Diritto della figlia adottiva di conoscere le proprie origini biologiche

REPUBBLICA ITALIANA
NEL NOME DEL POPOLO ITALIANO
L A C O R T E S U P R E M A D I C A S S A Z I O N E
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta da:
Dott. Fabrizio Forte – Presidente –
Dott. Maria Cristina Giancola – Consigliere –
Dott. Giacinto Bisogni – Rel. Consigliere –
Dott. Antonio Lamorgese – Consigliere –
Dott. Francesco Terrusi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
XY, elettivamente domiciliata in Roma, presso la
Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e
difesa dall’avv. Luciana Guerci, per procura speciale a
margine del ricorso, che dichiara di voler ricevere le
comunicazioni relative al processo presso il fax
011/7419118 e la p.e.c.
lucianaguerci@pec.ordineavvocatitorino.it;
– ricorrente –
nei confronti di
Procuratore Generale presso la Corte di appello di
Torino;
– intimato –
avverso il decreto n. 64/2015 della Corte d’appello di
Torino, sezione specializzata per i minorenni, emessa
il 5 novembre 2014 e depositata il 4 febbraio 2015,
R.G. n.598/14 R.G.V.G.;
sentito il Pubblico Ministero in persona del sostituto
procuratore generale dott. Francesca Ceroni che ha
concluso per la sottoposizione alla Corte
Costituzionale della questione di costituzionalità o,
in subordine, per l’accoglimento del ricorso;
Rilevato che:
1. In data 25 novembre 2013 XY ha proposto istanza
al Tribunale per i minorenni con la quale ha
esposto di essere nata il 20 giugno 1974 presso
l’Ospedale AB di CD da una donna che aveva
chiesto di restare anonima; di essere stata
adottata e di aver assunto il nome di XY; di
voler accedere, avvalendosi di quanto statuito
dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n.
278/2013, ai dati riguardanti la madre e il
parto contenuti nella cartella clinica relativa
alla sua nascita.
2. Il Tribunale per i minorenni di Torino ha accolto
l’istanza di XY e ha richiesto all’Ospedale AB di
CD i dati relativi alla madre biologica. Ottenuta
la documentazione e acquisita la notizia del
decesso il Tribunale ha respinto l’istanza di XY
sul presupposto dell’impossibilità di
interpellare la madre sulla sua persistente
volontà di mantenere l’anonimato. Ha escluso che
il decesso della madre potesse essere valutato
come revoca implicita della volontà di non essere
nominata.
3. XY ha proposto reclamo che è stato respinto dalla
Corte di appello di Torino.
4. Ricorre per cassazione, ex art. 111 della
Costituzione, XY che si affida a due motivi di
impugnazione con i quali deduce la violazione e/o
falsa applicazione di norme di diritto ex art.
360 n. 3 c.p.c. per erronea interpretazione
dell’art. 28 comma 7 della legge n. 184/1983,
alla luce della sentenza n. 278/2013 della Corte
Costituzionale e l’omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio, ex art. 360 n. 5 c.p.c.
Ritenuto che
5. Il ricorso è fondato per i seguenti motivi.
6. Il diritto alla conoscenza delle proprie origini
biologiche e alle circostanze della propria
nascita trova un sempre più ampio riconoscimento
a livello internazionale e sovranazionale.
7. E’ espressamente riconosciuto dalla Convenzione
di New York del 20 novembre 1989 delle Nazioni
Unite in materia di diritti dei minori dove,
all’art. 7, si afferma che il minore ha diritto,
nella misura del possibile, a conoscere i propri
genitori sin dalla sua nascita. La Convenzione de
L’Aja del 29 maggio 1993, relativa alla
protezione dei minori e alla cooperazione in
materia di adozione internazionale prevede,
all’art. 30, che le autorità competenti si
impegnano a conservare le informazioni che
detengono sulle origini del minore,
specificamente quelle relative all’identità della
madre e del padre, così come i dati sulla storia
sanitaria del minore e della sua famiglia e
assicurano l’accesso del minore o del suo
rappresentante a queste informazioni nella misura
prevista dalla legge del loro Stato. La
Raccomandazione n. 1443/2000 dell’Assemblea
parlamentare del Consiglio d’Europa ha invitato
gli Stati ad assicurare il diritto del minore
adottato a conoscere le proprie origini al più
tardi al compimento della maggiore età e a
eliminare dalle legislazioni nazionali qualsiasi
disposizione contraria.
