L’addebito della separazione può essere pronunciato se la condotta del coniuge è causa della crisi coniugale

Cass. civ. Sez. I, 23 marzo 2017, n. 7469
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BERNABAI Renato – Presidente – Dott. SAMBITO Maria G.C. – Consigliere – Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere – Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere – Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
O.R., elettivamente domiciliato in Roma, al viale B. Buozzi n. 59, presso l’avv. STEFANO GIORGIO, dal quale, unitamente all’avv. ERCOLE RAGOZZINI del foro di Napoli, è rappresentato e difeso in virtù di procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
C.S., elettivamente domiciliata in Roma, alla via della Giuliana n. 32, presso l’avv. MARIA CASAGRANDE PERROTTA, unitamente allo avv. GRAZIELLA AUSIELLO del foro di Napoli, dalla quale è rappresentata e difesa in virtù di procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 1484/14, pubblicata il 2 aprile 2014.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 1 dicembre 2016 dal Consigliere Dott. MERCOLINO Guido;
uditi i difensori delle parti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, la quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Napoli, dopo aver pronunciato con sentenza non definitiva del 12 luglio 2011 la separazione personale dei coniugi O.R. e C.S., con sentenza definitiva dell’8 aprile 2013 addebitò la separazione al marito. dispose l’affidamento condiviso del figlio minore P.M. ad entrambi i genitori, con collocazione prevalente presso la madre, e pose a carico del padre l’obbligo di contribuire al suo mantenimento mediante il versamento di un assegno mensile di Euro 450,00, da rivalutarsi annualmente secondo l’indice (stat. dichiarando inammissibile la domanda di risarcimento dei danni proposta dalla donna ai sensidell’art. 96 c.p.c., e ritenendo invece abbandonata la domanda proposta ai sensi dell’art. 709 – ter c.p.c..
2. L’impugnazione proposta dall’ O. è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Napoli con sentenza del 2 aprile 2014.
Premesso che l’addebito ha carattere eccezionale presupponendo comportamenti più gravi e frequenti di quelli che determinano l’intollerabilità della convivenza e richiede una valutazione comparativa della condotta dei coniugi, volta a stabilire se il comportamento dell’uno sia configurabile come una giustificata reazione agli atti dell’altro, la Corte ha ritenuto condivisibile la decisione di primo grado osservando che l’ O. si era reso responsabile di condotte contrarie ai doveri coniugali, avendo intrapreso nel corso della convivenza una relazione con un’altra donna, confermata da tutti i testi escussi. Ha escluso che tale violazione fosse giustificata dalla condotta della C., in quanto i comportamenti alla stessa ascritti erano rimasti indimostrati, rilevando inoltre che l’abbandono della casa coniugale da parte della donna era stato determinato proprio dalla scoperta della relazione extraconiugale intrattenuta dall’uomo, e concludendo pertanto che tale allontanamento non costituiva violazione dell’obbligo di coabitazione.
Precisato poi che il contributo dovuto per il mantenimento del figlio minore dev’essere determinato tenendo conto delle sue esigenze in rapporto al tenore di vita goduto nel corso della convivenza ed alle risorse economiche dei genitori, ha rilevato che nella specie alla cessazione della convivenza non erano sopravvenute circostanze non considerate dalla sentenza di primo grado, osservando in particolare che l’importo da quest’ultima liquidato risultava ampiamente giustificato dalle esigenze di vita del figlio, che aveva ormai compiuto otto anni, e dai redditi dello appellante. Chiarito inoltre che laL. 8 febbraio 2006, n. 54, impone la regolamentazione delle spese senza distinguere tra quelle ordinarie e quelle straordinarie. demandando ad entrambi i genitori, in caso di affidamento condiviso, la decisione in ordine alla necessità della spesa ed alle modalità di effettuazione, ha affermato che nella specie per spese straordinarie dovevano intendersi quelle mediche non coperte dal Servizio sanitario nazionale, nonché quelle scolastiche, ludiche e sportive, con esclusione quindi di quelle per la mensa, affermando che esse dovevano essere poste a carico di ciascuno dei genitori nella misura del 50%.
Quanto alla domanda proposta ai sensi dell’art. 709 – ter c.p.c., la Corte, pur escludendo che la mancata riproposizione in sede di precisazione delle conclusioni consentisse di ritenerla abbandonata, ne ha affermato l’infondatezza nel merito, essendo emerso che la C. aveva tenuto un comportamento collaborativo nei confronti del coniuge, per preservarne il rapporto con il figlio, e che entrambe le parti avevano dimostrato adeguate capacità genitoriali ed educative e buoni rapporti con il minore.
3. Avverso la predetta sentenza l’ O. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. La C. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazionedell’art. 112 c.p.c.edell’art. 2909 c.c., osservando che, nel rigettare la domanda proposta ai sensi dell’art. 709 – ter c.p.c., la sentenza impugnata ha dato atto della condotta collaborativa tenuta dalla C. ai fini della salvaguardia del rapporto tra il figlio minore ed il padre, in tal modo ribaltando, in assenza d’impugnazione, l’accertamento compiuto dalla sentenza di primo grado in ordine al comportamento fortemente ostativo tenuto dalla donna relativamente alle modalità di affidamento del figlio minore. L’inconciliabilità delle due affermazioni si traduce inoltre nella violazionedell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, configurandosi come un contrasto insanabile circa un punto controverso e decisivo del giudizio, che, escludendo la possibilità di desumere la motivazione in fatto dall’integrazione delle due sentenze, incide sul percorso motivazionale che ha condotto al rigetto della predetta domanda.
1.1. Nella parte riflettente l’ultrapetizione e la violazione del giudicato, il motivo è infondato.
La mancata impugnazione della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva dato atto della resistenza opposta dalla C. ai rapporti tra l’ O. e il figlio ai fini dell’accertamento della responsabilità per il fallimento dell’unione, non può ritenersi sufficiente a determinare la formazione di un giudicato interno sul punto, preclusivo della valutazione del medesimo comportamento ai fini dello accoglimento della domanda proposta ai sensi dell’art. 709 – ter c.p.c.. In quanto compreso nella valutazione dei presupposti di fatto necessari per la decisione in ordine alle domande di addebito reciprocamente proposte dalle parti, il predetto rilievo è rimasto infatti assorbito dal riesame della questione compiuto in sede di gravame, a seguito delle censure sollevate proprio dall’ O. in ordine tanto alla pronuncia di addebito emessa a suo carico quanto al rigetto dell’analoga domanda proposta nei confronti della C.; esso non può quindi considerarsi idoneo ad acquistare efficacia di giudicato interno, in quanto quest’ultimo non si forma su mere argomentazioni o su elementi di fatto che. unitamente ad altri, concorrano a formare un capo unico della decisione, ma solo su capi autonomi della sentenza, aventi una propria individualità e tali da integrare una decisione del tutto indipendente (cfr. Cass., Sez. I, 19 marzo 2014, n. 6304; 23 marzo 2012, n. 4732; Cass.. Sez. 3, 17 settembre 2008, n. 23747).
1.7. Quanto alla lamentata contraddittorietà della motivazione, non può condividersi l’eccezione sollevata dalla difesa della controricorrente, secondo cui la deducibilità di tale vizio sarebbe preclusa, nella specie, dalla conformità delle decisioni adottate nelle due fasi di merito sulla domanda proposta ai sensi dell’art. 709 – ter c.p.c.: tale domanda, ritenuta abbandonata dal Tribunale, è stata infatti rigettata nel merito dalla Corte d’Appello, la quale ha espressamente riformato sul punto la sentenza di primo grado, con la conseguenza che non è configurabile, nel caso in esame, l’identità delle ragioni di fatto poste a base della decisione. che ai sensi dell’art. 348 – ter c.p.c., esclude l’impugnabilità della sentenza ai sensidell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. L’evidenziato assorbimento, nell’ambito del riesame compiuto dalla sentenza di appello, del rilievo formulato dal Giudice di primo grado in ordine alla condotta ostativa tenuta dalla C., consente peraltro di escludere la sussistenza del vizio dedotto, configurabile esclusivamente in caso di contrasto insanabile tra le argomentazioni addotte nella sentenza impugnata, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico seguito per giungere alla decisione, e quindi non ipotizzabile allorquando, come nella specie, la contraddizione denunciata riguardi non già più proposizioni contenute nella sentenza impugnata, tra loro inconciliabili, ma le valutazioni contrastanti compiute dal giudice di primo grado e da quello di seconde cure (cfr. Cass.. Sez. 3^, 26 giugno 2007, n. 14767: 9 febbraio 2004, n. 2427; Cass.. Sez. 11. 15 luglio 1971, n. 2314).
2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione, in relazione agliartt. 143 e 151 c.c., agliartt. 112 e 132 c.p.c.edall’art. 118 disp. att. c.p.c., nonché l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, sostenendo che, nel confermare l’addebitabilità della separazione ad esso ricorrente e nell’escludere la responsabilità della C., la Corte di merito si è limitata a richiamare acriticamente la sentenza di primo grado, senza esaminare le censure da lui sollevate, riflettenti l’omesso esame delle gravissime condotte tenute dalla donna e la mancata dimostrazione della relazione extraconiugale a lui ascritta. La sentenza impugnata non reca infatti alcuna motivazione in ordine ai fatti riferiti dai testi e comprovati dalla documentazione prodotta, ed in particolare alla condotta aggressiva ed offensiva tenuta dalla C. nel corso della convivenza, alla disponibilità da lei manifestata verso nuove conoscenze attraverso la sua pagina Facebook, alla ripresa della frequentazione di un ex fidanzato, all’inopinato allontanamento della donna dalla casa familiare ed al suo trasferimento in una località posta ad 800 km di distanza con l’ingiustificata imposizione di una situazione di lontananza tra il figlio minore ed il padre, nonché all’avvenuta presentazione da parte della C. di una denuncia penale e di un ricorso al Tribunale per i minorenni, rivelatisi poi infondati, per comportamenti sessualmente orientati da lui
asseritamente tenuti nei confronti del figlio.
3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la violazione degliartt. 143 e 151, 2697 e 2729 c.c.edell’art. 253 c.p.c., nonché l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, ribadendo che la sentenza impugnata ha radicalmente omesso di esaminare le violazioni dei doveri di solidarietà e fedeltà coniugale da lui ascritte alla C., che avevano costituito oggetto di discussione tra le parti, in quanto idonee a determinare l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza. La Corte di merito non ha infatti considerato che l’addebito della separazione richiede una valutazione globale e ponderata delle condotte reciprocamente tenute dai coniugi. al fine di verificare se le stesse siano state poste in essere in un momento in cui la convivenza era già divenuta intollerabile.
4. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni intimamente connesse, sono in parte infondati, in parte inammissibili.
Ai fini dell’addebito della separazione, la sentenza impugnata si è attenuta al principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la relativa pronuncia presuppone l’accertamento della riconducibilità della crisi coniugale alla condotta di uno o di entrambi i coniugi, consapevolmente e volontariamente contraria ai doveri coniugali, e quindi della sussistenza di un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell’intollerabilità della convivenza, condizione per la pronuncia di separazione. Nella valutazione della condotta di ciascun coniuge, la Corte di merito ha dato opportunamente atto dell’esigenza di tener conto anche di quella dell’altro, in modo tale da stabilire, attraverso un giudizio di natura comparativa, se il comportamento censurato potesse ritenersi relativamente giustificato, configurandosi non tanto come causa, quanto come effetto della frattura dell’unione, già eventualmente verificatasi (cfr. ex plarimis, Cass. Sez. 1^, 20 agosto 2014, n. 18074; 27 giugno 2006, n. 14840; 11 giugno 2005, n. 12383). E’ in quest’ottica che essa ha escluso la responsabilità della C. per il fallimento dell’unione, osservando che l’allontanamento della stessa dalla casa coniugale, addotto a sostegno della domanda di addebito proposta dall’ O., non costituiva violazione del dovere di coabitazione, essendo stato determinato dalla scoperta di una relazione intrapresa dall’uomo con un’altra donna, ed individuando proprio in tale circostanza la causa dei litigi tra i coniugi e dell’irreversibile crisi del nucleo familiare, con la conseguente addebitabilità della separazione al ricorrente. Pur non essendosi specificamente soffermata su ciascuno dei comportamenti ascritti dall’ O. alla C., la sentenza impugnata non ha affatto omesso di prenderli in considerazione, ribadendo la valutazione compiuta dal Giudice di primo grado, secondo cui gli stessi erano rimasti assolutamente indimostrati, non avendo trovato conferma nelle deposizioni rese dai testimoni escussi.
Nel contestare il predetto apprezzamento, il ricorrente non è in grado d’indicare le lacune argomentative o le carenze logiche del ragionamento seguito dalla sentenza impugnata, ma si limita ad insistere sull’omessa valutazione delle condotte da lui denunciate, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso la apparente deduzione dei vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, una rivisitazione dell’accertamento in fatto, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza logico – giuridica del ragionamento seguito nella sentenza impugnata, nei limiti in cui la stessa è censurabile in sede di legittimità, alla luce della nuova formulazionedell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotta dalD.L. 22 giugno 2012, n. 83,art.54, convertito con modificazioni dallaL. 7 agosto 2012, n. 134. In riferimento all’addebito della separazione la deduzione del vizio di motivazione trova d’altronde ostacolo, a differenza dell’analoga censura riguardante il rigetto della domanda proposta ai sensi dell’art. 709 – ter c.p.c., nell’avvenuta conferma della pronuncia adottata in primo grado da parte della sentenza d’appello, che, in quanto fondata sulle medesime ragioni, comporta l’operatività della preclusione prevista dall’art. 348 – ter c.p.c..
5. Il ricorso va pertanto rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, e condanna O.R. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 5.200,00, ivi compresi Euro 5.000.00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
Ai sensi delD.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,art.13, comma 1- quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1 – bis.
Ai sensi delD.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196,art.52, dispone che, in caso di diffusione della presente anzi siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Può disconoscersi il figlio dando la prova della fecondazione eterologa ancorché a base della originaria domanda sia stata posta un’altra ragione

Cass. civ. Sez. I, 28 marzo 2017, n. 7965
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente – Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere – Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere – Dott. ACIERNO Maria – Consigliere – Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19272-2014 proposto da:
T.R., elettivamente domiciliato ROMA, VIA SANTA TERESA 2, presso l’avvocato STEFANO TAURINI, che lo rappresenta difende unitamente all’avvocato MAURIZIO HAZAN, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
V.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TITO LIVIO 67, presso l’avvocato LEOPOLDO LOMBARDI, rappresentata e difesa dall’avvocato DANIELA MISSAGLIA, giusta procura in calce al controricorso;
T.L. (ora maggiorenne, prima in persona della curatrice avv. G.S.), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA LODA, SABRINA GHEZZI, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
contro
PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI BRESCIA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 517/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 16/04/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/10/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato FABRIZIO PIETROSANTI, con delega, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente V., l’Avvocato DANIELA MISSAGLIA che ha chiesto l’inammissibilità o il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1.- Con atto di citazione notificato il 7 agosto 2008, T.R. ha convenuto in giudizio la moglie V.A., con la quale aveva contratto matrimonio il (OMISSIS) e dalla quale era separato dal (OMISSIS), e ha chiesto di dichiarare di non essere padre del figlio minore T.L. nato il (OMISSIS) e rappresentato in giudizio dalla curatrice speciale avv. G.S.. Il T. ha riferito di avere scoperto il proprio stato di impotenza a generare quando, a seguito della difficoltà di avere un figlio da un’altra donna con la quale aveva intrapreso una successiva relazione, si era sottoposto ad accertamenti diagnostici che nell'(OMISSIS) avevano rivelato la sua condizione; ne aveva avuto certezza nel (OMISSIS) quando aveva ricevuto una lettera nella quale la V. lo informava che L. era nato grazie ad un imprecisato “aiuto di laboratorio”.
2.- Nel contraddittorio con i convenuti, il Tribunale di Bergamo ha rigettato la domanda.
3.- Il gravame di Raul T. è stato rigettato dalla Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 16 aprile 2014, sulla base delle seguenti considerazioni: la domanda di disconoscimento di paternità era stata proposta dall’attore sul presupposto della sua impotenza a generare e mai nel giudizio di primo grado egli aveva introdotto, come impropriamente aveva tentato di fare in appello, nuove cause fondanti il disconoscimento, come l’adulterio l’inseminazione eterologa cui la V. si sarebbe sottoposta a sua insaputa, sicché a ragione il primo giudice non le aveva esaminate; tanto premesso, secondo la Corte, l’impotenza dell’attore non era assoluta, come risultava dalla c.t.u. e dalla dichiarazione della moglie di avere in passato concepito un bambino con il marito mediante fecondazione omologa cui era seguito un aborto spontaneo; inoltre, l’azione era stata proposta quando era già decorso il termine di decadenza annuale previstodall’art. 244 c.c., comma 2, non avendo l’attore provato di essere venuto a conoscenza della propria incapacità di generare non più di un anno prima della proposizione della domanda giudiziale; risultava invece che egli fosse venuto a conoscenza della sua condizione sin dal 1995, quando si era sottoposto a pratiche mediche per avere un figlio; pertanto la Corte non ha accolto l’istanza istruttoria di accertamento genetico della paternità.
4.- Avverso questa sentenza il T. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi; si sono difesi con controricorsi T.L. e la V., quest’ultima anche con memoria.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso il T. denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione degliartt. 112 e 115 c.p.c.,art. 116 c.p.c.,art. 132 c.p.c., comma 2 eart. 118 disp. att. c.p.c.eart. 111 Cost., comma 6, per avere trascurato le sue deduzioni e argomentazioni relative al fatto, costituente adulterio, che il figlio era nato da una fecondazione eterologa praticata dalla moglie a sua insaputa; tale fatto era stato posto ad ulteriore fondamento della propria domanda di disconoscimento di paternità non appena ne aveva avuto conoscenza, nel primo grado di giudizio, a seguito della confessione della V. all’udienza del 30 luglio 2009.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione dei medesimi parametri indicati nel precedente motivo, nonchédell’art. 345 c.p.c.: imputa alla Corte d’appello di avere erroneamente ravvisato un mutamento di domanda per aver egli fatto valere in appello non più la scoperta della sua incapacità a generare ma la fecondazione eterologa riferita dalla V. e della quale non v’era neppure certezza, essendosi invece egli limitato a precisare la domanda iniziale, adeguandola alle prove acquisite nel corso del processo.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degliartt. 113, 115 e 116 c.p.c.,art. 235 c.c., nn. 2 e 3,artt. 244 e 2697 c.c., per avere la Corte ignorato fatti decisivi che dimostrerebbero la tempestività dell’azione di disconoscimento, avendo egli avuto conoscenza della propria incapacità di generare nel periodo tra (OMISSIS) (in base ai risultati di un test diagnostico) e (OMISSIS) (quando quelle che lui considerava difficoltà superabili si erano rivelate un vero e proprio impedimento a generare).
Il quarto motivo denuncia omesso esame di un punto decisivo e controverso tra le parti, in relazioneall’art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine alla mancata ammissione di una indispensabile e decisiva c.t.u. ematico genetica.
2.- Il primo, secondo e quarto motivo, da esaminare congiuntamente, sono fondati nei termini che si esporranno; il terzo è infondato.
3.- La domanda di disconoscimento della paternità del figlio è stata proposta da T.R. in ragione della scoperta della sua totale impotenza a generare. Egli era tenuto a dare prova della sua condizione, poiché il padre che fonda l’azione di disconoscimento di paternità sull’impotenza ha l’onere di fornire la prova dell’incapacità assoluta a generare per tutto il periodo corrispondente a quello del concepimento (v. Cass. n. 4783/1984). I giudici di merito, con adeguato e incensurato apprezzamento di fatto che a questa Corte non è consentito sovvertire, hanno accertato una incapacità solo parziale a generare a causa di una “azoospermia severa”, ma non di una “assoluta azoospermia”. Ciò è sufficiente a rendere il terzo motivo infondato, rimanendo superata la questione della tempestività dell’azione rispetto al momento in cui l’interessato aveva avuto la possibilità di proporla.
4.- La questione posta negli altri motivi è se, proposta un’azione di disconoscimento per impotenza a generare (art. 235 c.c., n. 2, abrogato dalD.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154,art.106, comma 1, lett. a, trasfuso, quanto alle ipotesi di disconoscimento di paternità,nell’art. 244 c.c., come sostituito dalD.Lgs. n. 154 del 2013,art.18), chi agisce possa, nel corso del processo, fare valere ragioni diverse a sostegno del disconoscimento, come quella rappresentata dal ricorrente, il quale ha assimilato all’adulterio (v. l’abrogato art. 235, n. 3 e il vigenteart. 244 c.c., comma 2,) il concepimento mediante ricorso da parte della moglie, a sua insaputa, alla fecondazione eterologa.
A tale questione si deve dare risposta affermativa.
5.- Nell’azione di disconoscimento della paternità – la quale, con la negazione della paternità del marito della madre, tende all’accertamento negativo dello status di figlio risultante dall’atto di nascita – petitum e causa petendi restano identici ed unitari, quali siano i fatti che, nell’ambito di quelli tipizzati dal legislatore (art. 244 c.c.), vengano in concreto addotti a sostegno della pretesa. Ne consegue che il mutamento dei predetti fatti, non integranti distinte causae petendi, è consentito nel corso del giudizio, purché nel rispetto del principio del contraddittorio e dei limiti di deducibilità di nuove prove nelle varie fasi e gradi del giudizio medesimo, in quanto non comporta la proposizione di una domanda nuova (in tal senso Cass. n. 852/1976, secondo cui l’eventuale giudicato di rigetto dell’azione di disconoscimento, coprendo il dedotto ed il deducibile, preclude la riproposizione dell’azione stessa, anche se, nel nuovo giudizio, la prova della negazione del rapporto di paternità abbia per oggetto un fatto tipico diverso da quello in precedenza invocato). Che la deduzione in corso di causa dell’adulterio della moglie – o, si deve aggiungere, di fatti ora assimilabili – non costituisca una non consentita mutatio libelli (v. Cass. n. 5687/1984), essendo l’azione di disconoscimento unicamente volta a fare accertare l’insussistenza del legame biologico con il figlio nato nell’ambito del rapporto matrimoniale, è dimostrato anche dal fatto che, ove l’azione sia promossa per l’impotenza del marito, l’esperimento della prova ematico-genetica non è subordinato all’esito positivo della prova dell’impotenza a generare (v. Cass. n. 15089/2008); analogamente, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 266 del 2006, possibile dare ingresso alla prova ematico-genetica indipendentemente dalla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie (v. Cass. n. 8356/2007).
La possibilità di dare accesso alla suddetta prova presuppone il rispetto, da parte del marito che agisca in giudizio, del termine annuale di decadenza fissatodall’art. 244 c.c., a decorrere, però, dal momento in cui egli abbia avuto conoscenza certa dell’adulterio inteso come vera e propria relazione, o incontro, di tipo sessuale, idoneo a determinare il concepimento del figlio che si vuole disconoscere, e non come semplice sospetto Cass. n. 14556/2014, n. 15777/2010).
Questa Corte ha precisato che la disciplina contenutanell’art. 235 c.c.è applicabile anche alla filiazione derivante da fecondazione artificiale, tenuto conto che il quadro normativo, a seguito dellaL. 19 febbraio 2004, n. 40, come interpretabile alla luce del principio del favor veritatis, si è arricchito di una nuova ipotesi di disconoscimento, che si aggiunge a quelle previste dalla citata disposizione codicistica; pertanto, per ragioni sistematiche e di identità della ratio, il termine di decadenza previstodall’art. 244 c.c.è applicabile in tale ipotesi e decorre dal momento (comunque successivo alla nascita) in cui sia acquisita la certezza del ricorso al metodo di procreazione assistita (v. Cass. n. 11644/2012).
6.- La sentenza impugnata si è erroneamente arrestata a valutare la tempestività dell’azione di disconoscimento con riguardo al momento di presunta acquisizione della conoscenza dell’impotenza (peraltro rivelatasi non assoluta) e l’ha ritenuta tardiva, sul presupposto che quella conoscenza risalisse al 1995, mentre, a fondamento dell’azione, il T. aveva legittimamente dedotto un fatto ulteriore rispetto al quale l’azione era certamente tempestiva, per avere la moglie fatto ricorso, a sua insaputa, alla pratica della procreazione assistita. In particolare, il ricorrente fa plausibilmente coincidere il momento in cui ebbe sicura conoscenza dell’utilizzazione di tale pratica con quello della ricezione, nel (OMISSIS), della lettera con cui la moglie faceva cenno ad un imprecisato “aiuto di laboratorio” per la nascita del figlio, oppure con la dichiarazione, resa in giudizio all’udienza del 30 luglio 2009, nella quale la moglie ammetteva di avere effettuato un’inseminazione eterologa: in entrambi i casi, la domanda giudiziale, proposta nel mese di agosto 2008, è tempestiva, non essendo stati prospettati elementi concreti per ritenere che tale conoscenza risalisse ad un’epoca anteriore.
7.- Di conseguenza, risulta fondata anche la doglianza (esposta nel quarto motivo) relativa al mancato espletamento della prova ematologica, la quale, presentando un elevatissimo grado di attendibilità, grazie alle avanzate acquisizione scientifiche nel campo della genetica, avrebbe consentito potrà consentire nel giudizio di rinvio) di accertare la sussistenza o no della paternità biologica del T..
8.- In conclusione, in accoglimento del primo, secondo e quarto motivo, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, secondo e quarto motivo di ricorso e rigetta il terzo; in relazione ai motivi accolti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.

L’inadeguatezza culturale può essere posta a base della concessione di attenuanti generiche nel delitto di maltrattamenti in danno di minori

Cass. pen. Sez. VI, 15 febbraio 2017, n. 10906
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. IPPOLITO Francesco – Presidente – Dott. TRONCI Andrea – Consigliere – Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere – Dott. GIORDANO Emilia A. – rel. Consigliere – Dott. D’ARCANGELO Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da: Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Brescia;
nel procedimento a carico di:
1) H.K.B.H., n. il (OMISSIS);
2) T.F., n. il (OMISSIS);
A.I., n. in (OMISSIS);
avverso la sentenza del 23/4/2015 del Tribunale di Cremona visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Emilia Anna Giordano;
udito il Procuratore generale, Dott. CANEVELLI Paolo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. H.K.B.H. e T.F. sono stati dichiarati responsabili del reato di cui agliartt. 110 e 572 cod. pen.commesso in danno del figlio minore, commesso in (OMISSIS) fino al mese di (OMISSIS) e condannati, con le concesse circostanze attenuanti generiche e la diminuente del rito abbreviato, alla pena di mesi sei di reclusione ciascuno.

2. Propone ricorso il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Brescia e denuncia vizio di violazione di legge per mancanza di motivazione in relazione alle riconosciute circostanze attenuanti generiche. Deduce, in particolare, che nella sentenza impugnata non sono stati indicati gli elementi giustificativi della decisione poiché l’applicazione delle circostanze attenuanti, in presenza di elementi negativi, non può costituire oggetto di benevola concessione nè un diritto dell’imputato, dovendo derivare dalla esistenza di elementi suscettibili di concreto e positivo apprezzamento.
3. Il ricorso è infondato, non riscontrandosi nella sentenza impugnata i vizi di omissione e/o contraddittorietà della motivazione, che integrano il dedotto vizio di violazione di legge (Sez. 1, n. 6821 del 31/01/2012, dep. 21/02/2012, Chiesi, Rv. 25243001).
4. Il giudice dell’udienza preliminare, senza fare ricorso a formula stereotipe, ha esplicitato gli elementi di valutazione che, ricondotti al giudizio di gravità del reato e alla personalità degli imputati, li rendevano meritevoli dell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche al fine di mitigare il trattamento sanzionatorio loro inflitto, pure contenuto in misura prossima al minimo edittale. A tal fine la sentenza impugnata ha evidenziato la inadeguatezza etnico-culturale degli imputati – che li induceva a ritenere consentite punizioni corporali che nel paese di origine non costituiscono illecito – ma, soprattutto, la incapacità culturale degli imputati di rendersi conto della patologia (iperattività e disturbo dell’attenzione) poi diagnosticata al minore in occasione del suo affidamento ad una struttura protetta, in seguito alla emersione dei fatti del presente procedimento e la loro conseguente incapacità di gestirne comportamenti oppositivi e provocatori che venivano erroneamente ricondotti ad aspetti caratteriali che si proponevano di contenere con metodi, certamente non consentiti ed erroneamente ritenuti educativi. Ai fini del giudizio di gravità del fatto ha altresì rilevato che le lesioni, in più occasioni riscontrate dagli insegnanti sul bambino, potevano essere ricondotte a comportamenti eccitati e imprudenti del piccolo e non univocamente, come pure accertato per altri episodi, a condotte violente dei genitori. È, dunque, agevole rilevare che il giudice ha compiuto un apprezzamento delle condizioni che legittimano l’applicazione delle circostanze attenuanti, valorizzando sia elementi obiettivi, incidenti sul giudizio di gravità del reato, sia elementi soggettivi che hanno determinato un giudizio di minore disvalore del fatto (Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Straface, Rv. 248737), giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, e sottratto, se adeguatamente motivato, al controllo in sede di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

MANTENIMENTO DEI FIGLI MINORENNI

di Gianfranco Dosi
I. L’obbligo dei genitori di mantenere i figli (art. 30 Cost.)
II. Il diritto dei figli di essere mantenuti (art. 315-bis c.c.)
III. Il mantenimento dei figli nel corso della vita familiare (art. 316-bis c.c.)
a) L’art. 316-bis e il suo rapporto con l’art. 337-bis e seguenti del codice civile
b) Lo speciale procedimento monitorio
c) La responsabilità sussidiaria indiretta degli ascendenti
IV. Il mantenimento dei figli minori in caso di separazione dei genitori (art. 337-bis e
seguenti c.c.)
a) Gli accordi tra i genitori sul mantenimento
b) Il trasferimento di diritti reali in favore dei figli
c) Il provvedimento del giudice sul mantenimento dei figli e i criteri previsti
d) I poteri del giudice: l’istruttoria e le indagini tributarie
e) Le diverse regole processuali per i figli nati nel matrimonio e per i figli nati fuori dal
matrimonio in caso di scissione della coppia genitoriale
f) L’intervento obbligatorio del pubblico ministero
g) L’adeguamento automatico degli importi di mantenimento
h) L’estensione ai figli maggiorenni
i) Il trattamento fiscale dell’assegno di mantenimento per i figli
V. Le spese straordinarie
a) La qualificazione delle spese straordinarie
b) L’obbligatorietà della partecipazione di entrambi i genitori alle spese straordinarie
c) Il problema del previo consenso tra i genitori: il nuovo orientamento della giurisprudenza
d) Giudice competente e questioni processuali nelle controversie sul mancato rimborso
delle spese straordinarie
VI. Le nuove garanzie del diritto al mantenimento dei figli: l’art. 3, comma 2, della legge
10 dicembre 2012, n. 219
a) Le garanzie reali e personali e il sequestro
b) L’iscrizione di ipoteca
c) L’immediata esecutività della decisione
VII. L’ordine al terzo di versamento dell’assegno in caso di inadempimento da parte dell’obbligato
VIII. I contrasti tra genitori sul mantenimento dei figli
IX. La revisione delle obbligazioni di mantenimento
X. La prescrizione
XI. Le conseguenze penali e civili dell’inadempimento
a) La sanzione penale
b) I riflessi dell’inadempimento sulla responsabilità genitoriale
c) Il risarcimento dei danni
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I
L’obbligo dei genitori di mantenere i figli (art. 30 Cost.)
L’affermazione costituzionale che “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio” (art. 30 Cost.) a prima vista potrebbe apparire una chiarissima indicazione. In verità è stata al centro negli ultimi anni di una discussione anche in giurisprudenza in ordine al problema se il dovere di mantenere i figli inizi dalla nascita del figlio o dall’acquisizione dello status.
Secondo l’insegnamento tradizionale il confine di inizio dovrebbe coincidere con l’acquisizione dello status (con la denuncia di nascita se il figlio è nato da genitori coniugati o con il riconoscimento se è nato fuori del matrimonio).
Pertanto non si è mai dubitato del fatto che i genitori sono investiti della potestà/responsabilità con la formazione del titolo di stato della filiazione.
Tuttavia da alcuni anni la giurisprudenza che si è occupata della filiazione fuori dal matrimonio ha voluto richiamare, appunto, l’art. 30 della Costituzione per farne conseguire l’affermazione del principio che la responsabilità genitoriale è collegata non all’acquisizione dello status ma alla procreazione. I doveri cui fa riferimento l’art. 30 della Costituzione non sarebbero cioè condizionati al riconoscimento del figlio ma deriverebbero dalla nascita in sé.
