonché l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, sostenendo che, nel confermare l’addebitabilità della separazione ad esso ricorrente e nell’escludere la responsabilità della C., la Corte di merito si è limitata a richiamare acriticamente la sentenza di primo grado, senza esaminare le censure da lui sollevate, riflettenti l’omesso esame delle gravissime condotte tenute dalla donna e la mancata dimostrazione della relazione extraconiugale a lui ascritta. La sentenza impugnata non reca infatti alcuna motivazione in ordine ai fatti riferiti dai testi e comprovati dalla documentazione prodotta, ed in particolare alla condotta aggressiva ed offensiva tenuta dalla C. nel corso della convivenza, alla disponibilità da lei manifestata verso nuove conoscenze attraverso la sua pagina Facebook, alla ripresa della frequentazione di un ex fidanzato, all’inopinato allontanamento della donna dalla casa familiare ed al suo trasferimento in una località posta ad 800 km di distanza con l’ingiustificata imposizione di una situazione di lontananza tra il figlio minore ed il padre, nonché all’avvenuta presentazione da parte della C. di una denuncia penale e di un ricorso al Tribunale per i minorenni, rivelatisi poi infondati, per comportamenti sessualmente orientati da lui
asseritamente tenuti nei confronti del figlio.
3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la violazione degliartt. 143 e 151, 2697 e 2729 c.c.edell’art. 253 c.p.c., nonché l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, ribadendo che la sentenza impugnata ha radicalmente omesso di esaminare le violazioni dei doveri di solidarietà e fedeltà coniugale da lui ascritte alla C., che avevano costituito oggetto di discussione tra le parti, in quanto idonee a determinare l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza. La Corte di merito non ha infatti considerato che l’addebito della separazione richiede una valutazione globale e ponderata delle condotte reciprocamente tenute dai coniugi. al fine di verificare se le stesse siano state poste in essere in un momento in cui la convivenza era già divenuta intollerabile.
4. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni intimamente connesse, sono in parte infondati, in parte inammissibili.
Ai fini dell’addebito della separazione, la sentenza impugnata si è attenuta al principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la relativa pronuncia presuppone l’accertamento della riconducibilità della crisi coniugale alla condotta di uno o di entrambi i coniugi, consapevolmente e volontariamente contraria ai doveri coniugali, e quindi della sussistenza di un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell’intollerabilità della convivenza, condizione per la pronuncia di separazione. Nella valutazione della condotta di ciascun coniuge, la Corte di merito ha dato opportunamente atto dell’esigenza di tener conto anche di quella dell’altro, in modo tale da stabilire, attraverso un giudizio di natura comparativa, se il comportamento censurato potesse ritenersi relativamente giustificato, configurandosi non tanto come causa, quanto come effetto della frattura dell’unione, già eventualmente verificatasi (cfr. ex plarimis, Cass. Sez. 1^, 20 agosto 2014, n. 18074; 27 giugno 2006, n. 14840; 11 giugno 2005, n. 12383). E’ in quest’ottica che essa ha escluso la responsabilità della C. per il fallimento dell’unione, osservando che l’allontanamento della stessa dalla casa coniugale, addotto a sostegno della domanda di addebito proposta dall’ O., non costituiva violazione del dovere di coabitazione, essendo stato determinato dalla scoperta di una relazione intrapresa dall’uomo con un’altra donna, ed individuando proprio in tale circostanza la causa dei litigi tra i coniugi e dell’irreversibile crisi del nucleo familiare, con la conseguente addebitabilità della separazione al ricorrente. Pur non essendosi specificamente soffermata su ciascuno dei comportamenti ascritti dall’ O. alla C., la sentenza impugnata non ha affatto omesso di prenderli in considerazione, ribadendo la valutazione compiuta dal Giudice di primo grado, secondo cui gli stessi erano rimasti assolutamente indimostrati, non avendo trovato conferma nelle deposizioni rese dai testimoni escussi.
Nel contestare il predetto apprezzamento, il ricorrente non è in grado d’indicare le lacune argomentative o le carenze logiche del ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, ma si limita ad insistere sull’omessa valutazione delle condotte da lui denunciate, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso la apparente deduzione dei vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, una rivisitazione dell’accertamento in fatto, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza logico – giuridica del ragionamento seguito nella sentenza impugnata, nei limiti in cui la stessa è censurabile in sede di legittimità, alla luce della nuova formulazionedell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotta dalD.L. 22 giugno 2012, n. 83,art.54, convertito con modificazioni dallaL. 7 agosto 2012, n. 134. In riferimento all’addebito della separazione la deduzione del vizio di motivazione trova d’altronde ostacolo, a differenza dell’analoga censura riguardante il rigetto della domanda proposta ai sensi dell’art. 709 – ter c.p.c., nell’avvenuta conferma della pronuncia adottata in primo grado da parte della sentenza d’appello, che, in quanto fondata sulle medesime ragioni, comporta l’operatività della preclusione prevista dall’art. 348 – ter c.p.c..
5. Il ricorso va pertanto rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna O.R. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 5.200,00, ivi compresi Euro 5.000.00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Ai sensi delD.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,art.13, comma 1- quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1 – bis.
Ai sensi delD.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196,art.52, dispone che, in caso di diffusione della presente anzi siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.