8. In alcune legislazioni europee il diritto a
conoscere le proprie origini è espressamente
riconosciuto. Così, ad esempio, in Germania dove
assume la qualificazione di diritto fondamentale
della personalità in quanto espressione del
diritto generale alla dignità e al libero
sviluppo della persona in seguito alla sentenza
31 gennaio 1989 del Bundesverfassungsgericht. In
Svizzera la Costituzione federale del 1992
riconosce il diritto di ciascuno a conoscere le
proprie origini come un diritto della personalità
e, in caso di adozione, l’articolo 138 della
normativa sullo stato civile prevede che la
persona interessata a conoscere il contenuto
dell’atto di nascita è a ciò autorizzata
dall’autorità cantonale di sorveglianza.
Analogamente in Olanda la Corte Suprema, con la
sentenza 15 aprile 1994 (Valkenhorst), ha
riconosciuto il diritto a conoscere l’identità
dei propri genitori biologici nel quadro del
generale diritto della personalità del minore.
In Spagna il Tribunale costituzionale con la
sentenza del 21 settembre 1999 ha dichiarato
l’incostituzionalità dell’art. 47 della legge
sullo stato civile che offriva la possibilità di
far figurare sui registri dello stato civile la
filiazione da madre sconosciuta.
9. La Corte europea dei diritti dell’uomo, con la
sentenza emessa il 25 settembre 2012 nel caso
Godelli contro Italia ha dato una interpretazione
dell’art. 8 della Convenzione E.D.U., che
riconduce il diritto alla conoscenza delle
proprie origini nell’ambito di applicazione della
nozione di vita privata e specificamente nella
sfera di protezione dell’identità personale. In
questa prospettiva la Corte europea ha affermato
che l’art. 8 protegge il diritto all’identità e
alla realizzazione personale e quello di
intessere e sviluppare relazioni con i propri
simili e il mondo esterno. A questa realizzazione
della personalità concorrono la conoscenza dei
dati concernenti la propria identità di essere
umano e l’interesse vitale, protetto dalla
convenzione, di ottenere le informazioni
necessarie per apprendere la verità su un aspetto
importante dell’identità personale quale la
identità dei propri genitori. La nascita e le sue
circostanze rientrano dunque nell’ambito degli
elementi della vita privata del bambino e poi
dell’adulto, garantiti dall’art. 8 della
Convenzione che trova pertanto applicazione in
questa materia.
10. Parallelamente, come nella precedente sentenza
emessa il 13 febbraio 2002, nel caso Odièvre
contro Francia, la Grande Chambre della Corte
E.D.U. ha rilevato la esistenza di un interesse
in conflitto con il diritto alla conoscenza delle
proprie origini e che si manifesta in situazioni
di difficoltà per la madre tali da indurla a
portare a termine la gravidanza e a partorire in
condizioni di sicurezza, per la sua salute e
quella del bambino, solo se può conservare
l’anonimato e vedere tale scelta garantita
dall’ordinamento anche successivamente al parto.
La Corte, pur dando atto che in Europa il cd.
parto anonimo è ammesso da un numero nettamente
minoritario di Stati, riconosce che gli Stati
aderenti alla Convenzione possano accordare
all’anonimato meritevolezza di tutela sotto due
profili: a) salvaguardare la salute della donna
consentendole di partorire in condizioni mediche
e sanitarie appropriate, proteggendo così sia la
salute della donna che quella del bambino durante
la gravidanza e il parto; b) evitare che le
condizioni personali della donna la costringano
ad abortire e soprattutto la inducano ad aborti
clandestini e abbandoni selvaggi del bambino.