In passato Corte cost. 13 maggio 1998, n. 166 aveva avuto modo di richiamare la solennità del dovere di
mantenere i figli affermando che “Il primo obbligo enunciato dall’art. 147 c.c. consiste in quello di mantenimento della prole: è questo un dovere inderogabile, che nella sua concreta attuazione è commisurato in proporzione alle rispettive sostanze dei genitori e alle capacità di lavoro di ciascuno”. Ne è conseguita nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione che la sentenza di accertamento della filiazione naturale, in quanto ha natura dichiarativa dello stato biologico di procreazione, fa sorgere a carico del genitore tutti i doveri propri della procreazione legittima, compreso quello di mantenimento.
Il figlio riconosciuto tardivamente (spontaneamente o in sede giudiziale) ha perciò diritto al mantenimento con decorrenza dalla nascita. Naturalmente il mantenimento si suddividerà tra entrambi i genitori, essendo entrambi tenuti al dovere di mantenere il figlio.
È stato anche più volte affermato che la sentenza di accertamento della paternità o maternità naturale ha natura dichiarativa nel senso che la sentenza accerta uno status che attribuisce al figlio naturale tutti i diritti con efficacia retroattiva, sin dal momento della nascita. L’esercizio dei diritti connessi a tale status non può peraltro prescindere dall’accertamento giudiziale o dal riconoscimento effettuato dal genitore. In quanto attributiva di uno status e dei diritti ad esso connessi, la sentenza va pertanto qualificata come costitutiva, nel senso che senza di essa lo status di figlio naturale non sorge e non vi può essere rivendicazione utile dei diritti che a tale status si accompagnano, ancorché per effetto della pronuncia il godimento di tali diritti retroagisca alla data della nascita.
Si parla in giurisprudenza a tale proposito di “natura costitutiva della sentenza dichiarativa della filiazione”
(Cass. civ. Sez. I, 3 novembre 2006, n. 23596).
La sentenza che accerta e dichiara la filiazione ha quindi natura costituiva anche se i suoi effetti retroagiscono al momento della nascita, garantendo così al figlio minore una copertura completa del suo diritto al mantenimento dalla nascita in poi. Sulla decorrenza dalla nascita dell’obbligazione di mantenimento in seguito alla sentenza che accerta la filiazione, la giurisprudenza è copiosa e assolutamente consolidata. In molte decisioni espressamente il dovere di mantenimento viene collegato all’avvenuto accertamento della paternità, e si precisa che i doveri genitoriali sorgono con decorrenza dalla nascita ma in seguito al riconoscimento ancorché tardivo oppure in seguito alla sentenza. Il principio può essere considerato ormai del tutto pacifico come anche di recente ribadito da Cass. civ. Sez. VI – 1, 14 luglio 2016, n. 14417 secondo cui la sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento da cui conseguono tutti i doveri propri della procreazione legittima tra i quali l’obbligo di mantenimento.
Ciò premesso, solo negli ultimi anni la giurisprudenza si è interrogata sul problema se l’obbligazione di mantenimento prescinda o meno dall’avvenuto, sia pure tardivo riconoscimento, e sorga, invece, per il fatto in sé della procreazione. A questo interrogativo, dopo qualche presa di posizione iniziale più sfocata o contraria, viene data oggi una risposta sostanzialmente positiva e la più recente giurisprudenza ha così affermato il principio della anticipazione della responsabilità genitoriale al momento della procreazione indipendentemente dal riconoscimento.
Ed anzi, la violazione dell’obbligo di mantenimento è stata ritenuta fonte di risarcimento del danno alla cui base vi sarebbe il fatto illecito costituito dalla violazione del dovere di mantenimento.
In Cass. civ. Sez. I, 2 febbraio 2006, n. 2328 si legge per esempio che “l’obbligo di mantenere i figli sussiste
per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsivoglia domanda, sicché nell’ipotesi in cui al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene meno l’obbligo dell’altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, essendo sorto sin dalla nascita il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato nei confronti di entrambi i genitori.
Più articolata si presenta Cass. civ. Sez. I, 3 novembre 2006, n. 23596 dove si legge: “Nell’ipotesi in cui
al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene meno l’obbligo dell’altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia di dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale, essendo sorto sin dalla nascita il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato da parte di entrambi i genitori… La legge pone a carico dei genitori l’obbligo di mantenere i figli per il solo fatto di averli generati …Da ciò consegue che il genitore naturale, dichiarato tale con provvedimento del giudice, non può sottrarsi alla sua obbligazione nei confronti del figlio per la quota posta a suo carico, ma è tenuto a provvedere, sin dal momento della nascita”.
Da queste affermazioni tuttavia non sembra ancora potersi indurre che l’obbligo di mantenimento esiste a prescindere dall’accertamento della paternità.
Soltanto nel 2012 una sentenza affrontava per la prima volta espressamente il tema del risarcimento del danno (Cass. civ. Sez. I, 10 aprile 2012, n. 5652). Un uomo si era rifiutato di riconoscere il figlio nonostante numerose richieste dell’altro genitore. All’esito della causa di accertamento giudiziale della paternità azionata dal figlio quarantenne, il Tribunale di Catania dichiarava la paternità e condannava l’uomo al risarcimento dei danni cagionati al figlio dal mancato tempestivo riconoscimento. La Corte d’Appello confermava la decisione. Il figlio e il padre ricorrevano entrambi per Cassazione sostenendo il figlio che il risarcimento era stato del tutto inadeguato e chiedendo, invece, il padre l’annullamento della sentenza perché erroneamente aveva accolto la domanda di risarcimento. Il ricorso del padre viene rigettato con questa motivazione: “Viene in primo luogo in considerazione la tesi secondo cui il riconoscimento della paternità, o, come sembra di capire, quanto meno la proposizione della relativa domanda, costituiscano il presupposto della responsabilità aquiliana scaturente dalla violazione dei doveri inerenti al rapporto di filiazione. Tale assunto è all’evidenza infondato, in quanto contrastante con il principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo cui l’obbligo del genitore naturale di concorrere nel mantenimento del figlio insorge con la nascita dello stesso, ancorché la procreazione sia stata successivamente accertata con sentenza (Cass., 20 dicembre 2011, n. 27653; Cass., 3 novembre 2006. n. 23596), atteso che la sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento e quindi, ai sensi dell’art. 261 c.c., implica per il genitore tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ricollegandosi tale obbligazione allo status genitoriale e assumendo, di conseguenza, efficacia retroattiva”.
Conclude la decisione nel senso che “la sussistenza di tale obbligo, raccordata alla consapevolezza del concepimento, come sopra evidenziata, esclude la fondatezza della tesi secondo cui la responsabilità del D. dovrebbe escludersi in assenza di specifiche richieste provenienti dalla S. o dal figlio… L’obbligo dei genitori di mantenere i figli (artt. 147 e 148 c.c.) sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsivoglia domanda, sicché nell’ipotesi in cui al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene meno l’obbligo dell’altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, essendo sorto sin dalla nascita il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato nei confronti di entrambi i genitori (Cass., 2 febbraio 2006, n. 2328). Deve ribadirsi come la violazione di obblighi cui corrispondono, nel destinatario, diritti primari della persona, costituzionalmente garantiti, comporta la sussistenza di un illecito civile certamente riconducibile nelle previsioni dell’art. 2043 c.c. e seguenti”.
Quindi Cass. civ. Sez. I, 10 aprile 2012, n. 5652 sostiene che l’illecito fonte di obbligazione risarcitoria è la
violazione del dovere di mantenimento.
Una successiva decisione ha riaffermato lo stesso principio all’interno di una ricostruzione ancora più assertiva.
Si tratta di Cass. civ. Sez. I, 22 novembre 2013, n. 26205 secondo la quale “l’obbligo dei genitori di educare
e mantenere i figli è eziologicamente connesso esclusivamente alla procreazione, prescindendo dalla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, così determinandosi un automatismo tra responsabilità genitoriale e procreazione, che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell’ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l’assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore. Il presupposto di tale responsabilità e del conseguente diritto del figlio al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali è costituito dalla consapevolezza del concepimento, che non si identifica con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, ma si compone di una serie di indizi univoci, quali, nella specie, la indiscussa consumazione di rapporti sessuali non protetti all’epoca del concepimento”.
Quindi, secondo queste decisioni, l’obbligo dei genitori di educare e mantenere i figli è connesso esclusivamente alla procreazione, prescindendo dalla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, così determinandosi un automatismo tra responsabilità genitoriale e procreazione, che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell’ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l’assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore.
In conclusione, secondo quanto emerge dalla giurisprudenza più recente, non riconoscere un figlio fuori dal matrimonio consapevolmente procreato costituirebbe illecito fonte di risarcimento, con la conseguenza che l’inizio della responsabilità genitoriale dovrebbe considerarsi anticipata alla procreazione consapevole.
L’art. 30 della Costituzione viene quindi interpretato nel senso che “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio” ancorché non li abbiamo riconosciuti ed a condizione che abbiano consapevolezza di averli procreati.
II
Il diritto dei figli di essere mantenuti (art. 315-bis c.c.)
Il principio che il figlio ha diritto di essere educato, istruito e mantenuto è sempre stato un principio fondante del diritto di famiglia ed aveva originariamente la sua disciplina legale nel codice civile riformato nel 1975 (originari articoli 147 e 148) e nelle norme sulla separazione (originario art. 155 c.c.) e sul divorzio (art. 6 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come modificata dalla legge 6 marzo 1987, n. 74).
La legge 8 febbraio 2006, n. 54 sull’affidamento condiviso dei figli, che riformulò tutti i principi sull’affidamento e sul mantenimento dei figli, ne unificò con l’art. 4 la regolamentazione, prescrivendo che “Le disposizioni della presente legge si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”.
L’estensione della disciplina ai figli nati fuori dal matrimonio determinò nel 2006 il passaggio di tutte le competenze giudiziarie in questo ambito al tribunale ordinario (che per quanto attiene al mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio l’aveva comunque sempre avuta).
La riforma sulla filiazione operata con la legge 10 dicembre 2012, n. 219 e con il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 ha cancellato ogni ulteriore differenziazione tra filiazione all’interno del matrimonio e filiazione fuori dal matrimonio mettendo in atto una operazione di razionalizzazione che si è tradotta nella unificazione normativa della disciplina normativa sia con riguardo alla famiglia unita, sia in seguito alla scissione della coppia genitoriale.
Questa operazione di razionalizzazione è stata realizzata intorno alla piattaforma fondamentale costituita dai diritti e doveri del figlio (art. 315-bis 2) e dalla responsabilità genitoriale (art. 316 3).
Ed è proprio l’art. 315-bis che afferma, in apertura della nuova sistematica (ribadendo sostanzialmente il contenuto del previgente art. 147 c.c.), che “Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni”.
Il mantenimento si conferma, quindi, innanzitutto come un diritto del figlio,
2 Art. 315-bis. (Diritti e doveri del figlio)
Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.
Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti.
Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.
Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa.
3 Art. 316. (Responsabilità genitoriale)
Entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale che è esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. I genitori di comune accordo stabiliscono la residenza abituale del minore.
In caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei.
Il giudice, sentiti i genitori e disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del figlio e dell’unità familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l’interesse del figlio.
Il genitore che ha riconosciuto il figlio esercita la responsabilità genitoriale su di lui. Se il riconoscimento del figlio, nato fuori del matrimonio, è fatto dai genitori, l’esercizio della responsabilità genitoriale spetta ad entrambi.
Il genitore che non esercita la responsabilità genitoriale vigila sull’istruzione, sull’educazione e sulle condizioni di vita del figlio.
MANTENIMENTO DEI FIGLI MINORI
III
Il mantenimento dei figli nel corso della vita familiare (art. 316-bis c.c.)
a) L’art. 316-bis e il suo rapporto con l’art. 337-bis e seguenti del codice civile
La collocazione sistematica dell’art. 316-bis c.c.4 (previgente art. 148 c.c.) pone alcuni problemi che richiedono di essere affrontati e risolti.
La norma indica principi generali tra cui, in primo luogo, quello secondo cui “I genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo”.
Questo principio è espresso come regola primaria per il rapporto genitori-figli sia che tale rapporto si svolga
nell’ambito della famiglia unita, sia in caso di scissione della coppia genitoriale in cui la disciplina del mantenimento dei figli è poi specificamente regolata dagli accordi dei genitori (raggiunti in sede giudiziaria o in sede di negoziazione) o dai provvedimenti del giudice (art. 337-bis ss c.c.). Per famiglia unita va intesa anche la famiglia composta dal figlio nato fuori dal matrimonio e dal solo genitore che lo abbia riconosciuto o con cui il figlio convive.
Se in linea generale il principio che si è richiamato previsto nel primo comma dell’art. 316-bis funziona come principio generale anche in sede di separazione dei genitori (art. 337-bis ss c.c.), occorre però precisare che non è così per tutto il contenuto della norma.
Infatti certamente la speciale procedura monitoria prevista nel secondo e nel terzo comma della disposizione, così come il procedimento ordinario a cui si allude nell’ultimo comma, non possono considerarsi procedure utilizzabili allorché il mantenimento sia stato disciplinato dagli accordi o dai provvedimenti giudiziari in seguito alla scissione della coppia genitoriale. In altre parole, una volta intervenuta una regolamentazione in materia di scissione della coppia genitoriale (art. 337 ss c.c.) saranno applicabili solo le regole della separazione (per esempio le procedure di revisione degli accordi o dei provvedimenti) ma non certamente le procedure monitorie previste nell’art. 316-bis o il procedimento ordinario a cui si allude nell’ultimo comma della norma. Ciò significa che i procedimenti sull’esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero i procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio si pongono come procedure eccezionali rispetto alla procedura monitoria prevista nell’art. 316-bis di cui in questi casi non è possibile fare applicazione e che non è, quindi, possibile sovrapporre alle procedure previste all’art. 337-bis e seguenti.
Ma questa conclusione vale anche se la coppia genitoriale si separa senza accedere alle procedure legali (giudiziarie o di negoziazione)? Nel caso di una coppia separata di fatto sarà possibile l’attivazione della speciale procedura monitoria? La risposta dovrebbe in linea teorica essere positiva dal momento che le procedure legali di separazione non possono essere considerate obbligatorie o imposte a chi non desidera.
Ugualmente la speciale procedura monitoria potrebbe essere utilizzata se il figlio nato fuori dal matrimonio convive con un solo genitore, finché non intervenga una regolamentazione dell’affidamento e del mantenimento. Il genitore può quindi scegliere di promuovere una procedura ex art. 316-bis ovvero, a sua scelta, la procedura di affidamento (art. 337-bis e seguenti). Ma una volta scelta la seconda strada non potrà in seguito utilizzare la procedura monitoria o il procedimento ordinario.
L’art. 316-bis, inoltre, prevede un altro principio generale e cioè quello in base al quale “Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli”. Trova applicazione questi principio anche nel caso in cui siano state attivate le procedure di cui all’art. 337-bis e seguenti? La risposta è certamente positiva dal momento che nell’ambito delle norme sulla separazione non è indicata alcuna diversa soluzione.
Pertanto, in conclusione, ferma in ogni caso l’applicazione dei principi espressi nel primo comma (proporzionalità tra i genitori nel mantenimento e responsabilità sussidiaria degli ascendenti), l’attivazione delle procedure di cui all’art. 337-bis e seguenti del codice civile esclude l’applicazione delle restanti parti dell’art. 316-bis (speciale procedura monitoria e revisione del mantenimento con procedimento ordinario).
Infine va aggiunto che il procedimento di cui all’art. 316-bis c.c. ha una portata più ampia delle procedure di
4 Art. 316-bis. (Concorso nel mantenimento)
I genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli.
In caso di inadempimento il presidente del tribunale, su istanza di chiunque vi ha interesse, sentito l’inadempiente ed assunte informazioni, può ordinare con decreto che una quota dei redditi dell’obbligato, in proporzione agli stessi, sia versata direttamente all’altro genitore o a chi sopporta le spese per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione della prole.
Il decreto, notificato agli interessati ed al terzo debitore, costituisce titolo esecutivo, ma le parti ed il terzo debitore possono proporre opposizione nel termine di venti giorni dalla notifica.
L’opposizione è regolata dalle norme relative all’opposizione al decreto di ingiunzione, in quanto applicabili.
Le parti ed il terzo debitore possono sempre chiedere, con le forme del processo ordinario, la modificazione e la revoca del provvedimento di separazione perché può essere utilizzato da chiunque vi ha interesse (per esempio un parente con cui il minore convive) oppure dallo stesso figlio maggiorenne.
b) Lo speciale procedimento monitorio
Il procedimento di cui all’articolo 316-bis c.c. (già articolo 148) prevede che “su istanza di chiunque vi ha interesse” il presidente del tribunale, sentite le parti inadempienti e il figlio, e assunte informazioni, possa determinare le modalità e il quantum del mantenimento.
Interessato ad azionare questo speciale procedimento – che è alternativo al procedimento ordinario e non ne esclude, quindi, l’applicazione – potrebbe essere uno dei genitori (come avviene nella prassi) o un parente che ospita il figlio minore, ma anche lo stesso figlio maggiorenne (non il pubblico ministero che non ha potere di azione in questa materia, ma solo un dovere di intervento se il figlio è minore).
Il presidente del tribunale può emettere un decreto che indichi l’importo del mantenimento a carico dei genitori (come nella prassi per lo più avviene) ovvero può porre l’obbligo a carico di terze persone. Il terzo può essere il datore di lavoro (terzo debitore in senso stretto) del genitore inadempiente ovvero anche gli stessi ascendenti – allorché entrambi i genitori non abbiano mezzi sufficienti – i quali dovranno corrispondere l’importo previsto ai genitori stessi per rendere possibile l’adempimento dell’obbligazione di mantenimento.
Il decreto emesso dal presidente del tribunale costituisce, dopo la notifica agli interessati, titolo esecutivo affinché il genitore che sopporta le spese di mantenimento del figlio possa pretendere il mantenimento dall’altro genitore o dalla terza persona (ascendente con esecuzione diretta o datore di lavoro con esecuzione presso terzi).
La parte obbligata e il terzo debitore possono fare opposizione entro venti giorni dalla notifica del provvedimento, dando inizio ad un giudizio ordinario di competenza del tribunale in composizione monocratica. È espressamente previsto, poi, che per ottenere la revoca o una modifica del provvedimento adottato con il procedimento di cui si è detto, si possa fare ricorso anche alle forme del processo ordinario.
È pacifico che l’opposizione è regolata dalle norme relative all’opposizione al decreto di ingiunzione con la sola differenza, rispetto alla procedura monitoria, che il termine per proporre opposizione non è di 40 giorni ma di 20 giorni. Tale normativa ha introdotto uno speciale rimedio avverso il provvedimento presidenziale in punto mantenimento, che esclude pertanto l’applicabilità degli artt. 669-bis e ss. (Trib. Perugia Sez. I, 23 luglio 2014)
Avverso il decreto del Presidente del Tribunale reso agli effetti degli articoli 315-bis e 316-bis del codice civile è inammissibile il reclamo alla Corte d’Appello ai sensi degli articoli 739 e 742-bis del codice di procedura civile (App. Bologna Sez. I, 20 febbraio 2015). Il decreto presidenziale emesso a causa dell’inadempimento, da parte del genitore, dei propri doveri verso il figlio, ed in particolare di quello attinente al suo mantenimento, è impugnabile esclusivamente con opposizione – secondo quanto previsto dal chiaro dettato dell’articolo 316 bis del codice civile – avanti il Tribunale, nel termine di venti giorni dalla notificazione del provvedimento, operando – a tal fine – le forme proprie dell’opposizione a decreto ingiuntivo. La tipicità del potere d’impugnazione riconosciuto, all’egida dell’indirizzo giurisprudenziale formatosi con riguardo all’articolo 148 del codice civile, ed il carattere esclusivo che connota la formula normativa che quel potere prevede, conducono ad affermare l’unicità del mezzo d’impugnazione esperibile avverso il provvedimento presidenziale – individuandolo nell’opposizione al decreto – e stabiliscono l’insussistenza di alternative applicative operanti a favore delle parti, e in particolare l’estraneità della norma al riconoscimento di una facoltà di proposizione ed esercizio di diversi mezzi d’impugnazione
che rientri nella disponibilità delle parti stesse.
Come sopra detto, naturalmente, gli interessati – figlio maggiorenne compreso – sono sempre liberi di adottare le forme del processo ordinario se intendono chiedere il mantenimento (anche chiedendo un provvedimento di urgenza) senza avvalersi dello speciale procedimento monitorio. E’ lo stesso art. 316-bis che non esclude l’applicazione del rito ordinario. Nel corso del procedimento potrebbero anche essere chiamati in causa gli ascendenti.
ll decreto di cui all’art. 316-bis costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale (Corte cost., 14 giugno
2002, n. 236).
c) La responsabilità sussidiaria indiretta degli ascendenti
Come si è detto l’articolo 316-bis dà disposizioni sul modo con cui i genitori devono adempiere in generale il loro dovere di mantenimento e riproduce il previgente articolo 148 del codice. Dopo aver premesso che i genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo, il primo comma dell’articolo 316-bis precisa che “quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli”.
Non avere mezzi sufficienti significa non poter ottemperare all’obbligo di mantenimento. S’intende che ove l’inottemperanza dei genitori non sia collegata alla mancanza di mezzi sufficienti saranno utilizzabili nei confronti dei genitori gli ordinari strumenti di garanzia per l’adempimento e gli ordinari mezzi di tutela esecutiva diretta.
Parte della giurisprudenza di merito riconosce, tuttavia, ammissibile l’azione verso gli ascendenti anche in caso di omissione volontaria del mantenimento da parte dei genitori.
La legge prevede, quindi, in caso di impossibilità da parte dei genitori una obbligazione a carico dei nonni (e più specificamente degli ascendenti, in ordine di prossimità: quindi i nonni e poi i bisnonni, se esistenti e così via).
MANTENIMENTO DEI FIGLI MINORI
L’obbligazione non è, però, quella di mantenere i nipoti, ma di “fornire ai genitori” i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri verso i figli. L’obbligo ha quindi due caratteristiche: è sussidiario, e quindi emergente solo allorché i genitori non abbiano mezzi sufficienti; ed è indiretto, cioè si sostanzia non nel mantenimento dei nipoti ma nell’assicurare ai genitori i mezzi affinché essi possano adempiere al mantenimento verso i figli. Il diritto dei nipoti ha le medesime caratteristiche: può essere azionato solo in via sussidiaria e non può consistere nella pretesa di essere mantenuti in via diretta dagli ascendenti.
Considerato che le disposizioni del codice civile in materia di alimenti prevedono che gli ascendenti sono tenuti in modo diretto all’obbligazione alimentare – sia pure in via sussidiaria rispetto all’obbligazione dei genitori (articolo 433 codice civile) – si può dire che la legge 219/2012 ha perso un’occasione per riformulare in modo diretto l’obbligazione di mantenimento dei nonni verso i nipoti. Nulla avrebbe impedito, infatti, di prevedere la natura diretta dell’obbligazione che costituisce la modalità più ragionevole della prestazione di mantenimento, in quanto attribuisce ai nipoti direttamente un vero e proprio diritto nei confronti degli ascendenti, come avviene in materia alimentare. Le differenze giuridiche tra la natura dell’obbligazione di mantenimento (somministrazione dei mezzi necessari a garantire le esigenze materiali, educative e di socializzazione) e quella meno ampia dell’obbligazione alimentare (diretta a supplire allo stato di bisogno dell’interessato) è molto sfumata, soprattutto per quanto riguarda il mantenimento dei minori e mette in evidenza differenze pressoché solo di tipo definitorio. Ben avrebbe potuto quindi essere superata da una parificazione degli strumenti di tutela.
L’obbligazione sussidiaria indiretta riguarda, per espressa indicazione normativa, gli ascendenti e non quindi i parenti in linea collaterale come gli zii (Cass. civ. Sez. I, 24 novembre 2015, n. 23978)
Quello della natura indiretta dell’obbligo sussidiario di mantenimento verso i nipoti dei nonni (tenuti a prestare i mezzi ai genitori e non a corrispondere direttamente il mantenimento ai nipoti) non è però l’unica contraddizione esistente. Ve n’è un’altra di cui è colpevole, stavolta, non la legge ma la giurisprudenza che ha sempre interpretato la disposizione in questione (il previgente articolo 148 codice civile) nel senso di considerare ammissibile l’azionabilità del diritto al mantenimento verso gli ascendenti solo allorché entrambi i genitori non abbiano mezzi sufficienti per adempiere l’obbligo di mantenimento (Cass. civ. Sez. I, 30 settembre 2010, n. 20509; Cass. civ. Sez. I, 23 marzo 1995, n. 3402)5. È pur vero che la norma sembra avvalorare questa interpretazione in quanto si esprime al plurale (“I genitori devono adempiere… quando i genitori non hanno mezzi sufficienti….”)
ma finisce per penalizzare irragionevolmente il genitore adempiente – che deve farsi carico da solo del mantenimento del figlio – sottraendo responsabilità al ramo genitoriale e parentale del genitore inadempiente.
Nel settore degli alimenti l’articolo 433 del codice civile non appare interpretabile nello stesso senso con cui la giurisprudenza interpreta la disposizione sul mantenimento.
IV
Il mantenimento dei figli minori in caso di separazione dei genitori (art. 337-bis e seguenti c.c.)
Le norme sull’esercizio della responsabilità genitoriale (e quindi anche l’obbligazione di mantenimento) a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio, sono oggi contenute nel codice civile dall’art. 337-bis all’art. 337-octies inseriti dal decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154.
Naturalmente è la formulazione attuale delle norme che la riforma della filiazione del 2013 ha riprodotto nel codice civile (unificandone l’applicazione, per i figli nati nel matrimonio e per quelli nati fuori dal matrimonio, all’interno di un medesimo capo del titolo IX) e non certo il contenuto che era già presente da tempo nel codice civile nei suoi principi sostanziali alcuni dei quali testualmente via via riprodotti nelle successive riforme della materia.
Come già detto le norme sul mantenimento in caso di scissione della coppia genitoriale erano originariamente contenute nell’art. 155 del codice civile riformato nel 1975 (per la separazione) e nell’art. 6 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dalla legge 6 marzo 1987, n. 74 (per il divorzio). Il testo dell’art. 155 c.c. venne successivamente modificato dalla riforma del 2006 sull’affidamento condiviso dei figli (legge 8 febbraio 2006, n. 54) e, infine, sostanzialmente riprodotto nelle disposizioni attuali in seguito alla riforma del 2013 sulla filiazione.
Anche i provvedimenti che concernono i figli nati fuori dal matrimonio godono naturalmente dell’esenzione fiscale riconosciuta ai provvedimenti in sede di separazione e divorzio (Corte cost., 11 giugno 2003, n. 202).
Alle obbligazioni di mantenimento fanno riferimento soprattutto gli ultimi tre commi dell’art. 337-ter nei quali si precisa che “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:
1) le attuali esigenze del figlio.
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.
4) le risorse economiche di entrambi i genitori.
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.MANTENIMENTO DEI FIGLI MINORI
L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.
Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi”.
Anche l’assegnazione della casa familiare (art. 337-sexies), essendo disposta nell’esclusivo interesse dei figli e non in funzione sostitutiva o integrativa dell’obbligazione di mantenimento coniugale, può in senso ampio includersi nell’obbligazione di mantenimento verso i figli.
L’affermazione che “…ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità…” ha dato luogo sin dall’indomani dell’entrata in vigore della norma – che risale, come detto, alla riforma dell’affidamento condiviso del 2006 – ad un dibattito molto intenso che vedeva e vede tuttora contrapposti due orientamenti. Da un lato alcuni ritengono che la formulazione della norma preveda il mantenimento diretto dei figli (e cioè non per il tramite di un assegno periodico) da parte di ciascun genitore in modo proporzionale al proprio reddito e che solo in caso di necessità il giudice debba intervenire indicando la misura di un assegno periodico. La giurisprudenza, invece – forzando oggettivamente il senso della disposizione – ha fin da subito interpretato la norma attribuendo al giudice senz’altro il compito di indicare un assegno, presumendo che questa modalità sia ragionevolmente l’unica che possa essere seguita nel caso di genitori che separano le loro vite.
L’intervento del giudice quindi è finalizzato a realizzare il principio di proporzionalità in difetto di accordi diversi tra i genitori.
Secondo Cass. civ. Sez. VI, 18 settembre 2013, n. 21273 in merito ai criteri per la determinazione dell’assegno di mantenimento in favore dei figli minori, sussiste l’obbligo di entrambi i genitori che svolgono attività lavorativa, produttiva di reddito, di contribuire al soddisfacimento dei bisogni dei minori, in ragione delle proprie disponibilità economiche. Il Giudice, quindi, può disporre la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare tale principio di proporzionalità e, nel determinare l’importo dell’assegno, deve valutare le “attuali esigenze del figlio”, ovvero i bisogni, le abitudini, le legittime aspirazioni che non possono non essere condizionate dal livello economico sociale dei genitori.
A seguito della separazione i figli hanno, in sostanza, diritto ad un mantenimento tale da garantire un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo per quanto possibile a quello goduto in precedenza, continuando a trovare applicazione l’art. 147 cod. civ. che, imponendo il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, obbliga i genitori a far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario e sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione, fin quando l’età dei figli stessi lo richieda, di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione.
Significativa nella giurisprudenza di merito è Trib. Novara, 21 luglio 2011 dove si legge che in tema di obbligo di mantenimento del minore, e posto che la realizzazione del principio di proporzionalità costituisce la finalità primaria dell’assegno di mantenimento, va precisato che la determinazione dell’ammontare di tale assegno deve tenere in considerazione le attuali esigenze del figlio, il tenore di vita voluto da questi in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno. Una valutazione sinottica di detti criteri conduce a ritenere che, per realizzare le finalità perequative cui è destinato l’istituto dell’assegno di mantenimento, si debba procedere, innanzitutto, all’accertamento delle complessive disponibilità economiche del nucleo familiare; tale accertamento, da condurre unitamente alla valutazione del tenore di vita concretamente mantenuto dal medesimo nucleo in corso in costanza di matrimonio, consente, per un verso, di quantificare la parte delle risorse economiche che la famiglia è in grado di destinare alle esigenze di mantenimento dei figli e, per altro verso, le proporzioni dell’apporto che ciascun coniuge può fornire per il soddisfacimento di tali esigenze.
Acquisiti tali dati di valutazione, andrà, quindi, considerata l’effettiva misura dell’apporto dato dai singoli genitori al soddisfacimento delle esigenze della prole, valutata sia con riferimento ai tempi di permanenza dei figli presso ciascun settore, sia con riferimento a tutti gli ulteriori dati probatori acquisiti nel corso del giudizio circa i concreti atti di accudimento dei genitori, ivi compresi i compiti domestici e di cura materiale.
a) Gli accordi tra i genitori sul mantenimento
L’affermazione contenuta nel terzo comma dell’art. 337-ter secondo cui “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito…” ha comunque l’efficace significato di indicare ai genitori che la prospettiva di un accordo sul mantenimento dei figli è sempre preferibile ad una decisione imposta dal giudice.
L’abrogato art. 155 c.c. esprimeva già in passato questa prospettiva indicando al settimo comma che “Nell’emanare i provvedimenti relativi all’affidamento dei figli e al contributo al loro mantenimento, il giudice deve tener conto dell’accordo fra le parti…”. e l’attuale norma (in seguito alle modifiche prima di cui alla legge 54/2006 e poi della riforma del 2013 sulla filiazione) prevede molto chiaramente al secondo comma che il giudice “Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori”.
MANTENIMENTO DEI FIGLI MINORI
Quindi la prospettiva dell’accordo rimane quella preferibile secondo le chiare indicazioni contenute nella legge.
E pur tuttavia rimane un atteggiamento nel suo complesso della prassi giudiziaria ancora fortemente incline a non riconoscere pienamente questa autonomia. Segnale preoccupante di un atteggiamento della giurisprudenza nei confronti dell’affidamento e del mantenimento dei figli ancora molto centrato sulla piena indisponibilità dei diritti in questione e poco incline a riconoscere autonomia ai genitori. Il rapporto tra indisponibilità dei diritti (indisponibilità relativa, tuttavia, dopo l’introduzione della negoziazione assistita anche in sede di separazione e divorzio) e autonomia privata dei genitori, andrebbe ripensato in chiave soprattutto di promozione, di garanzia e di rispetto della negozialità dei genitori. D’altro lato l’ordinamento mette a disposizione del giudice su richiesta delle parti strumenti correttivi (come l’art. 709 ter c.p.c. oltre che le disposizioni di contrasto agli abusi sui minori) che hanno la precipua funzione di non lasciare privi di protezione comportamenti che cagionano una prevaricazione di un genitore sull’altro o comportamenti che provocano sui figli effetti pregiudizievoli.