11. La scelta dei mezzi più adatti per assicurare
equamente la conciliazione dell’istanza di
protezione della madre, che si trova in una
condizione di difficoltà tale da non consentirle
di assumere il ruolo genitoriale, con la domanda
legittima del figlio ad avere accesso alle
informazioni sulle sue origini spetta agli Stati
aderenti alla Convenzione. Tuttavia, la Corte è
nelle condizioni di esercitare un sindacato circa
la scelta e l’effettivo esercizio di tali mezzi
di composizione del conflitto e, in particolare,
sulla ricerca e la realizzazione di un equilibrio
fra i concorrenti interessi e diritti in gioco.
12. In questa prospettiva la Corte europea ha
riconosciuto alla legislazione francese la
capacità di contemperare tali concorrenti
esigenze di tutela perché la legge n. 2002/93,
nel modificare la legge del 1993, che tuttora
riconosce il diritto della donna di partorire
mantenendo segreta la propria identità, ha
rafforzato le possibilità per la donna di
revocare la sua decisione e ha permesso mediante
l’istituzione di un organismo ad hoc (il
Consiglio nazionale per l’accesso alle origini
personali) di gestire la reversibilità del
segreto condizionandolo all’accordo espresso
dalla madre e dal figlio e rendendo concreta ed
effettiva l’interpellabilità della madre sulla
richiesta del figlio di rimuovere il segreto.
Inoltre la legislazione francese e da ultimo la
legge del 22 gennaio 2002 n. 2002/93 ha reso
accessibili, nonostante la permanenza del
segreto, una serie di informazioni non
identificative che la madre è tenuta a fornire al
momento della sua decisione di partorire
anonimamente.
13. La citata sentenza della Corte Europea Odièvre
c. Francia, di cui la sentenza Godelli c. Italia
è la coerente riaffermazione, costituisce, come
sottolineato dalla dottrina, un precedente
sofferto perché è stato pronunciato all’esito
della ricerca di un difficile equilibrio fra
tradizioni giuridiche e posizioni di principio
molto diverse come è eloquentemente rappresentato
nella opinione dissenziente dei giudici
Wildhaber, Bratza, Bonello, Loucaides, Cabral
Barreto, Tulkens e Pellonpää. Secondo questa
comune posizione non vi è stata nella specie, né
in fatto né in diritto, alcuna effettiva
ponderazione di interessi. Infatti secondo i
giudici rimasti in minoranza la legge francese
riconosce come un ostacolo assoluto a qualsiasi
ricerca di informazione, da parte della persona
nata in regime di anonimato, la decisione della
madre, quale che sia la ragione e la legittimità
di tale decisione. Il rifiuto della madre si
impone al figlio che non ha alcun mezzo giuridico
per contrastare la sua volontà unilaterale. In
questo modo, secondo la dissenting opinion, la
madre ha il diritto puramente discrezionale di
mettere al mondo un bambino ponendolo in una
condizione di sofferenza e condannandolo per
tutta la vita all’ignoranza sulle sue origini.