La possibile mortificazione dell’autonomia negoziale si evidenzia proprio nel problema interpretativo che riguarda il senso dell’espressione di apertura della norma “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito…”.
La norma, secondo l’interpretazione più ragionevole delle espressioni usate, consente ai genitori di derogare al principio di proporzionalità rispetto ai redditi, in funzione della salvaguardia di altri criteri collegati per esempio ai diversi tempi di cura, in modo che, magari, il genitore che trascorre più tempo con il figlio possa essere soddisfatto da un contributo dell’altro più consistente rispetto a quello strettamente proporzionale ai redditi. E magari i genitori potrebbero anche concordare modalità che non prevedono l’esborso diretto da parte di uno dell’assegno.
Insomma, la norma, intende salvaguardare e promuovere la negozialità dei genitori i quali ben potrebbero scegliere di comune accordo di attuare il principio di corresponsabilità (questo sì inderogabile) attraverso modalità diverse da quelle della proporzionalità (derogabile).
La prospettiva in senso ampio favorevole a riconoscere ai genitori una autonomia di decisione e una negozialità ampia è, però, spesso frustrata nelle aule di giustizia da una applicazione della norma piuttosto stereotipata che privilegia in materia di mantenimento (anche in sede di autorizzazione degli accordi di negoziazione assistita dagli avvocati) le forme tradizionali dell’assegno periodico per i figli corrisposto da un genitore all’altro. La giurisprudenza ritiene sostanzialmente che l’assegno periodico si presta più facilmente a trovare strumenti collaudati di attuazione coattiva in caso di inadempimento (difficilmente ipotizzabili rispetto a forme di mantenimento diverse da quelle realizzate con l’assegno periodico).
In questa prospettiva per esempio, Cass. civ. Sez. I, 1 luglio 2015, n. 13504 ha affermato che l’affidamento
condiviso dei figli minori, in quanto fondato sull’interesse esclusivo di questi ultimi, non elimina l’obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire alle esigenze di vita della prole mediante la corresponsione di un assegno di mantenimento a favore del genitore collocatario, dovendo quest’ultimo provvedere in misura più ampia alle spese correnti relative ai minori. Nello stesso senso si è espressa Cass. civ. Sez. I, 10 dicembre 2014, n. 26060 secondo cui l’affidamento condiviso dei figli minori, in quanto fondato sull’interesse esclusivo di questi ultimi, non elimina l’obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire alle esigenze di vita dei primi mediante la corresponsione di un assegno di mantenimento, ma non implica, come sua conseguenza “automatica”, che ciascuno dei due genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto ed autonomo, alle predette esigenze.
b) Il trasferimento di diritti reali in favore dei figli
Gli accordi tra i genitori relativi al mantenimento dei figli possono anche essere indirizzati all’attribuzione ai figli di diritti reali 6, in aggiunta alla tutela garantita dal mantenimento diretto o attraverso la corresponsione di un assegno.
Vi è da sottolineare come la natura di questo tipo di trasferimenti opera sul piano dei rapporti tra genitori e figli e quindi, ancorché tali trasferimenti siano contenuti in un accordo una tantum tra i genitori, ex art. 5, comma 8 della legge sul divorzio, non resta inibita ad uno dei genitori per il futuro la possibilità di richiedere ulteriori interventi giudiziari a tutela del mantenimento dei figli.
Anche i trasferimenti di diritti reali nei confronti dei figli sono da considerare esenti fiscalmente ai sensi dell’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74. È appena il caso di ricordare che l’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 prescrive l’esenzione fiscale per gli “atti diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui all’art. 5 e 6 della legge 1° dicembre 1970, n. 898” includendo quindi anche gli atti relativi al mantenimento verso i figli.
Già in Cass. civ. Sez. V, 30 maggio 2005, n. 11458 era stata affrontata la questione. L’amministrazione finanziaria intendeva tassare come atto di liberalità un trasferimento a favore delle figlie effettuato dai genitori in sede di separazione, sostenendo che l’art. 19 della legge 74/87 riguarda tutti gli atti e i provvedimenti relativi al procedimento di separazione tra i coniugi, mentre l’atto in questione coinvolgerebbe altri soggetti, quali le figlie, e, pertanto, non potrebbe rientrare nella citata disposizione normativa. La Corte di cassazione affermava invece che la norma speciale contenuta nell’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 in base alla sentenza 10 maggio 1999, n. 154, della Corte costituzionale, estensiva dell’orientamento da essa già assunto con la sentenza 15 aprile 1992, n. 176, dea ‘essere interpretata nel senso che l’esenzione si applica a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi, in modo da garantire l’adempimento delle obbligazioni che i coniugi separati hanno assunto per conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici anche con atti i cui effetti siano favorevoli ai figli.
Il principio venne poi ribadito da Cass. civ. Sez. II, 21 febbraio 2006, n. 3747 in cui ai precisa che l’obbligo
di mantenimento dei figli minori, o maggiorenni non autosufficienti, può essere adempiuto dai genitori
in sede di separazione personale o divorzio mediante un accordo il quale, anziché attraverso una prestazione patrimoniale periodica, od in concorso con essa, attribuisca o li impegni ad attribuire ai figli la proprietà di beni mobili od immobili, e che tale accordo non realizza una donazione, in quanto assolve ad una funzione solutoria e compensativa dell’obbligazione di mantenimento, e costituisce applicazione del principio, stabilito dall’art. 1322 c.c., della libertà dei soggetti di perseguire con lo strumento contrattuale interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
L’accordo, recepito e condizionato dal provvedimento di separazione o di divorzio, non si limita in tale caso a determinare le concrete modalità della prestazione periodica di mantenimento, ma comporta l’immediata e definitiva acquisizione al patrimonio dei figli della proprietà dei beni che i genitori, od il genitore, abbiano loro attribuito o si siano impegnati ad attribuire e, in questo secondo caso, il correlativo obbligo, sanzionato in forma specifica dall’art. 2392 c.c., è trasmissibile agli eredi del promittente, giacché trova il suo titolo non già nella prestazione di mantenimento, che, nei limiti costituiti dal valore dei beni attribuiti o da attribuire, è convenzionalmente liquidata e sostituita dall’impegno negoziale, ma nell’accordo che l’ha estinta.
L’interpretazione è stata poi confermata da molte decisioni che hanno pacificamente ritenuto estesa l’esenzione ai trasferimenti immobiliari verso i figli precisando che l’esenzione deve in sostanza garantire l’adempimento delle obbligazioni che i coniugi separati hanno assunto per conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici, anche con atti i cui effetti siano favorevoli ai figli (cfr Cass. civ. Sez. VI, 8 marzo 2013, n. 5924 e Cass. civ. Sez. II, 23 settembre 2013, n. 21736 che riproducono quasi testualmente il punto di vista della decisione precedente del 2005; Cass. civ. Sez. V, 28 giugno 2013, n. 16348 secondo cui “le attribuzioni patrimoniali in favore dei figli, realizzate in occasione del divorzio o della separazione personale dei genitori beneficiano delle agevolazioni previste dall’art. 19 della legge n. 74 del 1987, tenuto presente che il beneficio fiscale in questione è volto a tutelare anche l’esigenza di agevolare e promuovere, nel più breve tempo, una soluzione idonea a garantire l’adempimento delle obbligazioni che gravano, ad esempio, sul coniuge non affidatario della prole, cioè a assolvere i doveri di mantenimento della prole, nel cui ambito si iscrivono – quali plausibili modalità solutorie – anche le attribuzioni aventi carattere reale”; Cass. civ. Sez. I, 20 agosto 2014, n. 18066).
Recentemente lo stesso principio è stato ribadito con forza da Cass. civ. Sez. V, 3 febbraio 2016, n. 2111 e
Cass. civ. Sez. V, 17 febbraio 2016, n. 3110 che hanno affermato il carattere di negoziazione globale tipica
di tutti gli accordi di separazione o divorzio anche comportanti trasferimenti patrimoniali dall’uno all’altro coniuge o in favore dei figli.
L’attribuzione a favore dei figli configura giuridicamente un contratto a favore di terzo (art. 1411 c.c.) e quindi il figlio acquista il diritto contro i genitori stipulanti per effetto della stipulazione.
L’esenzione fiscale concerne anche i trasferimenti in sede di accordi tra i genitori della crisi familiare effettuati nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio.
Benché nessuna norma, infatti, preveda l’esenzione fiscale per i trasferimenti effettuati in sede di scioglimento della convivenza di fatto (tra conviventi) ancorché possano avere le medesime finalità di definizione di un assetto familiare successivo alla crisi di coppia, la Corte costituzionale ha ritenuto contrastante con l’art. 3 della Costituzione la mancata estensione dell’esenzione fiscale prevista nella normativa divorzile ai procedimenti relativi ai figli di genitori non uniti in matrimonio (Corte cost. 11 giugno 2003, n. 202) con la conseguenza che l’esenzione di cui all’art. 19 della legge 74/87 troverà applicazione anche ai trasferimenti immobiliari effettuati dai genitori nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio.
La Commissione tributaria provinciale di Pordenone aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), in riferimento all’art. 3 della Costituzione, laddove è “interpretata in modo da comprendere nella tassazione i provvedimenti giudiziari emessi in applicazione dell’articolo 148 del codice civile, nell’ambito dei rapporti tra genitori e figli”, per disparità di trattamento rispetto agli stessi provvedimenti adottati nell’ambito dei procedimenti di separazione e divorzio.
La Corte ritenne la questione fondata richiamando la propria sentenza n. 154 del 1999, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74, nella parte in cui non estende l’esenzione in esso prevista a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi. Nel motivare quella la decisione la Corte si fondò su quanto affermato dalla sentenza n. 176 del 1992 che ha dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 19 della citata legge n. 74 del 1987 nella parte in cui non comprende nell’esenzione dal tributo anche le iscrizioni di ipoteca effettuate a garanzia delle obbligazioni assunte dal coniuge nel giudizio di separazione, testualmente affermando che “il parallelismo, le analogie e la complementarità funzionale dei procedimenti di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e del procedimento di separazione dei coniugi sotto i profili che rilevano ai presenti fini, già sottolineati da questa Corte nella decisione richiamata, portano anche in questo caso a concludere che il profilo tributario non può ragionevolmente
riflettere un momento di diversificazione delle due procedure, atteso che l’esigenza di agevolare
l’accesso alla tutela giurisdizionale, che motiva e giustifica il beneficio fiscale con riguardo agli atti del giudizio divorzile, è con ancor più accentuata evidenza presente nel giudizio di separazione”, anche “in considerazione dell’esigenza di agevolare, e promuovere, nel più breve tempo, una soluzione idonea a garantire l’adempimento delle obbligazioni che gravano, ad esempio, sul coniuge non affidatario della prole”. Perciò concludeva affermando che l’esenzione tributaria disposta in materia di procedimenti relativi ai giudizi di separazione e divorzio ricomprende anche i provvedimenti relativi alla prole, come è dimostrato dal richiamo, nell’art. 19 della legge n. 74 del 1987, all’art. 6 della legge n. 898 del 1970, e da ciò deriva che è irragionevole la mancata estensione di tale esenzione anche ai provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 148 cod. civ., in tema di determinazione del contributo di mantenimento fissato a carico del genitore naturale obbligato ed a favore del genitore affidatario. La mancanza del rapporto di coniugio fra le parti non può giustificare la diversità di disciplina tributaria del provvedimento,
c) Il provvedimento del giudice sul mantenimento dei figli e i criteri previsti
Alle obbligazioni di mantenimento fanno riferimento soprattutto gli ultimi tre commi dell’art. 337-ter nei quali si precisa che “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio.
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.
4) le risorse economiche di entrambi i genitori.
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.
d) I poteri del giudice: l’istruttoria e le indagini tributarie
L’art. 337-octies, dedicato proprio ai poteri del giudice, prescrive che “Prima dell’emanazione, anche in via
provvisoria, dei provvedimenti di cui all’articolo 337-ter, il giudice può assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova”.
L’ultimo comma invece dell’art. 337-ter chiarisce poi che “Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi”.
Quindi la legge attribuisce al giudice in materia di determinazione del mantenimento per i figli un ampio potere di istruttoria – da esercitarsi anche prima dell’emanazione di eventuali provvedimenti provvisori – anche a mezzo della polizia tributaria.
Proprio in ordine agli accertamenti di polizia tributaria 7 vi è da dire che, sebbene l’art. 337-ter si esprima in
termini di doverosità, secondo la giurisprudenza il potere di disporre accertamenti anche attraverso la polizia tributaria non è considerato un obbligo del giudice. L’esercizio di tale potere – ad avviso della giurisprudenza – “rientra nella discrezionalità del giudice di merito che non è tenuto ad avvalersene ove ritenga provata compiutamente aliunde la situazione economica delle parti” (Cass. civ. Sez. I, 17 giugno 2009, n. 14081) e “non può essere considerato come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche” (Cass. civ. Sez. I, 28 aprile 2006, n. 9861; Cass. civ. Sez. I, 7 febbraio
2006, n. 2625; Cass. civ. Sez. I, 17 maggio 2005, n. 10344; Cass. civ. Sez. I, 2 dicembre 2003,
n. 18391, Trib. Napoli Sez. I, 4 giugno 2012).
Tuttavia la discrezionalità di cui è munito il giudice di merito nel disporre indagini attraverso la polizia tributaria non può ritenersi di carattere assoluto, trovando un limite nell’impossibilità da parte del giudice di basare il proprio convincimento in ordine all’assegno su valutazioni prive del necessario riscontro (Cass. civ. Sez. I, 24 febbraio 2010, n. 4519). Sostanzialmente nello stesso senso Cass. civ. Sez. I., 18 giugno 2008, n. 16575 secondo cui l’eventuale omissione di motivazione sul diniego di esercizio del relativo potere non è censurabile in sede di legittimità, ove, sia pure per implicito, tale diniego sia logicamente correlabile ad una valutazione sulla superfluità dell’iniziativa per ritenuta sufficienza dei dati istruttori acquisiti.
Il punto centrale però è il seguente. Seppure il potere di disporre indagini a mezzo della polizia tributaria sia
considerato come avente natura discrezionale – nel senso che il giudice può valutare come superfluo ricorrervi in presenza evidentemente di elementi di convincimento tratti aliunde – il giudice “non può rigettare le istanze delle parti relative al riconoscimento e alla determinazione dell’assegno sotto il profilo della mancata dimostrazione degli assunti sui quali si fondano” facendo capo in tal caso al giudice l’obbligo di disporre accertamenti d’ufficio
(Cass. civ. Sez. I, 17 giugno 2009, n. 14081; Cass. civ. Sez. I, 17 maggio 2005, n. 10344; Cass. sez.
I, 2 dicembre 2003, n. 18391).
MANTENIMENTO DEI FIGLI MINORI
Quindi costituisce violazione di legge non avvalersi delle indagini di polizia tributaria ove il giudice poi rigetti le domande di natura economica sul presupposto che non vi sarebbero elementi dimostrativi dei reali redditi e del reale patrimonio delle parti.
e) Le diverse regole processuali per i figli nati nel matrimonio e per i figli nati fuori dal matrimonio in
caso di scissione della coppia genitoriale
Il tribunale ordinario è l’unico giudice che si occupa del mantenimento di figli, minori o maggiorenni che siano.
Prima della riforma sulla filiazione del 2012 residuava una competenza del tribunale per i minorenni in ordine ai provvedimenti sul mantenimento connessi all’accertamento della paternità in caso di minore età del figlio (art. 277 c.c.), ma anche questa competenza è passata, con la riforma in questione, al tribunale ordinario quale giudice competente per tutte le azioni di stato.
Nonostante questa unitarietà delle competenze giudiziarie, sopravvivono diversità nella tipologia del procedimento e delle regole del processo.
Infatti, il testo attuale del secondo comma dell’art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile (che distribuisce le competenze giudiziarie in materia di minori tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni) dopo aver affermato il principio generale che “Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria” afferma che “Nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile” così individuando il rito camerale come rito elettivo ove non siano previste altre regole procedurali.
Principio ribadito anche nel terzo comma della medesima disposizione dove si stabilisce che “Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente”.
Pertanto questa norma dispone che in tutti i procedimenti in materia di affidamento e mantenimento dei figli minori (salvo quelli che accertano o disconoscono lo status filiationis) dovrebbe applicarsi il rito camerale (articoli 737 e seguenti c.p.c.). Sennonché questo principio generale trova una significativa deroga in caso di separazione e divorzio dove le norme che disciplinano questi istituti, prevedono un rito speciale (presidenziale e poi a cognizione piena) e in appello un rito camerale. Il rito camerale torna ad essere poi il rito delle procedure di revisione delle condizioni di separazione e di divorzio (anche relative ai figli e al loro mantenimento). Cosicché oggi coesistono in materia di provvedimenti sul mantenimento dei figli in caso di scissione della coppia genitoriale, tre diversi tipi di procedimento:
1) Procedimenti di separazione e divorzio (nella prima fase presidenziale il rito è camerale e nella seconda fase è a cognizione piena; in appello il rito è camerale).
2) Procedimenti relativi all’affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio e procedimenti di revisione delle condizioni (anche di mantenimento dei figli) della separazione e del divorzio (rito camerale).
f) L’intervento obbligatorio del pubblico ministero
Art. 70 c.p.c. 8 prescrive l’intervento obbligatorio del pubblico ministero9, a pena di nullità tra l’altro nelle cause matrimoniali, comprese quelle di separazione personale dei coniugi e nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone.
Con l’espressione “cause matrimoniali” in cui al pubblico ministero viene attribuito il potere di impugnazione, l’art. 70 del codice di procedura civile (il cui testo si deve alla legge 30 luglio 1950, n. 534) non avrebbe potuto certamente riferirsi alle cause di divorzio (introdotto successivamente con la legge 1° dicembre 1970, n. 898) ma a tutti i procedimenti in cui si discute del vincolo matrimoniale (per esempio le nullità del matrimonio) ivi compresa la separazione personale tra i coniugi sia pure (come è stato giustamente sottolineato in dottrina) solo dopo la fase presidenziale, considerato che l’art. 709, primo comma, c.p.c. prevede che l’ordinanza presidenziale con la quale si chiude la prima fase del procedimento va comunicata al pubblico ministero, con ciò lasciando intendere che nella fase presidenziale l’intervento non è obbligatorio.
8 Art. 70. (Intervento in causa del pubblico ministero)
Il pubblico ministero deve intervenire, a pena di nullità rilevabile d’ufficio:
1) nelle cause che egli stesso potrebbe proporre;
2) nelle cause matrimoniali, comprese quelle di separazione personale dei coniugi;
3) nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone;
(…)
5) negli altri casi previsti dalla legge.
Deve intervenire nelle cause davanti alla corte di cassazione nei casi stabiliti dalla legge.
Può infine intervenire in ogni altra causa in cui ravvisa un pubblico interesse.
ANTENIMENTO DEI FIGLI MINORI
L’intervento è, tuttavia, previsto come obbligatorio anche nelle cause di divorzio che più che cause matrimoniali potrebbero essere certamente considerate cause riguardanti lo stato delle persone (art. 70 n. 3). E’ questa l’opinione anche di Cass. civ. Sez. I, 27 aprile 2004, n. 8010 che qualifica le cause di divorzio come cause di stato (anche se, nello specifico, in contrapposizione con le cause riguardanti rapporti personali e non in contrapposizione alle cause matrimoniali).
Sino considerate cause matrimoniali, ai fini dell’intervento obbligatorio del pubblico ministero quelle che hanno per oggetto le azioni di cui all’art. 316-bis c.c. (già art. 148 c.c.) relative al contributo per il mantenimento del figlio anche minore al quale è tenuto il genitore naturale (Cass. civ. Sez. I, 20 giugno 2000, n. 8382) ma non quelle per il recupero dei crediti di mantenimento del figlio ex art. 156 c.c. (Cass. civ. Sez. I, 21 dicembre 2004, n. 23713).
Se in tutte le cause di separazione e di divorzio è sempre previsto come obbligatorio l’intervento del pubblico ministero, ci si deve chiedere se l’intervento è obbligatorio anche nei procedimenti di revisione delle condizioni di separazione e di divorzio. Ebbene, in questi casi, secondo l’orientamento pacifico in giurisprudenza (Cass. civ. Sez. I, 21 maggio 1988, n. 3541), l’intervento del pubblico ministero è obbligatorio solo se si discute di “provvedimenti relativi ai figli” e in particolare:
a) nei giudizi di revisione delle condizioni di divorzio, in relazione a quanto prescritto espressamente dall’art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 nel testo modificato dalla legge 6 marzo 1987, n. 74 (che impone l’intervento del pubblico ministero, appunto, per i “provvedimenti relativi ai figli”);
b) nei procedimenti di modifica delle condizioni di separazione relativamente ai provvedimenti sui figli, in virtù di quanto deciso da Corte cost. 9 novembre 1992, n. 416;
c) nei procedimenti tra genitori non coniugati per l’affidamento e il mantenimento dei figli, in virtù di quanto deciso da Corte cost. 25 giugno 1996, n. 214.
Quindi l’intervento del pubblico ministero è stato ritenuto necessario per i procedimenti relativi a figli minori. Nessun riferimento nelle due citate sentenze della corte costituzionale (che si riferiscono genericamente alla “prole” in vicende, però, come si è detto, relative a figli minori) viene fatto ai figli maggiorenni E d’altro lato la legge sul divorzio prevede che lo stesso pubblico ministero possa impugnare la sentenza “limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci” (art. 5, comma 5, della legge sul divorzio) lasciando intendere che la ragione giustificatrice della norma sia l’interesse superiore del minore. È pacifico in giurisprudenza che questo potere di impugnazione del pubblico ministero si riferisca solo al caso di tutela dei figli minori (Cass. civ. Sez. I, 9 novembre 2007, n. 23379; Cass. civ. Sez. I, 20 giugno 2000, n. 8382; Cass. civ. Sez. I, 29 ottobre 1998, n. 10803 secondo le quali le azioni di cui agli artt. 148 c.c. (oggi 316-bis) relative al contributo per il mantenimento del figlio, al quale è tenuto il genitore non rientrano tra quelle nelle quali il pubblico ministero deve intervenire a pena di nullità.
Se ne deve concludere che l’intervento obbligatorio del pubblico ministero è previsto solo nei procedimenti relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli minorenni e non riguarda i giudizi concernenti il mantenimento dei figli maggiorenni.
Singolare la decisione con cui Cass. civ. Sez. I, 3 marzo 2000, n. 2381 ha ritenuto che la mancata partecipazione del pubblico ministero nei giudizi relativi alla revisione dell’assegno per il mantenimento dei figli minori di genitori divorziati può essere fatta valere come motivo di gravame solo da chi intende salvaguardare gli interessi dei figli stessi, e non, quindi, dal genitore che, chiedendo che sia ridotta, o azzerata, la misura dell’assegno posto a suo carico, mira a contrastare quell’interesse, per la cui tutela è disposta la garanzia della partecipazione del pubblico ministero.
g) L’adeguamento automatico degli importi di mantenimento
Nell’art. 337-ter c.c. si prevede espressamente che “L’assegno è automaticamente adeguato agli indici Istat in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice”.
Benché la legge indichi la possibilità di parametri diversi da quello che fa perno sulle variazioni degli indici relativi al costo della vita elaborati dall’istat, il criterio in questione rimane il parametro tradizionale di adeguamento degli importi di mantenimento, finora previsto solo nell’ambito dell’assegno divorzile ma esteso dalla giurisprudenza anche all’assegno coniugale di separazione e ora dalla legge anche al mantenimento dei figli.
Sul tema dell’adeguamento Cass. civ. Sez. VI, 22 aprile 2016, n. 8151 ha ragionevolmente precisato che in
merito alla richiesta di rivalutazione dell’assegno di mantenimento disposto, in sede di divorzio, in favore dei figli minori, in ragione al fatto notorio della crescita dei figli e dell’aumento delle loro esigenze, deve rilevarsi che le esigenze dei figli, in concomitanza con l’aumento della loro età e alla conseguente necessità di un incremento dell’assegno, si può in linea generale consentire; tuttavia, ai fini di un eventuale aumento dell’importo, si dovrà necessariamente effettuare una valutazione concreta delle esigenze dei figli medesimi, sulla base delle condizioni economiche dei genitori.
h) L’estensione ai figli maggiorenni
Ad occuparsi normativamente dei figli maggiorenni è stata per prima la legge sull’affidamento condiviso (legge 8 febbraio 2006, n. 54) che riservava ai figli maggiorenni nell’ambito delle procedure di scissione della coppia genitoriale un intero articolo (art. 155-quinquies, appunto rubricato “Disposizioni in favore dei figli maggiorenni”) nel quale si attribuiva per la prima volta ex lege ai “figli maggiorenni non indipendenti economicamente” un diritto alla titolarità di un assegno periodico di mantenimento. La disposizione in questione non è stata toccata dalla riforma sulla filiazione di cui alla legge 10 dicembre 2012, n. 219 se non per la collocazione sistematica, avendo il decreto di attuazione (decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154) accorpato le disposizioni sull’esercizio della responsabilità genitoriale in caso di scissione della coppia genitoriale in un capo a sé inserendo le disposizioni in favore dei figli maggiorenni nel nuovo articolo 337-septies del codice civile.
L’art. 337-septies c.c. si occupa specificamente dei figli maggiorenni prevedendo che “Il giudice, valutate le
circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto”.
Per le numerose questioni interpretative della norma si può fare riferimento ad altra sede.10
L’art. 337-septies è, quindi, oggi la fonte legislativa delle obbligazioni di mantenimento nei confronti dei figli
maggiorenni, rendendosi pertanto per lo più superfluo il riferimento a quella giurisprudenza che da molto prima delle riforma sull’affidamento condiviso e sulla filiazione (allorché dei figli maggiorenni non vi era traccia nella legislazione) avevano affermato, anticipandoli, gli stessi principi (tra le tante Cass. civ. Sez. I, 7 aprile 2006, n. 8221; Cass. civ. Sez. I, 4 aprile 2005, n. 6975; Cass. civ. Sez. I, 18 febbraio 1999, n. 1353; Cass. civ. Sez. I, 8 settembre 1998, n. 8868; Cass. civ. Sez. I, 11 marzo 1998, n. 2670; Cass. civ. Sez. I, 28
giugno 1994, n. 6215).
La legislazione è quindi oggi in piena sintonia con i principi di fondo che la giurisprudenza ha sempre sostenuto e cioè che il dovere dei genitori di provvedere al mantenimento dei figli non cessa automaticamente con il conseguimento della maggiore età da parte di questi ultimi, ma perdura sino a quando i medesimi non abbiano raggiunto un’indipendenza economica, ovvero abbiano concorso colpevolmente alla determinazione della propria non autosufficienza economica.
L’ultimo comma dell’art. 337-septies prevede che al figlio maggiorenne portatore di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori, come ha avuto modo anche di chiarire la giurisprudenza che ha precisato che trovano applicazione, in tal caso, le disposizioni in tema di cura e di mantenimento da parte dei genitori non conviventi, di assegnazione della casa coniugale, ma non anche quelle sull’affidamento, condiviso od esclusivo (Cass. civ. Sez. I, 24 luglio 2012, n. 12977).
i) Il trattamento fiscale dell’assegno di mantenimento per i figli
Nessuna tassazione o deduzione è collegata alle obbligazioni di mantenimento verso i figli.
II Testo unico delle imposte dirette (D.P.R., 22 dicembre 1986 n. 917) all’art. 3, trattando della base imponibile, prevede che l’imposizione fiscale (irpef) colpisce il reddito complessivo del soggetto ad eccezione degli assegni periodici destinati al mantenimento dei figli (minori o maggiorenni). Il mantenimento dei figli (anche di quelli fuori dal matrimonio) quindi, non costituisce un reddito che deve essere dichiarato.
Parallelamente l’art. 10 del medesimo Testo Unico non consente, naturalmente, a chi corrisponde il mantenimento, la deduzione degli assegni di mantenimento destinati al mantenimento dei figli.
V
Le spese straordinarie
a) La qualificazione delle spese straordinarie
Rinviando l’approfondimento generale alla voce apposita11 si può qui osservare che la giurisprudenza ha costantemente affermato il principio in base al quale il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli impone ai genitori di far fronte ad una molteplicità di esigenze, certamente non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma inevitabilmente estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione, fin quando l’età dei figli stessi lo richieda, di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione (Cass. civ. Sez. I, 18 settembre 2013, n. 21273; Cass. civ. Sez. I, 6 novembre 2009, n. 23630; Cass. civ. Sez. I, 22 marzo 2005, n. 6197; Cass. civ. Sez. I, 19 marzo 2002, n. 3974; Cass. civ. Sez. I, 8 novembre 1997, n. 11025).
Nel corso della vita in famiglia i genitori assolvono a questi oneri concordando in genere tra loro le spese per i figli nella misura resa possibile dalle rispettive capacità economiche e da quelle della famiglia. Viceversa problemi di distribuzione e di suddivisione delle obbligazioni verso i figli per far fronte alle loro esigenze di mantenimento, educazione, istruzione e assistenza si pongono – talvolta numerosi – in caso di scissione della coppia genitoriale.
Come si è detto il sistema più tradizionale e più utilizzato per suddividere tra i genitori le obbligazioni di mantenimento verso i figli è quello in genere di prevedere a carico di uno dei genitori un contributo perequativo per le spese “ordinarie” (che viene versato al genitore con cui il figlio resta domiciliato) e una quota di contribuzione a carico di entrambi i genitori, spesso uguale ma molte volte anche differenziata in percentuali proporzionate ai rispettivi redditi, a titolo di partecipazione alle cosiddette spese “straordinarie”.
Proprio a proposito di quest’ultima classificazione si deve osservare che la legge indica i parametri da seguire per la determinazione del mantenimento verso i figli ma non precisa in alcun modo il concetto di spesa “ordinaria” e quello di spesa “straordinaria”. Per questo motivo non è sempre agevole individuare un criterio condiviso per delimitare i confini delle due categorie di spese.
Tuttavia l’approfondimento dei parametri indicati nell’art. 337-ter c.c. può essere utile per fare qualche prima precisazione in ordine al concetto di spese ordinarie e a quello di spese straordinarie. Infatti alcuni dei parametri in questione sono strettamente legati alla soddisfazione dei bisogni (per esempio le “esigenze del figlio” di tipo alimentare, scolastico, di svago che in genere costituiscono un elemento che potremmo indicare come rigido nel senso che non è condizionato in modo eccessivo dalle condizioni economiche della famiglia, che potrebbe perciò essere allocato nell’area delle spese ordinarie) mentre altri parametri sono più legati alla soddisfazione di diritti ulteriori rispetto alla soddisfazione dei bisogni (così il riferimento, tra i criteri indicati dalla legge, al “tenore di vita” costituisce un tipico elemento che potremmo definire elastico, nel senso che le spese che vi fanno riferimento possono variare anche di molto in ragione delle differenti condizioni economiche della famiglia e che potrebbe perciò richiamare l’area delle spese straordinarie). Non sempre in famiglia si può garantire facilmente la soddisfazione di esigenze ulteriori rispetto a quelle che costituiscono i bisogni quotidiani. L’altra area delle spese che potrebbero essere incluse tra quelle straordinarie è quella delle spese destinate a far fronte ad eventi eccezionali.
A queste considerazioni si ispira l’indirizzo giurisprudenziale assolutamente prevalente che, al fine di fornire un criterio generale di differenziazione tra l’una e l’altra categoria, riconosce che le ‘‘spese ordinarie’’ sono in sostanza quelle destinate a soddisfare i bisogni quotidiani del minore, mentre quelle ‘‘straordinarie’’ costituiscono le spese di non lieve entità rispetto alla situazione economica dei genitori e le altre destinate a far fronte ad eventi non costanti nella vita dei figli ma imprevedibili e non quantificabili e determinabili in anticipo (Cass. civ. Sez. I, 9 giugno 2015, n. 11894).
Le modalità di assolvimento dell’obbligazione relativa alle spese ordinarie (quelle legate soprattutto alla soddisfazione dei bisogni di mantenimento, di educazione, di svago ma anche quelle mediche e scolastiche) possono essere comodamente (anche se non sempre facilmente) indicate attraverso la previsione dell’obbligo di pagamento di un contributo perequativo espresso in un importo predeterminato, mentre le esigenze che sono maggiormente connesse al tenore di vita nelle differenziate condizioni economiche familiari (un corso di studi particolare, un tipo di vacanza, uno sport specifico, la scelta di una clinica privata per un intervento chirurgico) o le altre di natura eccezionale possono essere plausibilmente soddisfatte solo ponendo a carico dei genitori un’ulteriore obbligazione di partecipazione alla spesa, se del caso – come detto – anche attraverso differenti proporzioni in relazione ai diversi redditi di ciascun genitore.
b) L’obbligatorietà della partecipazione di entrambi i genitori alle spese straordinarie
Come si è detto, quindi, non è nella tipologia di spesa – come spesso si usa fare per comprensibili ragioni empiriche – che va rintracciata la differenza tra le spese ordinarie e quelle straordinarie, in quanto il concetto di straordinarietà è piuttosto legato alla particolarità e alla modalità con cui quella spesa si presenta nel corso della vita dei figli.
Proprio a proposito della natura per molti versi eccezionale e imprevedibile delle spese straordinarie è emerso in giurisprudenza gradualmente il principio generale secondo cui il provvedimento relativo alle obbligazioni di mantenimento verso i figli non può omettere di distribuire tra i genitori le spese straordinarie, in modo proporzionale ai rispettivi redditi in quanto l’inclusione delle spese straordinarie in via forfettaria nell’ammontare dell’assegno posto a carico di uno dei genitori può rivelarsi in netto contrasto con il principio di proporzionalità e di adeguatezza del mantenimento (Cass. civ. Sez. I, 9 giugno 2015, n. 11894; Cass. civ. Sez. I, 8 settembre 2014, n. 18869).
Una tra le decisioni recenti che meglio si è impegnata a sintetizzare un criterio differenziale plausibile tra “spese ordinarie” e “spese straordinarie”, indicando anche i confini di legittimità della distinzione, è senz’altro Cass. civ. Sez. I, 8 giugno 2012, n. 9372 che si è occupata della separazione tra due genitori in cui a carico del padre era stato posto un “assegno di mantenimento per il figlio di 500 euro comprensive delle spese straordinarie”. Nel ricorso per cassazione la madre del minore lamentava che la liquidazione in via forfettaria delle spese straordinarie, ricomprese nel contributo determinato a carico del padre, determinava una situazione di incertezza ponendola in condizione di dover affrontare, attesa l’imprevedibilità delle spese, costi superiori alle proprie possibilità economiche, in violazione del principio di proporzionalità. Nella motivazione con cui i giudici hanno accolto il ricorso della moglie si legge che “in tema di mantenimento della prole, devono intendersi spese “straordinarie” quelle che, per la loro rilevanza, la loro imprevedibilità e la loro imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita dei figli, cosicché la loro inclusione in via forfettaria nell’ammontare dell’assegno, posto a carico di uno dei genitori, può
rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità sancito dall’art.155 cod. civ. e con quello dell’adeguatezza del mantenimento, nonché recare grave nocumento alla prole, che potrebbe essere privata, non consentendolo le possibilità economiche del solo genitore beneficiario dell’assegno “cumulativo”, di cure necessarie o di altri indispensabili apporti; pertanto, pur non trovando la distribuzione delle spese straordinarie una disciplina specifica nelle norme inerenti alla fissazione dell’assegno periodico, deve ritenersi che la soluzione di stabilire in via forfettaria ed aprioristica ciò che è imponderabile e imprevedibile, oltre ad apparire in contrasto con il principio logico secondo cui soltanto ciò che è determinabile può essere preventivamente quantificato, introduce, nell’individuazione del contributo in favore della prole, una sorta di alea incompatibile con i principi che regolano la materia”.
Poiché le ‘’spese straordinarie’’ non possano mai ritenersi comprese in modo forfettario all’interno della somma da corrispondersi con l’assegno periodico di mantenimento, ne consegue che è illegittimo un provvedimento che non indichi a chi facciano carico le spese straordinarie o che non contempli criteri di distribuzione o di allocazione tra i genitori di tali spese.
La definizione delle spese straordinarie come spese di rilevante importo o che sono imprevedibili o imponderabili e che per tale ragione esulano dal consueto e ordinario regime di vita dei figli e dal mantenimento ordinario utilizza quindi un criterio differenziale che fa leva non sulla tipologia della spesa (medica, scolastica, ludica, sportiva o altro) ma sulla sua natura ed è il criterio utilizzato in quasi tutte le decisioni di merito.
c) Il problema del previo consenso tra i genitori: il nuovo orientamento della giurisprudenza
Su questo tema si è assistito in giurisprudenza ad una evoluzione, non priva di contraddizioni, che è opportuno segnalare.
– L’orientamento tradizionale: l’obbligo del previo consenso vale per le sole spese che implicano decisioni
di maggiore interesse.
La giurisprudenza anche recente (Cass. civ. Sez. I, 19 marzo 2014, n. 6297) richiama spesso un principio
tradizionale nell’ambito delle problematiche sulle spese straordinarie. Il principio è quello in base al quale un genitore non è gravato dalla previa concertazione delle spese straordinarie con l’altro genitore, a meno che le stesse non implichino l’assunzione di decisioni di maggiore interesse.
L’orientamento in questione risale ad una lontana sentenza (Cass. civ. Sez. I, 5 maggio 1999, n. 4459)
nella quale per la prima volta la Cassazione interveniva sul tema della concertazione delle spese straordinarie.
Nella vicenda trattata in questa sentenza la Corte di merito, sulla base di un rilevantissimo divario tra i redditi dei genitori, aveva posto a carico del padre in sede divorzile tutti gli oneri economici di mantenimento anche straordinario dei figli; il padre si doleva in cassazione (non del fatto che tali oneri non fossero stati posti anche a carico della madre ma) soltanto del fatto che i giudici non avessero previsto l’obbligo della previa concertazione delle spese straordinarie. La Corte di cassazione respingeva il ricorso del padre osservando che la Corte d’appello aveva fatto riferimento al principio in base al quale “le decisioni di maggiore interesse sono adottate dai coniugi”
e che non aveva affatto voluto escludere il padre dal potere di adottare con l’altro genitore le decisioni di maggiore interesse per i figli. E proprio a tale proposito la sentenza distingue tra “spese straordinarie” e “decisioni straordinarie” cioè “di maggiore interesse” affermando che “il concetto di «spese straordinarie» è ben distinto, dal punto di vista ontologico, e da quello delle coerenti implicazioni giuridiche, dalla nozione di «scelte straordinarie » (“decisioni di maggiore interesse”) intese come decisioni che più marcatamente incidono sulla vita, sull’istruzione e sui valori guida nell’educazione dei figli. E se pure è vero che assai di frequente la realizzazione di scelte siffatte comporta esborsi straordinari, ovvero, sotto opposta prospettiva, che l’erogazione di tali esborsi trova il proprio presupposto in momenti decisionali attinenti ad aspetti importanti della vita dei figli, è, tuttavia, altrettanto vero che l’interferenza tra le due categorie non ne determina la coincidenza, ben potendo ipotizzarsi decisioni fondamentali prive di spesa (ad esempio quelle che attengono all’educazione religiosa) e, per converso, decisioni non rilevanti dal punto di vista della vita e dell’educazione dei minori e, tuttavia, assai onerose sul piano economico (si pensi a viaggi all’estero o, per altro aspetto, a necessarie terapie mediche).
Il principio che sono soggette alla regola del previo accordo solo le spese straordinarie che riguardano decisioni di maggiore interesse per i figli ha trovato puntuale applicazione in molte decisioni successive per esempio in Cass. civ. Sez. I, 28 gennaio 2009, n. 2182 e Cass. civ. Sez. I, 27 aprile 2011, n. 9376 nelle quali peraltro si è affermato che il principio non è inderogabile essendo sempre possibile che il giudice determini oltre che la misura anche nello specifico i modi con i quali i genitori debbano contribuire al mantenimento dei figli (nella specie la corte territoriale, dopo aver dato atto dell’accordo delle parti sull’assunzione dell’obbligo del padre di provvedere per intero alle spese straordinarie di natura sanitaria, scolastica e ricreativa dei figli, aveva espressamente precisato, che le spese “dovranno essere previamente concordate tra le parti, salvo quelle sanitarie di carattere estremamente urgente”). Ugualmente in Cass. civ. Sez. I, 12 aprile 2010, n. 8676 secondo cui “il genitore non affidatario non ha diritto di interloquire sulle spese straordinarie a meno che non attengano in concreto a questioni di particolare interesse”.
Vi è da dire, tuttavia, che i principi che si rinvengono nelle decisioni sopra esaminate potrebbero non essere del tutto appaganti. Si consideri – per rimanere nell’esempio proposto proprio dalla decisione della Cassazione del 1999 – di un viaggio all’estero del figlio molto costoso ma che oggettivamente non costituisce una decisione di maggiore interesse da concordare come tale necessariamente. Il fatto che, in relazione a questa configurazione, non ne sia obbligatoria la preventiva concertazione potrebbe certamente creare problemi al genitore poi chiamato a sostenere la spesa. Per cui i principi indicati dalle sentenze di legittimità sopra richiamati sono di solito integrati nel senso – conforme a quanto deciso da Cass. civ. Sez. I, 8 giugno 2012, n. 9372 sopra richiamata – di includere tra le spese straordinarie necessariamente oggetto di previa concertazione non soltanto quelle che attengono a decisioni di maggiore interesse (come tali oggetto necessario di condivisione) ma anche tutte quelle decisioni che importano oneri economici notevoli.
In conclusione, secondo questo orientamento tradizionale, fatta eccezione per le spese mediche indifferibili ed urgenti che possono essere sostenute in assenza di comune accordo dando comunque titolo a conseguire il rimborso pro quota, per le altre spese straordinarie, inerenti questioni di maggiore interesse per i figli, il genitore che ne chieda il rimborso, al fine dell’accoglimento della domanda, ha l’onere di fornire la prova di aver provveduto a consultare preventivamente l’altro: l’assenza di qualsiasi consultazione esclude il rimborso.
– L’orientamento secondo cui l’obbligo di rimborso delle spese straordinarie consegue alla mancata
contestazione delle spese straordinarie
L’orientamento tradizionale della giurisprudenza soprattutto di legittimità che fa leva sulla previa concertazione delle decisioni di maggiore interesse che importano spese straordinarie si è gradualmente modificato nel corso del tempo sostituendosi spesso al previo consenso il mancato dissenso. Si è cioè ritenuto, in altre parole, secondo alcune decisioni sufficiente che il genitore chiamato al rimborso della spesa potesse esservi ritenuto obbligato non avendo dissentito rispetto alla spesa sostenuta dall’altro genitore.
In questa prospettiva, in passato alcune decisioni avevano proprio affermato che di fronte alle scelte di un genitore l’altro avrebbe potuto prestare acquiescenza ovvero avrebbe potuto dare un consenso postumo che poteva essere anche ravvisato nella mancata adozione di specifiche iniziative anche giudiziarie volta a contrastare una decisione non condivisa.
Per esempio Cass. civ. Sez. , 29 maggio 1999, n. 5262 aveva affermato che “in tema di separazione personale, l’art. 155 c.c., nel rimettere alle determinazioni di entrambi i genitori “le scelte di maggior interesse per i figli”, non impone, riguardo ad esse, alcuno specifico onere di informazione al genitore affidatario, dovendo tale onere ritenersi implicitamente gravante su quest’ultimo (sempre che il suo adempimento non rischi di risolversi in un danno per il minore in relazione alla indifferibilità della scelta) nel solo caso in cui l’informazione sia necessaria affinché il genitore non affidatario possa partecipare alla decisione con riguardo ad eventi eccezionali ed imprevedibili.
Ne consegue che, nelle scelte “di maggior interesse” della vita quotidiana del minore – quali, di regola, quelli attinenti alla sua istruzione, in relazione ai quali l’art. 155 citato prevede espressamente un dovere di vigilanza del genitore non affidatario – ciascun genitore, in ogni caso ed in ogni tempo, ha un autonomo potere di attivarsi nei confronti dell’altro per concordarne le eventuali modalità, e, in difetto, ricorrere all’autorità giudiziaria”. Il principio è stato affermato in relazione ad una vicenda in cui il genitore non affidatario, tenuto a corrispondere un contributo pari al 50% delle spese scolastiche del minore – così come disposto dalla sentenza di separazione – aveva contestato il diritto al rimborso della somma pretesa a tal titolo dal coniuge affidatario con riferimento alle spese sostenute per l’iscrizione del figlio presso un istituto scolastico privato non previamente concordata. In questa vicenda la Cassazione, premessa l’irrilevanza della inesistenza di un accordo tra i coniugi circa tale scelta scolastica, ha ritenuto sufficiente, per la sussistenza dell’obbligo di rimborso, l’esistenza del titolo giudiziale e la mancata, tempestiva adduzione da parte del genitore non affidatario di validi motivi di dissenso circa la scelta della scuola, a prescindere dalla circostanza che l’altro genitore gli avesse o meno comunicato tale determinazione.
Questo orientamento – sebbene formatosi nel vigore delle norme che differenziavano il genitore affidatario dal genitore non affidatario – è stato in seguito confermato da altre decisioni (Cass. civ. Sez. I, 28 gennaio 2009, n. 2182; Cass. civ. Sez. 1, 27 aprile 2011, n. 9376) successive all’introduzione nel 2006 dell’affidamento condiviso.
L’orientamento è stato, invece, fortemente criticato da Cass. civ. Sez. I, 20 giugno 2012, n. 10174 in una
vicenda in cui era stato previsto l’affidamento congiunto della figlia ad entrambi i genitori e in cui era stato posto a carico del padre l’obbligo di provvedere a tutte le spese di abbigliamento, medico dentistiche e scolastiche senza previsione di alcun previo concerto tra i genitori. In questa vicenda il tribunale e la Corte d’appello avevano confermato un decreto ingiuntivo per svariate migliaia di euro ottenuto dalla madre per spese scolastiche sostenute per la figlia. Il padre si era opposto sostenendo di non aver concordato con la madre della ragazza quelle spese. La Cassazione accoglieva il ricorso del padre censurando la decisione della Corte d’appello che non aveva considerato che in caso di affidamento congiunto le decisioni di maggiore interesse vanno adottate di comune accordo.
– Il nuovo orientamento della giurisprudenza che fa leva sulla valutazione dell’interesse del figlio
anziché sulla previa concertazione delle spese
L’enfasi posta dalla sopra richiamata Cass. civ. Sez. I, 20 giugno 2012, n. 10174 sulle regole dell’affidamento
condiviso introdotte nel 2006 non ha avuto seguito e la giurisprudenza di legittimità ha operato negli ultimi anni una vera e propria svolta facendo decisamente leva (pragmaticamente) sulla valutazione dell’interesse del figlio anziché sulla necessaria previa condivisione delle spese straordinarie.
Già nel 2011 Cass. civ. Sez. I, 26 settembre 2011, n. 19607 aveva avanzato la tesi che “non è configurabile
a carico del genitore affidatario un obbligo di informazione e di concertazione preventiva con l’altro, in ordine alla determinazione delle spese straordinarie (nella specie, spese di soggiorno negli U.S.A. per la frequentazione di corsi di lingua inglese da parte di uno studente universitari di lingue) costituente decisione “di maggiore interesse” per il figlio, sussistendo, pertanto, a carico del coniuge non affidatario un obbligo di rimborso qualora non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso”.
Questo orientamento – consapevolmente contrastante con la giurisprudenza che enfatizza l’affidamento condiviso (come si ricava dal fatto che richiama espressamente Cass. civ. Sez. , 29 maggio 1999, n. 5262 fortemente criticata, come si è detto, da Cass. civ. Sez. I, 20 giugno 2012, n. 10174) – è stato precisato molto chiaramente da Cass. civ. Sez. VI, 30 luglio 2015, n. 16175 che afferma il principio generale che “la mancata preventiva concertazione delle spese straordinarie da sostenere nell’interesse dei figli, in caso di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate, impone la verifica giudiziale della rispondenza delle spese all’interesse del minore, mediante la valutazione, riservata al giudice del merito, della commisurazione dell’entità della spesa rispetto all’utilità per il minore e della sostenibilità della stessa rapportata alle condizioni economiche dei genitori”.
A questo orientamento è stata data continuità con le decisioni successive. Così è stato con Cass. civ. Sez. VI,
3 febbraio 2016, n. 2127 che – richiamando espressamente in motivazione Cass. civ. Sez. VI, 30 luglio
2015, n. 16175 – ha ribadito che “non è configurabile a carico del coniuga affidatario o presso il quale sono
normalmente residenti i figli, anche nell’ipotesi di decisioni di maggiore interesse per questi ultimi, un obbligo di informazione e di concertazione preventiva con l’altro genitore, in ordine alla effettuazione e determinazione delle spese straordinarie, che, se non adempiuto, comporta la perdita del diritto al rimborso. Nel caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate, il giudice è tenuto a verificare la rispondenza delle spese all’interesse del minore mediante la valutazione della commisurazione dell’entità della spesa rispetto all’utilità derivante ai figli e della sostenibilità della spesa stessa, rapportata alle condizioni economiche dei genitori”.
Nello stesso senso si è espressa Cass. civ. Sez. VI, 8 febbraio 2016, n. 2467 chiarendo che” in tema di spese
straordinarie sostenute nell’interesse dei figli, il mancato preventivo interpello del coniuge divorziato può essere sanzionato nei rapporti tra i coniugi ma non comporta l’irripetibilità delle spese (nella specie, relative all’iscrizione ad un corso sportivo ed all’attività scoutistica) effettuate nell’interesse del minore e compatibili con il tenore di vita della famiglia”.
Ed infine ha condiviso il nuovo orientamento Cass. civ. Sez. VI, 15 febbraio 2017, n. 4060 ribadendo che
in corso di separazione “non è configurabile a carico del coniuge affidatario un obbligo di informazione e di concertazione preventiva con l’altro, in ordine alla determinazione delle spese straordinarie, costituente decisione di maggiore interesse per il figlio”. Ne discende che sussiste, a carico del coniuge non affidatario, un obbligo di rimborso, qualora non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso”. La ratio che la legislazione sull’affido condiviso privilegia – si legge in questa decisione – è sicuramente il raccordo dei genitori in materia di scelte educative che riguardano i figli, tanto è vero che, se agiscono d’intesa, essi possono in molti casi anche modificare di comune accordo le stesse indicazioni fomite dal giudice. Nondimeno, quando il rapporto tra i genitori non consente il raggiungimento di un’intesa, occorre assicurare ancora la tutela del migliore interesse del minore e l’opposizione di un genitore non può paralizzare l’adozione di ogni iniziativa che riguardi un figlio minorenne, specie se di rilevante interesse, e neppure è necessario ritrovare l’intesa prima che l’iniziativa sia intrapresa, fermo restando che compete al giudice, ove ne sia richiesto, verificare se la scelta adottata corrisponde effettivamente all’interesse del minore.
Il principio pertanto che oggi viene oggi applicato è che anche nel caso di spese straordinarie che dovessero
implicare decisioni di maggior interesse per i figli non è configurabile a carico del coniuge che vive con la prole,un obbligo di concertazione preventiva con l’altro genitore, in ordine alla effettuazione e determinazione delle spese straordinarie, fermo restando che compete al giudice, ove ne sia richiesto, verificare se la scelta adottata corrisponde effettivamente all’interesse del minore.
d) Giudice competente e questioni processuali nelle controversie sul mancato rimborso delle spese
straordinarie
La competenza in ordine alle controversie aventi ad oggetto il rimborso delle spese straordinarie relative ai figli sostenute da un genitore va determinata in ragione del valore della causa secondo i criteri ordinari, trattandosi di controversia diversa da quella concernente il regolamento dei rapporti tra i genitori ovvero la modifica delle condizioni della separazione, rientrante nella competenza funzionale del tribunale (Cass. civ. Sez. VI, 25 settembre 2014, n. 20303; Cass. civ. Sez. I, 19 marzo 2014, n. 6297; Cass. civ. Sez. I, 22 agosto 2006, n. 18240).
Nel caso, quindi, in cui il genitore onerato della contribuzione delle spese straordinarie, sia pure pro quota, non adempia, al fine di legittimare l’esecuzione forzata, occorre adire nuovamente l’autorità giudiziaria affinché accertil’effettiva sussistenza delle condizioni di fatto che determinano l’insorgenza stessa dell’obbligo di esborsodi quelle spese, e ne determini l’esatto ammontare (Cass. civ. Sez. I, 7 febbraio 2014, n. 2815; Cass. civ.Sez. I, 28 gennaio 2008, n. 1758).
È stato affermato nella medesima prospettiva da Cass. civ. Sez. I, 24 febbraio 2011, n. 4543 – richiamando
precedenti decisioni (Cass. civ. Sez. I, 29 gennaio 1999, n. 782 e Cass. civ. Sez. I, 29 aprile 1991,
n. 4722) – che l’ordinanza ex art. 708 c.p.c. non costituisce un titolo per l’emanazione di decreto ingiuntivo,
trattandosi di provvedimento (esaminabile soltanto nel contesto del procedimento cui accede) autonomamente presidiato da efficacia esecutiva, che opera in relazione alle somme che in detto titolo risultino determinate o determinabili con un semplice calcolo aritmetico, mentre, ove “l’obbligo inadempiuto di contribuzione afferisce anche alle spese straordinarie, genericamente considerate in quel provvedimento, in conformità ai principi che regolano il processo di esecuzione, è necessario acquisire il titolo esecutivo attraverso un intervento del giudice che accerti l’insorgenza stessa dell’obbligo di quelle spese, e ne determini l’esatto ammontare.
In Cass. civ. Sez. I, 20 giugno 2012, n. 10174 si ricorda molto opportunamente che il giudizio di opposizione
a decreto ingiuntivo si configura come un ordinario giudizio di cognizione, avente ad oggetto l’accertamento non soltanto della sussistenza dei requisiti di ammissibilità e validità del procedimento monitorio, ma anche della fondatezza della pretesa avanzata dal ricorrente, in ordine alla quale trovano applicazione le regole generali in tema di ripartizione dell’onere della prova; l’emissione del decreto ingiuntivo non determina infatti alcuna inversione nella posizione processuale delle parti, con la conseguenza che il ricorrente, pur assumendo formalmente la veste di convenuto, deve essere considerato attore in senso sostanziale, ed è pertanto tenuto a fornire la prova dei fatti costitutivi del credito fatto valere nel procedimento monitorio.
Di particolare interesse – anche se in controtendenza rispetto alle decisioni sopra richiamate – è la posizione assunta da Cass. civ. Sez. III, 23 maggio 2011, n. 11316 secondo cui il principio in base al quale in caso di mancata ottemperanza dell’obbligato il provvedimento che prevede l’obbligo di contribuire alle spese straordinarie richiede un ulteriore intervento del giudice volto ad accertare l’effettiva entità degli specifici esborsi cui si riferisce la condanna “non vale in relazione alle spese mediche e scolastiche ordinarie, il cui esborso deve considerarsi normale, secondo nozioni di comune esperienza; in tali ipotesi, il provvedimento costituisce titolo esecutivo e la determinazione del credito è rimessa al creditore procedente, il quale può provvedervi allegando idonea documentazione di spesa rilasciata da strutture pubbliche, ovvero da altri soggetti che siano specificamente indicati nel titolo o concordati preventivamente tra i coniugi”. La conclusione cui giunge la decisione in questione è che, in definitiva, in adeguamento dei principi generali alle peculiarità delle esecuzioni in materia di diritto di famiglia, la conclusione rigorosa di Cass., n. 1758 del 2008, della necessità di un indefinito reiterato ed ulteriore ricorso al giudice della cognizione per la formazione di una pluralità di nuovi titoli esecutivi, va temperata e mantenuta ferma con riferimento alle sole spese effettivamente straordinarie e diverse da quelle medico-sanitarie e scolastiche, siccome riguardanti eventi il cui accadimento sia oggettivamente incerto: al contrario, il provvedimento con cui in sede di separazione (non importa se consensuale o giudiziale, ovvero se provvisorio o definitivo, oppure se presidenziale o meno) si stabilisca, ai sensi dell’art. 155 c.c. comma 2, quale modo di contribuire al mantenimento dei figli, che il genitore non affidatario paghi, sia pure pro quota, le spese mediche e scolastiche ordinarie relative ai figli, costituisce esso stesso titolo esecutivo e non richiede, nell’ipotesi di non spontanea ottemperanza da parte dell’obbligato ed al fine di legittimare l’esecuzione forzata, un ulteriore intervento del giudice, qualora il genitore creditore possa allegare ed opportunamente documentare l’effettiva sopravvenienza degli specifici esborsi contemplati dal titolo e la relativa entità; ed impregiudicato beninteso il diritto dell’altro genitore di contestare – ex post ed in sede di opposizione all’esecuzione, dopo l’intimazione del precetto o l’inizio dell’espropriazione – la sussistenza del diritto di credito per la non riconducibilità degli esborsi a spese necessarie o per violazione delle modalità di individuazione dei bisogni del minore.
Questo orientamento – in base al quale per le spese mediche e scolastiche ordinarie in caso di mancata ottemperanza non è richiesto un ulteriore intervento del giudice volto ad accertare l’effettiva entità degli specifici esborsi – è stato ribadito di recente da Cass. civ. Sez. VI, 2 marzo 2016, n. 4182 dove si afferma che il provvedimento con il quale, in sede di separazione, si stabilisce che il genitore non affidatario paghi, sia pure “proquota”, le spese mediche e scolastiche ordinarie relative ai figli costituisce idoneo titolo esecutivo e non richiede un ulteriore intervento del giudice in sede di cognizione, qualora il genitore creditore possa allegare e documentare l’effettiva sopravvenienza degli esborsi indicati nel titolo e la relativa entità, salvo il diritto dell’altro coniuge di contestare l’esistenza del credito per la non riconducibilità degli esborsi a spese necessarie o per violazione delle modalità d’individuazione dei bisogni del minore.
Quindi per le spese mediche e scolastiche ordinarie viene invertito il tradizionale orientamento che prevede la previa necessaria richiesta id un decreto ingiuntivo. Il provvedimento che prevede queste spese costituisce titolo esecutivo e il debitore può contestare il diritto del genitore creditore in sede di opposizione all’esecuzione.
VI
Le nuove garanzie del diritto al mantenimento dei figli: l’art. 3, comma 2,
della legge 10 dicembre 2012, n. 219
a) Le garanzie reali e personali e il sequestro
Con una collocazione decentrata (e per questo anche poco visibile e poco conosciuta) rispetto alle norme in materia di affidamento e mantenimento dei figli in caso di scissione della coppia genitoriale (coniugata o meno), il
secondo comma dell’art. 3 della legge 10 dicembre 2012, n. 219 di riforma della filiazione ha introdotto nell’ordinamento
una nuova disposizione di carattere generale a garanzia dei diritti dei figli agli alimenti e al mantenimento.
12
Se non fosse per il fatto che l’art. 3 della legge 219/2012 ha avuto una specifica visibilità in quanto il primo comma
ha modificato in modo significativo l’art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile che distribuisce
le competenze tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni, questa nuova disposizione in tema di garanzie
per il mantenimento sarebbe passata del tutto inosservata.
Occorre premettere che, prima di tale riforma, le garanzie per l’esatto adempimento dell’obbligazione di mantenimento
verso i figli erano contenute nell’art. 156, 4° e 5° comma del codice civile per la separazione 13 e nell’art.
12 Legge 10 dicembre 2012, n. 219, art. 3 (Modifica dell’articolo 38 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni
a garanzia dei diritti dei figli agli alimenti e al mantenimento)
1. (omissis)
2. Il giudice, a garanzia dei provvedimenti patrimoniali in materia di alimenti e mantenimento della prole, può imporre al genitore
obbligato di prestare idonea garanzia personale o reale, se esiste il pericolo che possa sottrarsi all’adempimento degli obblighi
suddetti. Per assicurare che siano conservate o soddisfatte le ragioni del creditore in ordine all’adempimento degli obblighi di cui
al periodo precedente, il giudice può disporre il sequestro dei beni dell’obbligato secondo quanto previsto dall’articolo 8, settimo
comma, della legge 1º dicembre 1970, n. 898. Il giudice può ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente
somme di denaro all’obbligato, di versare le somme dovute direttamente agli aventi diritto, secondo quanto previsto dall’articolo
8, secondo comma e seguenti, della legge 1º dicembre 1970, n. 898. I provvedimenti definitivi costituiscono titolo per l’iscrizione
dell’ipoteca giudiziale ai sensi dell’articolo 2818 del codice civile.
13 Art. 156 (Effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi)
(omissis) 8, 1°, 2° e ultimo comma della legge sul divorzio 14 (in entrambi i casi accomunate a quelle previste per l’esatto adempimento delle obbligazioni di mantenimento coniugale). Nulla era previsto a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni di mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio.
La tutela unificata e l’estensione anche alle obbligazioni strettamente alimentari (art. 433 e ss c.c.) costituiscono una novità.
Si tratta di norme che, in tema di obbligazioni verso i figli, sostituiscono quelle previste nell’art. 156 c.c. e
nell’art, 8 della legge sul divorzio che mantengono, naturalmente, validità per le obbligazioni di mantenimento tra coniugi e tra ex coniugi.
Con la nuova norma si prevede a garanzia delle obbligazioni alimentari e di mantenimento dei figli (sia nati nel matrimonio che fuori del matrimonio) che:
a) il giudice può imporre al genitore obbligato di prestare idonea garanzia personale o reale, se esiste il pericolo che possa sottrarsi all’adempimento delle obbligazioni patrimoniali in materia di alimenti e mantenimento dei figli;
b) il giudice può disporre il sequestro dei beni dell’obbligato secondo quanto previsto dall’articolo 8, settimo comma, della legge 1º dicembre 1970, n. 898, per assicurare che siano conservate o soddisfatte le ragioni del creditore in ordine all’adempimento delle obbligazioni sopra indicate
Si ritiene che il provvedimento che impone una garanzia o che dispone il sequestro debba essere adottato con la decisione definitiva ove ricorra il pericolo di inadempimento anche desunto da un eventuale inadempimento già verificatosi.
Per quanto riguarda il sequestro, una significativa caratteristica della nuova disposizione sta, inoltre, nel fatto che mentre nell’art. 156 c.c. il sequestro era possibile solo in caso di inadempimento, qui – come peraltro già nell’art. 8, ultimo comma, della legge sul divorzio – il sequestro è svincolato dall’inadempimento e correlato, invece, al pericolo di inadempimento.
b) L’iscrizione di ipoteca
Fa parte sempre del tema delle garanzie la previsione – ugualmente contenuta nel secondo comma (ultima
parte) dell’art. 3 della Legge 10 dicembre 2012, n. 219 – che i provvedimenti definitivi costituiscono titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ai sensi dell’articolo 2818 del codice civile. Qui la legge generalizza in materia di mantenimento dei figli il contenuto dell’art. 156, 5° co. c.c. e 8, 2° co. della legge sul divorzio (“la sentenza costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ai sensi dell’art. 2818 c.c.”) estendendolo, inoltre, anche ai decreti camerali che definiscono le procedure di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio.
La competenza è del giudice della causa in corso o, al di fuori della causa, del tribunale in camera di consiglio, adito ai sensi della norma generale di cui all’art. 38, 3° comma, disp. att. c.c.
c) L’immediata esecutività della decisione
Attiene ugualmente al tema delle garanzie la previsione dell’immediata efficacia esecutiva di tutti i provvedimenti (contenuta nell’art. 38, 3° co. disp. att. c.c. nel testo modificato dalla riforma del 2012 sulla filiazione). La nuova previsione (“Fermo quanto previsto per le azioni di stato il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi salvo che il giudici disponga diversamente”) allinea i decreti camerali (per i figli nati fuori dal matrimonio) alle sentenze (di separazione e divorzio) per le quali l’art. 282 c.p.c. e l’art. 4, comma 14, della legge sul divorzio prescrivono la provvisoria esecuzione tra le parti. Viene capovolta, quindi, in materia camerale connessa all’affidamento e al mantenimento la regola procedurale opposta contenuta nell’art. 741 c.p.c. secondo cui i decreti camerali in genere non hanno efficacia immediatamente esecutiva, salvo diverso avviso del giudice.
4. Il giudice che pronunzia la separazione può imporre al coniuge di prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all’adempimento degli obblighi previsti dai precedenti commi e dall’articolo 155.
5. La sentenza costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ai sensi dell’articolo 2818.
(omissis)
14 Art. 8, Legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio)
1. Il tribunale che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può imporre all’obbligato di prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all’adempimento degli obblighi di cui agli articoli 5 e 6.