Non si tratta pertanto di un sistema che assicura
un equilibrio tra i diritti in gioco. Il diritto
di veto puro e semplice riconosciuto alla madre
comporta che i diritti del minore riconosciuti
nel sistema generale della convenzione (sentenze
Johansen c. Norvège, Kuzner c. Germania), sono
interamente negati e dimenticati. Il diritto
all’identità, come condizione essenziale del
diritto all’autonomia (Pretty c. Regno Unito) e
allo sviluppo della persona (Bensaid c. Regno
Unito) fa parte del nocciolo duro del diritto al
rispetto della vita privata e pertanto un esame
tanto più rigoroso si impone per bilanciare
effettivamente gli interessi in gioco laddove
invece nella situazione francese attuale una
preferenza cieca viene riconosciuta ai soli
interessi della madre. La legge francese n. 2002-
93 del 22 gennaio 2002, oggetto della decisione
della C.E.D.U., riconosce chiaramente la
necessità di trovare un riequilibrio dei diritti
in conflitto. Essa, pur non mettendo in
discussione l’istituto dell’accouchement sous x,
segna certamente un passo in avanti in materia di
accesso alla conoscenza delle proprie origini in
quanto consente di sollecitare la reversibilità
del segreto sull’identità della madre. Tuttavia
tale reversibilità è in ultima istanza affidata e
condizionata dall’accordo di quest’ultima. La
madre è solo invitata e non ha l’obbligo di
rilasciare delle indicazioni identificative,
d’altra parte può sempre opporsi a che la sua
identità sia svelata anche dopo la sua morte
(articolo L. 147-6 del “code de l’action sociale
et des familles” introdotto dall’articolo 1 della
legge 22 gennaio 2002). La legge non ha previsto
che il Consiglio Nazionale che ha istituito (né
alcun altro organo indipendente) possa prendere
una decisione finale sulla rimozione del segreto,
in considerazione degli interessi in conflitto,
nell’ipotesi in cui la madre permanga nella sua
posizione di rifiuto che comporta la definitiva
privazione del diritto del figlio a conoscere la
sua origine. In definitiva lo squilibrio iniziale
resta perpetuato nella misura in cui il diritto
all’accesso alle informazioni sulle origini
personali resta subordinato alla decisione
esclusiva della madre.
14. Se questa posizione non ha trovato il consenso
della maggioranza essa appare tuttavia rilevante
perché mette in luce come all’istituto del parto
anonimo è stato riconosciuta nella sentenza
Odièvre legittimità anche nel perpetuare una
posizione di disparità fra gli interessi in
conflitto rendendo per certi versi improprio il
richiamo alla teoria e alla tecnica del
bilanciamento fra diritti fondamentali
abitualmente utilizzata dalla giurisprudenza di
Strasburgo.
15. Questa Corte ritiene particolarmente puntuali
quelle posizioni della dottrina secondo cui,
nella specie, il bilanciamento dei diritti
fondamentali in gioco appare una categoria
inefficace e per certi versi inappropriata perché
nell’istituto in questione non vengono a
contrapporsi, nel tempo e per entrambi i versanti
del conflitto, dei diritti fondamentali ma, da un
lato, il diritto fondamentale alla conoscenza
della propria identità e, dall’altro, una istanza
di protezione di una scelta cui l’ordinamento ha
riconosciuto tutela, necessariamente di carattere
assoluto, sia dal punto di vista soggettivo che
temporale, per le conseguenze deteriori che teme
si realizzerebbero qualora tale scelta fosse
vietata o non garantita nel tempo. In altri
termini si può propriamente parlare di
ponderazione fra diritti fondamentali con
riferimento al momento della scelta della madre
di partorire anonimamente perché in questo
momento è in gioco il suo diritto alla vita e
quello del figlio. Dopo la nascita non è più il
diritto alla vita ad essere in gioco e il diritto
all’anonimato diventa strumentale a proteggere la
scelta compiuta dalle conseguenze sociali e in
generale dalle conseguenze negative che
verrebbero a ripercuotersi in primo luogo sulla
persona della madre. In questa prospettiva non è
il diritto in sé della madre all’anonimato che
viene garantito ma la scelta che le ha consentito
di portare a termine la gravidanza e partorire
senza assumere le conseguenze sociali e
giuridiche di tale scelta. Solo la madre pertanto
in questa prospettiva può essere la persona
legittimata a decidere se revocare la sua
decisione di rimanere anonima in relazione al
venir meno di quell’esigenza di protezione che le
ha consentito la scelta tutelata
dall’ordinamento.
16. La decisione della Corte Europea ha riconosciuto
legittima questa tutela perché connessa a una
finalità quoad vitam dell’istituto ma ha
introdotto un doppio limite a questa tutela in
funzione della tutela del diritto del figlio alla
conoscenza delle proprie origini. In questa
prospettiva ha recepito e valorizzato due
caratteristiche della legislazione francese e
cioè l’accessibilità dei dati non identificativi,
in stretta relazione con la loro utilizzabilità
ai fini medici e sanitari, e la revocabilità del
segreto che deve trovare la sua effettività nella
creazione di un sistema di comunicazione,
necessariamente idoneo a garantire l’anonimato,
fra la madre e il figlio.