2. La sentenza costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ai sensi dell’art. 2818 del codice civile.
(omissis)
7. Per assicurare che siano soddisfatte o conservate le ragioni del creditore in ordine all’adempimento degli obblighi di cui agli articoli 5 e 6, su richiesta dell’avente diritto, il giudice può disporre il sequestro dei beni del coniuge obbligato a somministrare l’assegno.
Le somme spettanti al coniuge obbligato alla corresponsione dell’assegno di cui al precedente comma sono soggette a sequestro e pignoramento fino alla concorrenza della metà per il soddisfacimento dell’assegno periodico di cui agli articoli 5 e 6.
Ugualmente natura immediatamente esecutiva hanno i provvedimenti sul mantenimento contenuti in un decreto di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio (Cass. civ. Sez. III, 20 marzo 2012, n. 4376)
Ed inoltre, in base all’art. 189 disp. att. c.p.c. (richiamato per il divorzio dall’art. 4, comma 8 della legge 898/70) anche l’ordinanza con la quale il presidente del tribunale dà i provvedimenti provvisori e urgenti, nonché l’ordinanza del giudice istruttore che li dovesse modificare, costituisce titolo esecutivo. Ed ugualmente costituisce titolo esecutivo il verbale omologato di separazione consensuale (art. 711 c.p.c.) che consente anche l’iscrizione di ipoteca (Corte cost., 18 febbraio 1988, n. 186).

VII
L’ordine al terzo di versamento dell’assegno in caso di inadempimento da parte dell’obbligato
L’inadempimento – considerata, come si è sopra detto, la natura di titolo esecutivo di tutti i provvedimenti che prescrivono l’obbligo del versamento dell’assegno – consente al genitore o al titolare del diritto di mettere in esecuzione il titolo. E questo garantisce l’esecuzione relativamente all’obbligazione rimasta inadempiuta.
Tuttavia l’esecuzione non garantisce di per sé l’adempimento futuro. Ed in questa prospettiva, se i provvedimenti di sequestro dei beni del genitore obbligato e l’imposizione di garanzie reali e personali tutelano il minore e l’altro genitore rispetto al pericolo dell’inadempimento futuro, norme specifiche assicurano anche l’intervento del giudice per garantire in modo diretto e specifico l’adempimento futuro delle obbligazioni di mantenimento.
Le norme in questione sono contenute nel nuovo testo dell’art. 38 disp. att. c.c. che. generalizzano in una nuova disposizione, applicabile anche ai figli nati fuori dal matrimonio, quanto previsto nell’art. 156, 6° co. c.c. 15 e nell’art. 8 (dal 3° al 6° comma) della legge sul divorzio 16 che rimarranno validi per le sole obbligazioni di mantenimento tra coniugi ed ex coniugi.
Si prevede, in particolare, che il giudice può ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all’obbligato, di versare le somme dovute direttamente agli aventi diritto, secondo quanto previsto dall’articolo 8, secondo comma e seguenti, della legge 1º dicembre 1970, n. 898.
Poiché la norma attribuisce al giudice il potere di disporre la corresponsione diretta a carico del terzo (e non all’interessato di rivolgersi direttamente al terzo come previsto in caso di divorzio) il riferimento a quanto previsto nell’art. 8, sta ad indicare il meccanismo dell’esecuzione.
Anche in questo caso – come per i provvedimenti di natura cautelare di cui si parlato sopra – la competenza per l’adozione dei provvedimenti è del giudice della causa in corso o, al di fuori della causa, del tribunale in camera di consiglio, adito ai sensi della norma generale di cui all’art. 38, 3° comma, disp. att. c.c.
VIII
I contrasti tra genitori sul mantenimento dei figli
Il problema che ci si deve porre è se le questioni connesse all’inadempimento o all’inesatto adempimento in materia di mantenimento dei figli possano considerarsi una controversia in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale e quindi se possano costituire il contenuto delle procedure previste nell’art. 709-ter c.p.c.
A questa domanda nella prassi si dà per lo più risposta negativa, considerandosi controversie sull’esercizio del- 15 Art. 156 (Effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi)
(omissis)
6. In caso di inadempienza, su richiesta dell’avente diritto, il giudice può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all’obbligato, che una parte di essa venga versata direttamente agli aventi diritto.
16 Art. 8, Legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio):
(omissis)
3. Il coniuge cui spetta la corresponsione periodica dell’assegno, dopo la costituzione in mora a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento del coniuge obbligato e inadempiente per un periodo di almeno trenta giorni, può notificare il provvedimento in cui è stabilita la misura dell’assegno ai terzi tenuti a corrispondere periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato con l’invito a versargli direttamente le somme dovute, dandone comunicazione al coniuge inadempiente.
4. Ove il terzo cui sia stato notificato il provvedimento non adempia, il coniuge creditore ha azione diretta esecutiva nei suoi confronti per il pagamento delle somme dovutegli quale assegno di mantenimento ai sensi degli articoli 5 e 6 .
5. Qualora il credito del coniuge obbligato nei confronti dei suddetti terzi sia stato già pignorato al momento della notificazione all’assegnazione e alla ripartizione delle somme fra il coniuge cui spetta la corresponsione periodica dell’assegno, il creditore procedente e i creditori intervenuti nell’esecuzione, provvede il giudice dell’esecuzione.
6. Lo Stato e gli altri enti indicati nell’art. 1 del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, con decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180, nonché gli altri enti datori di lavoro cui sia stato notificato il provvedimento in cui è stabilita la misura dell’assegno e l’invito a pagare direttamente al coniuge cui spetta la corresponsione periodica, non possono versare a quest’ultimo oltre la metà delle somme dovute al coniuge obbligato, comprensive anche degli assegni e degli emolumenti accessori.
(omissis) la responsabilità genitoriale soltanto quelle in ordine all’affidamento. Tuttavia, tra i provvedimenti relativi alle “modalità dell’affidamento”, per l’ampiezza della formula usata, dovrebbero rientrare anche i provvedimenti che stabiliscono obblighi suscettibili di una valutazione economica e che incidono sulla consistenza patrimoniale dei genitori, come tutti gli obblighi che possono essere imposti nella sentenza di divorzio o di separazione per il mantenimento dei figli o relativi all’assegnazione della casa familiare. Effettivamente le pronunce di contenuto economico non possono essere considerate separatamente da quelle aventi ad oggetto obblighi di natura più strettamente personale. L’incipit dell’art. 709-ter (“Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell’affidamento…”) non depone, affatto, con certezza a favore della tesi negativa. Ugualmente il procedimento – individuato nella seconda parte della norma 17 – lascerebbe intendere che le controversie possano essere ragionevolmente anche quelle di natura economica.
Ed in effetti stando ad una parte della giurisprudenza le controversie sulla ripartizione delle spese sarebbero di competenza del giudice della crisi genitoriale o della separazione o del divorzio, nei relativi procedimenti o ex art. 710 c.p.c. o anche ex art. 709-ter c.p.c. (Trib. Bologna 19 giugno 2007 secondo cui tra le controversie prese in considerazione dall’art. 709-ter c.p.c. rientrano anche quelle inerenti al mantenimento del minore e alla ripartizione del contributo tra i genitori comportando l’esercizio della potestà l’assunzione anche di decisioni che possono avere riflessi economici). Analogamente ha ritenuto Trib. Roma, 5 giugno 2007.
Anche secondo Trib. Padova, 3 ottobre 2008 e Trib. Varese, 7 maggio 2010 i provvedimenti sanzionatori
di cui all’art. 709-ter, co. 2, c.p.c. possono essere disposti anche nel caso di inadempimento all’obbligo di mantenimento del figlio ed pertanto l’autoriduzione dell’assegno dovuto a titolo di contributo al mantenimento dei figli può comportare l’ammonimento del genitore inadempiente e la condanna alla sanzione pecuniaria, secondo quanto previsto dall’art. 709-ter, co. 2, c.p.c.
Più recentemente l’estensione dell’art. 709-ter c.p.c. alle controversie in materia di mantenimento è stata riproposta da Trib. Nocera Inferiore, 22 maggio 2013 secondo cui l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 709-ter c.p.c. ha, i propri presupposti di fatto nell’inadempimento di uno dei coniugi a quanto stabilito dai provvedimenti presidenziali nonché in comportamenti lesivi degli interessi della prole: ne consegue che tali sanzioni devono essere applicate nelle ipotesi in cui uno dei coniugi non adempia agli obblighi di mantenimento disposti dai suddetti provvedimenti e non visiti regolarmente i figli in modo tale da mantenere e sviluppare con gli stessi un corretto rapporto genitoriale.
IX
La revisione delle obbligazioni di mantenimento
Sul piano sostanziale l’art. 337-quinquies (Revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli) prevede che i genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo.
Il contenitore processuale è diverso a seconda che la richiesta di revisione sia fatta in corso di causa (art. 709, ult. comma, c.p.c. o art. 4, comma 8, ultima parte, della legge sul divorzio) o successivamente al giudicato (art. 710 c.p.c. e art. 9, 1° comma, della legge sul divorzio)
X
La prescrizione
Il diritto del figlio ad essere mantenuto ha natura di diritto indisponibile e quindi, ai sensi dell’art. 2934 c.c., è imprescrittibile (Cass. civ. Sez. I, 30 dicembre 2011, n. 30196; Cass. civ. Sez. I, 25 ottobre 2000, n.
14022; Cass. sez. I, 26 febbraio 1988, n. 2043)18.
Stabilita la misura della corresponsione, per provvedimento del giudice o per accordo tra i genitori, la prescrizione del diritto è quinquennale a norma dell’art. 2948 n. 4 secondo cui si prescrivono in cinque anni “gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi” (Cass. civ. Sez. I, 5 dicembre 1998, n. 12333; Cass. civ. Sez. I, 4 aprile 2005, n. 6975).
17 Art. 709-ter c.p.c. (Soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni)
(omissis)
2. A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:
1) ammonire il genitore inadempiente;
2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un
massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.
(omissis)
18 cfr la voce PRESCRIZIONE NEL DIRITTO DI FAMIGLIA
MANTENIMENTO DEI FIGLI MINORI
In tal caso, comunque, la prescrizione rimane sospesa ai sensi dell’art. 2941 n. 1 tra coniugi – intendendosi tali, secondo l’orientamento più recente, i coniugi fino al giudicato della separazione (Cass. civ. Sez. I, 4 aprile 2014, n. 7981 e Cass. civ. Sez. I, 20 agosto 2014, n. 18078) e non fino al divorzio come ritenuto in passato – mentre non può trovare applicazione la causa di sospensione prevista nell’art. 2941 n. 2 (sospensione tra chi esercita la responsabilità genitoriale di cui all’articolo 316 o i poteri a essa inerenti e le persone che vi sono sottoposte) in quanto, benché il diritto sia del figlio, il titolare della pretesa è il genitore al quale l’altro deve corrispondere l’assegno di mantenimento per il figlio.
XI
Le conseguenze penali e civili dell’inadempimento
a) La sanzione penale
L’art. 3 della legge 8 febbraio 2006 n. 54 sull’affidamento condiviso dei figli in sede di separazione prevede che “In caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica l’articolo 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898”. Il rinvio vale anche per l’inadempimento agli obblighi di mantenimento stabiliti in sede divorzile e per le violazioni verso i figli nati fuori dal matrimonio, in virtù di quanto previsto nell’art. 4, comma 2, della stessa legge (“Le disposizioni della presente legge si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”)19.
Si comprende dal testo della norma che il reato implica l’omissione del versamento dell’assegno di mantenimento stabilito dal giudice civile (Cass. pen. Sez. VI, 11 dicembre 2015, n. 7764).
Ebbene il richiamato art. 12-sexies della legge sul divorzio prevede che nel caso di sottrazione agli obblighi di mantenimento “si applicano le pene previste dall’art. 570 del codice penale”.
È pacifico che si tratti di un rinvio quoad poenam all’art. 570, e ci si chiede, però, a quale comma dell’articolo 570 del codice penale la norma faccia rinvio. Le pene previste dal primo e dal secondo comma dell’art. 570 c.p.
20 sono diverse e quindi la soluzione di questo problema non è di scarsa rilevanza.
L’opinione interpretativa prevalente sull’articolo 570 del codice penale era, in passato, quella di considerare giuridicamente l’articolo 570 del codice penale come una norma unitaria che prevede due commi in progressione criminosa tra loro: un primo comma (violazione di assistenza in genere) come ipotesi base e un secondo comma (violazione di assistenza materiale) come ipotesi aggravata (Cass. pen. Sez. VI, 21 novembre 1991, n. 479).
Pertanto era piuttosto scontato interpretare il rinvio contenuto nella normativa sul divorzio e sulla separazione come un rinvio al secondo comma, cioè alla disposizione che era considerata specificamente la violazione agli obblighi di assistenza materiale ed economica. Ed infatti la giurisprudenza riteneva pacificamente che il rinvio operato dall’art. 12-sexies all’art. 570 del codice penale si dovesse considerare effettuato al secondo comma della disposizione codicistica “trattandosi di violazione di obbligo di natura economica e non di assistenza morale” (Cass. pen. sez. VI, 28 marzo 2012, n. 12516; Cass. pen. Sez. VI, 24 giugno 2009, n. 28557; Cass.
pen. Sez. VI, 7 dicembre 2006, n. 18450; Cass. pen. Sez. VI, 31 ottobre 1996, n. 1071).
Tuttavia, effettivamente, l’art. 12-sexies della legge sul divorzio, nello stabilire che, nei casi in essa contemplati, si applicano le pene previste dall’art. 570 codice penale, non indica a quale dei due diversi modelli sanzionatori è fatto riferimento: quello del comma 1 (reclusione alternativa alla multa) o quello del comma 2 (reclusione congiunta alla multa).
La questione si impose all’attenzione con forza allorché alcune decisioni misero in discussione l’interpretazione unitaria dell’art. 570 codice penale, ritenendo che il primo e il secondo comma hanno ad oggetto fatti del tutto eterogenei nella loro storicità e considerazione sociale (Cass. pen. Sez. VI, 17 gennaio 2011, n. 3016; Cass. pen. Sez. VI, 20 ottobre 2011, n. 3881; Cass. pen. Sez. VI, 13 marzo 2012, n. 12307) e pertanto integrano due reati autonomi.
E quindi il problema dell’individuazione esatta del comma dell’art. 570 a cui considerare effettuato il rinvio divenne ineludibile e fu affrontato dalle Sezioni Unite con la sentenza Cass. pen. Sez. Unite, 31 gennaio 2013, n. 23866 (riferita espressamente anche alle regole sul mantenimento dei figli) con la quale è stata definitivamente abbandonata la tradizionale interpretazione unitaria sull’articolo 570, e si è aderito alla tesi dell’autonomia dei 19 Cfr la voce VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI ASSISTENZA FAMILIARE
20 Art. 570 c.p. (Violazione degli obblighi di assistenza familiare)
Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032.
Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:
1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge;
2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un’altra disposizione di legge.
due commi, considerato che negli obblighi di assistenza rientrano anche quelli di assistenza materiale concernenti la corresponsione dei mezzi economici. Si è concluso quindi che “rientra nella tutela penale apprestata dall’art. 570 codice penale, primo comma, la violazione dei doveri di assistenza materiale di coniuge e di genitore, previsti dalle norme del codice civile”.
Se si rilegge con attenzione l’art. 570 del codice penale – alla luce di queste considerazioni – si può notare come il testo della disposizione conduce facilmente a questa conclusione se i due commi si interpretano effettivamente non come un unico reato (ipotesi base e aggravante) ma come due reati autonomi: il primo comma punisce con pene alternative le violazioni ai doveri assistenziali in genere (ivi comprese quelle di natura economica) mentre il secondo comma punisce con pene congiunte il comportamento più grave di chi lascia i propri familiari senza mezzi di sussistenza. Il principio di diritto affermato è quindi che: “il generico rinvio, quoad poenam, all’art. 570 codice penale, effettuato dall’articolo 12-sexies della legge sul divorzio – e dall’articolo 3 della legge sull’affidamento condiviso – deve intendersi riferito alle pene alternative previste dal comma primo della disposizione codicistica”.
Pertanto il delitto previsto dall’art. 12-sexies della legge sul divorzio si configura per la semplice omissione di corrispondere l’assegno nella misura disposta dal giudice, prescindendo dalla prova dello stato di bisogno dell’avente diritto e senza necessità che tale inadempimento civilistico comporti anche il venir meno dei mezzi di sussistenza per il beneficiario dell’assegno. Il giudice graduerà la sanzione a seconda della gravità. Ove invece il comportamento omissivo comporti anche la privazione dei mezzi di sussistenza troverà applicazione il secondo comma dell’art. 570 del codice penale.
Successivamente alla richiamata decisione delle Sezioni Unite che hanno scisso in due reati autonomi i comportamenti sanzionati rispettivamente nel primo e nel secondo comma dell’art. 570 c.p. la giurisprudenza si è allineata a questa indicazione: così hanno fatto per esempio Cass. pen. Sez. VI, 21 ottobre 2015, n. 535; Cass. pen. Sez. VI, 10 novembre 2015, n. 49465; Cass. pen. Sez. VI, 11 dicembre 2015, n. 7764; Cass. pen. Sez. VI, 8 luglio 2015, n. 36265; Cass. pen. Sez. VI, 27 settembre 2016, n. 43341, precisandosi in sostanza, molto chiaramente, che la mancata osservanza dell’obbligo del versamento dell’assegno di mantenimento per i figli non integra il reato di cui all’art. 570, comma 2, n. 2, c.p. (come si riteneva per lo più in passato), giacché il generico rinvio, quoad poenam, all’art. 570 c.p., deve intendersi riferito alle pene alternative previste dall’art. 570, comma 1, c.p. Ne deriva che mentre può essere realizzata la violazione dell’art. 12-sexies della legge sul divorzio (richiamato dall’art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54) senza che siano fatti mancare i mezzi di sussistenza alle parti offese indicate nell’art. 570, comma 2, n. 2, c.p., viceversa il genitore separato che fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori, omettendo di versare l’assegno di mantenimento, commette un unico reato, quello previsto dall’art. 570, comma 2, n. 2, c.p. (così anche App. Roma Sez. III, 11 ottobre 2016).
In tal caso la violazione meno grave (l’omissione di versamento dell’assegno di mantenimento) per il principio di assorbimento, volto ad evitare il bis in idem sostanziale, perde infatti la sua autonomia e viene ricompresa nella accertata sussistenza della più grave violazione della norma prevalente per severità di trattamento sanzionatorio (aver fatto mancare i mezzi di sussistenza nei confronti del beneficiario dell’assegno di mantenimento).
Quindi nell’ambito delle condotte punite dai due commi dell’art. 570 c.p. – cui fa rinvio quoad poenam l’art,
12-sexies della legge sul divorzio (richiamato dalla legge n. 54 del 2006 per i figli) l’inosservanza dell’obbligazione di mantenimento può esaurirsi nel mancato versamento dell’assegno (comma 1) oppure può integrare il più grave comportamento del far mancare i mezzi di sussistenza (comma 2).
Resta aperto il problema della procedibilità.
L’art. 570 del codice penale prevede la procedibilità a querela salvo il caso in cui il reato di cui al secondo comma (malversazione o privazione dei mezzi di sussistenza) sia commesso in danno di minori.
Ebbene, dopo la decisione delle Sezioni Unite sarebbe del tutto ragionevole ritenere che il rinvio all’art. 570 c.p. possa essere anche riferibile al sistema della procedibilità. Pertanto mentre la violazione dell’obbligo di versamento dell’assegno connesso al mantenimento dovrebbe essere punibile a querela della persona offesa (che è il genitore al quale l’assegno viene corrisposto) (primo comma), viceversa il far mancare i mezzi di sussistenza al figlio dovrebbe rientrare senz’altro nei casi di procedibilità d’ufficio a cui si riferisce il secondo comma dell’art. 570 c.p.
Sennonché, benché si tratti di una opinione assolutamente ragionevole, non è stata questa la conclusione a cui è giunta la Corte costituzionale davanti alla quale la questione è stata sollevata proprio dopo la chiarissima posizione espressa dalle Sezioni Unite sulla duplicità dei reati previsti nell’art. 570 del codice penale. La Corte ha affermato che non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898, nella parte in cui non stabilisce per tale reato, come interpretato dal diritto vivente, la procedibilità a querela, in quanto “i tertia comparationis evocati dal giudice rimettente – specificamente artt. 388, co. 2, e 570 c.p., nonché art. 6 legge n. 154 del 2001 – presentano elementi differenziali tali da non rendere automatica la richiesta estensione del regime di perseguibilità a querela alla figura criminosa considerata. Parimenti essi non consentono di ritenere valicato il limite dell’ampia discrezionalità di cui il legislatore fruisce nella scelta del regime di procedibilità dei reati. Ad esso spetterà, comunque, ricomporre eventuali disarmonie presenti nel sistema delle incriminazioni relative ai rapporti familiari, sulla base di una ponderata valutazione degli interessi coinvolti”
(Corte cost. 5 novembre 2015, n. 220).
Ed a questa conclusione si è attenuta immediatamente la giurisprudenza come per esempio Cass. pen. Sez.
VI, 1 aprile 2015, n. 15918 dove si ripete semplicisticamente che per il delitto previsto dall’art. 12-sexies, L.
1 dicembre 1970, n. 898, si procede d’ufficio, in quanto il rinvio all’art. 570 c.p., voluto dal legislatore, si riferisce esclusivamente al trattamento sanzionatorio e non anche al terzo comma, il quale prevede la procedibilità a querela della persona offesa.
La soluzione contraria – e cioè prevedere la procedibilità a querela per il mancato versamento dell’assegno di mantenimento (primo comma dell’art. 570 c.p.) e la procedibilità d’ufficio per la condotta di chi fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli (secondo comma) – non deve essere apparsa politicamente corretta ed è lasciata quindi alla responsabilità del legislatore. In ogni caso il giudice è tenuto a valutare se l’omissione incriminata realizza la fattispecie di cui al primo comma o quella di cui al secondo comma, derivandone conseguenze sanzionatorie differenziate. E’ evidente tuttavia che con la previsione della procedibilità d’ufficio resta sempre impedita una conclusione indolore del procedimento per remissione della eventuale querela che vi avesse dato corso.
b) I riflessi dell’inadempimento sulla responsabilità genitoriale
Ci si deve anche chiedere se l’omesso versamento dell’assegno di mantenimento possa integrare un contegno genitoriale a cui possa conseguire la pronuncia di decadenza della responsabilità genitoriale (ai sensi dell’art. 330 c.c in cui si prescrive che “Il giudice può pronunziare la decadenza dalla responsabilità genitoriale quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio”).
La descrizione della condotta (“…quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio”) sembra tassativa ma in realtà può essere riempita dei più vari contenuti.
I comportamenti contrari ai doveri dei genitori possono essere di carattere “commissivo” (maltrattare, minacciare, ingiuriare) ovvero “omissivo” (trascurare, abbandonare). La violazione dei doveri genitoriali o l’abuso di essi sono concetti da intendere in senso ampio, tali da comprendere contegni e comportamenti che rendono inidoneo il genitore a svolgere le funzioni educative che il diritto naturale gli assegna. In verità è quasi impossibile estrarre dai precedenti della giurisprudenza tipologie di comportamenti che legittimano la decadenza, in quanto qualsiasi comportamento in sé potrebbe legittimarla. Quello che rileva è non tanto il tipo di comportamento quanto il pregiudizio in concreto che esso arreca. Per questo motivo non è del tutto appagante soffermarsi sugli esempi tratti dai repertori della giurisprudenza che potrebbero trarre anche in inganno.
Il “grave pregiudizio” sofferto dal figlio deve essere collegato da un nesso causale con il comportamento abusante del genitore. L’espressione “grave pregiudizio” ricorre in altre disposizioni: per esempio nell’art. 342-bis c.c. sugli ordini di protezione (“…la condotta…. causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà….) o nell’art. 151 c.c. sulla separazione giudiziale (…recare grave pregiudizio alla educazione della prole”).
Ciascuna definizione presiede a differenti tipologie di tutela. In tutte queste ipotesi l’unico dato che appare
unificante è quello dell’aggettivazione “grave” che appare tendenzialmente indicativa di un criterio per così dire di “determinatezza” nel senso che non tutti i comportamenti pregiudizievoli verso un figlio minore giustificano l’adozione di un provvedimento ablativo ma solo quei comportamenti che arrecano una sofferenza significativa.
Non è, tuttavia, agevole – né forse possibile – indicare quali sono le disfunzioni della responsabilità genitoriale che legittimano un provvedimento di decadenza, essendo molteplici e non sempre lineari le situazioni riconducibili al comportamento del genitore che in relazione alla responsabilità genitoriale “viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio”.
In questa prospettiva si discute, appunto, se anche le omissioni di natura economica possano fondare una pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale.
Ebbene, la privazione del mantenimento potrebbe essere certamente idonea ad integrare una condizione di grave pregiudizio il figlio ove si traduca in quella malversazione o privazione dei mezzi di sussistenza ai quali fa riferimento il secondo comma dell’art. 570 c.p. ma non è da escludere che anche l’omissione sistematica del mantenimento possa portare ad una condizione di così grave sofferenza e pregiudizio per il figlio del figlio da far ritenere del tutto applicabile l’art. 330 del codice civile.
c) il risarcimento dei danni
Come si è visto all’inizio, la violazione del l’obbligo di mantenimento gravante sui genitori dalla nascita può essere senz’altro fonte di risarcimento dei danni ove inadempiuto (Cass. civ. Sez. I, 10 aprile 2012, n. 5652;
Cass. civ. Sez. I, 22 novembre 2013, n. 26205 in cui il principio viene affermato con riguardo al problema
del riconoscimento tardivo del figlio nato fuori dal matrimonio).
Altra giurisprudenza si è soffermata anche sul tema del risarcimento dei danni cagionati dalla violazione dei
provvedimenti che dispongono l’obbligo di mantenimento.
In passato già Cass. civ. Sez. I, 7 giugno 2000, n. 7713 in una vicenda dove l’obbligo risarcitorio trovava la
sua fonte nella circostanza che dopo la condanna alla corresponsione del mantenimento in un caso di tardivo riconoscimento, il padre non aveva versato per anni il mantenimento. Questo comportamento venne sanzionato con la condanna al risarcimento dei danni. In questa sentenza la misura risarcitoria conseguiva non all’omissione del riconoscimento spontaneo ma all’illecito consistente nell’aver omesso per anni il pagamento del mantenimento a cui il padre era stato condannato.
Il principio che la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole non trova sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, è stato riaffermato da Cass. civ. Sez. I, 22/07/2014, n. 16657 secondo cui il danno non patrimoniale da violazione dei doveri di mantenimento, istruzione e educazione dei genitori verso la prole può essere provato per presunzioni e facendo ricorso alle nozioni di comune esperienza e va liquidato in via equitativa potebndosi prendere a riferimento, con gli opportuni correttivi, le somme previste dalle tabelle per la perdita del rapporto parentale e da Cass. civ. Sez. VI, 16 febbraio 2015, n. 3079 dove si ribadisce che nella giurisprudenza di legittimità è stata, infatti, da tempo enucleata la nozione di illecito endofamiliare. Su tale base, la violazione dei relativi doveri non trova la sua sanzione, necessariamente e soltanto, nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia. La natura giuridica di tali obblighi, infatti, comporta che la relativa violazione, nell’ipotesi in cui provochi la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c. Il che vuoi dire che è sempre risarcibile il pregiudizio di natura non patrimoniale, quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale.
Giurisprundenza
App. Roma Sez. III, 11 ottobre 2016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare il totale inadempimento all’obbligo di mantenimento integra senza
dubbio il reato di cui all’art. 570, comma 2, c.p. per il mancato soddisfacimento delle esigenze primarie e vitali della prole e di
quelle complementari della vita quotidiana.
Cass. pen. Sez. VI, 27 settembre 2016, n. 43341 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di violazione degli obblighi di natura economica posti a carico del genitore separato, il disposto di cui all’art. 12-sexies
legge 1 dicembre 1970, n. 898 (richiamato dall’art. 3 della legge 8 febbraio 2006 n. 54) si applica anche all’inadempimento
dell’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento in favore dei figli minori, stabilito dal Presidente del tribunale tra le
disposizioni conseguenti all’autorizzazione dei coniugi a vivere separati. (In motivazione, la S.C. ha precisato che il citato art. 3
sanziona la violazione degli “obblighi di natura economica”, senza operare alcuna distinzione quanto alla loro fonte).
Cass. civ. Sez. VI, 14 luglio 2016, n. 14417 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento da cui conseguono tutti i doveri propri della
procreazione legittima tra i quali l’obbligo di mantenimento. La relativa obbligazione si collega allo status genitoriale e assume
decorrenza dalla nascita del figlio, con la conseguenza che l’altro genitore, il quale nel frattempo ha sostenuto l’onere di mantenimento
anche per la porzione di pertinenza del figlio dichiarato giudizialmente, ha diritto di regresso per la corrispondente quota.
Cass. civ. Sez. VI, 22 aprile 2016, n. 8151 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In merito alla richiesta di rivalutazione dell’assegno di mantenimento disposto, in sede di divorzio, in favore dei figli minori,
in ragione al fatto notorio della crescita dei figli e dell’aumento delle loro esigenze, deve rilevarsi che le esigenze dei figli, in
concomitanza con l’aumento della loro età e alla conseguente necessità di un incremento dell’assegno, si può in linea generale
consentire; tuttavia, ai fini di un eventuale aumento dell’importo, si dovrà necessariamente effettuare una valutazione concreta
delle esigenze dei figli medesimi, sulla base delle condizioni economiche dei genitori.
Cass. civ. Sez. VI, 2 marzo 2016, n. 4182 (Famiglia e Diritto, 2016, 5, 507)
Il provvedimento con il quale, in sede di separazione, si stabilisce che il genitore non affidatario paghi, sia pure “pro quota”, le
spese mediche e scolastiche ordinarie relative ai figli costituisce idoneo titolo esecutivo e non richiede un ulteriore intervento del
giudice in sede di cognizione, qualora il genitore creditore possa allegare e documentare l’effettiva sopravvenienza degli esborsi
indicati nel titolo e la relativa entità, salvo il diritto dell’altro coniuge di contestare l’esistenza del credito per la non riconducibilità
degli esborsi a spese necessarie o per violazione delle modalità d’individuazione dei bisogni del minore.
Cass. civ. Sez. V, 17 febbraio 2016, n. 3110 (Famiglia e Diritto, 2016, 4, 400)
Gli atti di trasferimento immobiliare contemplati negli accordi di separazione consensuale tra coniugi godono dell’esenzione
fiscale, senza che rilevi che gli stessi siano solo occasionalmente generati dalla separazione ovvero che non siano connessi
all’affidamento dei figli, al loro mantenimento ed a quello del coniuge, o al godimento della casa di famiglia. Deve riconoscersi
il carattere di negoziazione globale a tutti gli accordi di separazione che, anche mediante la previsione di trasferimenti mobiliari
od immobiliari, siano volti a definire in modo tendenzialmente stabile la crisi coniugale, destinata a sfociare, di lì a breve, nella
cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario o nello scioglimento del matrimonio civile, ovvero in un divorzio non
solo prefigurato, ma voluto dalle parti, in presenza delle necessarie condizioni di legge. Ne deriva l’impossibilità di negare che
tali accordi, a prescindere dalla forma che concretamente vengano ad assumere, debbano intendersi quali “atti relativi al procedimento
di separazione o divorzio” e come tali possano usufruire dell’esenzione di cui all’art. 19 della legge n. 74 del 1987,
nel testo conseguente alla pronuncia n. 154 del 1999 della Corte Costituzionale, salvo che l’Amministrazione contesti e provi,
secondo l’onere probatorio cadente su di essa, la finalità elusiva degli atti medesimi. Gli accordi che prevedono, nel contesto di
una separazione tra coniugi, atti comportanti trasferimenti patrimoniali dall’uno all’altro coniuge o in favore dei figli, essendo riconducibili
nell’ambito delle “condizioni della separazione”, debbono intendersi quali “atti relativi al procedimento di separazione
o divorzio”; ne consegue che, in quanto tali, gli stessi ben possono usufruire della esenzione prevista dall’art. 19 della legge n.
74 del 1987, fatto salvo che l’Amministrazione contesti e provi, secondo l’onere probatorio posto a suo carico, la finalità elusiva
degli atti medesimi.