17. Solo in questo senso può parlarsi, con
riferimento alla sentenza della C.E.D.U. di
bilanciamento di diritti ma sempre riconoscendo
la legittimazione di una situazione asimmetrica
che non corrisponde ma anzi è inversamente
proporzionale alla rilevanza dei diritti e degli
interessi in conflitto man mano che ci si
allontana temporalmente dal momento in cui la
scelta della madre è stata compiuta. E’ anche
improprio parlare di diritto alla riservatezza
con riferimento all’origine biologica di un’altra
persona nel momento in cui si riconosce che tali
dati costituiscono un aspetto fondamentale della
sua identità. In questa prospettiva le
legislazioni europee, e fra esse la nostra
legislazione, riconoscono al figlio adottivo il
diritto a conoscere l’identità dei propri
genitori biologici. Né l’ordinamento
internazionale e nazionale riconosce in alcun
modo un diritto fondamentale a decidere
sull’assunzione o meno della genitorialità. Vi è
piuttosto il generale riconoscimento, da parte
degli ordinamenti giuridici, dell’interesse
generale alla solidarietà nei confronti dei
minori che versino in stato di abbandono o non
possano vedere realizzato il loro diritto
fondamentale a vivere e crescere nella famiglia
di origine.
18. Nell’istituto del parto anonimo, per come
legittimato dalla giurisprudenza europea, viene
così a crearsi una situazione per certi versi di
tipo convenzionale perché la madre accede alla
possibilità di portare a compimento la gravidanza
e di partorire, mettendo così al mondo una nuova
vita, ma chiede e ottiene dall’ordinamento la
garanzia di vedere tutelata nel corso di tutta la
sua vita la segretezza sulla maternità biologica
e la scissione di quest’ultima dalla
genitorialità sociale e giuridica. Questa
richiesta di protezione viene riconosciuta
meritevole sino al punto di attribuire alla madre
la titolarità del segreto senza che nel corso
della sua vita possa essere costretta alla sua
rimozione anche da parte di un soggetto pubblico
cui sia affidata la valutazione degli interessi
in conflitto. La Corte europea ha ritenuto che
l’affidamento esclusivo alla madre della
decisione sulla permanenza del segreto sia
giustificabile proprio in relazione alla
intensità della protezione che una scelta di tale
importanza, da prendere in una situazione di
difficoltà, spesso anche estrema, richiede, una
decisione che non può che essere garantita, per
il presente e il futuro, nel momento in cui viene
presa e che non consente una successiva
rivalutazione da parte dell’ordinamento che
prescinda dalla volontà della madre biologica.
Come si è detto però nel riconoscere tale
titolarità e autodeterminazione alla madre la
Corte ha voluto che alla stessa sia altresì
consentito concretamente di rimuovere il segreto
e di tenere conto della volontà di chi è nato per
effetto della sua scelta. Ha voluto in altri
termini che la scelta per l’anonimato si
tramutasse in un obbligo alla segretezza
sottratto anche alla volontà della persona nel
cui interesse preminente era stato riconosciuto e
protetto.
19. Successivamente alla sentenza Godelli del
2012 la Corte Costituzionale è nuovamente
intervenuta in questa materia con la sentenza n.
278 del 18 novembre 2013 in quanto il Tribunale
per i minorenni di Catanzaro ha sollevato, in
riferimento agli articoli 2, 3, 32 e 117, primo
comma, della Costituzione, la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 7,
della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del
minore ad una famiglia), come sostituito dall’art.
177, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno
2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei
dati personali), «nella parte in cui esclude la
possibilità di autorizzare la persona adottata
all’accesso alle informazioni sulle origini senza
avere previamente verificato la persistenza della
volontà di non volere essere nominata da parte
della madre biologica». Secondo il Tribunale
minorile calabrese tale disposizione
contrasterebbe infatti: a) con l’art. 2 della
Costituzione, configurando «una violazione del
diritto di ricerca delle proprie origini e dunque
del diritto all’identità personale dell’adottato»;
b) con l’art. 3 della Costituzione, in riferimento
all’«irragionevole disparità di trattamento fra
l’adottato nato da donna che abbia dichiarato di
non voler essere nominata e l’adottato figlio di
genitori che non abbiano reso alcuna dichiarazione
e abbiano anzi subìto l’adozione»; con l’art. 32
della Costituzione, in ragione dell’impossibilità,
per il figlio, di ottenere dati relativi
all’anamnesi familiare, anche in relazione al
rischio genetico; con l’art. 117, primo comma,
Cost., in riferimento all’art. 8 della Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre
1950 e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955,
n. 848, per come interpretato dalla Corte europea
dei diritti dell’uomo nella sentenza del 25
settembre 2012 nel caso Godelli contro Italia.
20. Ha ribadito la Corte Costituzionale che “il
fondamento costituzionale del diritto della madre
all’anonimato riposa sull’esigenza di
salvaguardare madre e neonato da qualsiasi
perturbamento, connesso alla più eterogenea gamma
di situazioni, personali, ambientali, culturali,
sociali, tale da generare l’emergenza di pericoli
per la salute psico-fisica o la stessa incolumità
di entrambi e da creare, al tempo stesso, le
premesse perché la nascita possa avvenire nelle
condizioni migliori possibili”. Tuttavia, – rileva
la Corte Costituzionale – “l’aspetto che viene qui
in specifico rilievo – e sul quale la sentenza
della Corte di Strasburgo del 25 settembre 2012,
Godelli contro Italia, invita a riflettere – ruota
attorno al profilo, per così dire, ‘diacronico’
della tutela assicurata al diritto all’anonimato
della madre”. “Con la disposizione all’esame,
l’ordinamento pare, infatti, prefigurare una sorta
di ‘cristallizzazione’ o di ‘immobilizzazione’
nelle relative modalità di esercizio: una volta
intervenuta la scelta per l’anonimato, infatti, la
relativa manifestazione di volontà assume
connotati di irreversibilità destinati,
sostanzialmente, ad ‘espropriare’ la persona
titolare del diritto da qualsiasi ulteriore
opzione; trasformandosi, in definitiva, quel
diritto in una sorta di vincolo obbligatorio, che
finisce per avere un’efficacia espansiva esterna
al suo stesso titolare e, dunque, per proiettare
l’impedimento alla eventuale relativa rimozione
proprio sul figlio”. “Tutto ciò è icasticamente
scolpito dall’art. 93, comma 2, del ricordato
d.lgs. n. 196 del 2003, secondo cui ‘Il
certificato di assistenza al parto o la cartella
clinica, ove comprensivi dei dati personali che
rendono identificabile la madre che abbia
dichiarato di non voler essere nominata
avvalendosi della facoltà di cui all’articolo 30,
comma 1, del decreto del Presidente della
Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, possono essere
rilasciati in copia integrale a chi vi abbia
interesse, in conformità alla legge, decorsi cento
anni dalla formazione del documento”. “Ebbene, a
cercare un fondamento a tale sistema – che
commisura temporalmente lo spazio del “vincolo”
all’anonimato a una durata idealmente eccedente
quella della vita umana –, se ne ricava che esso
riposa sulla ritenuta esigenza di prevenire
turbative nei confronti della madre in relazione
all’esercizio di un suo ‘diritto all’oblio’ e,
nello stesso tempo, sull’esigenza di salvaguardare
erga omnes la riservatezza circa l’identità della
madre, evidentemente considerata come esposta a
rischio ogni volta in cui se ne possa cercare il
contatto per verificare se intenda o meno
mantenere il proprio anonimato”. Ma né l’una né
l’altra esigenza sono considerate dalla Corte
Costituzionale dirimenti perché espongono il
figlio alla inevitabile e definitiva perdita del
suo diritto alla conoscenza delle proprie origini
e affidano la tutela della riservatezza della
scelta della madre a una disciplina eccessivamente
rigida che se, da un lato, “legittimamente,
impedisce l’insorgenza di una genitorialità
giuridica, con effetti inevitabilmente
stabilizzati pro futuro”, non appare ragionevole
laddove si presenta come “necessariamente e
definitivamente preclusiva anche sul versante dei
rapporti relativi alla genitorialità naturale”. Il
vulnus costituzionale che ne deriva è, dunque,
rappresentato, a giudizio della Corte
Costituzionale, dalla “irreversibilità del segreto
la quale, risultando, per le ragioni anzidette, in
contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., deve
conseguentemente essere rimossa”.