MANTENIMENTO DEI FIGLI MINORI
Cass. civ. Sez. VI, 15 febbraio 2017, n. 4060 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di separazione dei coniugi, riguardo ai rapporti con i figli, non è configurabile a carico del coniuge affidatario un obbligo
di informazione di concertazione preventiva con l’altro, in ordine alla determinazione delle spese straordinarie, costituente decisione
“di maggiore interesse” per il figlio. Ne discende che sussiste, a carico del coniuge non affidatario, un obbligo di rimborso,
qualora non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso”. La ratio che la legislazione sull’affido condiviso privilegia
è sicuramente il raccordo dei genitori in materia di scelte educative che riguardano i figli, tanto è vero che, se agiscono d’intesa,
essi possono in molti casi anche modificare di comune accordo le stesse indicazioni fomite dal giudice. Nondimeno, quando il
rapporto tra i genitori non consente il raggiungimento di un’intesa, occorre assicurare ancora la tutela del migliore interesse del
minore e l’opposizione di un genitore non può paralizzare l’adozione di ogni iniziativa che riguardi un figlio minorenne, specie se
di rilevante interesse, e neppure è necessario ritrovare l’intesa prima che l’iniziativa sia intrapresa, fermo restando che compete
al giudice, ove ne sia richiesto, verificare se la scelta adottata corrisponde effettivamente all’interesse del minore.
Cass. civ. Sez. VI, 3 febbraio 2016, n. 2127 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Non è configurabile a carico del coniuge affidatario o presso il quale sono normalmente residenti i figli, anche nell’ipotesi di
decisioni di maggiore interesse per questi ultimi, un obbligo di informazione e di concertazione preventiva con l’altro genitore,
in ordine alla effettuazione e determinazione delle spese straordinarie, che, se non adempiuto, comporta la perdita del diritto al
rimborso. Nel caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte
del coniuge che non le ha effettuate, il giudice è tenuto a verificare la rispondenza delle spese all’interesse del minore mediante
la valutazione della commisurazione dell’entità della spesa rispetto all’utilità derivante ai figli e della sostenibilità della spesa
stessa, rapportata alle condizioni economiche dei genitori.
Cass. civ. Sez. V, 3 febbraio 2016, n. 2111 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Gli atti di trasferimento immobiliare contemplati negli accordi di separazione consensuale tra coniugi godono dell’esenzione
fiscale, senza che rilevi che gli stessi siano solo occasionalmente generati dalla separazione ovvero che non siano connessi
all’affidamento dei figli, al loro mantenimento ed a quello del coniuge, o al godimento della casa di famiglia. Deve riconoscersi
il carattere di negoziazione globale a tutti gli accordi di separazione che, anche mediante la previsione di trasferimenti mobiliari
od immobiliari, siano volti a definire in modo tendenzialmente stabile la crisi coniugale, destinata a sfociare, di lì a breve, nella
cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario o nello scioglimento del matrimonio civile, ovvero in un divorzio non
solo prefigurato, ma voluto dalle parti, in presenza delle necessarie condizioni di legge. Ne deriva l’impossibilità di negare che
tali accordi, a prescindere dalla forma che concretamente vengano ad assumere, debbano intendersi quali “atti relativi al procedimento
di separazione o divorzio” e come tali possano usufruire dell’esenzione di cui all’art. 19 della legge n. 74 del 1987,
nel testo conseguente alla pronuncia n. 154 del 1999 della Corte Costituzionale, salvo che l’Amministrazione contesti e provi,
secondo l’onere probatorio cadente su di essa, la finalità elusiva degli atti medesimi. Gli accordi che prevedono, nel contesto di
una separazione tra coniugi, atti comportanti trasferimenti patrimoniali dall’uno all’altro coniuge o in favore dei figli, essendo riconducibili
nell’ambito delle “condizioni della separazione”, debbono intendersi quali “atti relativi al procedimento di separazione
o divorzio”; ne consegue che, in quanto tali, gli stessi ben possono usufruire della esenzione prevista dall’art. 19 della legge n.
74 del 1987, fatto salvo che l’Amministrazione contesti e provi, secondo l’onere probatorio posto a suo carico, la finalità elusiva
degli atti medesimi.
Cass. civ. Sez. VI, 8 febbraio 2016, n. 2467 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di spese straordinarie sostenute nell’interesse dei figli, il mancato preventivo interpello del coniuge divorziato può essere
sanzionato nei rapporti tra i coniugi ma non comporta l’irripetibilità delle spese (nella specie, relative all’iscrizione ad un corso
sportivo ed all’attività scoutistica) effettuate nell’interesse del minore e compatibili con il tenore di vita della famiglia.
Cass. pen. Sez. VI, 11 dicembre 2015, n. 7764 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il delitto di aver fatto mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori implica l’omissione del versamento dell’assegno di mantenimento
stabilito dal giudice civile e quest’ultima violazione non integra il reato di cui all’art. 570, comma 2, n. 2, c.p., giacché il
generico rinvio, quoad poenam, all’art. 570 c.p., operato dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12-sexies, come modificato dalla
L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 21, (ed ora anche dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3), deve intendersi riferito alle pene alternative
previste dall’art. 570, comma 1, c.p. Ne deriva che mentre può essere realizzata la violazione dalla L. 1 dicembre 1970, n.
898, art. 12-sexies, o della L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3, senza che siano fatti mancare i mezzi di sussistenza alle parti offese
indicate nell’art. 570, comma 2, n. 2, c.p., il genitore separato che fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori, omettendo
di versare l’assegno di mantenimento, commette un unico reato, quello previsto dall’art. 570, comma 2, n. 2, c.p. La violazione
meno grave (l’omissione di versamento dell’assegno di mantenimento) per il principio di assorbimento, volto ad evitare il bis in
idem sostanziale, perde infatti la sua autonomia e viene ricompresa nella accertata sussistenza della più grave violazione della
norma prevalente per severità di trattamento sanzionatorio (aver fatto mancare i mezzi di sussistenza nei confronti del beneficiario
dell’assegno di mantenimento).
Cass. civ. Sez. I, 24 novembre 2015, n. 23978 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ove i genitori siano privi di mezzi economici, i parenti in linea collaterale (nella specie, le zie paterne) non possono essere condannati
a fornire loro quanto necessario ad adempiere ai doveri imposti dalla legge nei confronti dei figli, atteso che l’art. 148,
comma 2, c.c. (nella formulazione, applicabile “ratione temporis”, antecedente alle modifiche di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 154 del
2013) fa riferimento esclusivamente agli “ascendenti” e, quindi, ai soli parenti in linea retta.
Cass. pen. Sez. VI, 10 novembre 2015, n. 49465 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 570, comma secondo, n. 2, cod. pen., mentre deve escludersi ogni automatica
equiparazione dell’inadempimento dell’obbligo stabilito dal giudice civile alla violazione della legge penale, il giudice deve
accertare, anche nell’ipotesi di integrale corresponsione dell’assegno stabilito per il mantenimento, se la condotta dell’imputato
abbia inciso apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi economici che lo stesso è tenuto a fornire ai beneficiari. (Nel caso
di specie, la Corte ha ritenuto corretta la decisione di merito secondo cui il mancato pagamento, da parte dell’imputato, della
propria quota del mutuo relativo all’abitazione familiare aveva ridotto le capacità finanziarie dell’altro coniuge affidatario, costretto
a far fronte all’intero debito, così finendo per incidere sui bisogni essenziali di vita del figlio minore, deprivato dei mezzi
di sussistenza primari.
Corte cost., 5 novembre 2015, n. 220 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898, aggiunto dall’art.
21 della L. n. 74/1987, impugnato in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui – nel disporre che al coniuge che si sottrae
all’obbligo di corresponsione dell’assegno dovuto a titolo di contributo al mantenimento di un figlio minore, si applicano le pene
previste dall’art. 570 c.p. – non stabilisce per tale reato, come interpretato dal diritto vivente, la procedibilità a querela. I tertia
comparationis evocati dal giudice rimettente – specificamente artt. 388, co. 2, e 570 c.p., nonché art. 6 legge n. 154 del 2001 –
presentano elementi differenziali tali da non rendere automatica la richiesta estensione del regime di perseguibilità a querela alla
figura criminosa considerata. Parimenti essi non consentono di ritenere valicato il limite dell’ampia discrezionalità di cui il legislatore
fruisce nella scelta del regime di procedibilità dei reati. Ad esso spetterà, comunque, ricomporre eventuali disarmonie presenti
nel sistema delle incriminazioni relative ai rapporti familiari, sulla base di una ponderata valutazione degli interessi coinvolti.
Cass. civ. Sez. VI, 30 luglio 2015, n. 16175 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La mancata preventiva concertazione delle spese straordinarie da sostenere nell’interesse dei figli, in caso di rifiuto di provvedere
al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate, impone la verifica giudiziale della rispondenza
delle spese all’interesse del minore, mediante la valutazione, riservata al giudice del merito, della commisurazione dell’entità
della spesa rispetto all’utilità per il minore e della sostenibilità della stessa rapportata alle condizioni economiche dei genitori.
Cass. pen. Sez. VI, 8 luglio 2015, n. 36265 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel reato di omessa corresponsione dell’assegno divorzile previsto dall’art. 12 sexies della legge sul divorzio (legge n. 898 del
1970), come modificato dall’art. 21 della legge n. 74 del 1987, il generico rinvio quoad poenam all’art. 570 c.p. deve intendersi
riferito alle pene alternative previste dal comma primo di quest’ultima disposizione.
Cass. civ. Sez. I, 1 luglio 2015, n. 13504 (Famiglia e Diritto, 2015, 10, 936)
L’affidamento condiviso dei figli minori, in quanto fondato sull’interesse esclusivo di questi ultimi, non elimina l’obbligo patrimoniale
di uno dei genitori di contribuire alle esigenze di vita della prole mediante la corresponsione di un assegno di mantenimento
a favore del genitore collocatario, dovendo quest’ultimo provvedere in misura più ampia alle spese correnti relative ai minori.
Cass. civ. Sez. I, 9 giugno 2015, n. 11894 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Devono intendersi spese straordinarie quelle che, per la loro rilevanza, imprevedibilità e imponderabilità, esulano dall’ordinario
regime di vita dei figli, cosicché la loro inclusione in via forfettaria nell’ammontare dell’assegno, posto a carico di uno dei genitori,
può rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità sancito dalla legge e con quello dell’adeguatezza del mantenimento
, nonché recare pregiudizio alla prole , che potrebbe essere privata di cure necessarie o di altri indispensabili apporti; pertanto,
pur non trovando la distribuzione delle spese straordinarie una disciplina specifica nelle norme inerenti alla fissazione dell’assegno
periodico, deve ritenersi che la soluzione di stabilire in via forfettaria ed aprioristica ciò che è imponderabile e imprevedibile,
oltre ad apparire in contrasto con il principio logico secondo cui soltanto ciò che è determinabile può essere preventivamente
quantificato, introduce, nell’individuazione del contributo in favore della prole, una sorta di alea incompatibile con i principi che
regolano la materia.
Cass. pen. Sez. VI, 1 aprile 2015, n. 15918 (Famiglia e Diritto, 2015, 8-9, 849)
Per il delitto previsto dall’art. 12-sexies, L. 1 dicembre 1970, n. 898, si procede d’ufficio, in quanto il rinvio all’art. 570 c.p.,
voluto dal legislatore, si riferisce esclusivamente al trattamento sanzionatorio e non anche al terzo comma, il quale prevede la
procedibilità a querela della persona offesa.
Per il delitto di omesso versamento dell’assegno divorzile si procede d’ufficio, in quanto il rinvio che ha fatto il legislatore speciale
all’art. 570, comma 3, c.p., si riferisce esclusivamente al trattamento sanzionatorio e non anche alla relativa condizione di
procedibilità, il quale, in deroga ai principi generali, prevede la procedibilità a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti
dal numero 1 e, quando il fatto è commesso nei confronti di minori, dal n. 2 del comma 2 della suddetta disposizione contenuta
nel codice penale. Va annullata, pertanto, la sentenza di merito che dichiara l’estinzione del reato per intervenuta remissione
della querela.
App. Bologna Sez. I, 20 febbraio 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Avverso il decreto del Presidente del Tribunale reso agli effetti degli articoli 315-bis e 316-bis del codice civile è inammissibile il
reclamo alla Corte d’Appello ai sensi degli articoli 739 e 742-bis del codice di procedura civile. Il decreto presidenziale emesso
a causa dell’inadempimento, da parte del genitore, dei propri doveri verso il figlio, ed in particolare di quello attinente al suo
mantenimento, è impugnabile esclusivamente con opposizione – secondo quanto previsto dal chiaro dettato dell’articolo 316 bis
del codice civile – avanti il Tribunale, nel termine di venti giorni dalla notificazione del provvedimento, operando – a tal fine – le
forme proprie dell’opposizione a decreto ingiuntivo. La tipicità del potere d’impugnazione riconosciuto, all’egida dell’indirizzo giurisprudenziale
formatosi con riguardo all’articolo 148 del codice civile, ed il carattere esclusivo che connota la formula normativa
che quel potere prevede, conducono ad affermare l’unicità del mezzo d’impugnazione esperibile avverso il provvedimento presidenziale
– individuandolo nell’opposizione al decreto – e stabiliscono l’insussistenza di alternative applicative operanti a favore
delle parti, e in particolare l’estraneità della norma al riconoscimento di una facoltà di proposizione ed esercizio di diversi mezzi
d’impugnazione che rientri nella disponibilità delle parti stesse.
Cass. civ. Sez. VI, 16 febbraio 2015, n. 3079 (Famiglia e Diritto, 2015, 4, 418)
La violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole non trova sanzione solo nelle
misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente
protetti.
Cass. civ. Sez. I, 10 dicembre 2014, n. 26060 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di separazione personale dei coniugi, l’affidamento condiviso dei figli minori,in quanto fondato sull’interesse esclusivo
di questi ultimi, non elimina l’obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire alle esigenze di vita dei primi mediante la
corresponsione di un assegno di mantenimento, ma non implica, come sua conseguenza “automatica”, che ciascuno dei due
genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto ed autonomo, alle predette esigenze.
Cass. civ. Sez. I, 8 settembre 2014, n. 18869 (Famiglia e Diritto, 2014, 11, 1035)
L’inclusione delle spese straordinarie in via forfettaria nell’ammontare dell’assegno posto a carico di uno dei genitori può rivelarsi
in netto contrasto con il principio di proporzionalità e di adeguatezza del mantenimento.
Cass. civ. Sez. VI, 25 settembre 2014, n. 20303 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In caso di opposizione a precetto intimato per l’adempimento degli obblighi di natura patrimoniale imposti al coniuge in sede
di separazione (nella specie, obbligo del coniuge non affidatario di contribuire alle spese di mantenimento dei figli sostenute
dal coniuge affidatario), la competenza va determinata in ragione del valore della causa secondo i criteri ordinari, trattandosi
di controversia diversa da quella concernente il regolamento dei rapporti tra coniugi ovvero la modifica delle condizioni della
separazione, rientrante nella competenza funzionale del tribunale
Cass. civ. Sez. I, 20 agosto 2014, n. 18078 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La sospensione della prescrizione non opera tra coniugi separati legalmente.
L’originaria idea che “lo stato di separazione… pur rivelando una incrinatura dell’unità familiare, non ne implica la definitiva
frattura”, rimanendo possibile la “ricostituzione (mediante la conciliazione) della coesione familiare” (così Corte cost. n. 35/1976
cit.), è oggi ampiamente superata, se si considera che la separazione non è più un momento di riflessione e ripensamento prima
di riprendere la vita di coppia, e nemmeno solo l’anticamera del futuro divorzio, ma rappresenta il momento della “sostanziale
esautorazione dei principali effetti del vincolo matrimoniale” (così Cass. n. 7981/2014). I
Cass. civ. Sez. I, 20 agosto 2014, n. 18066 (Famiglia e Diritto, 2015, 4, 357 nota di FILAURO)
La clausola di trasferimento di immobile tra coniugi ovvero da uno dei genitori al figlio minore recepita dalla sentenza di divorzio,
anche sulla base di conclusioni uniformi, è valida tra le parti e nei confronti dei terzi. Essa può essere oggetto di annullamento
per vizio di volontà in un autonomo giudizio di cognizione e non può costituire motivo di impugnazione della sentenza di divorzio.
Tale pattuizione non è modificabile nelle forme e secondo la procedura di cui agli artt. 710 e 711 cod. proc. civ..
Trib. Perugia Sez. I, 23 luglio 2014 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel procedimento monitorio previsto dall’art 316-bis c..c. l’opposizione è regolata dalle norme relative all’opposizione al decreto
di ingiunzione con la sola differenza, rispetto alla procedura monitoria, che il termine per proporre opposizione non è di 40 giorni
ma di 20 giorni. Tale normativa ha introdotto uno speciale rimedio avverso il provvedimento presidenziale in punto mantenimento,
che esclude pertanto l’applicabilità degli artt. 669-bis e ss.
Cass. civ. Sez. I, 22 luglio 2014, n. 16657 (Foro It., 2015, 6, 1, 2149)
Il danno non patrimoniale da violazione dei doveri di mantenimento, istruzione e educazione dei genitori verso la prole può essere
provato per presunzioni e facendo ricorso alle nozioni di comune esperienza.
Il danno non patrimoniale da violazione dei doveri di mantenimento, istruzione e educazione dei genitori verso la prole va liquidato
in via equitativa e nella liquidazione si possono prendere a riferimento, con gli opportuni correttivi, le somme previste dalle
tabelle del Tribunale di Milano per la perdita del rapporto parentale.
L’obbligazione di mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio, essendo collegata allo status genitoriale, sorge con la nascita
per il solo fatto di averli generati e persiste fino al momento del conseguimento della loro indipendenza economica, con la conseguenza
che nell’ipotesi in cui, al momento della nascita, il figlio sia stato riconosciuto da uno solo dei genitori, il quale abbia
assunto l’onere esclusivo del mantenimento anche per la parte dell’altro genitore, egli ha diritto di regresso nei confronti dell’altro
per la corrispondente quota, sulla base delle regole dettate dagli artt. 148 e 261 c.c., (v. oggi l’art. 316-bis c.c., introdotto
dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154) da interpretarsi alla luce del regime delle obbligazioni solidali stabilito nell’art. 1299 c.c.
Cass. civ. Sez. I, 4 aprile 2014, n. 7981 (Foro It., 2014, 6, 1, 1768)
La sospensione della prescrizione tra coniugi di cui all’art. 2941, n. 1, cod. civ. non trova applicazione al credito dovuto per l’assegno
di mantenimento previsto nel caso di separazione personale, dovendo prevalere sul criterio ermeneutico letterale un’interpretazione
conforme alla “ratio legis”, da individuarsi tenuto conto dell’evoluzione della normativa e della coscienza sociale
e, quindi, della valorizzazione delle posizioni individuali dei membri della famiglia rispetto alla conservazione dell’unità familiare
e della tendenziale equiparazione del regime di prescrizione dei diritti post-matrimoniali e delle azioni esercitate tra coniugi separati.
Nel regime di separazione, infatti, non può ritenersi sussistente la riluttanza a convenire in giudizio il coniuge, collegata
al timore di turbare l’armonia familiare, poiché è già subentrata una crisi conclamata e sono già state esperite le relative azioni
giudiziarie, con la conseguente cessazione della convivenza, il venir meno della presunzione di paternità di cui all’art. 232 cod.
civ. e la sospensione degli obblighi di fedeltà e collaborazione.
Cass. civ. Sez. I, 19 marzo 2014, n. 6297 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La competenza in ordine alla controversia avente ad oggetto l’adempimento delle obbligazioni di natura economica, imposte al
coniuge in sede di separazione consensuale (nella specie relative al pagamento delle spese straordinarie relative ai figli sostenute
dal coniuge affidatario), va determinata in ragione del valore della causa secondo i criteri ordinari, trattandosi di controversia
diversa da quella concernente il regolamento dei rapporti tra coniugi ovvero la modifica delle condizioni della separazione, rientrante
nella competenza funzionale del tribunale.
Cass. civ. Sez. I, 7 febbraio 2014, n. 2815 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel caso in cui il coniuge onerato alla contribuzione delle spese straordinarie, sia pure pro quota, non adempia, al fine di legittimare
l’esecuzione forzata, occorre adire nuovamente il giudice affinché accerti l’effettiva sussistenza delle condizioni di fatto che
determinano l’insorgenza stessa dell’obbligo di esborso di quelle spese, e ne determini l’esatto ammontare.
Cass. civ. Sez. I, 22 novembre 2013, n. 26205 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’obbligo dei genitori di educare e mantenere i figli è eziologicamente connesso esclusivamente alla procreazione, prescindendo
dalla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, così determinandosi un automatismo tra responsabilità genitoriale e procreazione, che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell’ipotesi in cui alla procreazione
non segua il riconoscimento e l’assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore. Il presupposto di tale responsabilità e del conseguente diritto del figlio al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali è costituito dalla consapevolezza del concepimento, che non si identifica con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, ma si compone di una serie di indizi univoci, quali, nella specie, la indiscussa consumazione di rapporti sessuali non protetti
all’epoca del concepimento.
Cass. civ. Sez. II, 23 settembre 2013, n. 21736 (Famiglia e Diritto, 2013, 11, 1033)
L’accordo tra coniugi in sede di separazione che prevede il trasferimento di immobili anche ai figli ha natura solutoria e non
necessita della forma prevista per le donazioni. L’obbligo di mantenimento dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti,
può essere adempiuto dai genitori in sede di separazione personale o divorzio (mediante un accordo, il quale, anziché attraverso
una prestazione patrimoniale periodica, od in concorso con essa, attribuisca o li impegni ad attribuire ai figli la proprietà di beni
mobili od immobili, e che tale accordo non realizza una donazione, in quanto assolve ad una funzione solutoria-compensativa
dell’obbligazione di mantenimento, in quanto costituisce applicazione del principio, stabilito dall’art. 1322 c.c. della libertà dei
soggetti di perseguire con lo strumento contrattuale interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
Cass. civ. Sez. VI – 1, 18 settembre 2013, n. 21273 (Famiglia e Diritto, 2014, 2, 105, nota di NATALI, PISELLI)
A seguito della separazione personale tra coniugi, la prole ha diritto ad un mantenimento tale da garantire un tenore di vita corrispondente
alle risorse economiche della famiglia ed analogo per quanto possibile a quello goduto in precedenza, continuando a
trovare applicazione l’art. 147 codice civile che, imponendo il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, obbliga i genitori a
far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all’aspetto abitativo, scolastico,
sportivo, sanitario e sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione, fin quando l’età dei figli stessi lo
richieda, di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione. Ne consegue
che non esiste duplicazione del contributo nel caso sia stabilito un assegno di mantenimento omnicomprensivo con chiaro riferimento
a tutti i bisogni ordinari e, contemporaneamente, si predisponga la misura della partecipazione del genitore alle spese
straordinarie, in quanto non tutte le esigenze sportive, educative e di svago rientrano tra le spese straordinarie.
Cass. civ. Sez. V, 28 giugno 2013, n. 16348 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Per l’ipotesi di trasferimento di immobili in adempimento di obbligazioni assunte in sede di separazione personale dei coniugi,
l’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (norma speciale rispetto a quella di cui all’art. 26 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131), alla
luce delle sentenze della Corte costituzionale 11 giugno 2003, n. 202, 10 maggio 1999, n. 154 e 15 aprile 1992, n. 176, deve
essere interpretato nel senso che l’esenzione si estende “a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento
di separazione personale dei coniugi”, in modo da garantire l’adempimento delle obbligazioni che i coniugi separati hanno assunto
per conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici, anche con atti i cui effetti siano favorevoli ai figli. Le attribuzioni
patrimoniali in favore dei figli, realizzate in occasione del divorzio o della separazione personale dei genitori beneficiano delle
agevolazioni previste dall’art. 19 della legge n. 74 del 1987, tenuto presente che il beneficio fiscale in questione è volto a tutelare
anche l’esigenza di agevolare e promuovere, nel più breve tempo, una soluzione idonea a garantire l’adempimento delle obbligazioni
che gravano, ad esempio, sul coniuge non affidatario della prole, cioè a assolvere i doveri di mantenimento della prole,
nel cui ambito si iscrivono – quali plausibili modalità solutorie – anche le attribuzioni aventi carattere reale.
Trib. Nocera Inferiore, 22 maggio 2013 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 709-ter c.p.c. ha, i propri presupposti di fatto nell’inadempimento di uno dei coniugi
a quanto stabilito dai provvedimenti presidenziali nonché in comportamenti lesivi degli interessi della prole: ne consegue
che tali sanzioni devono essere applicate nelle ipotesi in cui uno dei coniugi non adempia agli obblighi di mantenimento disposti
dai suddetti provvedimenti e non visiti regolarmente i figli in modo tale da mantenere e sviluppare con gli stessi un corretto
rapporto genitoriale. L’inadempimento degli obblighi patrimoniali non integra gli estremi delle gravi inadempienze o degli atti che
comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, e dunque non è
punibile con alcuna delle sanzioni previste nel comma 2 dello stesso art. 709-ter.
Cass. civ. Sez. VI, 8 marzo 2013, n. 5924 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nell’ipotesi di trasferimento di immobili, in adempimento di obbligazioni assunte in sede di separazione personale dei coniugi,
l’art. 19 della legge n. 74/1987, alla luce delle sentenze della Corte costituzionale n. 154/1999 e n. 176/1992, deve essere
interpretato nel senso che l’esenzione dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa, di tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti
relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio si estende a
tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi, in modo da garantire
l’adempimento delle obbligazioni che i coniugi separati hanno assunto per conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici,
anche con atti i cui effetti siano favorevoli ai figli.
Cass. pen. Sez. Unite, 31 gennaio 2013, n. 23866 (CED Cassazione, 2013)
Rientra nella tutela penale apprestata dall’art. 570 codice penale, comma 1, la violazione dei doveri di assistenza materiale
di coniuge e di genitore, previsti dalle norme del codice civile.
Nel reato di omessa corresponsione dell’assegno divorzile previsto dall’art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898,
come modificato dall’art. 21 della legge 6 marzo 1987, n. 74, il generico rinvio, “quoad poenam”, all’art. 570 codice penale deve
intendersi riferito alle pene alternative previste dal comma primo di quest’ultima disposizione.
La condotta sanzionata dall’art. 570, comma secondo, cod. pen. presuppone uno stato di bisogno, nel senso che l’omessa assistenza
deve avere l’effetto di far mancare i mezzi di sussistenza, che comprendono quanto è necessario per la sopravvivenza,
situazione che non si identifica né con l’obbligo di mantenimento né con quello alimentare, aventi una portata più ampia.
Il reato di omessa corresponsione dell’assegno divorzile è procedibile d’ufficio e non a querela della persona offesa, in quanto
il rinvio contenuto nell’art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898 all’art. 570 cod. pen. si riferisce esclusivamente al
trattamento sanzionatorio previsto per il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare e non anche al relativo regime
di procedibilità.
Cass. civ. Sez. I, 24 luglio 2012, n. 12977 (Foro It., 2013, 4, 1, 1193)
In tema di separazione giudiziale dei coniugi, trovano applicazione, ai figli maggiorenni portatori di handicap, ai sensi della
legge 104/92, le sole disposizioni previste in favore dei figli minori, quali quelle in tema di visite, di cura e di mantenimento
da parte dei genitori non conviventi, di assegnazione della casa coniugale, ma non anche quelle sull’affidamento, condiviso od
esclusivo.
Cass. civ. Sez. I, 20 giugno 2012, n. 10174 (Famiglia e Diritto, 2013, 2, 114, nota di ARCERI)
La scelta del tipo di scuola rientra senza dubbio tra le decisioni di maggior importanza che devono esser assunte di comune
accordo tra i genitori. Pertanto, anche se, nel disciplinare il regime delle cosiddette spese straordinarie, ivi comprese quelle scolastiche,
gli accordi intervenuti tra le parti, recepiti nella sentenza di divorzio, omettessero di subordinarne il rimborso a carico
del genitore che le avesse anticipate al preventivo concerto, è da ritenersi che tale condizione sia immanente ed implicita laddove
le spese straordinarie afferiscano a decisioni di maggior interesse.
Cass. civ. Sez. I, 8 giugno 2012, n. 9372 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di mantenimento della prole, devono intendersi spese “straordinarie” quelle che, per la loro rilevanza, la loro imprevedibilità
e la loro imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita dei figli, cosicché la loro inclusione in via forfettaria
nell’ammontare dell’assegno, posto a carico di uno dei genitori, può rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità sancito
dall’art.155 cod. civ. e con quello dell’adeguatezza del mantenimento, nonché recare grave nocumento alla prole, che potrebbe
essere privata, non consentendolo le possibilità economiche del solo genitore beneficiario dell’assegno “cumulativo”, di cure
necessarie o di altri indispensabili apporti; pertanto, pur non trovando la distribuzione delle spese straordinarie una disciplina
specifica nelle norme inerenti alla fissazione dell’assegno periodico, deve ritenersi che la soluzione di stabilire in via forfettaria ed
aprioristica ciò che è imponderabile e imprevedibile, oltre ad apparire in contrasto con il principio logico secondo cui soltanto ciò
che è determinabile può essere preventivamente quantificato, introduce, nell’individuazione del contributo in favore della prole,
una sorta di alea incompatibile con i principi che regolano la materia.
Trib. Napoli Sez. I, 4 giugno 2012 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di separazione giudiziale dei coniugi, l’esercizio del potere di espletamento delle indagini di polizia tributaria, costituisce
una deroga alle regole generali sull’onere della prova, rientrando nella discrezionalità del giudice di merito e non potendo essere
considerato come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni
economiche. Detta discrezionalità però, è limitata dalla possibilità, per il giudice, di rigettare la richiesta delle parti ove non risultino
dimostrati gli assunti sui quali essa si fonda. Vale a dire che l’esercizio del potere discrezionale del giudice non può sopperire
alla carenza probatoria della parte onerata dovendo piuttosto costituire uno strumento per assumere informazioni integrative del
bagaglio istruttorio già fornito, ove incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova.
Cass. civ. Sez. I, 10 aprile 2012, n. 5652 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’obbligo dei genitori di mantenere i figli (artt. 147 e 148 cod. civ.) sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da
qualsivoglia domanda, sicché nell’ipotesi in cui, al momento della nascita, il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto
perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene meno l’obbligo dell’altro per il periodo anteriore alla dichiarazione
giudiziale di paternità o maternità naturale, essendo sorto sin dalla nascita il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto,
istruito ed educato nei confronti di entrambi i genitori.
Cass. pen. sez. VI, 28 marzo 2012, n. 12516 (Famiglia e Diritto, 2012, 8-9, 826)
Il primo comma dell’art. 570 c.p. punisce unicamente le condotte che violano gli obblighi di “assistenza morale”, che si concretizzano
nella violazione ingiustificata dell’obbligo di coabitazione ovvero in comportamenti, attivi od omissivi, comunque riconducibili
alla nozione di “ordine morale famigliare”. La fattispecie dell’aver fatto mancare i mezzi di sussistenza non richiede, per
la sua configurabilità, la previa esistenza di un provvedimento giurisdizionale. Tuttavia, dalla struttura complessiva della norma,
si ricava che non è penalmente rilevante una condotta di omessa “assistenza materiale” che non si risolva nel far venire meno
i mezzi di sussistenza.
Cass. civ. Sez. III, 20 marzo 2012, n. 4376 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il provvedimento che modifica le condizioni di separazione tra i coniugi, pronunciato ai sensi dell’art. 710 cod. proc. civ., è immediatamente
esecutivo, in quanto ad esso non si applica il differimento dell’efficacia esecutiva previsto in via generale dall’art.
741 cod. proc. civ. per gli altri provvedimenti camerali.
Cass. pen. Sez. VI, 13 marzo 2012, n. 12307 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Le fattispecie prevista dai ai commi primo e secondo dell’art. 570 cod. pen. configurano due reati autonomi e non una progressione
criminosa che possa far ritenere assorbita la contestazione del comma primo nella seconda disposizione.
Cass. civ. Sez. I, 30 dicembre 2011, n. 30196 (Famiglia e Diritto, 2013, 2, 174 nota di SERRA)
Il provvedimento relativo al mantenimento del figlio minore delle parti separande può essere assunto d’ufficio e, pertanto, la
domanda del genitore, per la prima volta, nel giudizio di secondo grado, non contrasterebbe con il disposto dell’art. 345 c.p.c.,
trattandosi di allegazione di omessa pronuncia (il principio non estensibile ai figli maggiorenni non economicamente autosufficienti).
Cass. pen. Sez. VI, 20 ottobre 2011, n. 3881 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La condotta di sottrazione agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà genitoriale nei confronti dei figli minori e quella di
omessa prestazione dei mezzi di sussistenza, previste, rispettivamente, nel primo e secondo comma dell’art. 570 cod. pen. non
sono in rapporto di continenza o di progressione criminosa, ma hanno ad oggetto fatti del tutto eterogenei nella loro storicità e
considerazione sociale.