21. Può quindi affermarsi senza ombra di dubbio
che la nostra Corte Costituzionale ha delineato in
termini ancor più stringenti e sistematici della
Corte Europea la condizione di legittimità
dell’istituto in questione alla condizione della
potenziale e nello stesso tempo sempre attuale
reversibilità del segreto.
22. Tornando quindi al caso in esame non può non
discendere dalla chiara individuazione compiuta
dal giudice delle leggi la impossibilità di
ritenere operativo, oltre il limite della vita
della madre, il termine previsto dall’art. 93,
comma 2, del ricordato d.lgs. n. 196 del 2003
perché la conseguenza della morte della madre che
ha partorito in anonimo sarebbe quella di
reintrodurre quella cristallizzazione della scelta
per l’anonimato che la Corte costituzionale ha
ritenuto lesiva degli artt. 2 e 3 della carta
fondamentale. Un effetto non giustificabile
pertanto neanche nella ipotesi ritenuta legittima
dall’ordinamento francese della espressione, in
vita, da parte della madre, di una volontà
definitivamente contraria alla rimozione del
segreto anche dopo la sua morte. Né una diversa
conclusione potrebbe dedursi dalla temporaneità
della protezione dai dati che è propria dell’art.
93, comma 2, del d.lgs. n. 196 del 2003. Oltre a
rilevare che la durata del termine ivi previsto
rende, comunque, di fatto, inattuabile la volontà
del figlio di conoscere le proprie origini
biologiche questa Corte non può che smentire la
fondatezza e rilevanza della affermazione per cui
la morte della madre non può essere eletta a
circostanza presuntiva della volontà di rimozione
del segreto post mortem. Va ribadito infatti che,
nella ricostruzione della Corte Costituzionale,
ciò che è rilevante e decisivo è la reversibilità
del segreto, condizione che, purtroppo, la morte
non rende più attuale e ipotizzabile nel futuro.
Non si può d’altra parte non sottolineare
l’effetto paradossale che provocherebbe una
lettura della norma ritenuta incostituzionale
basata sui presupposti che hanno orientato i
giudici del merito. L’immobilizzazione della
scelta per l’anonimato che verrebbe in tal modo a
determinarsi post mortem verrebbe a realizzarsi
proprio in presenza dell’affievolimento, se non
della scomparsa, di quelle ragioni di protezione,
risalenti alla scelta di partorire in anonimo, che
l’ordinamento ha ritenuto meritevoli di tutela per
tutto il corso della vita della madre proprio in
ragione della revocabilità di tale scelta. Ciò che
provocherebbe, per citare ancora la Corte
Costituzionale, la definitiva perdita del diritto
fondamentale del figlio a conoscere le proprie
origini – e ad accedere alla propria storia
parentale – diritto che “costituisce un elemento
significativo nel sistema costituzionale di tutela
della persona” perché “il relativo bisogno di
conoscenza rappresenta uno di quegli aspetti della
personalità che possono condizionare l’intimo
atteggiamento e la stessa vita di relazione di una
persona”.
23. Va pertanto accolto il ricorso con decisione
nel merito consistente nell’autorizzazione della
ricorrente ad accedere alle informazioni relative
all’identità della propria madre biologica.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza
impugnata e, decidendo nel merito, autorizza XY ad
accedere alle informazioni relative all’identità della
propria madre biologica. Dispone che in caso di
diffusione del presente provvedimento siano omesse le
generalità e gli altri dati identificativi a norma
dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
3 marzo 2016.
Il Giudice rel. Il Presidente
Giacinto Bisogni Fabrizio Forte