Cass. civ. Sez. I, 26 settembre 2011, n. 19607 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Non è configurabile a carico del coniuge affidatario un obbligo di informazione di concertazione preventiva con l’altro, in ordine
alla determinazione delle spese straordinarie (nella specie, spese di soggiorno negli U.S.A. per la frequentazione di corsi di lingua
inglese da parte di uno studente universitari di lingue) costituente decisione “di maggiore interesse” per il figlio, sussistendo,
pertanto, a carico del coniuge non affidatario un obbligo di rimborso qualora non abbia tempestivamente addotto validi motivi
di dissenso.
Trib. Novara, 21 luglio 2011 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di obbligo di mantenimento del minore, e posto che la realizzazione del principio di proporzionalità costituisce la finalità
primaria dell’assegno di mantenimento , va precisato che la determinazione dell’ammontare di tale assegno deve tenere in
considerazione le attuali esigenze del figlio, il tenore di vita voluto da questi in costanza di convivenza con entrambi i genitori,
i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori e la valenza economica dei compiti
domestici e di cura assunti da ciascuno. Una valutazione sinottica di detti criteri conduce a ritenere che, per realizzare le finalità
perequative cui è destinato l’istituto dell’assegno di mantenimento , si debba procedere, innanzitutto, all’accertamento
delle complessive disponibilità economiche del nucleo familiare; tale accertamento, da condurre unitamente alla valutazione del
tenore di vita concretamente mantenuto dal medesimo nucleo in corso in costanza di matrimonio, consente, per un verso, di
quantificare la parte delle risorse economiche che la famiglia è in grado di destinare alle esigenze di mantenimento dei figli e,
per altro verso, le proporzioni dell’apporto che ciascun coniuge può fornire per il soddisfacimento di tali esigenze. Acquisiti tali
dati di valutazione, andrà, quindi, considerata l’effettiva misura dell’apporto dato dai singoli genitori al soddisfacimento delle
esigenze della prole, valutata sia con riferimento ai tempi di permanenza dei figli presso ciascun settore, sia con riferimento a
tutti gli ulteriori dati probatori acquisiti nel corso del giudizio circa i concreti atti di accudimento dei genitori, ivi compresi i compiti
domestici e di cura materiale.
Cass. civ. Sez. III, 23 maggio 2011, n. 11316 (Giur. It., 2012, 1, 49)
Il provvedimento con cui in sede di separazione (non importa se consensuale o giudiziale, ovvero se provvisorio o definitivo,
oppure se presidenziale o meno) si stabilisca, quale modo di contribuire al mantenimento dei figli, che il genitore non affidatario
paghi, sia pure pro quota, le spese mediche e scolastiche ordinarie relative ai figli, costituisce esso stesso titolo esecutivo e
non richiede, nell’ipotesi di non spontanea ottemperanza da parte dell’obbligato ed al fine di legittimare l’esecuzione forzata, un
ulteriore intervento del giudice, qualora il genitore creditore possa allegare ed opportunamente documentare l’effettiva sopravvenienza
degli specifici esborsi contemplati dal titolo e la relativa entità.
Cass. civ. Sez. I, 27 aprile 2011, n. 9376 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di divorzio, poiché l’art. 6, quarto comma della legge 1 dicembre 1970, n. 898, modificata dalla legge 6 marzo 1987,
n. 74, consente al coniuge non affidatario d’intervenire nell’interesse dei figli solo con riguardo alle “decisioni di maggiore interesse”,
non è configurabile a carico del coniuge affidatario un obbligo di concertazione preventiva con l’altro in ordine alla
determinazione delle spese straordinarie (nella specie spese sostenute per il trattamento ortodontico del figlio) nei limiti in cui
esse non implichino decisioni di maggior interesse per i figli; tuttavia tale principio non è inderogabile, essendo possibile che il
giudice stabilisca oltre che la misura, anche i modi (tra i quali la previa concertazione), in modo difforme da quanto previsto, in
linea di principio, dalla legge.
Cass. civ. Sez. I, 24 febbraio 2011, n. 4543 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’ordinanza con la quale il presidente del tribunale pronunci, ai sensi dell’art. 708 cod. proc. civ. i provvedimenti temporanei ed
urgenti di contenuto economico nell’interesse dei coniugi e della prole non costituisce titolo per la emanazione di una successiva
ingiunzione di pagamento ai sensi dell’art. 633 cod. proc. civ. trattandosi di provvedimento (esaminabile soltanto nel contesto del
procedimento cui accede) autonomamente presidiato da efficacia esecutiva con riguardo alle somme che risultino determinate
ovvero determinabili con un semplice calcolo aritmetico. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza che aveva revocato il
decreto ingiuntivo relativo sia a crediti per spese straordinarie della prole non quantificate, per le quali era necessario acquisire
il titolo esecutivo, sia a crediti per i quali avrebbe già potuto procedersi esecutivamente).
Cass. pen. Sez. VI, 17 gennaio 2011, n. 3016 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La fattispecie di abbandono del domicilio domestico e quella di omessa prestazione dei mezzi di sussistenza, previsti, rispettivamente,
nel primo e secondo comma dell’art. 570 cod. pen., non sono in rapporto di continenza o di progressione criminosa, ma
hanno ad oggetto fatti del tutto eterogenei nella loro storicità.
Cass. civ. Sez. I, 30 settembre 2010, n. 20509 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
I genitori hanno l’obbligo di mantenere i propri figli, secondo il disposto di cui all’articolo 147 del codice civile. Tale obbligo grava
su entrambi i genitori in senso primario ed integrale, con la conseguenza che, laddove uno di essi, non volesse o non potesse
ottemperarvi, l’altro è tenuto a farvi fronte, ricorrendo a tutte le proprie risorse economiche, sfruttando le proprie capacità di
lavoro, salvo poi agire contro l’inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle sue condizioni economiche. Ne deriva
che l’obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari per adempiere al loro dovere di mantenimento ha natura
sussidiaria, dunque, succedanea e che trova applicazione non già perché uno dei due genitori è inadempiente all’obbligo de quo,
ma se ed in quanto l’altro genitore non è in grado di provvedervi.
L’obbligo di mantenimento dei figli minori ex articolo148 codice civile spetta primariamente e integralmente ai loro genitori
sicché, se uno dei due non possa o non voglia adempiere al proprio dovere, l’altro, nel preminente interesse dei figli, deve far
fronte per intero alle loro esigenze con tutte le sue sostanze patrimoniali e sfruttando tutta la propria capacità di lavoro, salva
la possibilità di convenire in giudizio l’inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle condizioni economiche globali
di costui; pertanto l’obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei
confronti dei figli – che investe contemporaneamente tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori – va inteso non solo
nel senso che l’obbligazione degli ascendenti è subordinata e, quindi, sussidiaria rispetto a quella, primaria, dei genitori, ma anche
nel senso che agli ascendenti non ci si possa rivolgere per un aiuto economico per il solo fatto che uno dei due genitori non
dia il proprio contributo al mantenimento dei figli, se l’altro genitore è in grado di mantenerli; così come il diritto agli alimenti
ex art.433 cod. civ., legato alla prova dello stato di bisogno e dell’impossibilità di reperire attività lavorativa, sorge solo qualora
i genitori non siano in grado di adempiere al loro diretto e personale obbligo.
Trib. Varese, 7 maggio 2010 (Fam. Pers. Succ., 2010, 6, 472)
L’autoriduzione dell’assegno dovuto a titolo di contributo al mantenimento dei figli può comportare l’ammonimento del genitore
inadempiente e la condanna alla sanzione pecuniaria, secondo quanto previsto dall’art. 709-ter, co. 2, c.p.c., ma di per sé non
consente, in mancanza di prova sul danno, l’applicazione della misura risarcitoria di cui al n. 3, mentre il risarcimento del danno
in favore del minore previsto dal n. 2 può essere chiesto solo da un curatore speciale (nella specie, il giudice ha ammonito il
padre e lo ha condannato a pagare la somma di euro 75 alla cassa delle ammende ex art. 709-ter, co. 2, n. 4, c.p.c.).
Cass. civ. Sez. I, 12 aprile 2010, n. 8676 (Famiglia e Diritto, 2010, 10, 889, nota di FLORIO)
Ai sensi dell’art. 6, comma 4, legge n. 898/1970, l’esercizio della potestà genitoriale è affidato in via esclusiva al coniuge affidatario
e comprende anche le decisioni sui “costi” di carattere straordinario che non necessariamente coincidono con quelle di
maggior interesse. Il genitore non affidatario non ha diritto di interloquire sulle spese straordinarie a meno che non attengano
in concreto a questioni di particolare interesse.
È inammissibile il ricorso per Cassazione qualora, poiché ricadente sotto il regime processuale introdotto dal D. Lgs n. 40 del
2006, il quesito di diritto formulato si risolva nella mera richiesta di accoglimento del motivo, o comunque nell’intervento della
Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura, senza tuttavia contenere la sintetica indicazione della regola di diritto
applicata dal Giudice del merito e di quella diversa che si sarebbe dovuta applicare al caso a parere del ricorrente. (Nel caso specifico,
avuto riguardo alla censura della impugnata sentenza per aver posto a carico del ricorrente in misura prevalente le spese
straordinarie concernenti il mantenimento della figlia, il quesito formulato consisteva nello stabilire la Corte di legittimità se,
tenuto conto del contributo già dovuto per il mantenimento della figlia e delle attuali condizioni economiche, era da lui dovuto,
tra l’altro in misura prevalente, il concorso nel sostenere le spese straordinarie per la prole).
Cass. civ. Sez. I, 24 febbraio 2010, n. 4519 (Famiglia e Diritto, 2010, 6, 607)
In tema di determinazione dell’assegno di mantenimento, la discrezionalità di cui è munito il giudice di merito nel disporre indagini
attraverso la polizia tributaria non può ritenersi di carattere assoluto, trovando un limite nell’impossibilità da parte del giudice
di basare il proprio convincimento in ordine all’assegno su valutazioni prive del necessario riscontro.
Cass. civ. Sez. I, 6 novembre 2009, n. 23630 (Famiglia e Diritto, 2010, 2, 196)
Nella determinazione del contributo previsto dall’art. 277, secondo comma, cod. civ. per il mantenimento del figlio minore nato
fuori del matrimonio, a seguito della dichiarazione giudiziale di paternità naturale, il giudice, ai sensi dell’art. 155 cod. civ., applicabile
anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati in virtù del rinvio contenuto nell’art. 4 della legge n. 54 del
2006, deve tener conto non solo delle esigenze attuali del figlio, ma anche del tenore di vita goduto dallo stesso nel corso della
convivenza con entrambi i genitori, nonché delle risorse economiche di questi, in modo da realizzare il principio generale di cui
all’art. 148 cod. civ., secondo cui i genitori devono concorrere al mantenimento dei figli in proporzione delle rispettive sostanze
e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.
Cass. pen. Sez. VI, 24 giugno 2009, n. 28557 (Corriere del Merito, 2013, 7, 774)
Il rinvio all’art. 570 del codice penale operato dall’art. 12-sexies legge n. 898 del 1970 e succ. modif. che punisce l’inadempimento
del coniuge all’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile, deve intendersi alla disposizione del comma secondo, con
applicazione quindi della pena congiunta della reclusione sino ad un anno e della multa da Euro 103,00 a Euro 1032,00.
Cass. civ. sez. I, 17 giugno 2009, n. 14081 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Anche in materia di separazione dei coniugi deve ritenersi applicabile in via analogica la norma dell’articolo 5, comma 9, l. n.
898/70, come modificato dall’articolo 10 l. n. 74/87, il quale prevede, in tema di riconoscimento e quantificazione dell’assegno
divorzile, che in caso di contestazioni il tribunale possa disporre indagini sui redditi e patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo
tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria. Peraltro, l’esercizio di tale potere rientra nella discrezionalità
del giudice di merito, che non è tenuto ad avvalersene ove ritenga provata compiutamente “aliunde” la situazione economica
delle parti, ma ove non se ne avvalga non può rigettare le domande per la mancata dimostrazione della situazione economica
delle parti (nella specie, la Corte ha confermato la decisione dei giudici del merito, che avevano respinto la richiesta d’indagini a
mezzo della polizia tributaria sui beni del marito avanzata dalla moglie, affermando che la cospicua documentazione allegata agli
atti, costituita dalle dichiarazione dei redditi, fosse del tutto sufficiente per una completa conoscenza della situazione economica
dell’uomo).
Cass. civ. Sez. I, 10 dicembre 2008, n. 28987 (Giur. It., 2009, 10, 2182)
Il carattere sostanzialmente alimentare dell’assegno di mantenimento per i figli maggiorenni comporta che la normale retroattività
della statuizione giudiziale di riduzione dello stesso al momento della domanda – salvo che il giudice non ritenga di dover
graduare la modifica nel tempo – deve essere contemperata con i principi d’irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità di
dette prestazioni.
Trib. Padova, 3 ottobre 2008 (Resp. civ., 2008, 12, 1047)
I provvedimenti sanzionatori di cui all’art. 709-ter, co. 2, c.p.c. possono essere disposti anche nel caso di inadempimento all’obbligo
di mantenimento del figlio.
Cass. civ. Sez. I., 18 giugno 2008, n. 16575 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di determinazione dell’assegno di mantenimento, l’esercizio del potere di disporre indagini patrimoniali avvalendosi della
polizia tributaria, che costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova, rientra nella discrezionalità del giudice di
merito; l’eventuale omissione di motivazione sul diniego di esercizio del relativo potere, pertanto, non è censurabile in sede di
legittimità, ove, sia pure per implicito, tale diniego sia logicamente correlabile ad una valutazione sulla superfluità dell’iniziativa
per ritenuta sufficienza dei dati istruttori acquisiti.
Cass. civ. Sez. I, 28 gennaio 2008, n. 1758 (Famiglia e Diritto, 2008, 3, 297)
Nel caso in cui il genitore divorziato non affidatario non corrisponde quanto fissato in sede di separazione personale a titolo di spese straordinarie mediche e scolastiche per il figlio minore, l’ex coniuge affidatario deve rivolgersi nuovamente al giudice per
far accertare l’effettivo verificarsi e l’entità di tali esborsi.
Il provvedimento giudiziario con cui in sede di separazione personale si stabilisca, si sensi dell’art. 155, comma 2, c.c. quale
modo di contribuire al mantenimento dei figli, che il genitore non affidatario paghi, sia pure pro quota, le spese straordinarie
relative ai figli, richiede, nell’ipotesi di non spontanea attuazione da parte dell’obbligato, al fine di legittimare l’esecuzione forzata,
stante il disposto dell’art. 155 c.c. e dell’art. 474, comma 1, c.p.c. un ulteriore intervento del giudice, volto ad accertare
l’avveramento dell’evento futuro e incerto cui è subordinata l’efficacia della condanna, ossia la effettiva sopravvenienza degli
specifici esborsi contemplati dal titolo e la relativa entità, non suscettibili di essere desunte sulla base degli elementi di fatto
contenuti nella prima pronuncia.
In materia di assegno di mantenimento, nel caso in cui il coniuge onerato alla contribuzione delle spese straordinarie, sia pure
pro quota, non adempia, al fine di legittimare l’esecuzione forzata, occorre adire nuovamente il giudice affinché accerti l’effettiva
sopravvenienza degli specifici esborsi contemplati dal titolo e la relativa entità.
Cass. civ. Sez. I, 9 novembre 2007, n. 23379 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel procedimento di divorzio fra i coniugi con figli minori o incapaci, a norma degli artt.4 e 5 legge n. 989 del 1970 (come novellati
dalla legge n. 74 del 1987), il P.M. è litisconsorte necessario in concorrenza con le parti private ed è titolare di un autonomo
potere
Trib. Bologna, 19 giugno 2007 (Famiglia e Diritto, 2008, 12, 1159, nota di CILIBERTO)
Tra le controversie prese in considerazione dall’art. 709-ter c.p.c. rientrano anche quelle inerenti al mantenimento del minore e
alla ripartizione del contributo tra i genitori: l’esercizio della potestà comporta l’assunzione di decisioni che possono avere riflessi
economici; il nuovo art. 155 c.c. considera come strettamente connessi il profilo dell’affidamento e quello del mantenimento del
minore, anche il contrasto su questioni economiche può comportare un pregiudizio per il minore (Nella specie, il giudice del merito,
in applicazione del riferito principio di diritto, ha sostenuto che la controversia tra le parti in ordine alla misura ed alle modalità
di ripartizione delle spese straordinarie sostenute nell’interesse del figlio minore rientrava nella previsione dell’art. 709-ter c.p.c.)
L’art. 709-ter c.p.c. attribuisce al giudice della separazione (o del divorzio) appositi poteri il cui esercizio è finalizzato alla risoluzione
delle controversie tra i genitori e risponde al criterio secondo cui dell’attuazione dei provvedimenti relativi alla prole
si occupa il giudice del merito. La nuova disposizione è volta ad agevolare la soluzione dei contrasti relativi all’attuazione (e
dunque anche all’interpretazione) dei provvedimenti (provvisori o meno) adottati nell’interesse della prole; a consentire il ricorso
a misure di coazione indiretta; a porre rimedio a inconvenienti determinati da una non appropriata o non più adeguata
regolamentazione dei rapporti.
Tra le controversie prese in considerazione dall’art. 709-ter c.p.c. rientrano anche quelle inerenti al mantenimento del minore
e alla ripartizione del contributo tra i genitori, tenuto conto che l’esercizio della potestà comporta l’assunzione di decisioni che
possono avere riflessi economici; che il nuovo art. 155 c.c. considera come strettamente connessi il profilo dell’affidamento e
quello del mantenimento del minore; che anche il contrasto su questioni economiche può comportare un pregiudizio per il minore
(nella specie, il tribunale, qualificato il ricorso in base al combinato disposto degli artt. 709-ter e 710 c.p.c., ha modificato
la regolamentazione delle spese straordinarie prevista, su accordo delle parti, dalla sentenza di separazione ma che negli anni
aveva dato origine a ripetute contestazioni e a vari procedimenti giudiziari).
Trib. Roma, 5 giugno 2007 (Fam. Pers. Succ., 2008, 7, 661)
Le misure previste dall’art. 709-ter c.p.c., aventi natura prevalentemente sanzionatoria, sono applicabili anche in caso di inadempienze
meramente patrimoniali in considerazione della loro incidenza sul corretto svolgimento dell’affidamento (nella specie,
su istanza formulata dalla madre in udienza, il giudice istruttore ha ammonito e condannato a versare la somma di euro 2.500
su libretto intestato ai figli il padre che in violazione di provvedimenti provvisori aveva sottovalutato la condizione allergica del
figlio più piccolo e aveva omesso di rimborsare la quota di spese straordinarie e di pagare l’adeguamento Istat).
Cass. pen. Sez. VI, 7 dicembre 2006, n. 18450 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il generico rinvio, “quoad poenam”, all’art. 570 codice penale dell’art. 12-sexies legge 1° dicembre 1970 n. 898 (disciplina dei
casi di scioglimento del matrimonio), come modificato dall’art. 21 legge 6 marzo 1987 n. 74, deve intendersi riferito alle pene
previste dal comma secondo e non a quelle indicate nel primo comma della disposizione codicistica, avendo ad oggetto il citato
art. 12-sexies la violazione di obbligo di natura economica e non di assistenza morale.
Cass. civ. Sez. I, 3 novembre 2006, n. 23596 (Foro It., 2007, 1, 1, 86)
Il termine decennale di prescrizione del diritto del genitore naturale al rimborso da parte dell’altro genitore, coobbligato, delle
spese sostenute per il mantenimento del figlio decorre dal riconoscimento da parte di detto coobbligato ovvero dal passaggio in
giudicato della sentenza di accertamento giudiziale della paternità o della maternità che, in quanto attributiva dello “status” di
figlio naturale, costituisce il presupposto per l’accoglimento della domanda in oggetto.
Cass. civ. Sez. I, 22 agosto 2006, n. 18240 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La competenza in ordine alla controversia avente ad oggetto l’adempimento delle obbligazioni assunte dal coniuge in sede di
separazione consensuale circa il pagamento delle spese straordinarie relative ai figli sostenute dal coniuge affidatario, va determinata
in ragione del valore della causa secondo i criteri ordinari, trattandosi di controversia diversa da quella concernente la
modifica delle condizioni della separazione, rientrante nella competenza funzionale del tribunale.
Cass. civ. sez. I, 28 aprile 2006, n. 9861 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di divorzio, il giudice del merito, ove ritenga aliunde raggiunta la prova dell’insussistenza dei presupposti che condizionano
il riconoscimento dell’assegno di divorzio, può direttamente procedere al rigetto della relativa istanza, anche senza aver
prima disposto accertamenti d’ufficio attraverso la polizia tributaria, atteso che l’esercizio del potere officioso di disporre, per
il detto tramite, indagini sui redditi e sui patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita rientra nella discrezionalità del
giudice del merito e non può essere considerato come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in
ordine alle loro rispettive condizioni economiche.
Cass. civ. Sez. I, 7 aprile 2006, n. 8221 (Giur. It., 2007, 2, 337)
Il dovere dei genitori di provvedere al mantenimento dei figli non cessa automaticamente con il conseguimento della maggiore
età da parte di questi ultimi, ma perdura sino a quando i medesimi non abbiano raggiunto un’indipendenza economica, ovvero
abbiano concorso colpevolmente alla determinazione della propria non autosufficienza economica.
Cass. civ. Sez. II, 21 febbraio 2006, n. 3747 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di separazione personale tra coniugi, l’obbligo di mantenimento dei figli minori (ovvero maggiorenni non autosufficienti)
può essere legittimamente adempiuto dai genitori mediante un accordo che, in sede di separazione personale o di divorzio,
attribuisca direttamente – o impegni il promittente ad attribuire – la proprietà di beni mobili o immobili ai figli, senza che tale
accordo (formalmente rientrante nelle previsioni, rispettivamente, degli artt. 155, 158, 711 cod. civ. e 4 e 6 della legge n. 898
del 1970 e sostanzialmente costituente applicazione della “regula iuris” di cui all’art. 1322 cod. civ., attesa la indiscutibile meritevolezza
di tutela degli interessi perseguiti) integri gli estremi della liberalità donativa, ma assolvendo esso, di converso, ad una
funzione solutorio-compensativa dell’obbligo di mantenimento. Esso, comporta l’immediata e definitiva acquisizione al patrimonio
dei figli della proprietà dei beni che i genitori abbiano loro attribuito o si siano impegnati ad attribuire, di talché, in questa
seconda ipotesi, il correlativo obbligo, suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cod. civ., è senz’altro trasmissibile
agli eredi del promittente, trovando titolo non già nella prestazione di mantenimento – che, nei limiti costituiti dal valore
dei beni attribuiti o da attribuire, risulta ormai convenzionalmente liquidata in via definitiva, – ma nell’accordo che l’ha estinta.
Cass. civ. Sez. I, 7 febbraio 2006, n. 2625 (Foro It., 2006, 6, 1, 1751)
Nel giudizio di separazione, disporre nuove indagini di polizia tributaria rientra nella discrezionalità del giudice di merito e non
può essere considerato anche come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro
rispettive condizioni economiche.
Cass. civ. Sez. I, 2 febbraio 2006, n. 2328 (Mass. Giur. It., 2006)
L’obbligo di mantenere i figli sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsivoglia domanda, sicché nell’ipotesi
in cui al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo
mantenimento, non viene meno l’obbligo dell’altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia della dichiarazione giudiziale di
paternità o maternità naturale, essendo sorto sin dalla nascita il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato
nei confronti di entrambi i genitori. Conseguentemente, il genitore naturale, dichiarato tale con provvedimento del giudice,
non può sottrarsi alla sua obbligazione nei confronti del figlio per la quota posta a suo carico, ma è tenuto a provvedere sin dal
momento della nascita, attesa la natura dichiarativa della pronuncia che accerta la filiazione naturale. Il diritto al rimborso “pro
quota” delle spese sostenute dalla nascita del figlio, spettante al genitore che lo ha allevato, non è tuttavia utilmente esercitabile
se non dal momento della sentenza di accertamento della filiazione naturale, con la conseguenza che detto momento segna
altresì il “dies a quo” della decorrenza della prescrizione del diritto stesso.
Cass. civ. Sez. V, 30 maggio 2005, n. 11458 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nelle ipotesi di trasferimento di immobili in adempimento di obbligazioni assunte in sede di separazione personale dei coniugi,
l’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74, alla luce delle sentenze della Corte costituzionale 10 maggio 1999, n. 154 e 15 aprile
1992, n. 176, deve essere interpretato nel senso che l’esenzione “dall’imposta di bollo, di registro e da ogni tassa” di “tutti gli
atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili
del matrimonio” si estende “a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale
dei coniugi”, in modo di garantire l’adempimento delle obbligazioni che i coniugi separati hanno assunto per conferire un nuovo
assetto ai loro interessi economici, anche con atti i cui effetti siano favorevoli ai figli.
Cass. civ. sez. I, 17 maggio 2005, n. 10344 (Fam. Pers. Succ., 2007, 7, 621 nota di FANTETTI)
Anche in materia di separazione dei coniugi, con riguardo all’assegno di mantenimento, deve ritenersi applicabile in via analogica
– stante l’identità di ratio, riconducibile alla funzione eminentemente assistenziale dell’assegno in questione – la norma
dell’articolo 5, comma 9, l. 1° dicembre 1970 n. 898, nel testo novellato dall’articolo 10 l. 6 marzo 1987 n. 74, il quale, in tema
di riconoscimento e determinazione dell’assegno divorzile, stabilisce che “in caso di contestazioni, il tribunale dispone indagini sui
redditi e patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria”. L’esercizio
di tale potere di disporre indagini patrimoniali con l’avvalimento della polizia tributaria, che costituisce una deroga alle regole
generali sull’onere della prova, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, e non può essere considerato anche come un
dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche; tale discrezionalità,
tuttavia, incontra un limite nella circostanza che il giudice, potendosi avvalere di siffatto potere, non può rigettare
le istanze delle parti relative al riconoscimento e alla determinazione dell’assegno sotto il profilo della mancata dimostrazione
degli assunti sui quali si fondano, giacché in tal caso il giudice ha l’obbligo di disporre accertamenti d’ufficio, avvalendosi anche
della polizia tributaria.
Cass. civ. Sez. I, 4 aprile 2005, n. 6975 (Guida al Diritto, 2005, 16, 39, nota di FIORINI)
Il diritto di percepire gli assegni di mantenimento riconosciuti, in sede di divorzio, all’ex coniuge da sentenze passate in giudicato
per i figli minori a lui affidati può essere modificato, ovvero estinguersi del tutto, solo attraverso la procedura prevista dall’art.
710 c.p.c. (oltre che per accordo tra le parti), con la conseguenza che la raggiunta maggiore età e la raggiunta autosufficienza
economica del figlio non sono, di per sé, condizioni sufficienti a legittimare, “ipso facto”, la mancata corresponsione dell’assegno.
Il diritto a percepire gli assegni di mantenimento riconosciuti, in sede di separazione, con sentenze passate in giudicato, può
essere modificato o estinguersi, solo attraverso la procedura prevista dall’art. 710 c.p.c. con la conseguenza che la raggiunta
maggiore età del figlio e la raggiunta autosufficienza economica del medesimo non sono condizioni sufficienti a legittimare, ipso
fatto, in mancanza di un accertamento giudiziale, la mancata corresponsione dell’assegno.
In tema di separazione e di divorzio, il diritto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento per il coniuge, così come il diritto
agli assegni di mantenimento per i figli, in quanto aventi a oggetto prestazioni autonome, distinte e periodiche, non si prescrivono
a decorrere da un unico termine rappresentato dalla data della pronuncia della sentenza di separazione o di divorzio, ma dalle
singole scadenze delle prestazioni dovute, in relazione alle quali sorge di volta in volta il diritto all’adempimento.
Cass. civ. Sez. I, 22 marzo 2005, n. 6197 (Guida al Diritto, 2005, 17, 46)
In seguito alla separazione e al divorzio la prole ha diritto a un mantenimento tale da garantirle un tenore di vita corrispondente
alle risorse economiche della famiglia e analogo, per quanto possibile, a quello goduto in precedenza. Il dovere di provvedere al
mantenimento, istruzione ed educazione della prole, inoltre, impone ai genitori, anche in caso di separazione o di divorzio, di far
fronte a una molteplicità di esigenze dei figli, non riconducibili al solo obbligo alimentare ma inevitabilmente estese all’aspetto
abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, all’adeguata predisposizione – fin quando la
loro età lo richieda – di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura ed educazione. Al
riguardo, ai fini di una corretta determinazione del concorso dei genitori, il parametro di riferimento è costituito non soltanto dalle
rispettive sostanze, in esse ricompresi i cespiti improduttivi di reddito, ma anche dalla capacità di lavoro professionale o casalingo
con espressa valorizzazione non solo delle risorse economiche individuali, ma anche delle accertate potenzialità reddituali.
Cass. civ. Sez. I, 21 dicembre 2004, n. 23713 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nelle cause riguardanti la distrazione a favore del coniuge avente diritto, non legalmente separato, di somme dovute da terzi
all’altro coniuge obbligato per il mantenimento, deve escludersi l’obbligatorietà dell’intervento del P.M., vertendosi in controversia
concernente, non il vincolo matrimoniale, bensì l’applicabilità di una speciale agevolazione, prevista dall’art. 156, sesto
comma, cod. civ., per il recupero di crediti per il mantenimento, ed esulando quindi la fattispecie dalla previsione dell’art. 70,
primo comma, numero 2, cod. proc. civ.
Cass. civ. Sez. I, 27 aprile 2004, n. 8010 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Correttamente dunque, il giudice di rinvio ha proceduto, come richiesto dalla sent. n. 6664 del 1998 di questa Corte, ad esaminare
la domanda in vista degli effetti che questa era destinata a produrre e ad individuare la legge applicabile alla stregua dell’art.
17 preleggi. E che alla domanda congiunta di divorzio presentata da due coniugi, uno dei quali avente anche la cittadinanza
italiana, dovesse essere applicata la legge italiana, non può revocarsi in dubbio, giacché ai fini dell’applicazione delle norme di
diritto internazionale privato, l’istituto del divorzio va qualificato come attinente non ai rapporti personali tra coniugi (per i quali
trova applicazione l’art. 18 preleggi, vigente al momento di presentazione della domanda), ma allo stato delle persone, in quanto
con la sentenza di scioglimento del vincolo matrimoniale cessa tra le parti la reciproca qualità di coniugi (nel senso che il giudizio
di delibazione delle sentenza straniere di divorzio debba essere condotto alla stregua dell’art. 17 preleggi, v. Cass., S.U., 19
settembre 1978, n. 4189; Cass., 28 luglio 1977, n. 3361; Cass., Cass., 7 maggio 1976, n. 1593).
Cass. civ. sez. I, 2 dicembre 2003, n. 18391 (Guida al Diritto, 2004, 4, 58)
La disposizione di cui all’articolo 5, n. 9, della legge 898/1970, certamente applicabile anche nel procedimento di revisione
dell’assegno, non impone al giudice l’obbligo di disporre indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita sulla
base della mera contestazione delle parti circa le loro rispettive condizioni economiche, ma si traduce in una deroga alle regole
generali in tema di onere della prova, nel senso che il giudice non può rigettare le richieste delle parti relative al riconoscimento
e alla determinazione dell’assegno per la mancata dimostrazione da parte delle stesse degli assunti sui quali le loro richieste si
fondano: ciò comporta che il giudice può avvalersi di tutti gli elementi di prova ritualmente acquisiti, può far ricorso a presunzioni
e a nozioni di comune esperienza per l’accertamento delle condizioni economiche delle parti e non è tenuto ad ammettere o
disporre ulteriori mezzi di prova quando ravvisi elementi sufficienti per la formazione del suo convincimento.
Corte cost. 11 giugno 2003, n. 202 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, lettera b), della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n.
131, nella parte in cui non esenta dall’imposta ivi prevista i provvedimenti emessi in applicazione dell’art. 148 c.c. nell’ambito
dei rapporti tra genitori e figli. È, infatti, irragionevole e non conforme all’art. 3 della Costituzione sotto il profilo dell’uguaglianza
la mancata estensione ai provvedimenti adottati ai sensi del predetto articolo 148 c.c. – in tema di determinazione del
contributo di mantenimento fissato a carico del genitore naturale obbligato ed a favore del genitore affidatario – dell’esenzione
tributaria disposta in tema di atti recanti condanna al pagamento di somme in materia di procedimenti relativi ai giudizi di separazione
e divorzio ed estesa anche ai provvedimenti relativi alla prole: la mancanza del rapporto di coniugio fra le parti non può
in alcun modo giustificare la diversità di disciplina tributaria del provvedimento di condanna, senza risolversi in un trattamento
deteriore dei figli naturali rispetto a quelli legittimi, in contrasto anche con l’art. 30 della Costituzione.
Corte cost., 14 giugno 2002, n. 236 (Giur. Costit., 2002, 1781)
Il decreto con il quale il giudice, ai sensi dell’art. 148 comma 2 c.c., ordina ad uno dei coniugi di versare parte dei propri redditi
all’altro, al fine di mantenimento della prole, è titolo per iscrivere ipoteca giudiziale sui beni dell’obbligato, ma non già sui beni del
debitore di questi.
Non è fondata, nei sensi di cui in motivazione, in riferimento agli art. 3, 24 e 30 cost., la q.l.c. dell’art. 148, comma 3, c.c., nella parte
in cui non prevede che il decreto ivi contemplato costituisca titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale, in quanto la norma censurata,
nella parte concernente il decreto di ingiunzione per il pagamento delle somme destinate al mantenimento della prole, è una norma
composita, sicchè, se il decreto è emesso nei confronti dell’obbligato inadempiente (genitore o ascendente), segue le regole proprie
del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ed è perciò titolo idoneo all’iscrizione di ipoteca giudiziale, mentre, se il decreto
medesimo è emesso nei confronti del terzo debitore dell’obbligato inadempiente, ragionevolmente costituisce titolo esecutivo ma non
è idoneo all’iscrizione di ipoteca giudiziale sui beni del terzo.
Corte cost., 11 giugno 2003, n. 202 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’esenzione prevista dall’art. 19 della legge n. 74 del 1987, seppur posta a favore del destinatario delle somme, in realtà tutela il
figlio minore per il cui mantenimento è disposta, con la conseguenza che la sua omessa previsione, quando si è in presenza di prole
naturale, oltre ad essere irragionevole, con violazione dell’art. 3 della Costituzione, si risolve in un trattamento deteriore dei figli
naturali rispetto a quelli legittimi in contrasto con l’art. 30 della Costituzione.
Cass. civ. Sez. I, 19 marzo 2002, n. 3974 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
A seguito della separazione personale tra coniugi, la prole ha diritto ad un mantenimento tale da garantirle un tenore di vita corrispondente
alle risorse economiche della famiglia ed analogo, per quanto possibile, a quello goduto in precedenza, continuando
a trovare applicazione l’art. 147 c.c. che, imponendo il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, obbliga i genitori a far
fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all’aspetto abitativo, scolastico,
MANTENIMENTO DEI FIGLI MINORI
sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione – fin quando l’età dei figli lo richieda
– di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione, mentre il parametro
di riferimento, ai fini della determinazione del concorso negli oneri finanziari, è costituito, secondo il disposto dell’art. 148 c.c.,
non soltanto dalle sostanze, ma anche dalla capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge, ciò che implica una
valorizzazione anche delle accertate potenzialità reddituali.
Cass. civ. Sez. I, 25 ottobre 2000, n. 14022 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il rito adottato dal legislatore, con l’art. 9 della legge sul divorzio, ai fini della modificazione dell’assegno divorzile, risulta regolato,
in via generale, dagli art. 737 e ss. del c.p.c., e, quanto alle forme, in parte risulta disciplinato espressamente da tale
normativa, mentre, nella parte non regolata, risulta rimesso nel suo svolgimento – che è attuato con impulso di ufficio – alla
disciplina concretamente dettata dal giudice la quale dovrà garantire il rispetto del principio del contraddittorio e di quello del diritto
di difesa. Da ciò deriva, quanto al procedimento di primo grado, che in esso non vigano le preclusioni previste per il giudizio
di cognizione ordinario, con la conseguenza che in esso: 1) potranno essere proposte per tutto il corso di esso domande nuove,
anche riconvenzionali, in conformità delle direttive dettate dal giudice nella gestione del processo, senza con ciò peraltro che la
loro eventuale mancata proposizione possa impedirne la proposizione in separato giudizio; 2) potranno essere ammesse altresì
prove nuove, anche in correlazione con i fatti sopravvenuti dedotti nel corso del processo; fatti che – peraltro – anche in questo
caso il giudice dovrà e potrà prendere in esame se ed ove dedotti e sempre nei limiti delle domande proposte. Più in particolare
trattasi di un procedimento svolgentesi nell’interesse delle parti ed anche nel quale – diversamente da quanto accade nel caso in
cui si tratti di modifica dell’assegno di mantenimento di figli minori – vige il principio della domanda e della corrispondenza fra il
“chiesto” ed il “pronunciato”, investendo l’”officiosità del procedimento” unicamente il profilo dell’impulso al suo svolgimento, ed,
in certa misura (ai sensi dell’art. 738, comma 3) l’acquisizione di materiale probatorio. Quanto poi al giudizio di secondo grado
nascente dal “reclamo”, fermo che quest’ultimo costituisce un mezzo di impugnazione avente carattere “devolutivo” e come tale
ha per oggetto la revisione della decisione di primo grado nei limiti del “devolutum” e delle censure formulate ed in correlazione
alle domande formulate in quella sede, in esso giudizio, mentre possono essere allegate – stante la libertà di forme proprie del
procedimento – fatti nuovi, non possono essere proposte domande nuove, in quanto queste ultime snaturerebbero la natura del
reclamo quale mezzo di impugnazione e, come tale, avente la funzione di rimuovere vizi del precedente provvedimento.
Cass. civ. Sez. I, 20 giugno 2000, n. 8382 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Le cause nelle quali il pubblico ministero deve intervenire a pena di nullità sono indicate dall’art. 70 c.p.c. ovvero, come tale
norma a sua volta prevede, dalla legge caso per caso. Tra esse non rientrano quelle che hanno per oggetto le azioni di cui agli
artt. 261 e 148 c.c. relative al contributo per il mantenimento del figlio al quale è tenuto il genitore naturale.
Cass. civ. Sez. I, 7 giugno 2000, n. 7713 (Foro It., 2001, I, 187 nota di D’ADDA)
La condotta del genitore, tale riconosciuto a seguito di dichiarazione giudiziale, che per anni aveva ostinatamente rifiutato di
corrispondere al figlio i mezzi di sussistenza, dà luogo da una “lesione in sé” di fondamentali diritti della persona inerenti alla
qualità di figlio e di minore, e conseguentemente può costituire il presupposto per una condanna al risarcimento del danno,
indipendentemente dall’esistenza di perdite patrimoniali del danneggiato.
Posto che la lesione di diritti di rilevanza costituzionale va incontro alla sanzione risarcitoria per il fatto in sé della lesione (danno
– evento) indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare (danno – conseguenza), va
confermata la decisione di merito che abbia riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, liquidato in via equitativa, del figlio
naturale in conseguenza della condotta del genitore, tale riconosciuto a seguito di dichiarazione giudiziale, che per anni aveva
ostinatamente rifiutato di corrispondergli i mezzi di sussistenza.
Cass. civ. Sez. I, 3 marzo 2000, n. 2381 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La mancata partecipazione del p.m. nei giudizi relativi alla revisione dell’assegno per il mantenimento dei figli minori di genitori
divorziati può essere fatta valere come motivo di gravame solo da chi intende salvaguardare gli interessi dei figli stessi, e non,
quindi, dal genitore che, chiedendo che sia ridotta, o azzerata, la misura dell’assegno posto a suo carico, mira a contrastare
quell’interesse, per la cui tutela è disposta la garanzia della partecipazione del p.m.
Cass. civ. Sez. I, 29 maggio 1999, n. 5262 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di separazione personale, l’art. 155 c.c. nel rimettere alle determinazioni di entrambi i coniugi “le scelte di maggior
interesse per i figli”, non impone, riguardo ad esse, alcuno specifico onere di informazione al genitore affidatario, dovendo tale
onere ritenersi implicitamente gravante su quest’ultimo (sempre che il suo adempimento non rischi di risolversi in un danno
per il minore in relazione alla indifferibilità della scelta) nel solo caso in cui l’informazione sia necessaria affinché il genitore non
affidatario possa partecipare alla decisione con riguardo ad eventi eccezionali ed imprevedibili. Ne consegue che, nelle scelte “di
maggior interesse” della vita quotidiana del minore – quali, di regola, quelli attinenti alla sua istruzione, in relazione ai quali l’art.
155 citato prevede espressamente un dovere di vigilanza del coniuge non affidatario – ciascun genitore, in ogni caso ed in ogni
tempo, ha un autonomo potere di attivarsi nei confronti dell’altro per concordarne le eventuali modalità, e, in difetto, ricorrere
all’autorità giudiziaria.
Cass. civ. Sez. I, 5 maggio 1999, n. 4459 (Famiglia e Diritto, 1999, 4, 318, nota di DELCONTE)
Il genitore cui sono affidati i figli ha l’esercizio esclusivo della potestà, mentre soltanto le decisioni di maggiore interesse devono
essere adottate da entrambi i genitori. Occorre dunque distinguere il concetto di “spese straordinarie” da quello di “scelte straordinarie”
(rectius “decisioni di maggiore interesse”) per cui soltanto nel secondo caso il coniuge non affidatario può intervenire
nell’interesse dei figli. Di conseguenza non vi è a carico del coniuge affidatario alcun obbligo di previa concertazione con l’altro
coniuge sulla determinazione delle spese straordinarie, nei limiti in cui esse non implichino decisioni di maggiore interesse dei figli.
La statuizione giudiziale, con la quale venga posto a carico del coniuge non affidatario l’onere delle spese straordinarie documentate
sostenute nell’interesse dei figli, non contrasta, in sé considerata, con la regola che sancisce il concorso di entrambi i
genitori nelle decisioni di maggiore interesse per la prole.
Non sussiste, alcun obbligo a carico del coniuge affidatario di concordare anticipatamente con l’altro coniuge, l’ammontare delle
spese straordinarie, nei limiti in cui esse non implichino decisioni di maggiore interesse.
Il concetto di “spese straordinarie” è ben distinto dalla nozione “decisioni di maggiore interesse” per i figli (che, a norma dell’art.
6, comma 4, legge n. 898 del 1970 vanno adottate da entrambi i genitori anche allorché il genitore affidatario abbia l’esercizio
esclusivo della potestà sugli stessi). Pertanto, il provvedimento con il quale il tribunale, nel determinare il modo e la misura
con cui il genitore non affidatario deve contribuire al mantenimento dei figli, ponga a carico di detto genitore l’intero importo delle spese straordinarie, adeguatamente documentate, sostenute dall’altro coniuge nell’interesse dei figli, deve considerarsi
legittimo qualora pur, escludendo un obbligo di concertazione con il padre in ordine alle predette spese, non lo estrometta dalle
decisioni di maggiore interesse per i figli, in quanto, per le erogazioni involgenti siffatte decisioni, resta salvo il diritto del padre
di concorrere ad assumerle.
Cass. civ. Sez. I, 18 febbraio 1999, n. 1353 (Famiglia e Diritto, 1999, 5, 455, nota di MORELLO DI GIOVANNI)
L’obbligo di mantenere il figlio non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma si protrae, qualora
questi, senza sua colpa, divenuto maggiorenne, sia tuttavia ancora dipendente dai genitori. Ne consegue che, in tale ipotesi, il
coniuge separato o divorziato, già affidatario è legittimato, iure proprio (ed in via concorrente con la diversa legittimazione del
figlio, che trova fondamento nella titolarità, in capo a quest’ultimo, del diritto al mantenimento), ad ottenere dall’altro coniuge
un contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne.
Cass. civ. Sez. I, 29 gennaio 1999, n. 782 (Famiglia e Diritto, 1999, 3, 295)
L’ordinanza con la quale il presidente del tribunale pronunci, ai sensi dell’art. 708 c.p.c., i provvedimenti temporanei ed urgenti
di contenuto economico nell’interesse dei coniugi e della prole non costituisce titolo per la emanazione di una successiva ingiunzione
di pagamento ai sensi dell’art. 633 stesso codice, trattandosi di provvedimento (esaminabile soltanto nel contesto
del procedimento cui accede) autonomamente presidiato da efficacia esecutiva, tale da assicurare sufficiente garanzia di realizzazione
dell’interesse del creditore. Non induce a diverse conclusioni la circostanza che i provvedimenti temporanei emessi
dal presidente del tribunale ai sensi dell’art. 708 citato non hanno natura di sentenza e non sono, pertanto idonei a formare
regiudicata, atteso che anche in relazione ai giudizi di separazione ed ai provvedimenti in essi adottati si configura un sistema di
preclusioni (litispendenza per il credito oggetto di pronuncia non ancora passata in giudicato, preclusione da regiudicata quando
la litispendenza sia cessata a seguito di sentenza che assorbe i precedenti provvedimenti interinali ovvero per estinzione del
processo) non rimuovibili se non con i mezzi e nelle forme previste dalla legge (revisione ex art. 710 c.p.c. avverso la sentenza
definitiva, emissione di altri provvedimenti a seguito di un nuovo ricorso per separazione personale in caso di estinzione del
primo processo ex art. 189 disp. att. c.p.c.).
Cass. civ. Sez. I, 5 dicembre 1998, n. 12333 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di separazione dei coniugi e di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il diritto alla corresponsione dell’assegno
di mantenimento, in quanto avente ad oggetto più prestazioni autonome, distinte e periodiche, si prescrive non a decorrere da
un unico termine rappresentato dalla data della pronuncia della sentenza di separazione o di cessazione degli effetti civili del
matrimonio, bensì dalle singole scadenze di pagamento, in relazione alle quali sorge, di volta in volta, l’interesse del creditore
a ciascun adempimento.
Cass. civ. Sez. I, 29 ottobre 1998, n. 10803 (Famiglia e Diritto, 1999, 3, 263, nota di CAMPUS)
Nel procedimento di divorzio fra coniugi con figli minori o incapaci, a norma degli art. 4 e 5 legge n. 898 del 1970 (come novellati
dalla legge n. 74 del 1987), il p.m. è litisconsorte necessario in concorrenza con le parti private ed è titolare di un autonomo
potere di impugnazione in relazione agli interessi dei suddetti figli.
Cass. civ. Sez. I, 8 settembre 1998, n. 8868 (Giur. It., 1999, 916, nota di BARBIERA)
Se una sentenza attribuisce a uno dei coniugi separati col quale convivono i figli minori un assegno per il loro mantenimento, il
raggiungimento della maggiore età dei figli senza l’acquisizione di indipendenza economica non estingue il diritto del genitore
convivente a pretendere l’assegno di mantenimento in concorso alternativo coi figli.
Il principio generale di tutela della prole, desumibile da varie norme dell’ordinamento ( art. 30 cost., art. 147, 148, 155, comma
4, c.c., art. 6, l. n. 898 del 1970, come modificato dalla l. n. 74 del 1987) che porta ad assimilare la posizione del figlio divenuto
maggiorenne, ma tuttora dipendente non per sua colpa dai genitori, a quella del figlio minore, e che impone di ravvisare
la protrazione dell’obbligo di mantenimento, oltre che di educazione e di istruzione, fino al momento in cui il figlio stesso abbia
raggiunto una propria indipendenza economica, ovvero versi in colpa per non essersi messo in condizione di conseguire un titolo
di studio o di procurarsi un reddito mediante l’esercizio di un’idonea attività lavorativa, o per avere detta attività ingiustificatamente rifiutato comporta che il coniuge separato o divorziato è legittimato (in via concorrente con la diversa legittimazione del figlio maggiorenne, che trova il suo fondamento nella titolarità del diritto al mantenimento) ad ottenere “iure proprio” dall’altro coniuge un contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne con esso convivente e che non sia ancora in grado di procurarsi autonomi mezzi di sostentamento.
Corte cost. 13 maggio 1998, n. 166 (Giur. Cost., 1998, 1419)
Il primo obbligo enunciato dall’art. 147 del codice civile consiste in quello di mantenimento della prole: è questo un dovere inderogabile, che nella sua concreta attuazione è commisurato in proporzione alle rispettive sostanze dei genitori e alle capacità di lavoro di ciascuno.
Cass. civ. Sez. I, 11 marzo 1998, n. 2670 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’obbligo dei genitori di concorrere tra loro secondo le regole dell’art. 148 c.c. al mantenimento dei figli non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma continua invariato finché i genitori o il genitore interessato non provi che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica oppure che è stato da loro posto nella concreta posizione di poter essere autosufficiente, ma non ne abbia tratto profitto per sua colpa. Ne consegue che il genitore il quale contesta la sussistenza del proprio obbligo di mantenimento nei confronti di figli maggiorenni che non svolgono attività lavorativa retribuita, è tenuto a fornire la prova della condotta colpevole del figlio che persista in un atteggiamento d’inerzia nella ricerca di un lavoro compatibile con le sue attitudini e la sua professionalità, ovvero di rifiuto di corrispondenti occasioni di lavoro.
Cass. civ. Sez. I, 8 novembre 1997, n. 11025 (Famiglia e Diritto, 1998, 2, 182)
Il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole, secondo il precetto di cui all’art. 147 c.c., impone ai genitori, anche in caso di separazione, di far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, certamente non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma inevitabilmente estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, alla assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione – fin quando la loro età lo richieda – di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione, mentre il parametro di riferimento, ai fini della corretta determinazione del rispettivo concorso negli oneri finanziari, è costituito, giusto disposto dell’art. 148, non soltanto dalle “rispettive sostanze”, ma anche dalla rispettiva capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge, con espressa valorizzazione non soltanto delle risorse economiche individuali, ma anche delle accertate potenzialità reddituali. Ne deriva che la fissazione, da parte del giudice di merito, di una somma quale contributo per il mantenimento di un figlio minore può legittimamente venir correlata non tanto alla quantificazione delle entrate derivanti dall’attività professionale svolta dal genitore non convivente, quanto piuttosto ad una valutazione complessiva del minimo essenziale per la vita e la crescita di un bambino dell’età suindicata.
Cass. pen. Sez. VI, 31 ottobre 1996, n. 1071 (Riv. It. Dir. e Proc. Pen., 1999, 1111 nota di ZAGNONI BONILINI)
Il rinvio dell’art. 12 sexies l. 1 dicembre 1970, n. 898 (disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), come modificato dall’art. 21 della legge 6 marzo 1987, n. 74, deve intendersi fatto alle pene previste dal comma 2 dell’art. 570 c.p., trattandosi di violazione di obbligo di natura economica e non di assistenza morale. Ne consegue l’obbligo di irrogare anche la pena pecuniaria prevista congiuntamente a quella detentiva.
Corte cost., 25 giugno 1996, n. 214 (Famiglia e Diritto, 1996, 5, 424, nota di CARBONE)
È costituzionalmente illegittimo – per contrasto con l’art. 30, comma 3 della costituzione l’art. 70 c.p.c. nella parte in cui non prescrive l’intervento obbligatorio del pubblico ministero nei giudizi tra genitori naturali che comportino “provvedimenti relativi ai figli”, nei sensi di cui all’articolo 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 e 710 c.p.c., come risulta a seguito della sentenza n. 416 del 1992.
Cass. civ. Sez. I, 23 marzo 1995, n. 3402 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli – che investe contemporaneamente tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori – va inteso non solo nel senso che l’obbligazione degli ascendenti è subordinata e, quindi, sussidiaria rispetto a quella, primaria, dei genitori, ma anche nel senso che agli ascendenti non ci si possa rivolgere per un aiuto economico per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il proprio contributo al mantenimento dei figli, se l’altro genitore è in grado di mantenerli.
Cass. civ. Sez. I, 28 giugno 1994, n. 6215 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il principio generale di tutela della prole, desumibile da varie norme dell’ordinamento ( art. 30 cost., art. 147, 148, 155 comma 4 c.c., art. 6 legge n. 898 del 1970, come modificato dalla legge n. 74 del 1987) – che porta ad assimilare la posizione del figlio divenuto maggiorenne, ma tutt’ora dipendente non per sua colpa dai genitori, a quella del figlio minore, e che impone di ravvisare la protrazione dell’obbligo di mantenimento, oltre che di educazione e di istruzione, fino al momento in cui il figlio stesso abbia raggiunto una propria indipendenza economica, ovvero versi in colpa per non essersi messo in condizione di conseguire un titolo di studio o di procurarsi un reddito mediante l’esercizio di un’idonea attività lavorativa, o per avere detta attività ingiustificatamente rifiutato – comporta che il coniuge separato o divorziato è legittimato (in via concorrente con la diversa legittimazione del figlio maggiorenne, che trova il suo fondamento nella titolarità del diritto al mantenimento) ad ottenere “iure proprio” dall’altro coniuge un contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne con esso convivente e che non sia ancora in grado di procurarsi autonomi mezzi di sostentamento.
Corte cost., 9 novembre 1992, n. 416 (Giur. It., 1993, I,1, 1152, nota di DALMOTTO)
È costituzionalmente illegittimo l’art. 710 c.p.c., nel testo sostituito dall’art. 1 della legge 29 luglio 1988, n. 331, nella parte in cui non prevede la partecipazione del pubblico ministero per la modifica dei provvedimenti riguardanti la prole dei coniugi separati.
Cass. pen. Sez. VI, 21 novembre 1991, n. 479 (Riv. Pen., 1992, 449 nota di ALIBRANDI)
In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, le diverse ipotesi previste dall’art. 570 c. p. non configurano una pluralità di reati distinti, ma pur nella varietà dei fatti incriminabili, si riferiscono ad un unico titolo di reato, avente come contenuto fondamentale tipico l’inosservanza cosciente e volontaria dei vari obblighi di assistenza familiare scaturenti dal vincolo matrimoniale e dal rapporto di parentela; da ciò consegue che è erroneo voler far rientrare nella previsione di cui al 1° comma, del suddetto art. 570 c. p. il comportamento di colui che corrisponda al coniuge separato l’assegno di mantenimento per il figlio minore a questi affidato in una misura leggermente inferiore a quella fissata all’atto della separazione e comunque sufficiente a garantire al predetto minore i mezzi di sussistenza in quanto, in base alla formulazione complessiva dell’articolo di legge in questione, l’unico comportamento penalmente rilevante del coniuge obbligato al versamento di un assegno di mantenimento in favore dell’altro coniuge dal quale viva separato, o dei figli minori od inabili a questi affidati, si realizza allorché il versamento dell’assegno venga del tutto omesso, o ne sia ridotto l’importo in misura tale da non garantire i mezzi di sussistenza ai beneficiari dell’assegno.
Cass. civ. Sez. I, 29 aprile 1991, n. 4722 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’ordinanza con la quale il presidente del tribunale dà, ai sensi dell’art. 708 c.p.c. i provvedimenti temporanei ed urgenti di contenuto economico nell’interesse dei coniugi e della prole, non costituisce titolo per la pronuncia di ingiunzione di pagamento ai sensi dell’art. 633 c.p.c., trattandosi di provvedimento che può formare oggetto di esame soltanto nel contesto del procedimento cui accede e che è autonomamente presidiato da efficacia esecutiva che assicura sufficiente garanzia di realizzazione dell’interesse del creditore.
Cass. civ. Sez. I, 21 maggio 1988, n. 3541 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nelle controversie riguardanti la modificazione, circa il mantenimento della prole, delle condizioni della separazione dei coniugi, che spettano per ragioni di materia alla cognizione non del tribunale per i minorenni, ma del tribunale ordinario (da individuarsi secondo le comuni regole sulla competenza territoriale fissate dagli art. 18 segg. c. p. c.), deve escludersi l’obbligatorietà dell’intervento del pubblico ministero, in difetto di espressa previsione.
Cass. civ. Sez. I, 26 febbraio 1988, n. 2043 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il contributo di mantenimento cui il coniuge non affidatario è tenuto a favore dei figli in caso di separazione o di divorzio non è governato né dal principio di disponibilità né dal principio della domanda, presupposti dell’ordinario processo civile, essendo ilgiudice titolare al riguardo di un potere-dovere improntato a difesa di un superiore interesse dello stato alla tutela e alla cura dei minori; nell’esercizio di tale potere, pertanto, il giudice non ha bisogno di domanda, né è vincolato dagli accordi fra i coniugi, sia per la determinazione dell’assegno, sia per la sua eventuale indicizzazione, potendo procedere d’ufficio alla sua rivalutazione anche in appello.
Corte cost., 18 febbraio 1988, n. 186 (Dir. Famiglia, 1988, 700 nota di MOROZZO DELLA ROCCA)
È in contrasto col principio di eguaglianza la predisposizione, per i coniugi separati consensualmente, di garanzie patrimoniali minori di quelle previste per i coniugi separati con sentenza del giudice; pertanto, l’art. 158 c. c. è incostituzionale, per violazione dell’art. 3 cost., nella parte in cui non prevede che il decreto di omologazione della separazione consensuale dei coniugi costituisca titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale, ai sensi dell’art. 2818 c. c., come lo costituisce, ai sensi dell’art. 156, 5° comma, cod. cit., la sentenza che pronunzia la separazione personale dei coniugi.

MANTENIMENTO DEI FIGLI M

All’acquirente della casa non è opponibile il contratto di comodato, ma solo l’assegnazione previamente trascritta

Corte di Cassazione civ. sez. VI – 3, 17 marzo 2017, n. 7007

Presidente Amendola – Relatore Dott. Barreca Giuseppina Luciana
Ordinanza
Svolgimento del processo
– con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Catania ha accolto l’appello proposto da C.V.
nei confronti di L.P.M.A. avverso la sentenza del Tribunale di Catania, sezione distaccata di
Acireale, il 9 dicembre 2009 e, per quanto ancora qui rileva, in riforma della sentenza di primo
grado, ha rigettato la domanda di rilascio avanzata dalla L.P. nei confronti della C. con citazione
notificata il 18 luglio 2007 (sancendo il diritto della C. di abitare l’immobile, insieme alla figlia,
fino al (OMISSIS); ha rigettato l’appello incidentale (riguardante la compensazione delle spese
del primo grado); ha confermato nel resto la sentenza del Tribunale (relativamente alle
domande riconvenzionali rivolte dalla convenuta nei confronti dei terzi chiamati, i suoceri V.G. e
S.C., nonchè il marito V.O., rigettate dal Tribunale, con decisione non impugnata dalla C.); ha
compensato le spese del grado;
– C.V. propone ricorso con un motivo;
– L.P.M.A. si difende con controricorso;
ricorrendo uno dei casi previsti dall’art. 375, comma 1, su proposta del relatore della sezione
sesta, il presidente ha fissato con decreto l’adunanza della Corte, ai sensi dell’art. 380 bis
c.p.c.;
– il decreto è stato notificato come per legge;
– parte ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
– con l’unico motivo si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della Carta
Costituzionale e degli artt. 1175, 833 e 2644 c.c., dell’art. 134 c.p.c., comma 4.
Omessa motivazione, in relazione al primo motivo di gravame dedotto dalla C.: la Corte di
Appello non ha motivato, sotto l’aspetto materiale e grafico, per il periodo di godimento
successivo al novennio, in merito all’inopponibilità e/o all’inapplicabilità della norma di cui
all’art. 2644 c.c., per violazione da parte della L.P. del principio della buona fede, sotto
l’aspetto dell’abuso del diritto, e dell’exceptio doli generalis, in violazione dell’art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 59”; la ricorrente, pur avendo visto accolto il proprio gravame, con
accoglimento della domanda subordinata di riconoscimento del diritto ad abitare
l’immobile nei limiti del novennio dalla data del provvedimento di assegnazione della
casa coniugale, sostanzialmente addebita al giudice di non aver motivato in merito al
mancato accoglimento della domanda principale, volta ad ottenere il riconoscimento
del diritto fino al raggiungimento dell’indipendenza economica della figlia e,
comunque, non oltre il suo 25^ anno di età; aggiunge ampie considerazioni in merito
all’abuso del diritto ed alle sue applicazioni normative e giurisprudenziali, nonché in merito
all’exceptio doli generalis, sostenendo che l’uno o l’altro di questi rimedi avrebbe dovuto
esserle riconosciuto nel caso di specie, con la conseguenza che “la norma invocata dalla L.P.
andava disapplicata e/o l’effetto della sua trascrizione andava dichiarato inopponibile alla C.”;
– il motivo è in parte manifestamente infondato, in parte inammissibile;
– contrariamente a quanto si assume in ricorso, la Corte d’appello, non solo si è pronunciata sul
rigetto della domanda principale dell’appellante, ma ha adeguatamente motivato la propria
decisione, attribuendo rilevanza, per un verso, all’ordine delle trascrizioni del
provvedimento di assegnazione della casa coniugale e dell’atto di compravendita di
quest’ultima (tale che, ai sensi degli artt. 155 quater e 2644 c.c., il primo
provvedimento, in quanto trascritto dopo l’atto di compravendita, è risultato non
opponibile al terzo acquirente ai sensi del detto art. 155 quater) e, per altro verso, al
rapporto di comodato della casa coniugale esistente prima della separazione tra i
coniugi, con un’applicazione delle sentenze a S.U. n. 11096/02 e n. 20448/14,
favorevole al coniuge assegnatario della casa coniugale, già comodatario, anche nei
rapporti con i terzi, in deroga alla regola generale dell’inopponibilità del comodato ai
terzi (cfr. Cass. n. 664/16, secondo cui “il contratto di comodato di immobile,
stipulato dall’alienante di esso in epoca anteriore al suo trasferimento, non è
opponibile all’acquirente del bene, non estendendosi a rapporti diversi dalla
locazione le disposizioni, di natura eccezionale, di cui all’art. 1599 c.c., sicché
l’acquirente non può risentire alcun pregiudizio dall’esistenza del rapporto di
comodato, atteso il suo diritto di far cessare in qualsiasi momento, “ad libitum”, il
godimento del bene da parte del comodatario e di ottenere la piena disponibilità
della cosa”); malgrado la C., secondo un’altra possibile interpretazione (per la quale
cfr. Cass. n. 7776/16), nei rapporti con l’acquirente del bene, successore del
comodante, avrebbe dovuto essere soccombente. Quest’ultima è stata peraltro la tesi
seguita, nel caso di specie, dal Tribunale (che aveva dato ragione alla L.P.),
ritenendo che l’introduzione dell’art. 155 quater c.c., con la L. n. 54 del 2006,
avrebbe fatto venire meno le ragioni poste a fondamento della sentenza a S.U. n.
11096/02 e quindi il coniuge che non abbia trascritto il provvedimento di
assegnazione della casa coniugale, sarebbe equiparabile al comodatario nei rapporti
con i terzi acquirenti del bene oggetto di comodato;
Il giudice a quo ha disatteso siffatto orientamento interpretativo e, come detto, ha
dato prevalenza alle ragioni del coniuge su quelle del terzo acquirente, sia pure nei
limiti del novennio;
– poiché la Corte di merito ha fondato questa scelta interpretativa sugli argomenti sistematici di
cui sopra, non sussiste alcun vizio di motivazione;
– la mancata considerazione dei dati di fatto che, a detta della ricorrente, avrebbero dovuto
portare il giudice ad affermare l’abuso del diritto od il dolo ai suoi danni (su cui si insiste anche
nella memoria), non può dare luogo al vizio di motivazione denunciato con l’unico motivo di
ricorso, potendo, tutt’al più, rilevare come vizio di violazione di legge;
– tuttavia, rispetto a questo vizio, il ricorso è del tutto carente dell’indicazione delle norme di
legge violate, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4, nonché come nota la resistente, fondato su
presupposti fattuali che non risultano affatto accertati in sede di merito;
– per di più, le questioni giuridiche dell’abuso del diritto e dell’exceptio doli generalis, nei
termini in cui sono esposte in ricorso, appaiono essere inammissibili anche perché nuove, dato
che la ricorrente non dimostra se e quando le abbia poste, negli stessi termini, in sede di
merito;
in ogni caso, ove fossero state ammissibili, non avrebbero condotto alle conseguenze giuridiche
auspicate dalla ricorrente (vale a dire a paralizzare anche per il periodo successivo al novennio
gli effetti della trascrizione dell’atto di acquisto fatto dalla L.P.), ma tutt’al più alla tutela
risarcitoria (cfr. Cass. n. 20118/13); questa tutela non risulta essere stata invocata dalla C. nei
confronti della L.P., ma soltanto nei confronti dei suoceri e del marito, con domanda rigettata in
primo grado e non riproposta in appello (così come quella di revocatoria dell’atto di
compravendita, per come detto in sentenza e ricorso);
in conclusione, il ricorso va rigettato;
– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
NON sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso
art. 13, comma 1 bis, poiché la ricorrente è stata ammessa al gratuito patrocinio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della
controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.800,00, per
compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro
200,00 ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, della Corte
Suprema di Cassazione, il 2 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2017.